martedì 30 agosto 2022

IL GRANDE FRATELLO CI GUARDA, I SUOI OCCHI SIAMO NOI

 

Neanche si è sgonfiata la polemica sui video delle feste di Sanna Marin, che internet si riempie di nuove immagini scottanti. A cadere sotto i colpi della videocamera stavolta è stato il vicepresidente della Juventus, Pavel Nedved.
Una donna prima e un uomo ora sono stati ripresi durante momenti privati e questi filmati sono stati poi pubblicati senza il loro consenso, causando loro gravi problemi personali e, nel caso della Marin, politici.
Come spesso accade, anche in questo caso assistiamo ad un'incomprensibile inversione della colpa. A finire nel fuoco incrociato delle polemiche sono le vittime di un reato, la Marin e Nedved, mentre poco si dice contro chi ha diffuso quei filmati e quindi ha commesso l'illecito. Chiunque diffonda un video o una foto in cui compare una persona fisica compie un trattamento di dati personali; la diffusione di dati senza l'autorizzazione del soggetto a cui gli stessi fanno riferimento è una violazione delle norme a tutela della privacy. Non può essere invocata in questi casi la tutela della libera informazione perché né la Marin né Nedved hanno commesso reati o danneggiato in alcun modo la collettività, quindi ciò che hanno fatto a quelle feste era affar loro. Diverso fu il caso di Berlusconi alle cui feste erano presenti prostitute minorenni, lì si trattava di far emergere un comportamento illecito tenuto da un uomo delle istituzioni.
Al di là della questione della colpa, resta comunque da fare un'amara riflessione: il Grande Fratello ci guarda e i suoi occhi siamo noi. Viviamo una realtà in cui qualsiasi nostro comportamento può finire in rete, qualsiasi parola o gesto che compiamo potrebbe perseguitarci e intaccare la nostra vita. Lasciarsi andare, vivere qualche ora spensierata, fare qualche pazzia, ormai non è prudente nemmeno per un cittadino comune, perché chiunque potrebbe filmarlo e diffonderlo, creandogli problemi nella vita personale o in quella sociale. Questo fenomeno sfocia in casi estremi come ad esempio il revenge porn, in cui viene filmata una persona in atteggiamenti intimi per poi ricattarla o umiliarla. Qualunque cosa facciamo o diciamo può finire in pasto al pubblico, diventa perciò impossibile ogni spontaneità e di conseguenza viene uccisa la libertà.
George Orwell in 1984 descrive un mondo in cui ogni cittadino è costantemente spiato. La grande forza del regime di cui racconta lo scrittore britannico non è lo spionaggio costante delle case attraverso le tv, ma è l'aver reso potenziali spie tutti i cittadini; se non sai da chi difenderti, non puoi permetterti il lusso di comportarti liberamente, quindi non ti ribellerai. Oggi siamo tutti potenziali spie, tutti pronti coi nostri smartphone a fotografare o filmare, tutti potenziali ladri di momenti privati da rivendere per loschi fini o per ingenuità. Pensateci quando domani bacerete qualcuno al chiaro di luna, o canterete brilli per la strada: può essere che vi stiano filmando, e quel video tra un paio d'anni potrà rovinarvi un fidanzamento o farvi perdere il lavoro. 
Siamo tanti occhi curiosi. Tanti occhi senza cervello.

Francesco Abate

domenica 21 agosto 2022

INFINITE JEST DI DAVID FOSTER WALLACE

 

Infinite Jest è il romanzo più importante dello scrittore americano David Foster Wallace. Nel 2005 la rivista Time lo inserì nella lista dei cento migliori romanzi di lingua inglese scritti dal 1923.
La fama di questo libro ha contribuito a rendere iconica la figura di Wallace, tanto che nel 2015 fu realizzato su di lui il film The End of the Tour - Un viaggio con David Foster Wallace, nel quale vengono raccontati i cinque giorni in cui il giornalista David Lipsky realizzò con lui una video-intervista.

Parlare di trama riferendosi a Infinite Jest è improprio, è più giusto parlare di una serie di eventi che ruota intorno alla cartuccia smarrita di un film intitolata appunto "Infinite Jest".
Gli eventi che Wallace ci narra, tutti rigorosamente sparsi e senza un ordine apparente, si svolgono tra la Enfield Tennis Accademy, la casa di recupero per tossicodipendenti Ennet House, e più in generale nella Boston di un futuro non troppo lontano.

Il futuro che Wallace ci presenta nel romanzo è un mondo inquietante dominato dagli sponsor e dalla ricerca di intrattenimento vuoto, quindi da un continuo tentativo di fuggire dalla realtà. Gli anni non sono più indicati in numero progressivo, ma ognuno prende il nome di uno sponsor, così come "Anno del pannolone per adulti Depend".
La società viene vista principalmente attraverso gli occhi confusi degli studenti che frequentano l'ETA (Enfield Tennis Accademy) e i pazienti dell'Ennet House, quindi è già di per sé uno sguardo alterato e confuso, reso alla perfezione dallo stile del romanzo privo di una sequenza temporale definita o di una sequenza logica. I poveri studenti vivono una realtà soffocante in cui sono costantemente sotto pressione, spinti a una competitività senza limiti nel tennis e sottoposti ad allenamenti massacranti, inoltre la maggior parte di loro non ha rapporti o ne ha di malati con familiari e amici; devastati mentalmente dalla propria situazione, tutti cercano rifugio nelle sostanze stupefacenti.
Anche l'Infinite Jest, questo intrattenimento supremo, può essere considerato una droga: provoca un piacere fisico e finisce per estraniare dalla realtà i suoi spettatori, rendendoli catatonici. Tutti i tipi di intrattenimento che osserviamo nel mondo di Infinite Jest sono quindi estranianti, servono a far fuggire dalla realtà ma finiscono per distruggere la mente di chi li usa, appunto come le droghe. Non è sbagliato dire quindi che lo scopo principale del romanzo è mostrarci come l'uomo si senta sempre più estraneo al mondo in cui vive e cerchi di fuggirne anche a costo di autodistruggersi, questo perché viviamo un'esistenza sempre più vincolata a una società che obbedisce all'economia, sempre più slegata dalle esigenze fisiche e morali dell'individuo.

Più del tema molto attuale, di questo romanzo a colpire il lettore è soprattutto lo stile. Wallace rompe in tutti i modi la linearità della narrazione, sia smembrando la storia e presentandola pezzo per pezzo senza un ordine preciso, sia inserendo con abbondanza note al testo. Con questo espediente rende alla perfezione una realtà allucinata e quasi priva di senso, priva di scopo, ma allo stesso tempo rende il romanzo di difficile lettura.

Infinite Jest è forse uno dei romanzi più importanti della cultura contemporanea mondiale; lo è sicuramente se consideriamo solo quella americana.
Sebbene si tratti di un romanzo scritto chiaramente da un autore colto e straordinariamente dotato, capace di cambiare stile ogni volta che vuole e di costruire una narrazione disorientante, a mio parere ha il difetto di essere esagerato. L'autore ha voluto mischiare le carte e fare casino, scelta condivisibile visto il tema trattato e la realtà oggetto della narrazione, ma credo abbia esagerato, creando un romanzo pieno di contenuti ma praticamente illeggibile. Io stesso, lo confesso, dopo 200 pagine circa ho dovuto a malincuore alzare bandiera bianca. La lettura procede spezzettata e con pesantezza, si trascina, si perde dopo un po' ogni curiosità e ogni voglia di conoscere l'epilogo della vicenda, nonostante in linea di massima si capisca dove l'autore voglia andare a parare.
Le tendenze della letteratura moderna, specie quella americana, spingono verso questi libri caotici e un po' inconcludenti (il genere chiamato "realismo isterico"). Sicuramente a tanti piacciono queste opere e molte, compresa questa, sono valide e meritano attenzione, ma per me la letteratura resta prima di tutto un piacere; se il lettore legge e fa una fatica tremenda per capirci qualcosa, magari perde pure la voglia dopo un certo numero di pagine, lo scrittore ha sbagliato qualcosa.
Nonostante il mio giudizio negativo, ribadisco però che Infinite Jest ha i suoi contenuti e ne consiglio la lettura a chi ama questo genere di romanzi.

Francesco Abate

domenica 14 agosto 2022

PALESTINA

 

Palestina è la poesia che apre la sezione "L'Inferno dei popoli" nella mia raccolta Inferno.
La questione palestinese è ben nota e si può riassumere efficacemente nell'immagine che apre l'articolo, una mappa che mostra come dal 1947 Israele ha rubato sempre più territorio alla Palestina, ovviamente per farlo ha avuto bisogno di bombe e terrore. Se avete voglia di approfondire, potete leggere questo articolo del blog.

La poesia mostra la questione vista da un povero palestinese, che non può scappare ma vive nel terrore di Israele, e si chiede se sia meglio morire nel deserto o sotto i proiettili israeliani. L'uomo in questione ha sete, perché ai palestinesi è destinata la parte di territorio povera di risorse, e in costante pericolo di vita non riesce a godere dell'amore come farebbe normalmente uno di noi.
Il tapino si rivolge anche al suo Dio, ma la preghiera non serve a liberarlo dal dramma né a rinfrancarlo, così conclude che il mostro a sei punte (riferimento alla Stella di David) ha più voce di Allah. 



Vi ricordo che potete acquistare Inferno in tutte le librerie o sui collegamenti che trovate in questa pagina.
Se volete, potete anche seguirmi sui social alle seguenti pagine: Facebook, Twitter.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

lunedì 8 agosto 2022

VITE IN CAMBIO DI CARBONE: IL DISASTRO DI MARCINELLE

 

L'8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier, nella città belga di Marcinelle, scoppiò un incendio in cui persero la vita 262 uomini, di questi 136 erano italiani. A causare l'incendio forse fu un errore di comunicazione, con un ascensore tirato su mentre portava ancora del carico sporgente col quale recise un tubo dell'olio ad alta pressione e dei cavi elettrici; le scintille prodotte dai cavi a contatto con l'olio diedero vita all'incendio.
La strage, una delle più gravi nella storia delle miniere, portò in luce le condizioni disumane in cui vivevano i minatori italiani in Belgio. 
A seguito dell'incidente fu aperta un'inchiesta e furono create diverse commissioni d'inchiesta, ma nessuno ha realmente pagato per quanto accaduto e i dossier frutto delle indagini appaiono inconcludenti e pieni di contraddizioni.

La massiccia presenza di minatori italiani in Belgio era figlia del protocollo italo-belga firmato il 23 giugno 1946 da De Gasperi e Van Acker. Secondo i termini dell'accordo, l'Italia avrebbe fornito al Belgio 50.000 lavoratori sani e robusti ricevendo in cambio carbone a prezzi vantaggiosi. 
L'accordo nasceva dal bisogno belga di manodopera per l'estrazione del carbone e dalla necessità italiana di ridurre il numero dei disoccupati, nonché dal bisogno della preziosa fonte energetica che aveva il nostro paese per garantire la ripresa post-bellica.
Se però l'accordo garantiva vantaggi reciproci alle parti politiche, non si può dire lo stesso per i lavoratori coinvolti. Il Governo italiano pubblicizzò l'opportunità di lavoro apponendo su tutto il territorio nazionale dei manifesti rosa, i quali però tacevano le enormi criticità che gli italiani avrebbero trovato in Belgio. I lavoratori selezionati per l'espatrio, non sapevano di essere vincolati a lavorare almeno un anno in miniera, pena l'arresto, e che quindi non avrebbero avuto possibilità di ripensamento nonostante in molti non sapessero cosa fosse davvero il mestiere del minatore. L'organizzazione poi lasciava parecchio a desiderare, visto che gli italiani partivano da Milano senza conoscere la destinazione, la quale spesso veniva decisa al momento dell'arrivo. Gli uomini poi, dopo aver viaggiato verso la nuova avventura ignari di ciò che li attendeva, all'arrivo si ritrovavano alloggiati in baracche di lamiera usate come prigioni durante la Seconda Guerra Mondiale, delle trappole roventi d'estate e gelide d'inverno.
Intrappolati in baracche squallide e in un lavoro insalubre e pericoloso, per gli italiani non vi fu possibilità di integrazione. La società belga li tenne ai margini e solo dopo Marcinelle, solo dopo aver percepito appieno i disagi a cui erano costretti, cominciò pian piano a integrarli.

Nel 1967 la miniera fu definitivamente chiusa con l'intenzione di spianarla e costruirci un supermercato. Solo grazie alla raccolta firme promossa da sei ex minatori italiani e da un parroco fu possibile la costruzione del museo che ancora oggi sorge nell'area, a memoria della strage e di coloro che vi perirono.

Sebbene siano passati 66 anni dalla strage di Marcinelle, occorre conservarne la memoria per diverse ragioni.
Quei 262 morti ci insegnano che il sistema economico malato della nostra società ha avuto, e purtroppo continua ad avere, un importante costo in vite umane. Pur di garantirsi il guadagno, non si esita a risparmiare su formazione e sicurezza, aumentando le possibilità di incidenti fatali. I 136 morti italiani ci ricordano poi di un Governo che per garantirsi un vantaggio economico mandò al macello i cittadini che avrebbe dovuto tutelare, perché è impensabile che non fosse al corrente delle condizioni in cui venivano tenuti i minatori immigrati, e se pure le ignorava peccò di superficialità.
Quella triste vicenda dovrebbe farci aprire gli occhi sul nostro presente, come la storia sempre è capace di fare. Sebbene Marcinelle sia lontana nel tempo, non lo è tanto nelle condizioni sociali. Oggi gli immigrati in tanti paesi, compreso il nostro, vivono nelle baracche e vengono destinati a lavori pericolosi e degradanti, vengono sfruttati e sottopagati, come succedeva agli italiani in Belgio; oggi i lavoratori muoiono perché si risparmia sui costi di sicurezza e formazione, solo in Italia ci aggiriamo intorno ai 1000 morti all'anno. Una volta erano i minatori, oggi sono i muratori o i rider; una volta erano gli italiani e oggi sono gli africani, ma la sostanza non cambia: l'avidità di pochi umilia e uccide gli esseri umani.
Questo continuano a urlarci i minatori di Marcinelle.

Francesco Abate

lunedì 1 agosto 2022

PARLANO DI ME

Oggi sulla testata locale Battipaglia News è stato pubblicato un articolo che parla di me e del mio ultimo libro, Inferno.

Vi ricordo che potete trovare tutte le informazioni e i link di acquisto di Inferno su questa pagina.

Buona lettura.

Francesco Abate