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domenica 9 marzo 2025

RESURREZIONE DI LEV TOLSTOJ

 

Resurrezione è un romanzo pubblicato dallo scrittore russo Lev Tolstoj nel 1889.
Ispirato a un fatto realmente accaduto, è un'opera in cui l'autore riflette sulla condizione dei reietti della società, soprattutto i carcerati, usandola come spunto per formulare la propria ricetta per la definitiva redenzione.
Resurrezione è ispirato a un fatto realmente accaduto, cioè al processo di una prostituta che tra i giurati vide l'uomo che l'aveva sedotta e rovinata; così come nel romanzo, l'uomo tentò di rimediare al torto compiuto sposando l'imputata, solo che nella realtà non ci fu lieto fine e la donna morì di tifo. Oltre allo spunto di cronaca, questo è un romanzo fortemente autobiografico, infatti lo stesso Tolstoj aveva sedotto una cameriera che poi, rimasta incinta, era stata allontanata, quindi nel romanzo lo scrittore cerca la redenzione propria, oltre che quella dell'umanità.
Il protagonista del romanzo è il nobile Dmitri Nechljudov, che per un caso ritrova il suo vecchio amore e lo trova corrotto e degradato all'infimo rango di prostituta accusata d'omicidio. La donna viene condannata, ma Nechljudov si convince di essere la causa della sua rovina, così decide di fare tutto il possibile per riscattarla, anche a costo di rovinare sé stesso. Ha inizio il viaggio del protagonista tra le classi più povere della società russa, di cui può osservare la miseria, e tra i carcerati, dei quali vede il profondo stato di degradazione umana.
Tolstoj attraverso Nechljudov propone una profonda riflessione sui contadini e sui carcerati. Riguardo ai primi, lo scrittore sposa la teoria secondo la quale sia ingiusto che i nobili possiedano la terra, traendone grandi profitti e tenendo nella miseria i contadini che la lavorano. Per quanto concerne i carcerati, lo scrittore ce li mostra come i dannati del Cocito, con Nechljudov che cammina dovendo fare attenzione a non calpestarli; gli viene negata la dignità umana e vengono degradati, eppure la loro condanna è stata comminata da una società corrotta che ha costruito le leggi per propria comodità e non per senso di giustizia.
La riflessione di Tolstoj sui carcerati si espande fino a diventare un processo etico alla società, e da questo processo si genera la consapevolezza della via per la resurrezione. La società è ingiusta e corrotta, nonostante ciò si concede il lusso di giudicare colpevoli delle persone e punirle negando loro l'umanità. L'unica soluzione a questa tremenda ingiustizia Tolstoj la rileva, attraverso Nechljudov, in una totale adesione al cristianesimo: gli uomini devono riconoscersi colpevoli davanti a Dio, ammettere perciò di essere incapaci di punire o correggere il prossimo, quindi perdonare.

Resurrezione di Tolstoj, oltre ad essere uno straordinario romanzo, leggibile e pregno di contenuti, offre anche una riflessione sulla condizione carceraria che si può traslare senza problemi ai giorni nostri.
Anche oggi i carcerati sono spesso privati della dignità umana (si guardi al tasso di suicidi in carcere) e ci tocca ancora chiederci chi davvero siano i colpevoli delle loro cattive azioni, perché è assodato che molti delinquenti nella vita non hanno mai avuto veramente la possibilità di vivere seguendo le leggi. Se le norme sono create dalla classe ricca, e in barba ad ogni principio di giustizia penalizzano qualcuno, come si può condannare costui se le viola? E come può chi ha scritto delle regole ingiuste giudicare i colpevoli e gli innocenti? 
Al di là della soluzione cristiana che offre Tolstoj, il problema c'è oggi come c'era allora e necessita di essere affrontato con analisi approfondite e non con l'assordante megafono della propaganda, come purtroppo oggi accade.

Francesco Abate

domenica 2 marzo 2025

RUSSIA

 

Russia è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
L'immagine che ho scelto per introdurre il post è quella degli ostaggi uccisi all'interno del teatro Dubrovka nel 2002, cittadini presi in ostaggio da terroristi ceceni e sacrificati dal proprio paese in nome di una parvenza di sicurezza. Ho scelto questa immagine per ricordare come le mostruosità della Russia di Putin non sono iniziate tre anni fa con l'invasione dell'Ucraina, ma da sempre l'ex KGB calpesta democrazia e diritti umani nel paese, come denunciato da coraggiosi giornalisti come Anna Politkovskaja (alla quale pure è dedicata una poesia in Inferno).
La poesia è composta da tre strofe. Nella prima traccio un malinconico parallelo tra la grande tradizione letteraria del paese e l'attuale squallida dittatura degli oligarchi ("C'era lo sguardo profondo di Lev, / c'era lo speleologo dell'anima Fedor, / c'era lo spirito di Anton e gli altri versi / ... / tutto oggi è coperto e calpestato / dai canini sporgenti e dal gas asfissiante / dello zar sorto dalla spuma di Stige").
Nella seconda strofa canto il desiderio di fuga di un cittadino russo soffocato dalla dittatura, perché non dobbiamo mai dimenticare che i russi sono esseri umani come noi e di questa situazione sono vittime, non complici.
Nella terza infine chiudo la poesia segnalando come il mondo scelga di non guardare. La poesia l'ho scritta prima dell'invasione dell'Ucraina, quando la Russia era ancora membro del G8 e nessuno si vergognava a fare affari col dittatore che faceva uccidere i giornalisti e aveva annesso militarmente Cecenia e Georgia.


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Francesco Abate

domenica 23 febbraio 2025

CAPIRE I BALCANI OCCIDENTALI

 

Capire i Balcani occidendali. Dagli accordi di Dayton ai giorni nostri è un saggio scritto a cura di Martina Napolitano, dottoressa di ricerca in Slavistica e docente di lingua russa, che si propone di spiegare in modo semplice e accessibile a tutti cosa sono i Balcani e quali criticità ancora oggi covino.
Comprendere i Balcani è fondamentale non solo per arricchire le proprie conoscenze, ma perché la storia d'Europa e del mondo spesso è stata fortemente influenzata dalle vicende di quei paesi. Un attentato compiuto a Sarajevo, nell'attuale Bosnia Erzegovina, fu la miccia che fece esplodere la Prima guerra mondiale, ed anche una delle ultime guerre combattute in Europa, la guerra in Kosovo, si è combattuta in quella regione. 
I Balcani sono da sempre un rebus, un enigma difficile da risolvere in cui troppi si cimentano con leggerezza e con la mente carica di pregiudizi. Culla di grandi diversità politiche ed etniche, i paesi balcanici convivono da sempre con situazioni tese e complesse da gestire. Alcuni fanno già parte da anni dell'Unione Europea, altri hanno intrapreso il percorso necessario per l'adesione, pur mantenendo però al loro interno forti movimenti nazionalisti che non smettono di fermentare e che chiedono (e spesso impongono) di seguire la direzione opposta.
A rendere delicata la regione dei Balcani, e quindi a renderne necessaria la comprensione, è anche la sua centralità in quei problemi che riguardano l'Europa intera. Nella zona c'è chi guarda con favore ad alleanze politico-economiche con la Russia, per non parlare degli importanti accordi commerciali che alcuni paesi balcanici hanno stipulato con la Cina, rinforzando quelli che al momento sono i nemici economici (e non solo) dell'UE.
Molto delicata per questi paesi è anche la questione dei migranti. I paesi balcanici fanno parte della rotta di passaggio dei migranti che dal Medio Oriente procedono verso nord, passando per Turchia e Grecia, allo scopo di raggiungere l'Unione Europea. Lo scoppio della guerra in Siria ha aumentato il flusso di migranti lungo la rotta e le politiche di chiusura dell'UE hanno trasformato questi paesi di passaggio in paesi di arrivo, costringendoli ad accollarsi l'accoglienza di un numero cospicuo di migranti. Questa enorme pressione su casse statali quasi mai floride, unite alla forza dei movimenti nazionalisti e di estrema destra dei paesi balcanici, ha favorito l'adozione di politiche disumane nei confronti dei migranti (come dimenticare i profughi a piedi nudi nella neve in Bosnia Erzegovina?), andando ad ingrossare inoltre le file degli euroscettici, che si sono sentiti appunto traditi e abbandonati dall'UE.

Le questioni riguardanti i paesi balcanici, la loro storia e la loro cultura, le loro divisioni etniche e politiche, non sono argomenti semplici al punto da essere esauriti in un breve articolo.
Il saggio Capire i Balcani occidentali ha però il merito di spiegare con molta semplicità, quindi in modo accessibile anche a chi è a digiuno della storia balcanica, tutte queste contraddizioni. Il saggio è ben lontano dall'esaltazione o dalla commiserazione dei paesi di cui tratta, ne analizza storia, geografia e società in modo molto semplice, non mancando di porre l'accento anche sulla cultura della gente che li abita, così da avvicinare di più il lettore a quei paesi che conosciamo così poco, ma che geograficamente e culturalmente ci sono molto vicini.
Dobbiamo capire i Balcani, anche perché la comprensione di altri popoli può sempre servire a correggere la rotta che sta seguendo attualmente il nostro paese. Nella nostra Italia tiepidamente rassegnata al fascismo che ritorna, che accetta passivamente l'approvazione di norme liberticide degne dell'Iran (il cosiddetto Ddl sicurezza), la lezione che in questi giorni arriva dalla Serbia può essere una scossa, perché i serbi ci hanno dimostrato che un popolo compatto e deciso nella protesta può rovesciare un Governo autoritario.

Francesco Abate 

sabato 15 febbraio 2025

VALANGA DI NEVE (CANTO PER I TOSSICODIPENDENTI)

 

Nessun cane in cerca dei loro resti,
nessun orecchio ad ascoltarne i lamenti;
soffocano silenziosi e nascosti,
sotto i passi di una umanità senza cuore.
Questa è la strofa conclusiva di Valanga di neve (canto per i tossicodipendenti), poesia contenuta nella raccolta Inferno.
In questa poesia canto dei tossicodipendenti, vittime di una società che prima li distrugge, poi li devia, infine li giudica e li allontana.
La tossicodipendenza è una piaga di cui si parla tanto, ma quasi sempre a sproposito, e gli approcci di chi dovrebbe salvare le vittime di questo morbo sono quasi sempre punitivi. La società che spinge le persone nel tunnel della droga finisce poi per punirli, perché è più facile rinchiuderli e giudicarli che aiutarli e fare autocritica.


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Francesco Abate

sabato 8 febbraio 2025

"I DEMONI" DI FEDOR DOSTOEVSKIJ

 

I demoni è un romanzo scritto da Fedor Dostoevskij e pubblicato per la prima volta nel 1872. Con quest'opera l'autore russo riprende le riflessioni sulla crisi morale della società russa sviluppate in Delitto e castigo, riflessioni che poi troveranno pieno compimento ne I fratelli Karamazov.
In origine Dostoevskij progettò di scrivere la Vita di un grande peccatore, che però nella sua forma unitaria non vide mai la luce, venendo invece pubblicata sotto forma di due opere distinte: I demoni e L'adolescente.
In questo romanzo lo scrittore analizza i problemi posti dall'avanzare del nichilismo nella società russa. Una nuova generazione priva di valori morali, senza Dio e senza idea del bene, prende forza e tenta di rovesciare l'intera società, favorita da una vecchia generazione incapace di vedere la portata reale del pericolo, accecata com'è dalle frivolezze e da un liberalismo già largamente diffuso.
Il titolo I demoni viene da un passo del Vangelo di Luca nel quale si racconta dei demoni che, cacciati da Gesù, escono dal corpo di un malato e vanno ad impossessarsi di un branco di maiali, che poi si gettano nel precipizio. Nella visione di Dostoevskij, i nichilisti sono i maiali posseduti dai demoni, e come questi si abbandonano all'istinto di autodistruzione. Il romanzo però, attraverso le parole di uno dei suoi protagonisti, si chiude con una visione carica di speranza: la malata guarirà e siederà ai piedi di Gesù, guardata con meraviglia dagli altri. La società russa quindi sarà liberata dai suoi demoni, tornerà nel solco delle proprie tradizioni cristiane e riprenderà a splendere.
Il tema principale è quello del nichilismo, che si impossessa della nuova società e la distrugge, complice la vecchia generazione. Questa colpa dei padri si vede chiaramente nel rapporto tra Stepan Trofimovic Verchovenskij e suo figlio Petr: il primo è un intellettuale convinto di essere liberale, che solo alla fine rinnega il suo passato; suo figlio invece è un subdolo manipolatore, non crede in niente e trama per esercitare il proprio potere sulle persone che lo circondano.
In questo romanzo, attraverso i suoi complessi personaggi, sono presentate tre diverse varianti di nichilismo:
1) Kirillov è un nichilista tormentato dall'idea dell'uomo-Dio, sceglie di uccidersi perché convinto che l'uomo possa essere davvero libero solo vincendo la paura della morte, quindi togliendosi la vita per coraggio e non per disperazione;
2) Satov rappresenta il messianesimo russo, è convinto infatti che il popolo russo sia l'unico "portatore di Dio" e non debba rassegnarsi ad avere un ruolo secondario nella storia dell'umanità;
3) Sigalev pensa che nella società perfetta tutti debbano essere uguali nella schiavitù, quindi l'umanità debba essere sottomessa ad un ristretto gruppo di capi.
Queste tre varianti del nichilismo finiscono, loro malgrado, per sottomettersi al gioco perverso di Petr Verchovenskij, infatti la morte di Kirillov viene usata per depistare le indagini su un omicidio, Satov viene ucciso perché tenta di difendere la propria indipendenza spirituale e di uscire gruppo di terroristi, la teoria di Sigalev viene presentata come originale anche se in realtà nessuno le dà importanza. Qui l'autore ci mostra come il terrorismo e la brama di potere usino le varie tendenze nichiliste per predicare la morte dei vecchi valori e giungere al potere.
In origine il protagonista del romanzo doveva essere proprio Petr Verchovenskij, anche perché la narrazione prende spunto da un fatto di cronaca dell'epoca (l'uccisione di uno studente ad opera di un gruppo di terroristi) che viene richiamato con l'uccisione di Satov. Procedendo nella stesura, però, l'autore scelse di dare maggior rilievo a Nikolaj Stavrogin, che divenne il vero protagonista. Stavrogin è un giovane viziato, annoiato e immorale, uno che distingue il male dal bene ma non sceglie nessuno dei due, cerca di avere solo comportamenti "estremi" per vivere un brivido. Stavrogin è un tiepido, e nell'Apocalisse c'è scritto, ricorda lui stesso, che i tiepidi saranno vomitati dalla bocca di Dio.

Man mano che si procede nella lettura de I demoni, non si può fare a meno di analizzare con gli occhi di Dostoevskij la situazione mondiale attuale.
I complotti di Petr Verchovenskij ci mostrano come chi ha brama di potere riesca a manipolare ignoranza e disperazione: come lui si fa apprezzare dalla buona società che vuole distruggere, così oggi chi vuole piegare la società alle proprie voglie si presenta avvolto dall'aura di benefattore; allo stesso modo, come lui usa le convinzioni autolesioniste di Kirillov per i propri fini e sopprime Satov che vuole essere libero, così gli aspiranti potenti di oggi si avvantaggiano della disperazione della gente e tentano di reprimere qualsiasi manifestazione di libertà individuale. Oggi il mondo è pieno di Petr Verchovenskij e, grazie all'apatia di buona parte della società civile, hanno sempre più potere.
Un personaggio che risulta molto attuale è anche quello di Stepan Trofimovic, che è il perfetto simbolo dello pseudointellettuale contemporaneo, che si crede libero, o finge di esserlo, ma non fa altro che crogiolarsi nei propri sogni di gloria, abdicando al proprio ruolo di guida della società e favorendo la nascita e la crescita dei vari Petr Verchovenskij.

Francesco Abate

sabato 1 febbraio 2025

LA "PRESA DI CRISTO NELL'ORTO" DI CARAVAGGIO

 

Presa di Cristo nell'orto è un quadro di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, dipinto nel 1602 e commissionato da Ciriaco Mattei durante il periodo romano dell'artista.
Di quest'opera attualmente esistono due versioni: una conservata alla National Gallery di Dublino e un'altra nella collezione privata dell'antiquario Mario Bigetti. Riguardo la prima, non tutti la riconoscono come opera di Caravaggio, molti infatti nelle caratteristiche dell'opera vedono caratteristiche tipiche della pittura di Gerard van Honthorst. 
Per molti anni dopo la sua scoperta, avvenuta ad opera di Roberto Longhi nel 1943, la Presa di Cristo oggi ritenuta originale fu considerata opera degli allievi di Caravaggio, questo a causa di tentativi maldestri di restauro fatti nel corso del tempo. Solo nel 2003, dopo numerose radiografie, si è attribuita la paternità dell'opera allo stesso Merisi.
Il quadro ritrae il momento in cui i soldati catturano Gesù nell'orto degli ulivi. Lo sfondo è completamente scuro e non mostra alcun particolare, privando l'immagine di una collocazione spaziale definita e ambientando la scena in uno spazio metafisico, un luogo indefinito che può essere ovunque e da nessuna parte, così da permettere all'osservatore di entrarci in prima persona. L'unica fonte di luce è una lanterna tenuta in mano da un personaggio (che è l'autoritratto dell'autore), il quale assiste con curiosità all'intera scena, così a rappresentare l'umanità che cerca di comprendere le verità di fede. Ci sono quattro soldati romani ad afferrare Giuda e Gesù; il traditore sta ancora abbracciando il suo maestro e tiene il volto vicino al suo, segno che il tradimento si è da poco consumato. Gesù tiene una posa molto particolare, non tenta né di divincolarsi né di reagire, tradisce la rassegnazione di chi conosce e accetta il proprio destino, con le mani giunte in attesa che questo si compia. Alle spalle di Gesù c'è Giovanni, l'apostolo che amava, che invece tradisce le emozioni umane dell'uomo di pace travolto dalla violenza: la sua posa è scomposta in un urlo, a mostrare tutta la sua paura. 

Ho avuto la fortuna di vedere la Presa di Cristo nell'orto proprio oggi, essendo il quadro esposto nel Complesso San Michele di Salerno fino al 23 marzo.
Il quadro permette di immergersi in un momento cruciale della storia dell'umanità e di vedere come attraverso un'immagine si possa esprimere un'idea, infatti l'autore dipinge la propria voglia di studiare e comprendere ciò che è scritto nelle Sacre Scritture.
In un'epoca in cui chiamiamo "arte" anche una banana appesa al muro, forse è il caso di riavvicinarci a questi capolavori e guardarli con la dovuta attenzione.

Francesco Abate

domenica 26 gennaio 2025

ARMENIA

 

Armenia è una poesia inclusa nella raccolta Inferno.
In questa poesia parlo del Grande Crimine, il nome col quale gli armeni indicano il genocidio perpetrato nei loro confronti dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1916. Ad oggi la Turchia ancora si rifiuta di riconoscere questo terribile crimine e addirittura persegue chi ne parla.
Al di là delle ragioni che causarono il genocidio armeno, la cosa più importante da ricordare è che fece circa tre milioni di morti, cioè spezzò tre milioni di esistenze, cosa che ancora oggi si tende a sottovalutare quando si discute di fatti del genere.
Vi lascio i versi conclusivi della poesia, che riassumono tutto il concetto:
"Il Grande Crimine ci ha strappato le madri
e il turco finge che non c'era
ma sua era la sciabola che vibrava i colpi
sotto cui i nostri cuori si fermavano."


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Francesco Abate

sabato 25 gennaio 2025

FINALISTA DEL PREMIO NABOKOV CON UN RACCONTO INEDITO

 

Con grande gioia annuncio che per il secondo anno consecutivo sarò tra i finalisti del Premio Nabokov, quest'anno con il racconto inedito Il ladro.
Sarà una grande emozione salire di nuovo sul palco del Teatro Comunale di Novoli, avrò inoltre il piacere di visitare ancora la bellissima Lecce.
Non vedo l'ora che arrivi il 29 marzo, giorno della premiazione.

Come sempre, questi riconoscimenti sono l'occasione per ringraziare tutti voi che mi seguite e che leggete quello che scrivo.

Francesco Abate 

sabato 18 gennaio 2025

EUGENIO MONTALE: POETA SIMBOLO DEL NOVECENTO, VIVE ANCORA OGGI

 

Eugenio Montale può essere definito il poeta del male di vivere. Ci basti rievocare alla mente i bellissimi versi della poesia Spesso il male di vivere ho incontrato, dove rende magistralmente il senso di angoscia e smarrimento dell'uomo del suo tempo (Ossi di seppia fu pubblicato nel 1925) mostrandoci un fiume strozzato che fatica a scorrere, una foglia accartocciata e un cavallo stramazzato.
Anche nelle opere successive il senso di angoscia della poesia montaliana non si attenua, anzi pare accrescersi, alimentato dal secondo conflitto mondiale e dal progresso tecnologico in cui si smarrisce l'uomo. La poesia stessa, in epoche tanto sanguinarie e confuse, perde la capacità di comunicare l'essenza dell'uomo ("Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo"). Eppure attraverso il correlativo oggettivo Montale, ispirato da T.S. Elliot, riesce a comunicare le emozioni che agitano il cuore del poeta semplicemente accostando delle immagini, riuscendo così a mantenere inalterata la potenza comunicativa della poesia nonostante l'inasprimento del linguaggio. La poesia diventa così sempre meno aulica, forse anche sempre meno "utile", ma riesce a non perdere la propria influenza sull'anima dell'uomo.
Montale nel suo viaggio discendente verso un'angoscia sempre più marcata si fa accompagnare, a partire dalla raccolta Le occasioni, dalla figura femminile di Clizia. Immagine poetica della sua amante Irma Brandeis, Clizia solleva il poeta dal vuoto esistenziale e ne La bufera e altro diventa una donna-angelo che lo accompagna tra gli orrori della guerra. Ne La bufera e altro alla figura di Clizia si affianca anche quella della moglie di Montale, che si assume il compito di accompagnarlo nel suo confronto con le cose terrene.

I tratti della poesia di Montale, che sopra ho riassunto molto velocemente, lo rendono sì un poeta simbolo del Novecento, ma allo stesso tempo ne sanciscono la straordinaria attualità. Anche oggi l'uomo è tormentato dal pensiero della guerra, sebbene almeno nel nostro paese ancora non ci sia toccato di viverla sulla pelle, e la straordinaria velocità del progresso tecnologico lo ha completamente smarrito, così dilagano confusione e paura. In questo contesto, versi come quelli finali di Meriggiare pallido e assorto, che paragonano la vita ad un muro con sopra cocci aguzzi di bottiglia, risuonano con grande forza nel cuore del lettore e non possono lasciarlo indifferente.
Leggere Montale oggi è come confidarsi con un amico più grande che ha già vissuto quello che noi siamo vivendo, può aiutare noi uomini d'oggi, così incapaci di ascoltare e comprendere i nostri stati d'animo e le nostre paure, a capirci e a non soccombere al terrore.
La lettura di Montale è inoltre indispensabile per chi, come me, ha l'ambizione di scrivere poesia. Montale è riuscito a comunicare profonde inquietudini con versi scarni e poco aulici, questo grazie ad un magistrale uso delle immagini, del linguaggio e delle figure retoriche. Oggi spesso ci si nasconde dietro l'alibi della libertà stilistica per scrivere poesie che sono delle spiegazioni scritte andando d'accapo a casaccio, trascurando del tutto armoniosità dei suoni ed efficacia delle immagini. La poesia, così come la vedo io, deve essere arte, quindi l'espressione della propria essenza attraverso il bello, ma a differenza di Montale molti spesso dimenticano di ricercare il bello e si limitano ad esprimere le proprie idee. 
Dobbiamo leggere Montale, e dopo averlo letto dobbiamo rileggerlo e rileggerlo ancora, perché nella sua poesia c'è la medicina che può aiutarci a sopportare meglio il peso di questa epoca incerta.

Francesco Abate

domenica 12 gennaio 2025

SORRISO E GHIGNO

 

Sorrideva quando ti chiamava
"fratello"
e sorrideva quando gli chiedevi aiuto.
E' facile mutare il sorriso in ghigno,
più difficile è riconoscerli entrambi:
tu non ci riuscisti
e gli sorridevi mentre ti lasciava
morire.
Questa poesia, dal titolo Sorriso e ghigno, è contenuta nella mia raccolta Inferno.
Mi è stata ispirata dalla storia di Selimovik, un immigrato che ha vissuto e lavorato venti anni a Salerno ma che, per ragioni burocratiche, si è visto di colpo negare il diritto al medico di base ed alle cure per la sua malattia, morendo senza la necessaria assistenza. Quella di Selimovik è una vicenda i cui dettagli conosco poco, ma è la storia di tantissimi, anzi troppi, esseri umani che vengono sfruttati dal sistema e poi gettati nella spazzatura quando hanno bisogno. Gli immigrati vanno bene finché svolgono un lavoro, diventano però un peso quando hanno bisogno dell'assistenza che non dovrebbe essere negata a nessun essere umano. Gli sorridiamo finché generano per noi un profitto, ghigniamo quando hanno bisogno di aiuto.


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Francesco Abate

domenica 5 gennaio 2025

"LE ANIME MORTE" DI NIKOLAJ GOGOL

 

Le anime morte è un romanzo pubblicato nel 1842 dallo scrittore russo Nikolaj Gogol.
Quest'opera rappresenta un vero e proprio spartiacque nella letteratura russa, è infatti il primo romanzo che analizza le condizioni morali e sociali del popolo russo.
Il protagonista del romanzo è Pavel Ivanovic Cicikov, un truffatore che compra dai proprietari terrieri le anime morte, cioè quei contadini morti dopo l'ultimo censimento per i quali i padroni dovranno pagare le tasse fino a quello successivo. Lo scopo di Cicikov è accumulare un buon numero di servitori fantasma per poi ipotecarli, così da ricevere denaro in cambio di niente. La storia narrata da Gogol è ispirata a un fatto realmente accaduto.
La storia di Cicikov è il pretesto col quale Gogol ci mostra il livello di corruzione della società russa. I rapporti in società sono intrisi di ipocrisia, influenzati dagli interessi materiali e dalle condizioni economiche delle persone. A spadroneggiare sono inoltre avidità e ingordigia, si specula perfino sui morti, inoltre sono tantissime le scene in cui a tavola i personaggi si ingozzano senza ritegno.
Uno sguardo particolarmente critico è gettato poi sui funzionari pubblici, corrotti oltre ogni decenza e pronti a vendersi anche per pochi copechi. Molto significativo è il discorso del principe, con cui si conclude il romanzo, pronunciato dopo che è stata smascherata la truffa delle anime morte ed è stato chiarito quanto nella sua riuscita abbiano inciso l'incapacità e la mala fede dei funzionari pubblici; le parole del principe suonano come una resa alla bassezza morale di coloro che dovrebbero garantire il funzionamento delle istituzioni. Per Gogol quindi vince l'indolenza russa, che invece di combattere le piaghe che ne sfigurano il corpo sociale si limita ad allargare le braccia ed accettare lo stato di cose.

Le anime morte per i suoi contenuti è un vero e proprio romanzo di denuncia sociale, ma il progetto iniziale di Gogol era diverso e più complesso.
Nelle intenzioni dell'autore questo romanzo avrebbe dovuto essere solo la prima parte di un viaggio di redenzione in stile dantesco all'interno del popolo russo. Con Le anime morte Gogol avrebbe mostrato la parte abietta della società russa, rappresentando così l'Inferno della Russia, poi le opere successive avrebbero rappresentato un crescendo, fino ad arrivare alle virtù, quindi al Paradiso. Il progetto non si è però mai concretizzato ed alle stampe è stato dato solo questo romanzo che, preso singolarmente, rappresenta una pesante denuncia sociale.

Leggendo Le anime morte non ho potuto fare a meno di pensare alla nostra epoca. L'ipocrisia che denuncia Gogol è oggi viva e forte, e non prospera solo in Russia, ci basti guardare la differenza di trattamento riservata agli stranieri poveri (i migranti) e a quelli ricchi (turisti e sceicchi vari). Lo stesso discorso vale per l'avidità e l'ingordigia, per non parlare poi della corruzione, di cui soprattutto noi italiani siamo ogni giorno testimoni e (spesso) complici.
Come tutti i grandi capolavori, Le anime morte non smette mai di essere attuale.

Francesco Abate