martedì 26 settembre 2017

LA FAIDA TRA GUELFI E GHIBELLINI

Leggendo Dante Alighieri si ci imbatte spesso nelle sue considerazioni riguardo la politica dei Comuni italiani del XIII secolo, finendo per scontrarsi più volte con la faida tra guelfi e ghibellini. 
Si trattò in effetti di uno scontro tra due fazioni che coinvolse buona parte della penisola e dominò la politica dei Comuni tra il Duecento e il Quattrocento. Firenze, essendo uno dei comuni più importanti, fu anche uno di quelli che visse più intensamente tale divisione, inoltre le opere di Dante Alighieri ci tramandano con una certa precisione fatti e opinioni dell'epoca.

In Italia furono "guelfi" coloro che sostenevano gli interessi del Papa contro l'imperatore, mentre "ghibellini" furono invece le casate schierate a favore dell'imperatore. In realtà questa distinzione non rispecchia la vera origine dei due termini. Le fazioni dei guelfi e dei ghibellini nacquero in Germania alla morte di Enrico V: "guelfi" erano coloro che volevano un sovrano della casata bavarese dei Welfen; i "ghibellini" invece sostenevano la casata sveva degli Hohenstaufen, i signori del castello di Waiblingen (anticamente Wibeling). 
La lotta alla successione fu vinta dai ghibellini, divenne re Federico Barbarossa che tentò di consolidare il proprio potere in Italia. I comuni italiani intanto stavano vivendo da anni una fase di grande agitazione, avevano vissuto un notevole sviluppo che, come nel caso di Firenze, non era coinciso con un ammodernamento delle leggi. A Firenze l'ultima parte del XII secolo fu caratterizzata da continui scontri all'interno del comune. Nel 1216 vi fu poi l'uccisione in un agguato di Buondelmonte de' Buondelmonti, colpevole di aver rifiutato un matrimonio "politico" con la figlia di Lambertuccio Amidei, esponente di una casata rivale. L'omicidio portò alla formazione di due fazioni, una vicina ai Buondelmonti e l'altra favorevole agli Amidei. Essendo ghibellina la casata degli Uberti, tutte le casate della fazione opposta divennero guelfe per contrasto. L'episodio del Convito è narrato dai principali scrittori dell'epoca, lo stesso Alighieri lo cita, ed è indicato come l'origine del contrasto tra le due fazioni. Io sinceramente credo sia più probabile che lo scontro politico tra due diverse visioni della gestione del potere temporale trovò terreno fertile nei comuni italiani già tanto divisi al loro interno.
Vi furono comuni guelfi e comuni ghibellini. A Firenze, che tengo come riferimento sempre pensando a Dante Alighieri, governarono i guelfi (escluse brevi parentesi) che però si divisero in "guelfi bianchi" e "guelfi neri". I guelfi bianchi sostenevano la famiglia dei Cerchi e, pur essendo vicini al papa, erano più moderati; i guelfi neri, principalmente membri dell'aristocrazia finanziaria e commerciale, invece sostenevano la famiglia Donati ed erano molto più legati agli interessi papali. La divisione produsse disordini che portarono all'esilio dei capi di entrambe le fazioni, tra essi vi fu anche Dante Alighieri.

Francesco Abate

giovedì 21 settembre 2017

RE RICCARDO E PRINCIPE GIOVANNI TRA STORIA E LEGGENDA

Di Riccardo Cuor di Leone e del principe Giovanni sentiamo parlare molto spesso, pur non essendo inglesi. Chiunque ha visto anche solo un film o letto un libro su Robin Hood si è imbattuto nelle figure di questi due sovrani. 
Nei romanzi storici, e di conseguenza nei film, le figure dei due re sono messe in perfetta contrapposizione. Il Riccardo della leggenda è il sovrano coraggioso, buono e giusto, che riprende il trono dalle mani dell'usurpatore con l'aiuto di Robin Hood e instaura un regno fondato sulla giustizia; il principe Giovanni invece è un usurpatore senza scrupoli che salassa il popolo con le tasse e calpesta senza pietà i diritti di ciascun suddito. Di fatto, re Riccardo è il buono e il principe Giovanni suo fratello è il cattivo.
Nelle leggende e nei romanzi i confini tra il bene e il male sono delineati nettamente e i personaggi riescono ad essere o assolutamente buoni o l'esatto contrario, sappiamo però che nella realtà non è così semplice e spesso si viaggia sulle sfumature.

Se nella leggenda re Riccardo è presentato come un sovrano coraggioso e giusto, nella storia permane solo la qualità del coraggio. Fu un valente condottiero, ma proprio la sua voglia di dimostrarlo e di ricoprirsi della gloria in battaglia lo rese un sovrano assente. Iniziamo col ricordare che non si ribassò ad imparare una sola parola della lingua inglese, ritenendo la francese più adatta ad un sovrano. Ovviamente occorre ricordare che la dinastia dei Plantageneti era di origini francesi, però sembra che Riccardo non conoscesse nemmeno una parola della lingua del popolo proprio perché da lui ritenuta non all'altezza. Di fatto si trattò di un sovrano che manteneva le distanze dai suoi sudditi. 
Re Riccardo si concentrò totalmente nelle guerre che poté combattere. Il suo regno non è famoso nella storia per riforme o iniziative politiche particolari, ma è una sequenza di conflitti armati. Riccardo partecipò prima alla Terza Crociata, tornato in patria dovette riconquistare il trono che il fratello Giovanni tentava di usurpargli e poi, ripresa in mano la reggenza del regno, partì subito per la Francia dove si scontrò con re Filippo II per la riconquista di alcuni territori che il francese gli aveva strappato. In Inghilterra come re di fatto non stette mai e morì in battaglia mentre cercava di assediare il castello di Chaluz. Ovviamente tutti questi conflitti armati avevano un costo e Riccardo non esitò a finanziarli imponendo pesanti tasse ai suoi sudditi. La sanguisuga non fu solo suo fratello Giovanni, così come invece ci è tramandato dalle storie su Robin Hood.
Oltre ad essere un fiero condottiero, Riccardo fu anche sanguinario. Impegnato nella Terza Crociata, iniziò ad attaccare villaggi e fare stragi già in Turchia, dove i cittadini erano da tempo convertiti al cristianesimo. Si dice che massacrò anche un gran numero di ebrei in Germania. Il suo atto più atroce fu comunque il massacro di San Giovanni d'Acri, in Terrasanta. Conquistata la città, Riccardo negoziò la resa con Saladino. Il sultano non riuscì però a pagare il riscatto pattuito entro i termini previsti e Riccardo, senza pensarci su due volte, massacrò 3000 prigionieri mussulmani col solo intento di mettergli pressione. Nei paesi arabi la figura di Riccardo incuteva terrore, si dice che le madri lo usassero per minacciare i propri figli capricciosi.
Cristiano molto devoto, fu solito autoflagellarsi per chiedere perdono dei propri peccati. Si dice che tra i suoi peccati vi fosse anche quello di sodomia. Già tra i trovatori medioevali in effetti circolava la voce che re Riccardo fosse omosessuale, ma a distanza di più d'un millennio resta difficile da stabilire. 
Fu fortemente antisemita. C'è da dire che all'epoca gli ebrei non erano simpatici a nessuno e venivano costantemente maltrattati, lui però mostrò miopia politica ed una visione estremista quando vietò che vi fossero ebrei presenti alla sua incoronazione. Una delegazione di alti rappresentanti della comunità ebraica volle lo stesso partecipare ed elargirgli dei doni, ma lui sprezzante li cacciò via. Quella netta presa di posizione anti-ebraica del sovrano diede inizio ad una serie di delitti sanguinosi perpetrati proprio a danno degli ebrei. La violenza raggiunse un livello tale che lo stesso sovrano, onde evitare destabilizzazioni alla vigilia della sua partenza per la Crociata, dovette punire severamente i responsabili. Alcuni sostengono che lo stesso Riccardo fu mandante degli omicidi e che poi, per ristabilire l'ordine, punì solo gli esecutori materiali. Al di là di questo particolare, che è da dimostrare, resta la grave miopia di un sovrano che non aveva calcolato le conseguenze di un suo atto sprezzante nei confronti di una comunità già oggetto d'odio in tutta Europa.

Dopo aver parlato di quello che la leggenda ci descrive come buono, parliamo del cattivo per antonomasia: Giovanni Senzaterra.
Il principe Giovanni era fratello minore di Riccardo e deve il suo soprannome al fatto che non ottenne territori in eredità, essendo l'ultimo dei suoi fratelli.
Se la figura di Riccardo è ben lontana dalla leggenda che gli appartiene, quella di Giovanni è invece molto più simile. Tentò effettivamente di usurpare il trono del fratello, salassò i sudditi con pesanti tasse e quando dovette combattere per mantenere il trono cedette in poco tempo.
Quello che la leggenda non racconta è che Giovanni divenne legittimamente re d'Inghilterra. Come detto sopra, Riccardo riconquistò facilmente il trono che il fratello cercò di rubargli. I due però si riappacificarono e Riccardo ripartì subito per una nuova avventura in Francia, dove Filippo II gli aveva sottratto alcuni possedimenti. Riccardo morì nell'assedio del castello di Chaluz e suo successore legittimo fu proprio Giovanni, che alla fine riuscì quindi ad essere sovrano.
A differenza del regno di Riccardo, quello di Giovanni non è famoso per le guerre, ma per la Magna Charta libertatum, un documento che possiamo ritenere la prima Costituzione della storia ed è datato 1215. Diciamo subito che Giovanni non fu un re liberale, la Magna Charta gli fu imposta dalla nobiltà inglese, ormai stanca dell'accentramento del potere nelle mani del sovrano. Il documento dava significativi privilegi alla nobiltà, al clero, ai funzionari di stato ed ai sudditi; imponeva al sovrano il divieto di imporre tasse ai suoi vassalli senza aver prima avuto il consenso di un consiglio formato da arcivescovi, abati, conti e dai baroni più importanti; garantiva ai cittadini il diritto a non essere imprigionati senza prima aver avuto un regolare processo.

Lo scopo di questo articolo non è quello di infangare Riccardo Cuor di Leone o rivalutare il principe Giovanni. Semplicemente mi sono divertito a spogliare due figure leggendarie della loro aura e ad osservarle nella verità storica. Quello che emerge è molto semplice: Riccardo fu un ottimo condottiero ma non amò mai fare il politico, dei suoi sudditi si curò meno che della sua gloria; Giovanni fu un politico senza scrupoli, ma la storia lo travolse e lo costrinse ad essere padre di una grande rivoluzione politico-culturale promulgando la prima costituzione. Ovviamente la storia non va giudicata, va compresa. Benché il carattere di Riccardo gli facesse prediligere la lotta alla politica, portandolo a non considerare mai la soluzione diplomatica dei conflitti, è pur vero che si trovò ad operare in un clima costante di tensione sia entro i confini del regno che fuori. Stesso discorso va fatto per Giovanni, che promulgò la prima costituzione ma fu ben lontano dall'essere un sovrano liberale, di fatto fu costretto a cedere alle pretese dei baroni per non rischiare di perdere il trono. La Magna Charta poi va giudicata secondo l'epoca in cui fu scritta: fu una rivoluzione nel XIII secolo, ma oggi una Costituzione del genere farebbe accapponare la pelle, infatti ampie parti della popolazione erano escluse dai diritti che essa concedeva, quindi era ben lontana dal sancire l'eguaglianza di tutti i cittadini.

Francesco Abate

martedì 19 settembre 2017

VI PRESENTO LA MIA POESIA "MALINCONIA"

Malinconia è l'ultima poesia che ho pubblicato su Spillwords.com.
Come il titolo stesso suggerisce, con questa poesia ho voluto descrivere la malinconia che in certi momenti mi attanaglia. Sono certo che chiunque si sia trovato nel corso della propria vita, o si trovi tutt'ora, preda di un abbattimento apparentemente inspiegabile. I versi mi sono serviti per spiegare qualcosa che è difficile rendere con le parole, spero di esserci riuscito.
L'immenso blu mi chiama a sé
allungando le sue soffici braccia
e il suo sorriso che sa di eternità.
Nella poesia l'immenso blu rappresenta la felicità. Noi esseri umani tendiamo, più o meno consapevolmente, alla felicità. Sia chiaro che non intendo la gioia che può nascerci nel cuore per i più svariati motivi, e che è terribilmente fugace, parlo invece di uno stato ultimo dell'anima, un senso di pienezza, il traguardo finale della nostra esistenza. Tutti noi tendiamo a questa felicità che ci chiama a sé e si mostra così misteriosa ed allo stesso tempo così attraente. Ecco però, quando siamo proiettati verso questa felicità, subentrare la malinconia:
ma un sadico invisibile mi tiene le ali
e non riesco ad aprirle pienamente.
La particolarità più atroce della malinconia è che essa aumenta man mano che noi proviamo a liberarcene:
Voglio divincolarmi dal male invisibile
ma la mia richiesta di spinta ai muscoli
restituisce una domanda: "Perché?".
Quando si è sopraffatti dalla malinconia, infatti, ogni tentativo di ribellione appare ostacolato da una pesante ed inspiegabile inedia, d'un tratto ci sembra non aver più senso il nostro tendere alla felicità. Quando questo mostro invisibile si manifesta in tutta la sua forza, ogni cosa diventa insostenibile:
Quanto è pesante la leggerezza dell'aria
per chi è schiacciato a terra da sé stesso
e vede l'immobile così irraggiungibile!

Qualora dovesse farvi piacere, potete leggere Malinconia al link http://spillwords.com/malinconia/.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

lunedì 11 settembre 2017

RECENSIONE DI "IVANHOE" DI WALTER SCOTT

Vedendo l'immagine che ho scelto per aprire la recensione di un romanzo pregno di lotte cruente e valori cavallereschi come Ivanhoe, immagino che molti si sentano confusi. Ho scelto il fotogramma del Robin Hood di Walt Disney per mostrare quanto le leggende dell'Inghilterra del XII secolo ancora oggi siano popolari nel mondo intero.

Ho scelto di leggere Ivanhoe di Walter Scott per tornare un po' indietro negli anni. Quando ero piccolo, mia madre intuì la mia passione per la lettura e fece di tutto per coltivarla. I primi due libri che mi regalò la Befana, i primi due che furono acquistati appositamente per me, furono due edizioni per bambini de L'Isola del Tesoro e La Spada nella Roccia. Ricordo che si trattava di due libri dalle pagine profumate. Il primo non mi prese tanto, mentre della leggenda di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda mi innamorai letteralmente. Nonostante siano passati tanti anni e le mie letture siano notevolmente cambiate, con Ivanhoe ho riscoperto il piacere che si può avere immergendosi in storie di nobili cavalieri, di lotte all'ultimo sangue e di amori conquistati con la spada. A differenza delle leggende di re Artù lette da piccolo, con Walter Scott ho trovato un magnifico abbinamento tra le gesta leggendarie e un clima storico reale.
Non bisogna dimenticare che Ivanhoe è un romanzo storico. Le vicende narrate sono ovviamente invenzione dell'autore, però sono inserite in un contesto storico reale ed anche molti personaggi sono realmente esistiti. La storia si svolge nell'Inghilterra del XII secolo, durante la reggenza del principe Giovanni che, approfittando dell'assenza di Riccardo Cuor di Leone, tenta di appropriarsi del trono d'Inghilterra. All'insaputa di Giovanni, Riccardo è tornato dalla sua prigionia e vive come cavaliere errante, desideroso di riappropriarsi del trono ma allo stesso tempo pronto a tuffarsi nelle avventure cavalleresche che ama molto più della politica. Ivanhoe è un cavaliere ricopertosi di valore in Palestina e fedelissimo a Riccardo. Ci sono poi i Templari, in questo romanzo dipinti come malvagi e avidi di potere, il cui campione Brian de Bois Guilbert si rivela nemico acerrimo di Ivanhoe. Non poteva mancare poi l'abilissimo arciere-bandito Robin Hood, che aiuta Riccardo Cuor di Leone a sventare un complotto ordito da alcuni nobili fedeli al principe Giovanni.
Nella vicenda ha un ruolo centrale la disputa tra sassoni e normanni. Ai tempi in cui si svolgono i fatti brucia ancora nel cuore dei sassoni la conquista normanna dell'Inghilterra. Nel romanzo i sassoni principali sono Cedric, padre di Ivanhoe, lady Rowena e Atelsthane. Cedric, legato ancora al vecchio orgoglio sassone, odia i normanni e cerca in ogni modo di mantenere i sassoni separati dai conquistatori così da poter un giorno riconquistare il potere. Deve però scontrarsi con la mentalità diversa delle nuove generazioni: suo figlio Ivanhoe è fedele suddito del normanno Riccardo Cuor di Leone e arriva a seguirlo in Palestina per la crociata, venendo perciò rinnegato; sua figlia Rowena ama Ivanhoe e non si interessa minimamente della questione sassone; Atelsthane, pur essendo un buon cavaliere, non ha sete di potere ed è disinteressato ad ogni disputa, egli brama solo buon cibo e comodità. Riccardo Cuor di Leone riesce comunque a mitigare l'ostilità dei sassoni e finisce per integrarli nella nobiltà inglese, cosa che invece il principe Giovanni nemmeno aveva provato a fare. Ovviamente in questo romanzo re Riccardo è il sovrano buono e amato da tutti, mentre Giovanni è quello cattivo e ingiusto. In tutte le leggende inerenti quest'epoca storica si scrive così, anche se la storia fu un pochino diversa (magari la approfondirò in uno dei prossimi post su questo blog).

Ivanhoe è un romanzo storico, genere di cui noi italiani tutti conosciamo il celebre I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Scott però scrive in un modo molto diverso da Manzoni. Nel suo romanzo non troviamo citate le gride, la descrizione dei fatti dell'epoca è un po' meno accurata rispetto a quella fatta dall'autore italiano. Di sicuro la scelta di Scott deriva anche dal fatto che sarebbe stato molto più difficile citare documenti del 1190, Manzoni trattava di un'epoca ben più vicina quindi avrà avuto meno difficoltà, ma io credo che il risultato finale dia ragione all'autore inglese. Mentre le grida citate a menadito di Manzoni spezzano un po' la storia e appesantiscono la lettura (scommetto che in tanti le avete anche saltate, ammettetelo!), Scott in Ivanhoe mantiene una narrazione scorrevole e centrata sui fatti del romanzo. Walter Scott si concentra di più sulla descrizione dei luoghi così com'erano all'epoca dei fatti, circa sei-settecento anni prima della stesura del romanzo, che su quella dei fatti, riuscendo così ad immergere il lettore nell'atmosfera di un'epoca antica.
Anche in Ivanhoe è poi forte il tema della Provvidenza. La conclusione della vicenda sembra decisa da una volontà superiore, non posso dirvi di più altrimenti vi rovinerei il finale.

Un altro motivo per cui è importante leggere Ivanhoe è che permette di osservare le radici dell'antisemitismo. Quando noi pensiamo al dramma degli ebrei, subito ci viene in mente l'Olocausto. Tendiamo però a dimenticare che i lager e le leggi razziali furono solo l'apice delle persecuzioni inflitte in Europa agli ebrei, infatti essi furono apertamente discriminati già in epoche molto più antiche. Nel romanzo tra i personaggi principali vi sono due ebrei: l'usuraio Isaac e la sua bellissima figlia Rebecca. Leggendo la vicenda narrataci da Scott, ci rendiamo conto di quanta poca considerazione essi godessero sia nel XII secolo che nel XIX. Isaac è buono, aiuta Ivanhoe dopo aver ricevuto da lui aiuto ed ama sua figlia più della sua vita, eppure è oltraggiato in ogni modo, alla corte di Cedric viene ospitato senza però che gli sia usato alcun riguardo; la bellissima Rebecca subisce a causa della sua religione una sorte ancora peggiore, nonostante curi amorevolmente Ivanhoe, deve subire l'onta di essere garbatamente disprezzata dallo stesso perché ebrea, rischia poi di essere bruciata come strega dai Templari solo per aver praticato con efficacia l'arte medica e per aver avuto la sfortuna che un templare si innamorasse di lei. Se le vicende ci mostrano tante ingiustizie riservate agli ebrei, anche il modo in cui sono narrate ci mostrano come le idee dell'autore non siano poi tanto diverse, inoltre il fatto che le esprima così liberamente ci fa capire come esse all'epoca fossero comuni. Può essere questo uno spunto di riflessione certamente non previsto dall'autore, ma che ci permette di comprendere meglio come si sia potuti arrivare ai campi di concentramento.

Per tanti anni Ivanhoe è stato ritenuto un romanzo storico per ragazzi. Si tratta di un errore fatto comunemente con le storie di cavalieri e dame, amori, tornei e assedi ai castelli. Il romanzo però è pregno di contenuti importanti, ci permette di comprendere meglio un momento storico e politico tormentato e cruciale nella storia dell'Inghilterra (e quindi, indirettamente, dell'intera Europa), ci fa riflettere sulla differenza tra legalità e giustizia (perché Robin Hood è un fuorilegge, eppure è un giusto), sulle radici dell'antisemitismo ed anche sulla corruzione del clero. 
La bravura di Scott è stata quella di inserire tanti contenuti in una vicenda che rischiava di essere una banale storiella di cavalieri e dame. Ha saputo abbinare una trama avvincente con una buona densità di contenuti. 
Consiglio di leggere questo romanzo perché vi tiene incollati alle pagine con il fascino avvincente delle storie cavalleresche e quando lo avrete chiuso vi sentirete più ricchi dentro.

Francesco Abate