martedì 25 aprile 2017

L'IMPORTANZA DEL 25 APRILE


Come ogni anno il 25 aprile arriva causando tantissime divisioni. Le ragioni dei vari scontri sono principalmente politiche ed hanno perlopiù origine da provocazioni, ma visto che viviamo in un paese dove le materie umanistiche (la storia su tutte) vengono considerate "inutili", credo sia il caso di ragionare insieme sulle ragioni perché tale commemorazione sia estremamente importante.

In occasioni di date fondamentali della storia italiana come quella di oggi, la prima cosa che tutti dovremmo ricordare è che le commemorazioni non sono un esercizio per tenere la mente allenata, sono in realtà occasioni per meditare su eventi che fanno parte del nostro passato e che possono darci insegnamenti importanti. Il 25 aprile forse è la data che più di tutte offre lo spunto per una meditazione profonda.
Ricordando gli eventi che portarono all'ascesa del nazifascismo, le conseguenti lotte dei partigiani e la liberazione, dovremmo finalmente comprendere il valore della libertà. Oggi la libertà è per noi una parola bella, ma priva del suo reale significato. Ci sentiamo liberi quando ci è concessa qualche ora d'ozio, quando possiamo organizzare la gita a mare o quando possiamo andare in giro vestiti come ci pare. Questo giorno dovrebbe ricordarci che la libertà è ANCHE questo, non SOLO questo. Sottovalutiamo terribilmente l'importanza di essere liberi e spesso, delusi dalla politica degli stati democratici occidentali, arriviamo a rimpiangere i tempi in cui non lo eravamo. In momenti storici come questo è fondamentale ricordare le lotte partigiane, esse infatti ci insegnano che la libertà fa sentire terribilmente la sua mancanza quando non c'è, è inoltre molto facile da perdere e terribilmente difficile da riguadagnare. Il fascismo consolidò la sua posizione di potere sfruttando lo scollamento della politica dai cittadini e la debolezza della classe dirigente, molti sostennero il regime anche quando iniziò a limitare le libertà per stabilizzare il proprio potere. Quando le conseguenze del governo fascista divennero disastrose, ci volle però una lunga guerra civile, tanti morti e tanta sofferenza per riguadagnare le libertà che erano state cedute in molti casi a cuor leggero. Gli italiani sentirono il peso dell'assenza della libertà solo quando l'ebbero completamente perduta e pagarono a caro prezzo la sua riconquista. Questa è una lezione che ogni 25 aprile dovremmo ricordare.
La storia intera della Resistenza ci deve poi far ricordare che dietro a tanti nomi, che oggi ci sembrano tanto lontani, c'erano delle persone. Oggi le gesta di molti eroi o carnefici vengono raccontate con la retorica di cui inevitabilmente le veste la storia. Se ci impegnassimo in una meditazione più profonda, potremo però privare le loro vicende dell'eco della storia e vedere quello che erano davvero i partigiani, i repubblichini e tutti gli altri: delle persone. Vedendo come il susseguirsi degli eventi abbia stravolto delle vite semplici, costringendo uomini e donne a fare scelte difficili che spesso gli sono costate la vita, forse finalmente capiremmo che certi errori non ci si può permettere di farli. In politica alcune decisioni sbagliate possono costare migliaia di vite, questa è un'altra lezione fondamentale che ci viene data dal 25 aprile.
Ci sono poi eventi poco lusinghieri legati alla Liberazione che, benché non ci piaccia ricordare, hanno invece un valore importante. Lo scempio del cadavere di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi a piazzale Loreto non dev'essere usato per infangare tutto il movimento partigiano (come oggi i neofascisti fanno nel tentativo di infangare la Resistenza), bensì ci dà una delle lezioni più importanti: la rabbia generata dalla sofferenza tira fuori il peggio dalle persone. A piazzale Loreto i cittadini italiani persero ogni morale, non vi furono umanità e compassione, tutti si ridussero ad essere bestie rabbiose ed a scagliarsi contro delle carcasse. Sarebbe però riduttivo archiviare il fatto pensando che tutti i partecipanti allo scempio fossero cattivi. Il problema fu che quelle persone in piazza avevano subito a causa di Mussolini anni di angherie, magari avevano perso una o più persone care in guerra, magari avevano dovuto rinunciare alla propria dignità pur di sbarcare il lunario. Nel cadavere appeso di Mussolini essi non videro un uomo morto e ormai inoffensivo, bensì si trovarono davanti l'origine di tutti i loro mali e su di esso sfogarono tutta la loro rabbia. Piazzale Loreto andrebbe ricordata come monito, ci insegna infatti che bisogna sempre evitare che la ragione ceda il passo alla rabbia.

Conoscere la storia ci permette non solo di trarre degli insegnamenti, ma anche di resistere al fascino dei revisionismi. Oggi è di moda contestare un po' tutte le verità storiche. Se è vero che in un clima di dibattito democratico è necessario che anche gli eventi del passato siano oggetto di dibattito, è anche vero che le obiezioni dovrebbero essere supportate da prove e da ragionamenti fondati. Oggi invece ognuno vuole dire la propria verità, cosa giustissima, ma nessuno vuole prendersi la briga di elaborarne prima una sensata e fondarla su basi solide. Si mette in discussione ogni cosa in nome dell'opinione, non si discute ma si urla, e qui la conoscenza storica viene in nostro soccorso. Il revisionista può urlare quanto vuole, la verità non cambia in funzione della potenza della tesi espressa, rimane quella che è. Conoscendo la verità, quindi, si hanno gli strumenti per combattere contro i venditori di menzogne e si può fermare il dilagare dell'ignoranza.

Per concludere il post dirò la cosa più ovvia, cioè che conoscere la storia ci permette di capire meglio certi movimenti politico-culturali del nostro presente. 
Nella nostra epoca i populismi ed i movimenti estremisti dilagano rapidamente, aiutati da una politica debole e sempre più scollegata dal popolo. Il clima politico per certi versi non è perciò tanto diverso da quello degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Tanti sono i movimenti di estrema destra che nascono e crescono in Europa. Tutti questi movimenti approfittano di queste ricorrenze per organizzare eventi provocatori e diffondere false informazioni. Il loro scopo è quello di spogliare di significato la commemorazione loro sgradita e impedire che la storia si conosca. Questo loro comportamento è però il segno più evidente della loro disonestà. Se i movimenti fascisti di oggi fossero, come loro sostengono, liberali e democratici, semplicemente commemorerebbero con noi ricorrenze come il 25 aprile e ne approfitterebbero per fare ammenda degli errori commessi dai loro predecessori, mostrando così di essere davvero diversi da loro. Il fatto che essi non facciano ammenda anzi, tentino in tutti i modi di cancellare le colpe ed infangare i propri antagonisti, è segno evidente che il loro passato non lo rinnegano affatto e ce li mostra in tutta la loro pericolosità. Il fascista che non ammette il valore negativo che ebbe nella storia italiana un dittatore come Benito Mussolini, è lui stesso un potenziale Benito Mussolini e per questo non è degno di ricoprire cariche pubbliche. 

Terminata questa riflessione, vi invito ad approfittare della giornata non solo per pic-nic e gite al mare, ma anche per vedere qualche documentario o leggere qualche libro. Capite cosa davvero fu la Resistenza, non fatelo per fare sfoggio di cultura con gli amici, fatelo per poterci meditare su e capire la lezione che il passato ci porta in dote.
Buon 25 aprile.

Francesco Abate 

mercoledì 19 aprile 2017

VI RACCONTO IL MIO "REQUIEM PER UNA GENERAZIONE"


Requiem per una generazione è la mia ultima poesia pubblicata sul sito Spillwords.com e potete leggerla al link http://spillwords.com/requiem-per-una-generazione/.

La poesia è allo stesso tempo un pianto ed un'accusa. Nei versi ho voluto evidenziare la decadenza che stanno vivendo i giovani di oggi, non sottolineando però solo la tristezza della cosa, ma evidenziando anche quelle che sono a mio modo di vedere le loro responsabilità. La società di oggi infatti tarpa le ali in mille modi ai giovani, è però anche vero che essi stessi spesso non fanno nulla per sollevarsi dalla condizione che vivono (Ho visto i ragazzi col domani davanti / ... / rinunciare alla propria libertà / vendersi per una pizza e una birra).
Il lato più triste della condizione dei giovani d'oggi (e non solo dei giovani, anche la mia generazione è caduta nella stessa trappola) è che non sanno nemmeno cosa vogliono dalla vita, cosa davvero li renderebbe felici, semplicemente seguono le mode cercando quei surrogati di felicità che vengono venduti alla massa (nutriti da sogni di seconda mano / ... / scambiano la felicità per un sonno / scambiano un sogno per una foto).
Oggi è poi di moda la condivisione continua. Una volta si condividevano esperienze ed impressioni con poche persone, oggi invece con i social network c'è la condivisione di massa. Se la condivisione è potenzialmente un momento di crescita, infatti da essa può nascere il confronto, quella di massa è solo una moda vuota. Ragazzi passano le serate facendosi foto per far vedere (in realtà, a mio modo di vedere, per far credere) quanto si stiano divertendo o semplicemente per vantarsi di avere amici (il più triste segnale di solitudine del nostro tempo). Si tratta quindi di una condivisione fasulla (condividono senza dare niente / condividono senza prendere niente / scambiano il fare per il dire).

Buona lettura.

Francesco Abate

mercoledì 5 aprile 2017

COMMENTO DE "IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO" DI ITALO CALVINO


Romanzi che trattano in modi più o meno diversi il tema della Resistenza ce ne sono tanti, all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale molti sentirono il bisogno di raccontare gli eventi dal proprio punto di vista. Affrontare un tema tanto delicato, che ancora oggi divide, era però una grande responsabilità allora più di oggi. Calvino non si sottrasse a tale responsabilità, decise però di affrontare il tema in un modo molto originale e scrisse Il sentiero dei nidi di ragno.
Quando si affrontano temi tanto complessi e delicati come la Resistenza, spesso si finisce per cadere nella retorica ed avvolgere i personaggi e gli eventi dell'aura che la storia ci suggerisce. Calvino riuscì ad evitare questo errore guardando la storia con gli occhi di un bambino. Il suo romanzo sulla Resistenza ha come protagonista un bambino, le riflessioni sono quindi private della profondità e della solennità che acquistano quando sono partorite da menti adulte, i personaggi sono analizzati senza la malizia e la capacità di comprensione di un adulto. La scelta di Calvino, secondo me, lo ha portato a creare un romanzo grandioso. Noi infatti vediamo attraverso gli occhi di Pin, il protagonista, un'epoca storica fatta di tradimenti, di perdita dei valori, di crudeltà e di dolore. Mentre tutti gli adulti però, in un momento così triste della storia italiana, vedrebbero solo questo, il giovane Pin riesce a scorgere quei piccoli raggi di sole che almeno per un momento scacciano le ombre, i piccoli segni dell'umanità che ancora sopravvive nei corpi stanchi che animano il paese. Pin vede così la passione amorosa, pur non comprendendola coi suoi occhi di bambino, scopre l'amicizia col partigiano Cugino, e riesce a vivere momenti di gioia spensierata giocando con i partigiani divenuti suoi amici.
La storia ci insegna che i partigiani combatterono per liberare l'Italia dal nazi-fascismo. Agli occhi di Pin però si rivela la verità più complessa, cioè che ogni uomo combatte per una propria ragione ed all'interno dello stesso gruppo non c'è unione di vedute. I partigiani in questo romanzo sono spogliati della dimensione eroica, sono solo uomini, ciascuno dei quali con la sua storia e i suoi difetti: c'è Mancino, il cuoco tradito dalla moglie; c'è Dritto, il capobanda che manda tutto all'aria cedendo alla passione amorosa; c'è Cugino, che odia tutte le donne a causa di una delusione. Ogni partigiano ha la propria storia e ognuno combatte per un proprio motivo. Nonostante questa disomogeneità, all'interno del romanzo i partigiani mantengono la loro azione salvifica. Pin è infatti un bambino a cui è stata rubata l'infanzia, gli altri bambini lo allontanano e socializza solo coi grandi, questi però non esitano ad usarlo per i loro fini. Finisce anche per essere arrestato e picchiato dai fascisti. I partigiani entrano in gioco prima con Lupo Rosso, che lo libera, poi con Cugino, che lo porta al sicuro ed alla fine della vicenda diventa suo amico. Sono i partigiani a restituire, seppur a modo loro, l'infanzia a Pin ed a riscattarlo dalla spirale fatale in cui cade all'inizio del romanzo. 
La scelta di affidare il ruolo di protagonista ad un bambino ha anche permesso a Calvino di trattare un tema tanto spinoso senza rinunciare alla propria originalità e senza produrre un romanzo appesantito da riflessioni politico-filosofiche. L'unica riflessione accurata e approfondita è affidata al commissario Kim nel capitolo IX, poi nel resto del romanzo vediamo solo persone vivere a modo loro un periodo tanto difficile da mettere in crisi anche i valori più elementari.

Ho amato Calvino quando ho letto Il cavaliere inesistente ed ora, nonostante questo sia un romanzo molto differente, lo amo ancora di più. Calvino ha avuto il potere di trattare questioni spinose e profonde con apparente leggerezza, ha scritto romanzi che si leggono con leggerezza pur senza essere vuoti anzi, pur essendo pregni di significati profondi.
Il sentiero dei nidi di ragno non ci racconta di battaglie, di eroi e di torture, di buoni e di cattivi. Ci racconta di quella che era l'Italia nelle città rese misere dalla guerra e sulle montagne divenute campi di battaglia, ci presenta l'umanità che agonizza nella miseria della guerra e che in essa trova modo di resiste e sopravvivere. Pur senza raccontarci la storia, questo romanzo ci fa capire meglio cosa fu la Resistenza.

Francesco Abate

domenica 2 aprile 2017

VI SPIEGO COME MAI HO SCRITTO UN ROMANZO SUI SOLDI


A più di un anno dalla pubblicazione de Il prezzo della vita, guardando un po' le vicende del mondo e quello che gli altri scrivono, mi sono chiesto come mai io abbia deciso di scrivere proprio riguardo il denaro ed il suo potere. Avrei potuto scrivere qualcosa riguardo al dramma dei migranti, o qualcosa sui femminicidi, un romanzo d'amore oppure un fantasy. Avrei potuto riempire il romanzo di retorica e di frasi a effetto. Avrei potuto fare come fanno tanti, cavalcare un tema di moda o lavorare su un collage di frasi poetiche, avrei così conquistato quell'ampia fetta di lettori in cerca solo di frasi da condividere sui social e disinteressati ai contenuti. Purtroppo io non sono così. Io amo cercare di produrre riflessioni su tutti i temi, ma un romanzo posso scriverlo soltanto quando sento di avere qualcosa di importante da dire su un argomento che mi sta a cuore. 
Quando nel 2011 scrissi questo romanzo, stavo sperimentando in prima persona il peso eccessivo che i soldi hanno oggi sulla vita di una persona. Molti di noi oggi sono lavoratori precari, quindi sperimentiamo di continuo i danni che arreca alla nostra vita sociale (e di riflesso, al nostro benessere) la mancanza di denaro. Paradossalmente di questo problema si accorge di più chi vive una vita lavorativa intermittente, ed oscilla tra periodi di relativo benessere e periodi a reddito zero, che i disoccupati cronici. Ovviamente i problemi economici più gravi li ha chi vive in uno stato di perenne disoccupazione, ma quest'ultimo patisce anche i problemi derivanti dalla povertà con un'intensità continua, mentre il lavoratore precario passa da periodi relativamente buoni (in cui magari si può concedere anche il lusso di cinque giorni di vacanza fuori città) a periodi neri e questi ultimi li percepisce in maniera più forte, abituato alla condizione perduta.
Può sembrare che io parli a vanvera, ma non è così. I soldi nacquero come misura del valore per favorire gli scambi, oggi invece sono valore e basta. Il denaro è unità di misura non solo del valore delle merci, ma di tutto ciò che c'è nel mondo, anche della vita. Oggi la ricerca della ricchezza è diventata molto più importante della ricerca della felicità, per questo la seconda ha perso valore rispetto la prima e la vita intera dell'individuo vale molto poco. Quando un datore di lavoro vi propone una paga oraria da fame, state sperimentando in prima persona la svalutazione della vostra vita. Anzi, in realtà la sperimentate quando accettate la paga da fame. Il tempo è un pezzo della vostra esistenza, un pezzo che potreste impiegare per essere felici, per coltivare una passione, curare la famiglia o la salute. Il mercato del lavoro oggi ci dice che un pezzo della nostra vita vale briciole, quindi la nostra felicità, la nostra salute e tutto ciò che ci riguarda hanno un valore risibile. Al rovescio, ci suggerisce che il funzionamento dell'attività lavorativa, quindi l'azienda, vale migliaia di volte più della nostra vita. In parole povere, arricchire il padrone è più importante di vivere bene. Così chi ha solo il lavoro da offrire, quindi può vendere solo pezzi della propria vita, si ritrova a vivere di stenti, a sopravvivere. 
Il ragionamento di sopra, letto con superficialità, può sembrare fumoso e campato in aria. Ognuno di voi, prima di giudicare, ripensi però alla propria vita lavorativa in quei termini. Scommetto che, facendolo, molti di voi finirebbero per darmi ragione.
Alla luce delle attuali condizioni della nostra società, dove miliardi di persone soffrono a causa della svalutazione della propria vita, della dittatura dell'economia e del denaro, ditemi voi se non sia importante affrontare questi argomenti in un romanzo. Da sempre i romanzi affrontano, ognuno a modo proprio, i temi più caldi dell'epoca in cui vengono scritti. Attualmente la dittatura del denaro è una questione spinosa che ci schiaccia quasi tutti, da cui nascono anche tanti altri problemi che occupano le prime pagine dei nostri giornali, eppure in pochi vi dedicano romanzi o altro tipo di scritti. Si preferisce affrontare temi come immigrazione, amore omosessuale e violenze sulle donne, che sono importantissimi, non dico il contrario, ma vengono trattati principalmente perché di moda, non in virtù di una riflessione profonda, ed il risultato è la proliferazione di romanzi vuoti e pieni di retorica. Io le mode non le seguo, ho voluto occuparmi del tema che mi toccava più da vicino senza fare calcoli sulle possibilità di vendita. Come cantava Guccini, "vendere o no non passa tra i miei rischi", e per me forse vale anche "poi sono nato fesso".
Chi legge Il prezzo della vita si trova davanti una storia che fa vedere, da un punto di vista differente, quello che molti di noi subiscono quotidianamente, la dittatura del denaro e della ricchezza. Quando ho scritto non mi sono preoccupato di dare alle stampe qualcosa da condividere sui social network, ho pensato piuttosto ad inventare una storia che stimolasse nei lettori delle riflessioni importanti. Ogni volta che mi appresto a scrivere, mi preoccupo di non essere banale e di accendere una miccia che faccia esplodere nuove idee nella mente del lettore, non importa poi se sarà d'accordo o meno con me. Il compito che mi sono dato è quello di far nascere nuove domande, non risposte.

Potete seguire la mia attività su questo blog, sulla pagina Facebook "Francesco Abate, lo scrittore battipagliese" (https://www.facebook.com/FrancescoAbatescrittore/?fref=ts) e su Twitter "@FrancescoAbate3".

Grazie mille e buona lettura.

Francesco Abate

Francesco Abate nasce a Salerno il 26 agosto 1984, ma da sempre vive nella città di Battipaglia. Sin da piccolo manifesta interesse prima per la lettura, poi per la scrittura. Comincia ad abbozzare i primi romanzi già ai tempi del liceo, ma la prima pubblicazione arriva solo nel 2009 con Matrimonio e piacere. Il prezzo della vita è la sua prima pubblicazione per CSA Editrice. Pubblica anche poesie sul sito Spillwords.com.