Hanno fatto molto discutere nei giorni scorsi le parole di Liliana Segre. La senatrice a vita ha contestato l'utilizzo a suo modo di vedere improprio del termine "genocidio", evidenziando come questo oggi venga usato per designare qualsiasi situazione e lasciando quindi intendere che per lei non è adatto a descrivere quanto sta accadendo in questi mesi a Gaza.
Sulle parole della senatrice a vita occorre una riflessione, vista anche la delicata situazione a cui fanno riferimento. Il termine "genocidio" fu coniato dall'avvocato polacco Raphael Lemkin in riferimento a quanto subito dagli armeni ad opera dell'Impero ottomano. Anni dopo l'ONU si è preoccupata di definire in modo chiaro cosa rientra nella definizione di genocidio: <<gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.>>
Analizzando ciò che sta accadendo da ottobre nella striscia di Gaza, è facile dedurre come siamo in presenza di un genocidio a tutti gli effetti. I media parlano di guerra, ma non ci sono due eserciti a fronteggiarsi, c'è semplicemente una forza di invasione (Israele) che bombarda, massacra e perseguita in ogni modo inermi cittadini palestinesi. A Gaza ci sono ospedali bombardati, cittadini ridotti alla fame dall'assedio di un esercito ostile e trucidati mentre sono in fila per accaparrarsi gli aiuti necessari alla sopravvivenza.
Gli atti di Israele sono con ogni evidenza commessi con l'intenzione di distruggere il popolo palestinese quindi, benché la cosa dispiaccia alla senatrice Segre, a Gaza si sta compiendo un genocidio.
Dipanata la questione circa l'appropriatezza del termine "genocidio", occorre fare delle riflessioni sulle dichiarazioni della senatrice Liliana Segre e sul ruolo che ricopre.
L'evidente difficoltà che la senatrice ha mostrato sin dall'inizio a riconoscere come genocidio ciò che sta subendo il popolo palestinese (che, a dirla tutta, non è cominciato ad ottobre 2023 ma viene perpetrato dalla nascita dello Stato d'Israele, se non prima) potrebbe nascere dalla paura che i crimini di Israele sminuiscano la memoria dell'Olocausto, rinforzando un antisemitismo purtroppo mai sopito. Questa paura si potrebbe paragonare a quella che per anni ha spinto la sinistra italiana a non parlare apertamente del dramma delle foibe: si nasconde la gravità delle azioni commesse dai propri alleati temendo che possano macchiare la propria immagine. La storia ci ha però insegnato che è stata proprio la negazione di tali fenomeni a macchiare l'immagine della sinistra italiana, ed oggi assistiamo alla strumentalizzazione del dramma delle foibe operata dalle destre e favorita dall'opera di occultamento portata avanti per anni dalla sinistra. Questa lezione impone perciò una riflessione: è molto probabile che questa negazione a oltranza di un crimine palese e odioso dia forza all'ondata di odio contro gli ebrei, mentre prenderne atto pubblicamente porrebbe la parte moderata degli ebrei su un piano diverso da quello dei sionisti estremisti, liberando i primi dall'ombra del sospetto di odio anti-arabo.
Una riflessione occorre farla anche sul ruolo della senatrice Segre. L'incarico di senatrice a vita le fu conferito in virtù della sua qualità di sopravvissuta all'Olocausto, le fu affidato il compito di tenere viva la memoria degli italiani su uno dei periodi più bui della storia mondiale. Lo scopo della memoria è proprio quello di comprendere i fenomeni al fine di prevenirne il ritorno; se chi è depositario della memoria non si rivela in grado di riconoscere questi fenomeni quando si ripresentano, il suo ruolo è inutile. Occorre perciò chiedersi, e chiedere alla senatrice Segre, se questa sua difficoltà ad ammettere l'evidenza, cioè che a Gaza gli israeliani stanno perpetrando il genocidio del popolo palestinese, non la renda inadatta al ruolo che ricopre.
Francesco Abate
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