martedì 25 ottobre 2022

MUTAMENTO POLITICO E RIVOLUZIONE DI NORBERTO BOBBIO

 

Mutamento politico e rivoluzione è un libro che riporta le registrazioni di 54 lezioni tenute dal professor Norberto Bobbio durante il suo ultimo anno di corso all'Università di Torino, nell'anno accademico 1978-1979.
Il libro può essere diviso in due parti: dalla lezione 1 alla 44 è trattata un'ampia parte storica, in cui il professore approfondisce i concetti di mutamento politico e rivoluzione partendo da Platone fino ad arrivare a Marx; dalla lezione 45 alla 53 il professore si dedica invece alla costruzione di una teoria generale della rivoluzione; infine, durante l'ultima lezione, il prof. Bobbio esprime il proprio personale punto di vista sulla questione che, essendo le lezioni tenute alla fine degli anni Settanta, a quei tempi era tragicamente attuale. 

Riguardo la parte storica, il professor Bobbio mostra come nell'antichità non esistesse il termine rivoluzione riferito alla politica o almeno non venisse mai usato col significato che gli viene attribuito al giorno d'oggi. 
A partire da Platone, tanti filosofi nell'antichità si dedicano allo studio della politica, su tutti Aristotele, ma questi parlano di mutamento e mai di rivoluzione
Per chiarirci l'idea circa il significato originario del termine rivoluzione, ci basta ricordare cosa significa in ambiti non politici. In astronomia parliamo di rivoluzione quando ci riferiamo al moto di un corpo celeste intorno ad un altro, come ad esempio il moto di rivoluzione che la Terra compie intorno al Sole. Quindi in origine il termine rivoluzione indicava il compimento di un ciclo fisso, la conclusione naturale di un movimento predeterminato, qualcosa di molto diverso dal significato attuale che il termine assume in ambito storico e politico.
La svolta arriva con la Rivoluzione francese, da quel momento si inizia a parlare di rivoluzione intendendo il sovvertimento improvviso e violento di un ordine costituito. Le lezioni storiche del professor Bobbio sono interessanti perché non solo mostrano l'inizio del nuovo uso di questo termine, ma mettono in evidenza anche quanto la Rivoluzione francese abbia impressionato le menti dell'epoca; non c'è un filosofo di quei tempi e di quelle posteriori che, trattando di politica, non la ponga in una posizione centrale nella propria riflessione. Molto interessante è anche osservare come alcuni grandi filosofi, pur giudicandone negativamente gli effetti, diano un giudizio almeno parzialmente favorevole alla Rivoluzione francese: Kant giudica tutte le rivoluzioni negative perché sovvertono l'ordine costituito, eppure ritiene che quella francese abbia segnato un progresso storico e per questo le concede un giudizio positivo.

Nonostante la parte storica sia molto importante per comprendere appieno il seguito, la seconda parte è più affascinante perché ci mostra la genesi di una teoria della rivoluzione.
Per classificare i mutamenti politici, osserva Bobbio, bisogna guardarli dal punto di vista del mutamento e da quello del movimento: dal punto di vista del mutamento possono essere totali o parziali, cioè portare a un cambiamento radicale nella costituzione del paese oppure solo ad uno parziale, mentre da quello del movimento possono essere violenti o non-violenti.
La rivoluzione è totale e violenta, poi c'è il colpo di stato che è parziale (cambia chi governa, non necessariamente la costituzione) e violento, ci sono le rivoluzioni improprie come quella industriale che sono totali e pacifiche, infine c'è la riforma che è parziale e pacifica. L'antitesi perfetta della rivoluzione, che è totale e violenta, è la riforma, che è parziale e pacifica.
La rivoluzione nasce da un'utopia, cioè dalla voglia di una classe di cittadini di cambiare in modo radicale, veloce e violento l'ossatura di una nazione. La storia insegna però che, dopo la rivoluzione, c'è la dittatura della classe che l'ha promossa (ad esempio il giacobinismo dopo la Rivoluzione francese o la dittatura bolscevica in Russia), poi il Terrore (nel caso della Russia ci fu Stalin), infine la restaurazione di un ordine simile o uguale a quello precedente (Napoleone in Francia, la caduta dell'URSS, ecc.). 
La storia ci insegna quindi che le rivoluzioni vanno a finire sempre male, per questo molti vedono un'alternativa più credibile nella sua antitesi, la riforma. La riforma si pone lo stesso obiettivo della rivoluzione, cerca però di conseguirlo nelle maglie delle regole costituzionali, per gradi e senza atti violenti. Al traguardo finale non giunge mai, perché è utopistico, ma prova ad avvicinarsi il più possibile. Lo stesso Bobbio nell'ultima lezione, sollecitato da studenti e colleghi, dopo un corso in cui ha mantenuto sempre un atteggiamento imparziale, ammette di propendere più per la riforma.

Per quanto mi riguarda e per quel che vale, sono pienamente d'accordo con le conclusioni del professor Bobbio. 
La rivoluzione, per quello che vuole conseguire e il modo in cui vuole conseguirlo, deve necessariamente essere violenta. Come la storia insegna, qualsiasi dottrina politica, religiosa o morale, per quanto virtuosa possa essere, non attecchisce nella società civile quando viene imposta con la forza. Noi tutti crediamo che la democrazia sia la migliore forma di governo, perché è egualitaria, eppure dove si è cercato di imporla con la forza si sono solo creati focolai di guerra perenne. Le dottrine morali, politiche, religiose, possono attecchire solo nel tempo con cambiamenti naturali della cultura, non si possono imporre o accelerare usando le armi o il carcere. Per queste ragioni qualsiasi rivoluzione, sebbene virtuosa negli intenti, è destinata a fallire. L'abbiamo visto in Francia, dove ha portato al Terrore e poi a Napoleone, in Russia, dove ci sono state le purghe staliniane, in Cina, dove un partito ha potere assoluto sui cittadini. Nessun cambiamento può essere imposto con la violenza senza generare una reazione contraria e ugualmente violenta.
La riforma è la soluzione più equa e percorribile. Essa avviene in tempi lunghi e arriva a compimento solo quando è recepita dalla società, perché non imposta ma approvata democraticamente. Deve essere bravo chi vuole compierla a proporla nel modo e nei tempi giusti, cosa che i politici di oggi non sanno più fare, ed è sempre la tappa di un cammino infinito verso una meta in continuo movimento; questo cammino è la politica e può essere compiuto solo attraverso le riforme.

Mutamento politico e rivoluzione è un grandissimo libro per tantissime ragioni. Tratta argomenti spinosi e molto sentiti (oggi è così, figuriamoci negli anni Settanta) col giusto distacco scientifico, in modo organizzato e approfondito.
La grandezza di questo libro sta innanzitutto nella sua accessibilità. Sebbene riporti un corso universitario e tratti di una materia per niente semplice, è risultato di semplice lettura per me che non sono laureato e che della filosofia conservo solo qualche sbiadito ricordo del liceo. La parte storica è un grande riassunto della filosofia intorno all'argomento ed è adatto anche per un appassionato non ferrato nella materia, parte infatti dalle basi ed è affrontato in modo molto chiaro e ben approfondito. La parte teorica è poi straordinariamente interessante sia per i contenuti che offre, sia perché mostra il modo di procedere della mente di un filosofo nella costruzione di una teoria. Il libro ha poi dalla sua parte il fatto di trattare un argomento di grandissimo interesse.
Mi è piaciuto molto leggere questo libro perché mi ha accresciuto culturalmente e mi ha dato basi più solide per riflettere sulla politica passata e presente. Ritengo poi che sia fondamentale da leggere perché mostra quanto dovrebbe essere complesso il processo di formazione di un'idea, può essere quindi un ottimo antidoto al pensiero spicciolo e superficiale di cui è schiava la nostra società attuale. Mi è piaciuto molto sentire anche il clima che si respirava in un'aula universitaria degli anni Settanta; le osservazioni degli studenti, che un po' rivelano anche il loro pensiero politico e filosofico, se lette con attenzione possono farci sentire la turbolenza di quegli anni.
Per me questo è un libro che andrebbe dato in lettura nelle scuole, perché è importante dare ai giovani, che a quell'età smaniano per conoscere e cambiare il mondo, i mezzi per interpretare al meglio la storia e l'attualità.  

Francesco Abate

domenica 9 ottobre 2022

DAPHNE E LA PIOVRA

 

Daphne e la piovra è la seconda poesia della sezione "L'Inferno dei singoli", contenuta nella raccolta di poesie Inferno.
A ispirare la poesia è la vicenda tragica della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa il 16 ottobre 2017 da una carica di tritolo piazzata nella sua automobile. Un delitto che ricorda molto quelli compiuti da Cosa Nostra contro i magistrati Falcone e Borsellino; l'ennesimo delitto compiuto da una piovra dai "tentacoli lerci e fetidi", in questo caso la corruzione, contro una donna colpevole di non aver mai taciuto la verità.
Daphne era infatti molto attiva e le sue inchieste coprivano principalmente episodi di corruzione che infestavano la sua isola, il suo coraggio non la faceva tacere nemmeno quando c'era da puntare il dito contro importanti esponenti del governo maltese. Daphne è stata anche la prima giornalista a pubblicare la notizia del coinvolgimento di due ministri maltesi nello scandalo dei Panama Papers. Forse proprio questo atto di libertà e coraggio le è costato la vita, ma anche con la morte è riuscita a non far tacere la verità, le indagini seguite all'attentato hanno infatti portato alla caduta del Governo Muscat. 

Daphne Caruana Galizia è la degnissima rappresentante della schiera purtroppo foltissima di giornalisti uccisi dal potere corrotto. Eppure chi con coraggio sceglie di diffondere la verità non muore mai invano, questo insegna la sua vicenda, e lei ha offerto la sua vita "per cantare ancora quella nota / che domina il pentagramma del mondo", cioè per rivelare ancora una volta la verità.
Questa poesia è il mio modesto, forse insulso, atto di ammirazione e riconoscenza per una donna che ha dato tutto per combattere una piaga che infesta il suo amato paese.

Vi ricordo che potete acquistare Inferno in tutte le librerie o sui collegamenti che trovate in questa pagina.

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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

domenica 2 ottobre 2022

FAUST DI JOHANN WOLFGANG GOETHE

 

Faust è un'opera in versi composta dallo scrittore e poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe nell'arco di sessant'anni, a partire dal 1772 fino al 1832.

Il poema riprende un personaggio della tradizione popolare tedesca e vi infonde l'anima dell'uomo moderno. Il Faust di Goethe non è solo uno scienziato che vende l'anima al Diavolo per la conoscenza, è uno spirito inquieto che tenta in ogni modo di superare i limiti imposti all'intelletto umano. 
Nel soddisfare i suoi desideri, Faust commette molti peccati, su tutti la corruzione e l'uccisione della dolce e casta Margherita. Nonostante ciò alla fine dei suoi giorni, quando Mefistofele lo fa morire perché convinto di aver vinto la sua anima, è la bontà divina a riconoscere i fini nobili che muovevano lo scienziato, che ha provato a superare i limiti della sua mente non per vanagloria ma per desiderio di bene. In quest'ottica Goethe lancia un messaggio preciso, ci indica infatti che la volontà di conoscenza è positiva e non va mai censurata.
Anche Mefistofele è nell'opera goethiana qualcosa in più di un semplice diavolo. Egli riconosce che il Diavolo non è granché e all'inizio dell'opera appare lusingato quando Dio gli concede udienza, la sua funzione è quindi quella di mostrare come il male sia meno soddisfacente di quanto appaia e che di fronte alla Grazia ogni intenzione oscura viene distrutta.

Nell'arco dei sessant'anni di stesura, Goethe ha pubblicato in tre riprese la sua opera. La prima parte, l'Urfaust, era molto più legata ai canoni dello Sturm und Drang, mentre nelle pubblicazioni successive l'autore ha inserito numerosi elementi classici che hanno conferito al Faust una straordinaria originalità.
Sebbene sia un'opera ambientata nella Germania del diciottesimo secolo, Goethe riesce a inserire dialoghi con filosofi antichi e con personaggi della mitologia greca, fino a far vivere al suo protagonista una travolgente passione con la più bella donna della storia, Elena di Troia.
Così come le scene e i personaggi, anche lo stile e i linguaggi usati dall'autore variano molto lungo lo svolgersi dell'opera. Si tratta decisamente di un poema inquieto come il suo autore, infatti tutta la vicenda è dominata dalle pene morali di Faust, che rappresentano fedelmente i tormenti che visse Goethe nell'arco della propria esistenza. Alla fine il personaggio non trova appagamento né nell'amore né nel potere, e solo con la salvezza dell'anima è definitivamente liberato dai tormenti patiti in vita.

Goethe è stato senza dubbio uno degli artisti più importanti della cultura europea. Il Faust è un'opera molto originale e che presenta un'interessante analisi dell'essere umano e della sua sete di crescita intellettiva e spirituale. Goethe mostra i tormenti di un'anima riflessiva, quelli che sono anche i suoi, e conclude che questi non sono da sottomettere a una cieca fede, bensì vanno tradotti in una crescita interiore.
L'opera essendo in versi non è di facile lettura, sebbene la traduzione di Guido Manacorda, la più importante di quelle italiane, scelga di trasformarne alcune parti in prosa per esigenze di stile. Vale però la pena di fare uno sforzo; sono tante le scene originali pensate dallo scrittore tedesco e in più l'opera permette di gettare uno sguardo su tutto quello che fu il Romanticismo europeo.

Francesco Abate