mercoledì 27 dicembre 2023

INFERNO FINALISTA AL CONTROPREMIO CARVER

 

Il 2023 continua a riservarmi piacevoli sorprese. Ho il piacere di annunciarvi che la mia raccolta di poesie, Inferno, è stata inserita tra i finalisti del Contropremio Carver.

Ho ancora vive nel cuore le emozioni della premiazione di Siena e già all'orizzonte si profila questa nuova avventura.

Grazie e buone letture.

Francesco Abate

giovedì 14 dicembre 2023

COMMENTO AL CANTO "BRUTO MINORE" DI GIACOMO LEOPARDI

 

Bruto Minore è un canto composto da Giacomo Leopardi nel dicembre del 1821 e pubblicato per la prima volta nelle Canzoni del 1824.
Composto da otto strofe, ciascuna di quindici versi sciolti, endecasillabi e settenari, insieme all'Ultimo canto di Saffo è una delle due "canzoni del suicidio", cioè quelle poesie in cui l'atto di togliersi la vita viene visto dal poeta come un'estrema e nobile manifestazione di un animo teso a grandi ideali che viene deluso dalla realtà del mondo.
Protagonista di questo canto è Bruto, uno degli assassini di Giulio Cesare, il quale, sconfitto a Filippi nel 42 a.C. da Antonio e Ottaviano, rinnega la "stolta virtù", accusa gli dèi di essere indifferenti ai casi dell'uomo e rifiuta ogni illusione di immortalità o di eternità nella memoria degli uomini.

Nella prima strofa troviamo Bruto che, sconfitto, decide di togliersi la vita ("...sudato, e molle di fraterno sangue, / Bruto per l'atra notte in erma sede, / fermo già di morir, gl'inesorandi / numi e l'averno accusa, / e di feroci note / invan la sonnolenta aura percote"). 
Bruto quindi ha già deciso di morire, prima di farlo però pronuncia un discorso contro le divinità e scuote la notte di parole dure (feroci note), che però non gli frutteranno né consolazione né l'eternità (invan la sonnolenta aura percote).
In questa prima strofa quindi è già introdotto, insieme al personaggio, quello che è il tema del canto: l'invettiva contro gli dèi e l'indifferenza della natura nei confronti degli eventi umani (infatti la notte è sonnolenta nonostante la sofferenza del nobile Bruto e il destino della grande Roma).
In questi versi si evidenzia come per Leopardi con la morte di Bruto finisce l'era eroica del mondo antico ed inizia la decadenza di Roma ("...giacque ruina immensa / l'italica virtute, onde alle valli / d'Esperia verde, al tiberino lido, / il calpestio de' barbari cavalli / prepara il fato ...").

Nella terza strofa l'autore segnala come i deboli si abituino a subire le proprie sventure senza combattere ("Preme il destino invitto e la ferrata / necessità gl'infermi / schiavi di morte: e se a cessar non vale / gli oltraggi lor, de' necessarii danni / si consola il plebeo..."). Questo non vale però per il prode, che al destino avverso muove guerra mortale, eterna perché non è abituato a cedere (di cedere inesperto), e quando viene sconfitto dal Fato non esita a togliersi la vita ("...quando nell'altro lato / l'amaro ferro intride, / e maligno alle nere ombre sorride"). 
Troviamo in questa strofa l'eroicità del suicidio, un'alternativa alla passiva accettazione di un destino avverso. Questo concetto viene enunciato dal poeta anche nello Zibaldone, ma col passare degli anni la visione eroica del suicidio in lui scemerà.

Nella quarta strofa Bruto si rivolge con durezza agli dèi, ai quali Spiace ... chi violento irrompe nel Tartaro. Gli dèi non tollerano che un uomo si tolga la vita, ma questa condanna nasce dalla loro viltà, infatti Bruto non esita a dichiarare che il coraggio del suicidio non c'è ne' molli eterni petti.
Nella strofa successiva Bruto dichiara fortunati gli animali, ai quali è concesso di morire serenamente in vecchiaia o comunque non sono condannati quando decidono di morire ("... Ma se spezzar la fronte / ne' rudi tronchi, o da montano sasso / dare al vento precipiti le membra, / lor suadesse affanno; / al misero desio nulla contesa / legge arcana farebbe"); solo agli uomini, figli di Prometeo, è vietato uccidersi quando la vita diventa avversa.

Nella sesta e settima strofa Bruto passa alla contemplazione della natura, che placida sovrasta le umane miserie senza mostrare né interesse né partecipazione. Si rivolge in particolare alla Luna, chiedendole come possa essere così tranquilla mentre si aprono le porte della rovina di Roma antica: "Cognati petti il vincitor calpesta, / fremono i poggi, dalle somme vette / Roma antica ruina; / tu sì placida sei?"

Nell'ultima strofa, Bruto non invoca gli dèi ("Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi / regi, o la terra indegna, / e non la notte moribondo appello"; in queste strofe anche terra e notte rappresentano due divinità) e nemmeno si affida alla memoria dei posteri, perché la memoria di un'anima prode non può affidarsi a putridi nepoti
Negli ultimi versi Bruto si limita a chiedere alla natura di disfare il suo corpo e al vento di disperdere la sua memoria ed il suo nome: "... A me dintorno / le penne il bruno augello avido roti; / prema la fera, e il nembo / tratti l'ignota spoglia; / e l'aura il nome e la memoria accoglia").

Francesco Abate

domenica 10 dicembre 2023

LA LETTERA SCARLATTA DI NATHANIEL HAWTHORNE

 

Pubblicato nel 1850, La lettera scarlatta è il romanzo più importante dello scrittore statunitense Nathaniel Hawthorne.
Non sorprende come quest'opera, sebbene scritta più di centocinquanta anni fa, oggi risulti ancora così moderna e abbia ispirato in tempi recenti diversi adattamenti cinematografici, il più recente dei quali risale al 1995, diretto da Roland Joffé e con protagonista Demi Moore. Al di là infatti delle indiscutibili qualità stilistiche e dello straordinario lavoro di costruzione della psicologia dei personaggi, il romanzo si segnala per i suoi temi che restano attuali ancora oggi.
La lettera scarlatta è la storia di Ester Prynne, cittadina della Boston costruita e abitata dai puritani da poco giunti nel Nuovo Mondo dall'Inghilterra, la quale commette un adulterio ed è condannata a portare cucita sul vestito un'enorme A scarlatta, a testimonianza della sua colpa. Quella di Ester non è però una semplice storia di peccato e redenzione, è prima di tutto la storia di una società ipocrita e sessista che per un peccato commesso in due mostra una maggiore severità nei confronti della donna. Lei personalmente non subisce questa ingiustizia, ma solo perché non rivela il nome dell'uomo con cui ha compiuto il peccato; nelle sue riflessioni però viene fuori una visione nitida e razionale della condizione di svantaggio delle donne nelle società fondate sulla regola religiosa. C'è anche una luce gettata sulla crudeltà di questo tipo di società, le quali fondano le proprie leggi su una religione che predica il perdono, eppure non esitano a giudicare ed umiliare una persona che ha avuto la sola colpa di cedere ai richiami della carne.
Questo non è solo un romanzo di denuncia morale e sociale, è anche un romanzo di redenzione. Ester affronta infatti la propria pena a testa alta, ma è cosciente del peccato commesso, ha paura della dannazione eterna e non manca di chiedere perdono a Dio, sebbene mostri di non essere realmente pentita del suo peccato quando pianifica di tornare in Inghilterra col suo amante per salvarlo dalla crudele vendetta del marito. Il processo di redenzione si delinea nettamente attraverso l'amante di lei che, venerato uomo di chiesa, riesce a vincere vergogna e paura ed a rivelare il proprio peccato subito prima di morire, liberandosi dal senso di colpa che l'ha consumato negli anni e salvandosi dalla persecuzione psicologica messa in atto dal marito di Ester. Nella scena della redenzione del pastore viene mostrata la vicinanza dell'anima apparentemente pura a quella riconosciuta come peccatrice, si rivelano infatti unite dallo stesso peccato la persona più santa della comunità con quella più derelitta; il pastore quindi chiede perdono per il proprio peccato e allo stesso tempo insegna alla sua comunità che l'uomo non può arrogarsi il diritto di giudicare i santi e i peccatori.
A proposito del peccato, che è il punto centrale attorno al quale ruota l'intera vicenda, in questo romanzo, così come nel racconto La sepoltura di Roger Malvin, Hawthorne mostra come possa consumare una persona se nascosto nel fondo dell'anima. Ester Prynne non può nascondere l'adulterio commesso essendo rimasta incinta, subisce quindi le umiliazioni che le infligge la società, ma riesce a condurre la propria esistenza, ad espiare e conservare la propria dignità; il suo amante segreto invece si consuma fino alla morte, salvando la propria anima solo nel momento estremo, quando capisce di doversi liberare dal fardello che porta nel cuore. Hawthorne mostra come l'ammissione del peccato sia una condizione essenziale per la salvezza; conservando il segreto si può sperare di mantenere una rispettabilità di facciata, ma vergogna e senso di colpa finiscono per consumare l'anima come il fuoco la candela.
Credo che l'attenzione ancora oggi riservata a La lettera scarlatta sia dovuta soprattutto alla visione della persecuzione morale nei confronti della donna peccatrice, che assumeva allora e assume a volte oggi i contorni di una vera e propria persecuzione, e al tema del trattamento diverso in base al sesso nella formulazione dei giudizi morali. In questo romanzo però non dobbiamo sottovalutare il tema del peccato perché, liberandolo dal suo significato prettamente religioso, quindi parlando di colpa e non di peccato, capiremmo quanto anche questo sia attuale, perché l'autore ci mostra come i segreti uccidano più delle cattive azioni commesse.

Francesco Abate

ZOHRA E I PAPPAGALLINI

 

Li vedevi chiusi nella gabbia
come te, schiava nella casa
in cui eri stata gettata da false promesse.
Questo è l'incipit di Zohra e i pappagallini, una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
A ispirare questo componimento è stata l'uccisione in Pakistan della piccola Zohra Shah, bambina di 8 anni tenuta come schiava domestica da una coppia benestante che l'aveva sottratta alla famiglia d'origine con la promessa di un'istruzione in cambio del lavoro domestico. La coppia non ha mai fatto frequentare la scuola alla piccola Zohra, l'ha ridotta in schiavitù e sottoposta a violenze fisiche e sessuali, finché un giorno la piccola ha commesso l'errore di far fuggire due pappagallini dalla gabbia in cui erano rinchiusi. La coppia, che con l'inganno le aveva rubato libertà e dignità, decise di rubarle anche la vita.
La condizione di prigionia di Zohra non era così diversa da quella dei pappagallini, perciò mi è piaciuto immaginare che lei, immedesimandosi col loro dolore, li abbia lasciati fuggire di proposito ("Li vedevi chiusi nella gabbia, / piccoli pappagalli colorati / e indifesi come te, piccolo angioletto").
La storia di Zohra è una delle tante di schiavitù e violenza, storie che non vorremmo mai sentire ma che sono ovunque, spesso neanche troppo lontane dalle nostre comode case. Storie di innocenti derubati della propria innocenza e poi uccisi senza pietà:
Ridesti vedendoli alzarsi nel cielo
e dopo ti alzasti nel cielo anche tu
sospinta da calci, da schiaffi e da sputi.


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Francesco Abate

martedì 5 dicembre 2023

CONTRO LA SINISTRA NEOLIBERALE DI SAHRA WAGENKNECHT

 

Sahra Wagenknecht è deputata del Bundestag, il Parlamento federale tedesco, dal 2009 col partito di sinistra Die Linke, del quale è stata vicepresidente dal 2010 al 2014. Nel 2022 ha dato alle stampe il saggio Contro la sinistra neoliberale, un libro che possiamo definire una lucida e amara riflessione sullo stato in cui versa la sinistra europea. Da tempo sentiamo dire che questa è l'epoca delle destre, vista la marea nera che sta risalendo in quasi tutti i paesi del mondo, e bisogna ammettere che questo nasce più per demerito di quelle forze che storicamente dovrebbero portare avanti le istanze delle classi più disagiate, le forze di sinistra, che per meriti dei partiti reazionari che avanzano; a questo dato di fatto che molti vedono e segnalano, non si affianca però quasi mai una visione lucida della situazione, che è proprio ciò che l'autrice ci offre.
Il problema per l'onorevole Wagenknecht è che la sinistra non dedica più le sue attenzioni ai problemi delle classi più disagiate, abbandonando a sé stesse tante persone che annaspano in questo sistema economico iniquo. L'ideale di sinistra tra la gente vive ancora, ma a livello politico ha preso il sopravvento il "liberalismo di sinistra", una pseudo-ideologia che asseconda la sinistra alla moda delle classi sociali più agiate, principalmente il ceto medio laureato, e che si concentra tutta sulla tutela delle minoranze e della libera circolazione, senza però preoccuparsi che le sue battaglie avvantaggiano solo quell'esigua parte delle minoranze proveniente da famiglie benestanti. Per fare un esempio, negli ultimi anni grazie alle battaglie della sinistra è aumentato l'accesso delle donne ai vertici della politica e delle aziende, però quasi mai ad emergere sono state persone venute dal basso, questo perché la mancata attenzione della sinistra alle classi deboli ha portato alla sparizione dell'ascensore sociale, perciò solo chi nasce nella fascia alta della popolazione può ambire a posizioni di vertice. Il liberalismo di sinistra, così come la sinistra alla moda da cui trae i consensi, oltre ad essere sordo alle richieste di maggiore giustizia sociale è anche arrogante, perché bolla come ignorante o di destra chiunque osi mettere in dubbio i suoi dogmi. L'arroganza e la cecità del liberalismo di sinistra, quindi di tutta la sinistra parlamentare europea, porta la gente a gettarsi tra le promesse palesemente farlocche della destra, regalando a questa il concime che le permette di crescere e creando la pericolosa premessa per la diffusione di quegli ideali totalitari e reazionari che meno di un secolo fa hanno gettato l'Europa nella sua epoca più buia.

Contro la sinistra neoliberale non è solo una critica alla sinistra attuale, ma offre anche quelli che per l'autrice sono i cambiamenti che le classi dirigenti dei partiti di sinistra dovrebbero operare. 
La sinistra negli ultimi anni, sulla scia della moda, ha abbracciato in modo entusiasta e acritico il progressismo e la globalizzazione, aprendo la strada allo sviluppo di un sistema economico sempre più iniquo e insostenibile. In parte dovrebbe tornare tradizionalista, dice l'autrice, nel senso che dovrebbe recuperare i valori tradizionali di comunità e coesione sociale, senza i quali una società si disgrega e resta indifesa alla mercé dei capitalisti. Dovrebbe inoltre essere abbandonata l'idea della debolezza degli stati nazionali anzi, secondo Wagenknecht bisognerebbe depotenziare gli organismi sovranazionali come l'UE (che attualmente è governata da burocrati al soldo delle lobby economiche) per riportare la centralità del potere nelle singole nazioni, le quali hanno il potere e i mezzi necessari a combattere il mercato globale e le sue degenerazioni.
Il saggio offre anche una visione dell'immigrazione molto diversa rispetto a quella tipica della sinistra europea attuale. Si deve smettere con la propaganda dell'immigrazione illimitata come valore positivo, in quanto proprio l'alto flusso di immigrati in Europa ha tolto potere contrattuale alla classe operaia e ai lavoratori non specializzati, invadendo il mercato con manodopera a basso costo.
Anche l'approccio al problema del clima è sbagliato secondo l'autrice. Non serve chiedere alla gente di cambiare il proprio stile di vita, o imporlo attraverso l'aumento del prezzo di determinati beni (azione iniqua, perché danneggia solo chi ha bisogno del bene e ha un basso reddito, non intaccando chi ha ampie disponibilità economiche e il bene lo usa per sfizio); la sinistra dovrebbe invece combattere contro la logica economica che genera produzioni iper-intensive finalizzate alla creazione di beni a basso costo, inoltre dovrebbe battersi contro la globalizzazione che produce un traffico mondiale di merci il cui risultato è l'emissione abnorme di gas serra nell'atmosfera.

Leggendo le pagine di questo saggio, è difficile non essere d'accordo con Sahra Wagenknecht e con la sua visione dell'attuale crisi della sinistra. Se però la sua analisi del problema è condivisibile quasi in toto, sulle soluzioni ha una visione un po' troppo parziale e ragiona più da politico che da filosofo o sociologo.
Riesce difficile contraddire il pensiero dell'autrice sulla sinistra alla moda e sul liberalismo di sinistra, perché è sotto gli occhi di tutti come oggi le sinistre parlamentari vivano in una bolla del tutto scollegata dal mondo reale, così come è percepito chiaramente come i dibattiti sul lavoro giusto e sui diritti dei consumatori siano quasi del tutto spariti dal dibattito politico lasciando il posto a questioni più alla moda e meno divisive. 
A non convincere del tutto sono le soluzioni che offre ai vari problemi che oggi affliggono il mondo, che nascono a mio modo di vedere da una visione dei problemi un po' troppo parziale e forse un po' troppo legata a una società che oggi non esiste più. 
Per quanto concerne il ritorno ai valori di comunità ed alla coesione sociale, l'autrice auspica una sinistra più conservatrice. Se però è vero che non si può accettare la totale disgregazione delle comunità e la riduzione delle società in semplici aggregati di unità, non si può nemmeno negare che i valori di comunità e coesione sociale sono spesso estremizzati al punto di annullare le individualità, al fine di ridurre le persone a semplici ingranaggi di un sistema, come ad esempio accade quando i governi legiferano su questioni che riguardano la sfera intima o ideologica dell'individuo. Chi detiene il potere ha provato, e prova ancora oggi, a governare le persone annullandone l'identità e spingendole verso un ideale di "uomo retto" che altri non è che l'uomo uniformato ai dettami del comandante. Oggi da tutte le parti si leva la ferma condanna dell'individualismo dilagante, e ad essa si associa l'autrice prima di proporre il ritorno alla comunità ed alla coesione sociale, ma nessuno pensa che questo sia una reazione al tentativo del potere di disumanizzare l'individuo per renderlo solo la parte di un insieme. Come per tutte le cose, la risposta è nell'equilibrio: di certo non si può accettare una società fatta di unità ognuna concentrata solo su sé stessa, ma allo stesso tempo si deve promuovere una comunità che ospiti al suo interno persone uniche e irripetibili, le quali siano in condizione di cercare la propria felicità. La sinistra perciò non deve essere conservatrice, deve essere progressista, ricordando però che progredire non significa per forza distruggere tutto ciò che è stato creato.
Anche sulla forza degli stati nazionali l'autrice non mi trova d'accordo. Oggi il capitale si muove al di sopra delle nazioni e dei confini, pensare di arginarlo attraverso leggi dal valore limitato ai confini di una nazione è semplicemente folle. Di sicuro le sinistre mondiali devono trovare il modo di limitare il fenomeno della globalizzazione, ma vista la necessità che c'è di libera circolazione delle merci (perché non possono esistere nazioni autosufficienti) si capisce che bloccarla del tutto è impossibile. D'altronde ha poco fondamento anche la visione negativa dell'UE che ha l'autrice; se è vero che oggi è malgovernata da burocrati al servizio delle lobby, è pur vero che non sempre ciò che non funziona va distrutto, spesso si deve solo migliorare. La sinistra perciò dovrebbe smettere di vedere nell'UE la perfezione e pensare seriamente a riformarla, ad avvicinarne il governo alle classi sociali più deboli, ma depotenziarla più del dovuto sarebbe un errore, e dovrebbe essere facile capirlo vista l'attuale situazione internazionale (pensate ai paesi europei divisi e messi in mezzo agli USA da un lato ed alla Cina dall'altro).
Su immigrazione e clima sono sostanzialmente d'accordo con l'autrice, anche se nel valutare i danni dell'immigrazione commette l'errore di confondere il fenomeno con una conseguenza generata dallo sfruttamento economico. Non è colpa degli immigrati se il potere contrattuale delle classi lavoratrici è calato, ma è colpa di chi ne sfrutta la disperazione. La sinistra perciò non dovrebbe battersi per frenare i flussi migratori, dovrebbe lavorare a livello globale affinché non ci siano più nel mondo paesi da cui fuggire per sopravvivere (e questo non si ottiene finanziando governi corrotti con ridicoli accordi, come si sta facendo negli ultimi anni), e contemporaneamente creare degli strumenti che impediscano di pagare il lavoro meno di un valore dignitoso. Sul clima poi, se è vero che non si può far pesare il riscaldamento globale sulle classi sociali più deboli, penalizzandole con aumenti dei prezzi di beni inquinanti di cui comunque hanno bisogno (come la macchina vecchia e scassata del lavoratore precario), non si può pensare di risolvere il problema senza cambiare almeno un po' tutti le abitudini di consumo, perché senza porre fine al consumismo sfrenato di questi ultimi anni sarà impossibile fermare la produzione del superfluo.

Francesco Abate