lunedì 26 ottobre 2015

LETTERATURA: COMMENTO DE "GLI INDIFFERENTI" DI ALBERTO MORAVIA

Gli Indifferenti di Alberto Moravia è un romanzo che mostra la decadenza economica e morale dell’alta borghesia, intrappolata in una vita scandita da convenzioni sociali e da turpi sentimenti. I protagonisti della vicenda, volenti o nolenti, consapevolmente o meno, sono intrappolati nella loro vita e nel loro status sociale.

Pubblicato nel 1929 da Moravia a proprie spese, il romanzo si rivelò subito un successo editoriale. La rivista “900” rifiutò il romanzo definendolo una “nebbia di parole”. Ad ingannare l’editore ci fu sicuramente il linguaggio usato dall’autore per descrivere la vicenda, in realtà però il romanzo si lascia leggere e presenta dei contenuti importanti. La scelta del linguaggio di Moravia serve a immergere ulteriormente il lettore nell’atmosfera respirata dagli stessi personaggi, un’atmosfera esageratamente artificiosa finalizzata a mascherare lo squallore delle vite reali.

Protagonisti della vicenda sono i fratelli Carla e Michele, giovani di una famiglia dell’alta borghesia ormai in rovina, la loro madre, il donnaiolo uomo d’affari Leo Merumeci e l’amica di famiglia Lisa. Leo Merumeci continua a frequentare l’amante, che ormai respinge di continuo e tratta male, perché intenzionato a riscuotere un’ipoteca sulla loro casa che di sicuro li manderà in rovina e darà a lui la bella villa ad un prezzo stracciato. Nonostante Michele intuisca le intenzioni losche di Leo e consigli alla madre di far valutare la villa, così da venderla ad un prezzo più alto di quello dovuto a Leo, estinguere l’ipoteca e compare una casa più modesta, la donna continua a trattare l’uomo d’affari come un amante, con tanto di scenate di gelosia. La donna infatti spera di usare l’amore per tenere la villa, in più vuole davvero tenere stretto Leo, pur consapevole che lui sia un donnaiolo e che la tradisca di continuo. La donna teme che Leo tenga in piedi ancora una vecchia relazione amorosa con Lisa, vecchia amica di famiglia, invece l’uomo corteggia spudoratamente e finisce per sedurre la giovane Carla. Intanto Lisa corteggia di nascosto Michele, andando così a nutrire involontariamente l’equivoco creatosi nella mente della donna. Servendosi degli eventi innescati da quest’incrocio di interessi amorosi e non, l’autore si produce in un’accurata analisi dell’esistenza umana.

I protagonisti della vicenda vedono e vivono la crisi morale e per certi versi anche economica della loro classe sociale da punti di vista differenti.
Carla e Michele soffrono la falsità di tutto quello che li circonda. Vivono la vita con indifferenza, senza reali sentimenti, tutto è finto e nulla suscita in loro reazioni sincere. Entrambi vogliono cambiare la propria condizione. Carla cerca di mutarla gettandosi in una relazione squallida e senza sentimento, concedendosi ad un uomo che non ama e che sin dopo il primo rapporto sessuale la tratta come una vecchia moglie di cui si è ormai stanchi. Nonostante lei finisca per rendersi conto dello squallore in cui si è gettata, accetta passivamente la situazione e finisce addirittura per sposare quell’uomo. Michele vive la sua situazione con ancora maggiore angoscia. A differenza della sorella, non riesce a fingere ed a buttarsi in una squallida storia d’amore con Lisa, non odia Leo e non prova tristezza per le condizioni della famiglia, gli è tutto indifferente perché in tutto percepisce falsità. È tentato dall’idea di arrendersi alla vita comune che spetta a tutti i suoi pari, ma non ci riesce ed alla fine riesce a produrre un reale sforzo per cambiare radicalmente la situazione e risollevare anche la sorella, viene però tradito dal fatto che non sa come cambiare davvero le cose, finisce così per fallire. Carla è quindi meno meditativa, sfrutta la prima occasione che ha per cambiare la sua vita senza però riuscire a cambiare niente, finisce poi per arrendersi subito a quello che sente come un destino ineluttabile. Michele invece è molto più riflessivo, sente di dover fare qualcosa senza però sapere davvero cosa, a tratti cerca di lottare ed a tratti di arrendersi, ma in fin dei conti non gli riesce nessuna delle due cose, quindi non riesce a cambiare la situazione sua e della sorella e nemmeno gli riesce di tuffarsi in una squallida e finta storia d’amore.
Se i due ragazzi, pur non sapendo come, vorrebbero cambiare il loro stato, c’è invece la madre che vorrebbe nulla mutasse. La donna è consapevole che la rovina incombe su di lei, cerca però di tenersi a galla ostentando una ricchezza che non ha più, dedicandosi a cose frivole come feste e balli, mettendo anima e corpo in una relazione che non esiste più. Michele l’avvisa che Leo li sta ingannando, ma lei per non perderlo ignora il pericolo. È una donna così impegnata a fingere che nemmeno riconosce più la realtà, non si rende conto del turbamento che riempie l’animo dei figli, non accorge che il suo amato Leo la sfrutta e nemmeno capisce ciò che invece si svolge proprio sotto i suoi occhi, cioè che il suo amante ha sedotto la sua giovane figlia. Lei continua a vedere in Leo il suo amante e la persona che può aiutare la famiglia in quel momento difficile, continua ad essere gelosa di Lisa. La madre è forse la figura più tragica della vicenda, il suo mondo va in pezzi davanti ai suoi occhi e lei nemmeno se ne accorge, a differenza dei suoi due figli che invece hanno almeno la percezione della rovina in cui sono caduti.
Leo Merumeci è il “cattivo” della vicenda. Non esita a prendersi gioco dell’amante, frequenta assiduamente casa sua illudendola che tra loro ci sia ancora amore, intanto pianifica di rovinarla prendendole la villa per quattro soldi e seduce la sua giovane figlia. È senza scrupoli, tratta le persone così come la merce, non prova sentimenti ma le usa. Coccola Carla quando la corteggia, poi già dopo il primo rapporto sessuale diventa meno accomodante, infine le chiede di sposarla quando vede a rischio il suo profitto sulla villa dell’amante. Trascura completamente Lisa, sua vecchia amante, salvo poi andare a casa sua e cercare di prenderla anche un po’ bruscamente quando gli va male la prima volta con Carla. Le donne servono solo a sfogare le sue libidini ed a portargli un guadagno, nient’altro.
Lisa è una donna in rovina che cerca solo di tenersi nel mezzo della vita mondana e di sedurre il giovane Michele. Anche lei in rovina, continua a cercare avventure amorose come in gioventù, come a scacciare la rovina e l’età avanzata in cui è ormai precipitata. Respinge Leo solo perché ormai proiettata su Michele, scopre inoltre la tresca tra il suo vecchio amante e Carla, ma rivelerà il segreto a Michele solo per ferirlo quando sarà respinta, in realtà non ha alcun interesse di aprire gli occhi all’amica con cui, in realtà, non ha un sincero rapporto di amicizia.

Il contesto storico in cui si svolge la vicenda sono gli anni immediatamente successivi al delitto Matteotti, il fascismo ha ormai gettato la maschera rivelandosi per quello che è. Della situazione politica nel romanzo però non c’è traccia ed anche quella sociale si deduce più che vederla, Moravia usa il romanzo infatti per analizzare l’esistenza, per analizzare il tumulto che quella vita causa nell’animo di chi la vive.

Francesco Abate


venerdì 11 settembre 2015

STORIA: LA FINE DI ALLENDE E IL COLPO DI STATO DI PINOCHET

Con le elezioni del 4 settembre 1970, l’ex presidente del Senato cileno Salvador Allende divenne presidente della Repubblica. Allende guidava una coalizione di Unità popolare formata da comunisti, socialisti, cattolici di sinistra e radicali. Negli anni del suo governo, il neoeletto presidente colpì duramente le classi agiate e le multinazionali americane, inoltre nazionalizzò le industrie e le miniere di rame. In politica estera stabilì rapporti di amicizia con la Cuba di Fidel Castro.

Allende fu subito messo in difficoltà dagli oppositori, che riuscirono a destabilizzarne il governo, aiutati dalla sospensione dei crediti esteri (perlopiù statunitensi) che peggiorò la situazione economica e portò a numerosi scioperi in tutto il paese. Ad aggravare la situazione del Cile, ed a renderlo ancora più difficile da governare, c’era il problema del terrorismo.

L’11 settembre 1973, mentre affrontava l’ennesima crisi del suo governo, dichiarato pochi mesi prima illegittimo dalla Camera, Allende fu deposto da un colpo di stato e perse la vita nel bombardamento del palazzo presidenziale, che fino all’ultimo non volle abbandonare.

Il colpo di stato fu di matrice militare e fu guidato dal generale Augusto Pinochet, mentre è controverso il ruolo che gli USA ebbero nell’azione. 
Documenti declassificati della CIA rivelano come gli USA avessero tentato di rovesciare Allende già nel 1970, subito dopo la sua elezione. Lo stesso Kissinger dichiarò a proposito di Allende: “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”. Quel che è certo è che gli USA seppero due giorni prima del colpo di stato di Pinochet, la CIA però sostiene di non aver giocato un ruolo diretto e lo stesso Kissinger riferì al presidente Nixon di non aver fatto il colpo di stato, ma di aver creato le condizioni ideali perché si verificasse.

Dopo il golpe, gli USA fornirono supporto materiale al regime di Pinochet, uno dei più crudeli della storia. Di certo Pinochet si rivelò un leader sanguinario, però colpendo gli oppositori politici andò a decimare i cileni di Allende, i comunisti e i socialisti, e questo non dispiacque per niente agli USA. Il dittatore inoltre portò avanti una politica economica rigidamente liberista, rendendo possibile agli USA tornare ad investire nel paese.

Francesco Abate

domenica 23 agosto 2015

LETTERATURA: RECENSIONE DI FONTAMARA DI IGNAZIO SILONE

Fontamara è il primo romanzo di Ignazio Silone e mostra lo scontro eterno tra i “cafoni”, l’ultimo anello della catena sociale, e i potenti. I secondi esercitano sui primi ogni tipo di sopruso sin da quando l’uomo ha memoria e i cafoni sono ormai assuefatti allo stato di cose e lo accettano passivamente. L’avvento del fascismo peggiora però le cose, con i soprusi a danno dei cafoni che vengono apertamente promossi dal Governo e che diventano ancora più odiosi e insopportabili, finendo per far svanire l’eterna rassegnazione degli ultimi e portarli ad un’inattesa rivolta.

Centrale nel romanzo è la figura di Berardo Viola, l’unico che mai accetta i soprusi di cui sono vittima i cafoni, ma che viene seguito più con divertimento che con convinzione. Solo verso la fine della vicenda, subito l’ennesimo sopruso e vista svanire l’ennesima opportunità, renderà concreta la sua ribellione e spingerà i paesani a seguire la sua strada.

La vicenda si svolge in un paesino abruzzese, appunto Fontamara, abitato da piccoli braccianti che vivono del loro lavoro e sembrano staccati da ogni realtà nazionale. I cafoni però imparano che non ci si può alienare dal resto del mondo, si può credere di farlo, ma si finisce solo per non capire quali nuove armi possono usare i potenti per truffarli.

La vita dei cafoni di Fontamara peggiora sempre più, fino ad arrivare al drammatico finale, è questo dimostra una certa rassegnazione. Finché i cafoni di Fontamara subiscono passivamente, vedono peggiorare le proprie condizioni di vita, quando poi si decidono a reagire, finiscono anche peggio. Come nel Verismo di Verga, non si può fuggire dal proprio destino, solo che in Fontamara non è un destino mosso dalla Provvidenza, ma è la malvagità dei ricchi e dei potenti a portare le sventure sui cafoni.

Nella descrizione delle ingiustizie perpetrate dai fascisti contro i cafoni di Fontamara, Silone mostra anche le contraddizioni del fascismo che, dopo essersi presentato come movimento del popolo, usa violenza contro lo stesso popolo che dovrebbe proteggere. Se il programma del Partito Fascista era di stampo socialista, le azioni andarono in tutt’altra direzione.

L’evoluzione del modo di pensare di Berardo Viola, figura centrale del romanzo, mostra anche la vicenda personale dell’autore. Silone infatti crebbe tra i contadini di Pescina e in gioventù si iscrisse al Partito Comunista per tutelarli, poi entrò in dissenso con il partito e ne uscì, ciò però non bastò ad evitargli noie con il fascismo e così fu costretto all’esilio. Allo stesso modo Viola prima propaganda ai paesani la necessità di ribellarsi anche con azioni violente, poi però cambia idea e finisce per abbandonare i propositi rivoluzionari perché desideroso di sposare la bella Elvira, infine la sua vicenda si conclude con l’aperto contrasto al fascismo.

Francesco Abate

giovedì 20 agosto 2015

FILOSOFIA: NIETZSCHE E IL NAZISMO

Per molti anni il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche è stato considerato precursore del nazismo. L’associazione nasce spontaneamente in chi ha una conoscenza solo superficiale dei due fenomeni, ma allo stesso tempo fu favorita proprio da alcuni ideologi del nazionalsocialismo le cui teorie ebbero poi larga diffusione.

L’equivoco nasce nella definizione che Nietzsche diede di superuomo, un uomo che ha abbandonato ogni fede ed ogni desiderio di certezza per reggersi su tutte le possibilità, crea nuovi valori e non subisce quelli tradizionali, è un uomo che ama la ricchezza e la transitorietà del mondo. Ovviamente in questa definizione di superuomo non c’è nulla che abbia a che fare con la sopraffazione violenta di altri uomini, cosa che era invece alla base della dottrina nazista, quindi l’analogia che molti hanno visto non c’è e il concetto di superuomo espresso da Nietzsche era diverso da quello pensato dai nazisti.

Un altro punto su cui c’era evidente distanza tra il filosofo e i nazisti era l’antisemitismo. Tutti sappiamo che per il nazionalsocialismo la distruzione della razza ebraica, portatrice di una malattia morale, era un punto fermo. Anche ai tempi di Nietzsche, che precedette il nazionalsocialismo di alcuni decenni, era di moda in Europa l’antisemitismo e il filosofo non ne aveva affatto una buona opinione. Egli non amava le religioni, meno di tutte il Cristianesimo, che giudicava anche peggiore dell’Ebraismo, però non è mai arrivato a teorizzare o propagandare la persecuzione e la cancellazione violenta di tali religioni.

Per concludere, posso dire che Nietzsche non è stato per nulla precursore del nazismo, bensì è stato il nazismo ad appropriarsi ed a distorcere il suo pensiero per creare una base culturale forte alle sue folli idee.

Francesco Abate

domenica 21 giugno 2015

LETTERATURA: RECENSIONE DE "IL GRANDE GATSBY" DI F.S. FITZGERALD

Considerata la principale opera di Francis Scott Fitzgerald, “Il Grande Gatsby” mostra una vita passata a rincorrere un passato svanito (quella di Gatsby) che si scontra con la realtà e nell’impatto si sgretola completamente. Gatsby cerca di riacciuffare il passato perduto (l’amore per la bella Daisy, di classe sociale superiore) tentando un dominio assoluto sulla vita, ostentando un lusso quasi vergognoso ed esponendolo in pubblico. Alla fine crederà di essere sul punto di tornare in possesso di quel pezzo di vita perduta, ma si scontrerà con la realtà e con il nuovo ordine creatosi con il fluire degli eventi, la situazione gli sfuggirà perciò di mano e lo porterà alla deriva. Il futuro che aveva rincorso, che altro non era che la cancellazione di una gran fetta del suo passato, gli si allontanerà, lui cercherà di riacciuffarlo ma sarà tutto vano. Gli era sembrato di avere in mano l’oggetto del suo desiderio, ma si ritroverà con in mano le macerie della sua vita e intrappolato in un fluire di eventi da cui verrà travolto. Gatsby rappresenta anche il povero che non esita a “sporcarsi” pur di realizzare il sogno americano di una vita lussuosa e felice, quasi onnipotente, finisce però per pagare il prezzo della sua scalata troppo ambiziosa e crolla.

La storia è narrata in prima persona da Nick, vicino di casa di Gatsby che si ritrova ad essere suo amico e complice. Gatsby mira infatti alla bella Daisy, amica di Nick. Attraverso la narrazione di Nick il lettore viene a conoscenza del personaggio di Gatsby, vede lentamente diradarsi intorno a lui quell’aura quasi mitologica che lo avvolge fino a vederlo nudo nei suoi pregi e nei suoi difetti. Attraverso Nick inoltre l’autore esprime le sue considerazioni finali sulla vicenda di Gatsby. Oltre ad avere il ruolo di narratore, Nick è comunque un personaggio che sulla storia incide molto, è infatti lui a portare Gatsby vicino alla realizzazione del suo progetto e da solo assisterà al suo lento declino prima della fine.

Daisy è l’oggetto del desiderio di Gatsby. Tipica donna di buona famiglia americana, si innamora da giovane di un soldato di cui conosce solo le bugie e, se non venisse fermata dalla famiglia, fuggirebbe con lui. Lo amerà per sempre, però cederà facilmente alle convenzioni sociali e sposerà un uomo di pari condizione, creandosi una nuova vita. Anche alla fine, messa di fronte alla necessità di scegliere tra un passato che ritorna e il presente agiato e convenzionale, tituberà solo finché non scoprirà le bugie del vecchio amato, a quel punto sceglierà il calore di una famiglia convenzionalmente infelice.

Tom è il marito di Daisy. La tradisce e lo sanno tutti. Ama la sua condizione di ricco americano e non manca di farla pesare, è convinto di essere superiore per via del suo status sociale. È conservatore, ama i valori fondanti della patria, però non esita a tradire la moglie e quando si trova ad essere tradito riesce perfino a farglielo pesare. Lui rappresenta l’ordine sociale che si contrappone alla voglia di emergere e di cambiare le cose di Gatsby.

Il romanzo può considerarsi anche un fedele specchio degli USA anni Venti. Fitzgerald ci mostra infatti una società divisa in classi, dove i poveri sembrano portare sulle spalle la colpa della loro povertà, alcuni con muta rassegnazione (Wilson il meccanico) ed altri tentando invano di cambiare le cose (Gatsby e la moglie di Wilson), mentre i ricchi si abbandonano ad una vita vuotamente godereccia fatta di feste lussuose, ubriachezza, tradimenti e tanti rimpianti, il tutto però vissuto con la dignità di chi si sente investito di una missione per la quale è obbligato a salvare le apparenze e mantenere lo stato delle cose.

Francesco Abate

venerdì 29 maggio 2015

PITTURA: CARLO CRIVELLI

Pittore italiano (Venezia, circa 1430 – Ascoli, circa 1493). Scarse sono le notizie biografiche sulla sua formazione, ma dall’analisi delle sue prime opere certe (tra cui la “Madonna col Bambino e i simboli della Passione”) appaiono i suoi legami con la cultura padovana, con riferimenti precisi al Mantegna e allo Squarcione. Lasciò Venezia all’inizio degli anni Sessanta, si stabilì prima a Zara, poi nelle Marche, dove eseguì la maggior parte dei suoi lavori.

I suoi dipinti sono dipinti in uno stile che unisce i dettami della nuova scienza rinascimentale della prospettiva e della nitida modellazione dei volumi a un gusto tardo-gotico per il particolare inconsueto, per il minuzioso decorativismo, per la delicata e preziosa gamma dei colori e per la partitura a polittico (composizione suddivisa in più elementi, destinata all’altare di una chiesa). Lo stile rimane uniforme lungo tutta la vita del Crivelli, nelle ultime composizioni si nota solo maggiormente l’influenza ferrarese con una linea più incisiva. Nelle ultimissime opere del Crivelli si vede un’involuzione, un’eccessiva ricerca del virtuosismo tecnico.

Opere importanti di Crivelli sono: “Madonna col Bambino e i simboli della Passione” (1475, Verona, Museo di Castelvecchio), il polittico della chiesa parrocchiale di Massa Fermana (1468), polittico della chiesa parrocchiale di Porto San Giorgio (1470, ora smembrato in vari musei), polittici delle chiese di San Francesco a Montefiore dell’Aso e nella cattedrale di Ascoli Piceno (1472-73), “L’Annunciazione” (1468, Londra, National Gallery).

Il fratello minore Vittore eseguì numerosi dipinti fortemente influenzati dallo stile del fratello.

Francesco Abate

giovedì 28 maggio 2015

STORIA: CONFRONTO TRA IL FRONTE DELL’UOMO QUALUNQUE E IL MOVIMENTO 5 STELLE

L’esplosione dei movimenti popolari nella politica di varie nazioni, fenomeno divenuto evidente con il boom del Movimento 5 Stelle in Italia e con Podemos in Spagna, non è una novità storica. Tenendoci solo in Italia, già nel 1946 vi fu un esperimento paragonabile a quello odierno dei “pentastellati”, la nascita de Il Fronte dell’Uomo Qualunque.

Il Fronte fu fondato dallo scrittore, giornalista e drammaturgo italiano Guglielmo Giannini e fu il prodotto dell’evoluzione del settimanale L’Uomo Qualunque, fondato dallo stesso Giannini poco meno di due anni prima. Qui già è possibile individuare una prima similitudine tra il Fronte e il Movimento di Grillo, infatti anche il M5S è il prodotto delle esperienze e delle opinioni maturate durante l’attività del blog del comico genovese Beppe Grillo. In entrambi i movimenti troviamo quindi un uomo di cultura che, attraverso un mezzo di comunicazione, raccoglie il malcontento della società nei confronti di una politica distante e fonda un movimento politico.

Ovviamente diversi sono i periodi storici e diversi i contesti, però è possibile anche qui trovare un collegamento. Giannini infatti emerse in un momento in cui la politica era in macerie e la distanza della stessa dalla gente comune era abissale, si usciva infatti da venti anni di dittatura fascista che avevano portato la guerra e la devastazione in Italia. Anche Grillo si è trovato ad operare in un contesto simile, infatti la politica degli anni 2000 era in macerie a causa di Tangentopoli e del palese fallimento della Seconda Repubblica, affogata tra corruzione e inettitudine della classe dirigente, si era in pieno berlusconismo e all’alba del renzismo. In entrambi i casi quindi il popolo percepiva una distanza abissale tra sé e una politica che appariva chiusa in sé stessa e sorda alle voci provenienti dal basso.

Il Fronte di Giannini ottenne un grande successo alle elezioni del 2 giugno 1946, mandando ben trenta deputati all’Assemblea costituente. Anche le successive elezioni amministrative videro un’ottima affermazione del Fronte, specie al sud, ma tutto fu distrutto dalle divisioni che sorsero in seno al partito nel momento in cui si dovette affrontare il nodo delle alleanze. Alle elezioni del 1948 il Fronte entrò infatti nel Blocco Nazionale, una coalizione di centrodestra, ma la mossa causò malcontento e delusioni che lentamente portarono al disfacimento del partito. Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto a sua volta un clamoroso successo alle elezioni politiche, successo sicuramente più roboante rispetto a quello del fronte, ma c’è da considerare che con internet e i social network la copertura mediatica era sicuramente diversa rispetto al 1946/48. Come il Fronte, anche il movimento di Grillo ha conosciuto divisioni al momento di stabilire le politiche e le alleanze, cosa che ha portato ad una perdita di consensi registrata in occasione delle elezioni europee. Così come il Fronte del 1946, il Movimento 5 Stelle vanta un programma apprezzato dai lettori del blog (scritto da loro nel corso di varie consultazioni), ma non tutti i parlamentari del movimento lo hanno poi condiviso del tutto (venendo espulsi) e nei casi di decisioni non programmate da prendere in poco tempo sono emerse non poche divisioni. Anche il nodo alleanze ha creato diversi grattacapi al Movimento. Se in Italia i grillini procedono da soli, coerentemente a quanto dichiarato in partenza, in Europa il leader Beppe Grillo ed i suoi sostenitori hanno subito avvertito l’esigenza di allearsi con gruppi di altri paesi così da rafforzare il proprio peso politico all’interno delle istituzioni. Il problema è stato però che Grillo, insieme ad una buona parte del suo gruppo dirigente, subito si è orientato verso l’UKIP del britannico Nigel Farage, mentre il “popolo” del blog e una consistente parte degli eurodeputati propendevano per i Verdi europei. Alla fine, come da statuto del blog, si è ricorso al voto sul blog per stabilire le alleanze, ma con una decisione poco democratica Grillo non ha inserito i Verdi europei tra le scelte, spianando così la strada per la vittoria dei sostenitori dell’UKIP e aprendo un dibattito sull’eccessiva invadenza della sua figura.

Bisogna tenere conto del fatto che nei movimenti come il Fronte dell’Uomo Qualunque o il Movimento 5 Stelle le divisioni sono fisiologiche, infatti si va a raccogliere un vasto bacino di sostenitori cavalcando la rabbia popolare, prescindendo da discorsi ideologici, finendo così per unirsi tutti al fine di cambiare le cose, senza però avere un’idea comune sulla strada da seguire. Il Movimento 5 Stelle è riuscito a sopravvivere agli scossoni causati dalle numerose divisioni, forte di un consenso più ampio e di una forza comunicativa maggiore data dall’utilizzo delle nuove tecnologie, il Fronte dell’Uomo Qualunque invece è franato di fronte ai primi dissensi e Giannini finì col candidarsi nella DC.

Se tra i due leader dei rispettivi movimenti, Giannini e Grillo, c’è la grande differenza che il primo si candidò in prima persona mentre il secondo si limita a coordinare, una similitudine è riscontrabile tra il destino di Giannini e un tentativo di Grillo fatto prima della nascita ufficiale del Movimento 5 Stelle. Giannini finì infatti con il candidarsi nella DC, intenzionato evidentemente a cambiare il sistema entrandovi dentro, senza l’effettivo appoggio del Fronte ma con la spinta dei qualunquisti; Beppe Grillo nel 2009 si candidò alle primarie del PD, intenzionato appunto a cambiare le cose da dentro con l’appoggio ideologico dei tanti sostenitori del suo blog (il Movimento non esisteva ancora, però erano già presenti e forti sul territorio molte liste civiche 5 Stelle), ma la sua domanda di iscrizione al partito fu respinta e l’anno dopo nacque il Movimento 5 Stelle.

Francesco Abate

martedì 26 maggio 2015

LETTERATURA: STUDIO DE “UNA PICCOLA NUBE” DI JAMES JOYCE

Questo racconto fu scritto da James Joyce tra febbraio e marzo del 1906 e fu subito incluso in quello che è uno dei più famosi lavori dello scrittore irlandese, Gente di Dublino.

Il racconto narra dell’incontro a Dublino tra due vecchi amici, Gallagher e Chandler. Il primo ha lasciato anni prima la città per trasferirsi a Londra, dando il via ad una luminosa carriera, il secondo invece vive una vita media a Dublino. Gallagher viaggia, vive una vita interessante, ha visto tante cose in diverse parti del mondo e si gode una vita luminosa. Incontrando il vecchio amico, Chandler sente il peso della paralisi in cui è impantanata la sua vita. La paralisi è il tema dominante del racconto, così come di tutto Gente di Dublino. L’incontro tra i due, che appunto sono vecchi amici, ha effetti terribili sul morale di Chandler che sente quanto immobile e vuota sia la sua vita. Tornato a casa, egli percepisce anche la sua famiglia come una catena che lo tiene paralizzato, tenta infatti di leggere una poesia (sua vecchia passione) ma subito il pianto convulso del figlio piccolo glielo impedisce.

Nel racconto, come in tutta l’opera, Dublino è il centro della paralisi. Gallagher andando via è riuscito a costruirsi una vita dinamica e interessante, avendo successo nel lavoro e riuscendo a godersi i suoi vizi. Chandler invece è rimasto a Dublino, successo non ne ha avuto, ha finito per mettere su famiglia e deve rinunciare anche all’esercizio hobbistico delle stesse a causa dei vincoli familiari (come si vede chiaramente nell’episodio finale del pianto del figlioletto). Interessante è anche il confronto tra i due protagonisti proprio sulla famiglia, quando Chandler (un po’ geloso del successo dell’amico) predice all’amico che metterà su famiglia e Gallagher risponde che non prenderà moglie se non in tarda età. Entrambi vedono la famiglia come un elemento favorevole alla paralisi, infatti Chandler sbandiera l’ipotesi all’amico come una minaccia, l’altro la respinge perché vuole godersi la vita. Poi l’episodio finale chiarisce senza ombra di dubbio come Chandler, e forse lo stesso Joyce, veda la famiglia come una catena.

L’episodio finale, quello che mostra come Chandler sia incatenato alla propria vita paralizzata, è ancor più efficace perché in antitesi ai pensieri che Chandler stesso sviluppa mentre cammina verso il luogo dell’appuntamento con l’amico. Chandler infatti pensa, ricordando il successo di Gallagher, di ricominciare a scrivere poesie e sogna di avere un grande successo, alla fine però i suoi sogni franano sulla sua famiglia non appena ritorna a casa.

Francesco Abate

venerdì 22 maggio 2015

LETTERATURA: STUDIO DELLA "NOVELLA DELL'AVVENTURIERO" DI ARTHUR SCHNITZLER

La "Novella dell'avventuriero" fu l’ultimo scritto di Schitzler, pubblicato dopo la sua morte avvenuta nel 1931. La novella è incompleta, dopo la predizione di Geronte la trama può essere dedotta solo leggendo lo schizzo che l’autore aveva fatto per poi sviluppare l’opera.

Questa novella è ambientata nel nord Italia del ‘500. Anselmo Rigardi, giovane membro di una nobile famiglia ormai decaduta, perde entrambi i genitori a causa della peste che colpisce la città di Bergamo. Rimasto solo, decide di avventurarsi in un viaggio per vivere avventure. In questo suo peregrinare si imbatte in Geronte, un uomo capace di predire il momento esatto della morte di chiunque si trovi davanti. Costui, irritato dal fatto che Anselmo abbia passato la notte con la figlia, gli predice la data in cui morirà. Anselmo va via e rimane coinvolto nelle dispute che viveva il suo paese, uccide il principe ereditario e per questo si trova al comando dell’esercito che dovrà combattere un altro pretendente, alla fine vince e viene proclamato re. Intanto viene a sapere che Lucrezia ha avuto un bambino da lui e Geronte, suo prigioniero, gli rivela che la sua profezia era falsa dato che al momento in cui la formulò per lui provava odio e non era in grado prevedere la morte di chi amava o odiava. Anselmo, però, credendo di essere prossimo alla morte aveva ingerito del veleno, quindi muore nel giorno previsto da Geronte. 

L’ambientazione della novella appare comunque più vicina al mondo dei sogni che non a quello della realtà. In tutto il racconto, o almeno nella parte completata, la descrizione degli spazi e dei tempi in cui si svolge la vicenda avviene in modo molto impreciso, si può intuire che è giorno o che è notte, o se ci si trova in ambiente chiuso o aperto, ma è praticamente impossibile stabilire con precisione qual è il luogo o il tempo in cui avviene la vicenda narrata. È come avviene nei sogni, in cui la percezione degli spazi e del tempo non è precisa, infatti noi sogniamo un ambiente chiuso o aperto, ma difficilmente nel sogno le immagini ed i contorni sono ben definiti, lo stesso accade per il tempo. Nel sogno tutto è concentrato sulla vicenda centrale e sugli stati d’animo, il resto è una cornice ed ha poca importanza. Così avviene in questa novella, tutto ciò che accade è descritto con precisione, tutto ciò che prova Anselmo è descritto con precisione, i luoghi ed i tempi invece sono appena accennati.

I temi trattati dalla novella sono:
1)      Desiderio di libertà = infatti Anselmo si sente libero da ogni vincolo quando perde i genitori e ciò prevale perfino per il dolore causatogli dalla perdita;
2)  Mancanza di speranza = infatti nonostante Anselmo decida di non attendere la morte per pestilenza, finisce comunque per morire giovane; inoltre lui beve il veleno perché non sopporta l’angoscia datagli dalla predizione di Geronte, però muore comunque nella data prevista dalla predizione che inoltre era falsa;
3)   Precarietà dei sentimenti amorosi = Anselmo aveva una fidanzata che, però, morì annegata; passa la notte con Anita ma poi fugge da lei perché la percepisce come un ostacolo; si innamora di Lucrezia, da cui ha anche un figlio, ma questa lo caccia per non dar dispiacere al padre e poi questo amore lo porta alla morte;
4) Solitudine = Anselmo è solo finché vuole esserlo, ma anche quando poi cerca contatti resta sempre solo nella sua avventura.

Francesco Abate

giovedì 21 maggio 2015

FILOSOFIA: LO STATO ASSOLUTISTICO E IL LEVIATANO DI THOMAS HOBBES

Alla base della costruzione di Hobbes della società ci sono due presupposti:
1)      Pur essendo relativi tutti i beni, vi è tuttavia fra di essi un primo ed originario bene, che è la vita e la conservazione della medesima (così come un primo male, che è la morte);

2)      In secondo luogo egli nega che esistano una giustizia ed una ingiustizia naturali, dato che non ci sono “valori assoluti”. Giustizia e ingiustizia sono frutto di “convenzioni” stabilite da noi stessi, sono quindi conoscibili in maniera perfetta e a priori, insieme a tutto ciò che da esse scaturisce.

“Egoismo” (il primo presupposto) e “convenzionalismo” (il secondo) sono i cardini della nuova scienza politica.

Hobbes contesta il pensiero aristotelico, che vedeva l’uomo come “animale politico” fatto per vivere in una società strutturata. Per Hobbes ciascun uomo è profondamente diverso dagli altri uomini e quindi da esso staccato, è un “atomo di egoismo”.

Ciascun uomo non è affatto legato agli altri uomini da un consenso spontaneo come quello degli animali, che si basa su di un “appetito naturale”, per le seguenti ragioni:
1)      Fra gli uomini ci sono motivi di contesa che non ci sono fra gli animali;
2)      Il bene dei singoli animali non differisce dal bene comune, nell’uomo invece il bene privato differisce da quello pubblico;
3)      Gli animali non scorgono difetti nella loro società, gli uomini invece si e per questo cercano di introdurre sempre novità che sono alla base di discordie e guerre;
4)      Gli animali non hanno la parola, che nell’uomo è spesso “tromba di guerra e di sedizione”;
5)      Gli animali, a differenza degli uomini, non si biasimano tra loro;
6)      Negli animali, a differenza che nell’uomo, il consenso è naturale.
Lo Stato dunque non è naturale, ma artificiale.

Secondo Hobbes la condizione in cui gli uomini naturalmente si trovano è quella di una guerra tutti contro tutti. Ciascuno infatti tende ad appropriarsi di ciò che gli serve e la natura non pone limite a ciò che si può possedere, quindi ognuno ha diritto su tutto. In tale situazione è costante per l’uomo il pericolo di perdere il bene primario, cioè la vita, ed egli vive nel costante terrore di perderla violentemente.
L’uomo esce da questa condizione facendo leva sugli istinti, cioè il desiderio di evitare la guerra continua e quello di avere il necessario alla propria sopravvivenza, e sulla ragione, non intesa come valore in sé, ma come strumento per realizzare i desideri di fondo. Così nascono le “leggi di natura”, che non sono altro che razionalizzazione dell’egoismo, che permettono di realizzare il desiderio dell’autoconservazione. Una legge di natura è un precetto o una regola generale scoperta dalla ragione, che vieta ad un uomo di fare ciò che è lesivo della sua vita o che gli toglie i mezzi per preservarla, e di omettere ciò con cui egli pensa possa essere meglio preservarla.

Nel Leviatano Hobbes elenca 19 leggi:
1)      Sforzarsi di cercare la pace;
2)      Rinunciare al diritto su tutto, ogni uomo si accontenti di avere la libertà che è disposto a concedere agli altri uomini. (per Hobbes questa è la legge del Vangelo)
3)      Adempiere ai patti fatti. (così nascono giustizia ed ingiustizia)
4)      Restituire i benefici ricevuti, così che non si pentano di averli fatti.
5)      Ciascun uomo deve adattarsi agli altri. (nascono così socievolezza e il suo contrario)
6)      Si perdonino coloro che, pentendosi, lo desiderano.
7)      Nelle vendette (o nelle punizioni) non si guardi la male passato ricevuto, ma al bene futuro.
8)      Non dichiarare odio o disprezzo per gli altri.
9)      Ogni uomo riconosca gli altri uguali a sé per natura.
10)   Nessuno pretenda di vedersi riservato un diritto che non sarebbe contento fosse riservato a qualcun altro.
11)   Colui a cui è affidato il compito di giudicare tra due uomini, deve comportarsi in maniera equa tra i due.
Le altre otto prescrivono l’uso comune delle cose indivisibili, l’affidamento alla sorte della fruizione dei beni indivisibili, il salvacondotto per i mediatori di pace, l’arbitrato, le condizioni di idoneità a giudicare equamente e la validità della testimonianza.
Queste leggi però non bastano, infatti i patti non servono a niente senza una spada che ne imponga l’osservanza, quindi serve un potere che imponga il rispetto delle stesse. Tra i cittadini si stipula il patto sociale, ma deve esserci un sovrano (o un’assemblea) che è al di fuori del patto, entrandoci infatti genererebbe contrasti nella gestione del potere. Egli è depositario dei diritti dei cittadini, è l’unico a mantenere tutti i diritti, mentre è depositario delle rinunce dei cittadini, è al di sopra della giustizia, tutti i poteri sono concentrati nelle sue mani ed anche la Chiesa deve essergli soggetta, lui è anche arbitro in materia di religione, dogma e interpretazione delle Sacre Scritture.
Hobbes affida allo stato il nome “Leviatano” (letteralmente significa “coccodrillo”, è un mostro invincibile descritto nel libro di Giobbe, capp. 40-41). Lo designa anche come “dio mortale”, perché a lui dobbiamo la pace e la nostra sopravvivenza (al di sopra dello stato vi è solo il Dio immortale). Lo Stato che ha concepito è per metà mostro e per metà dio mortale.

Francesco Abate

martedì 19 maggio 2015

LETTERATURA: STUDIO DEI PERSONAGGI DEL ROMANZO ANNA KARENINA DI LEV TOLSTOJ

Anna Karénina è un romanzo che racconta diverse storie intrecciate tra loro.

Anna Karénina è la donna sposata che cede alla passione per il conte Vrònskij. Lei abbandona il matrimonio perfetto per la società, si inimica la società retta dalle sue convenzioni e segue il suo cuore. Ad Anna però succede che la lontananza dalla società, il suo isolamento, la rendono dipendente dall’amore del suo amante, finendo così per essere terrorizzata dall’idea di perderlo al punto da diventare paranoica, ed arrivare infine al suicidio per disperazione e per punire l’amante che non l’amava più (secondo lei). La vicenda di Anna mostra quanto sia errato abbandonarsi alla passione del momento, si finisce addirittura per vivere peggio di chi è intrappolato nelle fredde convenzioni.


Levin è il personaggio che rappresenta di più Tolstòj (è evidente già dalla similitudine dei nomi di battesimo). È un uomo semplice, di nascita nobile che però si dedica con impegno alla gestione della sua azienda (dopo la parentesi dissoluta, anche l’autore lo fece), che quasi odia o comunque non ritiene legittima la sua condizione agiata e che dapprima è non credente per poi finire convertito da un’illuminazione. Levin è anche il personaggio che trova il vero amore, un sentimento magico che nasce nel tempo e resiste a diverse vicissitudini e ad anni di lontananza. È il più anticonformista dei personaggi del romanzo. Attraverso i suoi occhi l’autore esprime anche una dura critica agli intellettuali ed alle istituzioni politiche dell’epoca.

Stepàn Arkàd’ic è un nobile dissoluto che vive sperperando le fortune sue e della moglie, a cui non fa mancare nemmeno tradimenti con serve e ballerine. È tutto sommato un uomo buono, però della sua vita non vuole fare niente, vive <<senza scopo>> così come Tolstòj nella prima parte della sua vita. La moglie Dolly non lo ama più per davvero, però lo tollera nel nome della famiglia, anche se c’è un momento in cui invidia la scelta di Anna Karénina di abbandonare una famiglia fondata su convenzioni e amore fasullo per una passione reale.

Il marito di Anna, Aleksej Aleksandrovic, è un uomo tutto votato alla carriera, del resto non gli interessa niente. Scoperto il tradimento della moglie, il suo unico problema è evitare che desti scandalo, e nemmeno odierà la moglie quando questa non rispetterà la sua volontà. Ci vuole l’azione subdola della contessa Lidja Ivanovna perché lui cominci a imporsi, senza nemmeno un reale rancore, nei confronti della moglie traditrice.

Il conte Vronskij, amante di Anna, la ama sinceramente. Comincia a pentirsi però della sua scelta nel momento in cui lei diventa paranoica, così diventa freddo, ma non l’abbandona. Non esita ad abbandonare la carriera per seguire la passione amorosa, ma la sua scelta finisce per distruggerlo nell’animo, infatti dopo la morte di Anna si impegna nella guerra di Crimea sperando di trovare lì la morte. È un uomo che tutto sommato ama la vita militare e i benefici che essa comporta, solo che il suo essere senza scopo lo porta ad una scelta sbagliata che gli fa perdere tutto.

Il romanzo presenta anche ricche descrizioni della vita nella Russia di fine ‘800 e dei cambiamenti che la società stava vivendo. Mostra anche come molti nobili fossero impreparati ai cambiamenti socio-economici in corso, come si impoverissero a causa dei loro vizi a vantaggio di furbi mercanti o di ambiziosi contadini.

Francesco Abate

sabato 16 maggio 2015

STORIA: LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE IN RUSSIA

Dalla rivoluzione di febbraio era uscito un governo presieduto da L’vov e che, in barba ad operai e contadini che avevano fatto la rivoluzione, faceva gli interessi di latifondisti e grandi immobiliaristi. I soviet erano divisi, al loro interno la posizione dominante l’avevano i menscevichi e i social rivoluzionari, mentre i bolscevichi erano in minoranza. Operai e contadini avrebbero voluto l’uscita immediata della Russia dalla prima guerra mondiale e la riforma agraria, invece il governo, i cui finanzieri non volevano entrare in conflitto con Francia e Inghilterra, dichiarò la continuazione della guerra finché la Germania non sarebbe caduta e ammonì i contadini affinché desistessero dal continuare l’occupazione delle terre. Dalla Svizzera Lenin, in una lettera, tornò a auspicare l’armamento del proletariato.

Aprile 1917 = dalla Svizzera, Lenin arrivò a Pietrogrado (fino al 1914 la città si chiamò Pietroburgo, poi Pietrogrado, poi nel 1924 divenne Leningrado e nel 1991 tornò ad essere Pietroburgo), favorito dai tedeschi e attraverso Germania e Svezia. Allora enunciò le Tesi di aprile in cui chiudeva all’ipotesi di continuare la guerra e disse che contadini poveri e proletariato avrebbero dovuto prendere il potere.

Maggio 1917 = il governo provvisorio dichiarò la continuazione della guerra a scopo difensivo. Nel nuovo gabinetto di coalizione entrò a far parte Kerenskij come ministro della guerra e lui stesso ebbe una posizione dominante nel governo di L’vov.

Kerenskij cercò di galvanizzare l’esercito perché combattesse per sconfiggere gli imperi centrali, il ministro dell’agricoltura Cernov, un social rivoluzionario, difese il latifondo dall’assalto dei contadini e il ministro del lavoro Skobelev cominciò una politica di contenimento dei salari.

La guarnigione di Pietrogrado, contraria alla continuazione della guerra, tentò di insorgere e chiese al locale soviet di assumere il potere. Alla rivolta, dopo averla inizialmente sconsigliata, parteciparono i bolscevichi, ma finì con una facile repressione attuata dal governo. Lenin, accusato di essere un agente tedesco, dovette fuggire in Finlandia; Trotzkij (un menscevico, che però era molto vicino a Lenin) fu arrestato. L’vov decise di estendere la repressione nelle campagne, ma gli altri membri del governo non furono d’accordo e dovette dimettersi. Dopo le dimissioni di L’vov, il governo fu affidato a Kerenskij. Kerenskij nominò Kornilov, unico generale zarista ad aver sempre manifestato idee repubblicane, comandante supremo.

25 agosto 1917 = Kornilov, durante una riunione della Consulta di stato, chiese poteri amplissimi tra cui la militarizzazione degli addetti a produzioni chiave, inoltre quando i tedeschi arrivarono a Riga, chiese la proclamazione dello stadio d’assedio a Pietrogrado (che equivaleva a mettere anche il governo nelle sue mani). Quando Kerenskij rifiutò le richieste e destituì il generale, perché non disposto a mettere il suo governo nelle sue mani. Kornilov marciò sulla capitale. I bolscevichi organizzarono la resistenza ed ebbero un ruolo di primo piano nella lotta a Kornilov e, una volta sconfitto il generale, acquistarono un notevole ascendente nei Soviet, quindi si posero come forza alternativa al governo di Kerenskij.

20 ottobre 1917 = Lenin tornò a Pietrogrado.

23 ottobre 1917 = durante una riunione del comitato centrale del partito bolscevico, Lenin pose la questione del potere. Lenin vedeva la rivolta operaia di Torino e l’ammutinamento della flotta tedesca come l’inizio della rivoluzione mondiale, quindi premeva per l’insurrezione armata dei proletari. Al contrario Kamenev non credeva nell’imminenza della rivoluzione mondiale, quindi era propenso a battersi democraticamente per il rafforzamento dei Soviet e per la formazione dell’assemblea costituente.

Novembre 1917 = nella notte tra il 6 e il 7 formazioni armate dei bolscevichi occuparono i centri nevralgici di Pietrogrado. Solo il palazzo d’inverno riuscì a resistere fino all’8 novembre, poi fu preso e i ministri furono arrestati (tranne Kerenskij che era fuggito). Lo stesso giorno il II congresso pan russo decretò l’assunzione del potere e formò un governo rivoluzionario di soli bolscevichi il cui presidente sarebbe stato Lenin; Stalin fu commissario per le nazionalità e Trotzkij commissario agli affari esteri. La rivoluzione fu chiamata rivoluzione d’ottobre perché all’epoca i russi seguivano ancora il calendario giuliano, quindi l’8 novembre per loro era il 26 ottobre.

Il primo atto del nuovo governo bolscevico fu la pace senza annessioni e senza indennità.

Il governo emanò anche il decreto sulla terra = abolì la grande proprietà fondiaria, mettendo a disposizione dei comitati agricoli le tenute dei latifondisti, le terre del demanio e della chiesa. Proibì il lavoro salariato nelle campagne.
Il governo decretò anche il controllo operaio sulla produzione, conservazione e compravendita di tutti i prodotti e materie prime. Decretò anche l’eguaglianza di tutti i popoli della Russia e riconobbe il loro diritto all’autodeterminazione. Sulle prime Lenin non avrebbe voluto le elezioni per la formazione dell’assemblea costituente, che dichiarò non utile in una forma di democrazia “superiore al governo della borghesia”, ma dovette cedere e le elezioni diedero una maggioranza notevole a socialrivoluzionari e menscevichi, mentre ai bolscevichi andò circa il 25%.

Lenin continuò ad auspicare che gli altri paesi sviluppati seguissero il modello russo.

Il 18 gennaio 1918 la costituente si riunì a Pietrogrado, in un palazzo presidiato dalle truppe rivoluzionarie. La prima votazione fu un chiaro pronunciamento antibolscevico, con l’elezione alla presidenza di un social rivoluzionario moderato: furono approvati tre decreti concernenti la riforma agraria, la pace e la proclamazione della repubblica. Mentre si discuteva il primo decreto, un marinaio armato salì fino al seggio del presidente e invitò l’assemblea a sciogliersi perché << la guardia era stanca >>. Il giorno dopo un decreto del comitato esecutivo dei Soviet dichiarò sciolta la costituente. Del popolo nessuno si ribellò, infatti le aspettative di contadini ed operai erano già state soddisfatte, inoltre il popolo russo non aveva una tradizione parlamentare e non aveva coscienza delle libertà civili, quindi non capì la gravità di quanto era appena accaduto. 


Francesco Abate




mercoledì 13 maggio 2015

FILOSOFIA: IL SOCIALISMO UTOPISTICO

Lenin definì il Marxismo come successore legittimo delle cose migliori create dall’umanità nel XIX secolo: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo francese. Il socialismo francese è quello che, a torto o a ragione, fu definito “Socialismo utopistico”.


CLAUDE-HENRI DE SAINT-SIMON (1760-1825)

La storia è retta da una legge di progresso. Tale progresso non è però lineare, ma è un’alternarsi di periodi organici e periodi critici. I periodi organici (o epoche organiche) sono quelli che si fondano su principi solidi (idee, valori, tecnica, ecc.) che si formano e operano al loro interno. Quando però lo sviluppo della società invalida i principi che reggono un periodo organico, si entra in un periodo critico (o epoca critica). Così come il monoteismo mise in crisi l’età del politeismo, così la Rivoluzione francese e il progresso della scienza hanno segnato la fine del Medioevo.

Il progresso scientifico ha quindi distrutto le teorie teologiche e le idee metafisiche che stavano a fondamento del Medioevo, il mondo ora potrà essere riorganizzato solo sulla base della scienza positiva. In questa nuova epoca il potere spirituale sarà nelle mani degli uomini di scienza <<i quali possono predire il più gran numero di cose>>, mentre il potere temporale apparterrà agli industriali che occuperanno il più gran numero di individui. Tutto ciò implica che l’affermazione dell’industrialismo rende impossibile il potere teocratico-feudale del Medioevo, dove gli ecclesiastici avevano il potere spirituale e gli uomini di guerra quello temporale. Scienza e tecnologia sono oggi in grado di risolvere i problemi umani e sociali.

Gli uomini possono essere felici solo soddisfacendo i loro bisogno fisici e spirituali, a ciò servono le scienze, le belle arti e i mestieri, mentre fuori di questo ci sono solo i parassiti e i dominatori.

Per illustrare la necessità che il potere politico passi nelle mani dei tecnici e degli scienziati, Saint-Simon racconta una “parabola”: se la Francia perdesse i tremila individui che ricoprono cariche politiche, religiose e amministrative più importanti, lo Stato non subirebbe alcun danno e tali persone sarebbero facilmente rimpiazzabili; ma se la Francia perdesse i suoi tremila migliori scienziati, artigiani e artisti, cadrebbe subito in uno stato di inferiorità rispetto alle nazioni di cui è ora rivale e continuerebbe a restare subalterna nei loro confronti finché non avrà riparato la perdita. Il pensiero positivo, principio ordinatore della nuova società, eliminerà i tre principali inconvenienti del sistema politico vigente: arbitrio, incapacità e intrigo.

Il progresso verso la nuova età organica dominata dalla filosofia positiva è inevitabile. L’avvento della futura società sarà come un ritorno al Cristianesimo primitivo, in cui la scienza permetterà il raggiungimento della fratellanza universale che Dio ha dato agli uomini come regola di condotta.
Il Sansimonismo ebbe un notevole impatto in Francia e non solo. I canali di Suez e Panama furono idee dei Sansimonisti, così come le programmazioni economiche e agrarie. Per Saint-Simon il criterio con cui avrebbe dovuto operare lo Stato era il seguente: da ciascuno secondo le sue capacità (regola della produzione), a ciascuno secondo le sue opere (regola della ripartizione).


CHARLES FOURIER (1772-1837)

Nella storia esiste un grosso piano della Provvidenza da cui non possono essere esclusi l’uomo, il suo lavoro e la maniera in cui costituisce la società. La Provvidenza ha messo in tutta l’umanità le stesse passioni che non sono altre dei sistemi di attrazione. La legge di Newton può essere estesa anche all’uomo, le passioni attraggono tra loro gli uomini così come la forza gravitazionale i pianeti. Per tali ragioni le passioni devono essere soddisfatte, non represse. L’organizzazione sociale, per rispettare il piano di Dio, deve rendere il lavoro attraente, assecondare la naturale tendenza al piacere al fine di ottenere il massimo rendimento.

Le tre grandi epoche storiche (quella dei Selvaggi, quella dei Barbari e quella dei Civilizzati) hanno sempre ostacolato l’armonioso sviluppo delle passioni umane. Anche la civilizzazione, tanto amata dagli Illuministi, in realtà è il trionfo della menzogna (ne è dimostrazione il commercio, dove le merci aumentano di prezzo ma non di valore). La “civiltà”, dove ognuno persegue il proprio interesse infischiandosene di quelli altrui, porta l’umanità alla miseria nonostante aumenti la circolazione di beni.

Non solo l’economia è perversa, anche la morale lo è. Nello stato attuale l’uomo è in guerra con sé stesso e le sue passioni urtano tra loro. La scienza che si chiama morale pretende di reprimere tali passioni, ma in realtà il fine dovrebbe essere quello di arrivare al meccanismo spontaneo delle passioni, senza reprimerne alcuna. La morale attuale blocca le passioni e genera ipocrisia.

Le passioni dell’uomo vanno assecondate al fine di ottenere il massimo rendimento. L’organizzazione adatta per Fourier è la falange. Gruppi di 1600 persone vivono in un falansterio, non una caserma ma un albergo. Ogni persona nel falansterio può sfogare le sue inclinazioni come meglio crede, non ci sono lavori domestici e non c’è vita familiare, i bambini vengono educati dalla comunità. Uomini e donne sono equiparati e nel falansterio c’è assoluta libertà sessuale. Il lavoro non è fatica, ognuno fa quel che vuole. Per evitare la monotonia del lavoro, ogni persona deve imparare una quarantina di attività, così può cambiare durante la giornata. I lavori sporchi, come pulire la cloaca, vengono assegnati ai bambini che, per loro natura, si divertono a sguazzare nell’immondizia. Alcuni discepoli di Fourier provarono ad attuare i falansteri in Europa e in America, gli esperimenti però fallirono mostrando che si trattava di un’utopia.


PIERRE-JOSEPH PROUDHON (1809-1865)

Proudhon è simultaneamente contro la proprietà privata e contro il comunismo.

Giudica la proprietà privata un furto, perché il capitalista la ottiene non corrispondendo all’operaio il reale valore del suo lavoro. Questa condizione crea la principale contraddizione tra capitale e lavoro, contraddizione che porta il capitalista ad appropriarsi dell’intera esistenza dell’operaio e non solo del suo lavoro. Proudhon non è però contrario alla proprietà privata in quanto tale, ma solo alla proprietà che assicura un reddito senza lavoro. La proprietà può avere una giustificazione solo come condizione di libertà, ma quando essa è organizzata in modo da rendere liberi i pochi (capitalisti) a scapito della schiavitù dei molti (operai), allora è un furto. Solo il lavoro è produttivo, l’operaio può appropriarsi del frutto del proprio lavoro, questo però è possesso e non proprietà privata capitalista.

L’ordinamento socio-economico borghese va cambiato, ma Proudhon scarta l’ipotesi comunista. Il comunismo asserve la persona alla società, è una religione intollerante orientata verso la dittatura. Nel comunismo lo Stato non diventa solo proprietario dei beni materiali, ma anche dei cittadini, forma uno Stato-caserma in cui la vita degli uomini è completamente soggetta allo Sato. Egli preferisce <<far bruciare la Proprietà a fuoco lento, piuttosto che darle nuova forza facendo una notte di san Bartolomeo dei proprietari>>.

Anche l’ipotesi individualista non è adeguata, è infatti illusorio lo sviluppo senza limiti della libertà dei singoli.

Proudhon propone un nuovo ordinamento sociale fondato sulla giustizia. Per lui la giustizia non è quella dataci da un Dio, la giustizia della rivelazione, ma è quella della rivoluzione che è immanente nella coscienza e nella storia umana. Tale giustizia è il rispetto della dignità umana, in qualsiasi situazione essa sia compromessa, e a qualsiasi rischio ci esponga la sua difesa.

È necessario per riorganizzare l’economia che i lavoratori diventino proprietari dei mezzi di produzione e che abbiano la possibilità di autogestire il processo produttivo. Così il tessuto economico della società si costituisce come una pluralità di centri produttori che si equilibrano a vicenda.


Francesco Abate