mercoledì 27 dicembre 2023

INFERNO FINALISTA AL CONTROPREMIO CARVER

 

Il 2023 continua a riservarmi piacevoli sorprese. Ho il piacere di annunciarvi che la mia raccolta di poesie, Inferno, è stata inserita tra i finalisti del Contropremio Carver.

Ho ancora vive nel cuore le emozioni della premiazione di Siena e già all'orizzonte si profila questa nuova avventura.

Grazie e buone letture.

Francesco Abate

giovedì 14 dicembre 2023

COMMENTO AL CANTO "BRUTO MINORE" DI GIACOMO LEOPARDI

 

Bruto Minore è un canto composto da Giacomo Leopardi nel dicembre del 1821 e pubblicato per la prima volta nelle Canzoni del 1824.
Composto da otto strofe, ciascuna di quindici versi sciolti, endecasillabi e settenari, insieme all'Ultimo canto di Saffo è una delle due "canzoni del suicidio", cioè quelle poesie in cui l'atto di togliersi la vita viene visto dal poeta come un'estrema e nobile manifestazione di un animo teso a grandi ideali che viene deluso dalla realtà del mondo.
Protagonista di questo canto è Bruto, uno degli assassini di Giulio Cesare, il quale, sconfitto a Filippi nel 42 a.C. da Antonio e Ottaviano, rinnega la "stolta virtù", accusa gli dèi di essere indifferenti ai casi dell'uomo e rifiuta ogni illusione di immortalità o di eternità nella memoria degli uomini.

Nella prima strofa troviamo Bruto che, sconfitto, decide di togliersi la vita ("...sudato, e molle di fraterno sangue, / Bruto per l'atra notte in erma sede, / fermo già di morir, gl'inesorandi / numi e l'averno accusa, / e di feroci note / invan la sonnolenta aura percote"). 
Bruto quindi ha già deciso di morire, prima di farlo però pronuncia un discorso contro le divinità e scuote la notte di parole dure (feroci note), che però non gli frutteranno né consolazione né l'eternità (invan la sonnolenta aura percote).
In questa prima strofa quindi è già introdotto, insieme al personaggio, quello che è il tema del canto: l'invettiva contro gli dèi e l'indifferenza della natura nei confronti degli eventi umani (infatti la notte è sonnolenta nonostante la sofferenza del nobile Bruto e il destino della grande Roma).
In questi versi si evidenzia come per Leopardi con la morte di Bruto finisce l'era eroica del mondo antico ed inizia la decadenza di Roma ("...giacque ruina immensa / l'italica virtute, onde alle valli / d'Esperia verde, al tiberino lido, / il calpestio de' barbari cavalli / prepara il fato ...").

Nella terza strofa l'autore segnala come i deboli si abituino a subire le proprie sventure senza combattere ("Preme il destino invitto e la ferrata / necessità gl'infermi / schiavi di morte: e se a cessar non vale / gli oltraggi lor, de' necessarii danni / si consola il plebeo..."). Questo non vale però per il prode, che al destino avverso muove guerra mortale, eterna perché non è abituato a cedere (di cedere inesperto), e quando viene sconfitto dal Fato non esita a togliersi la vita ("...quando nell'altro lato / l'amaro ferro intride, / e maligno alle nere ombre sorride"). 
Troviamo in questa strofa l'eroicità del suicidio, un'alternativa alla passiva accettazione di un destino avverso. Questo concetto viene enunciato dal poeta anche nello Zibaldone, ma col passare degli anni la visione eroica del suicidio in lui scemerà.

Nella quarta strofa Bruto si rivolge con durezza agli dèi, ai quali Spiace ... chi violento irrompe nel Tartaro. Gli dèi non tollerano che un uomo si tolga la vita, ma questa condanna nasce dalla loro viltà, infatti Bruto non esita a dichiarare che il coraggio del suicidio non c'è ne' molli eterni petti.
Nella strofa successiva Bruto dichiara fortunati gli animali, ai quali è concesso di morire serenamente in vecchiaia o comunque non sono condannati quando decidono di morire ("... Ma se spezzar la fronte / ne' rudi tronchi, o da montano sasso / dare al vento precipiti le membra, / lor suadesse affanno; / al misero desio nulla contesa / legge arcana farebbe"); solo agli uomini, figli di Prometeo, è vietato uccidersi quando la vita diventa avversa.

Nella sesta e settima strofa Bruto passa alla contemplazione della natura, che placida sovrasta le umane miserie senza mostrare né interesse né partecipazione. Si rivolge in particolare alla Luna, chiedendole come possa essere così tranquilla mentre si aprono le porte della rovina di Roma antica: "Cognati petti il vincitor calpesta, / fremono i poggi, dalle somme vette / Roma antica ruina; / tu sì placida sei?"

Nell'ultima strofa, Bruto non invoca gli dèi ("Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi / regi, o la terra indegna, / e non la notte moribondo appello"; in queste strofe anche terra e notte rappresentano due divinità) e nemmeno si affida alla memoria dei posteri, perché la memoria di un'anima prode non può affidarsi a putridi nepoti
Negli ultimi versi Bruto si limita a chiedere alla natura di disfare il suo corpo e al vento di disperdere la sua memoria ed il suo nome: "... A me dintorno / le penne il bruno augello avido roti; / prema la fera, e il nembo / tratti l'ignota spoglia; / e l'aura il nome e la memoria accoglia").

Francesco Abate

domenica 10 dicembre 2023

LA LETTERA SCARLATTA DI NATHANIEL HAWTHORNE

 

Pubblicato nel 1850, La lettera scarlatta è il romanzo più importante dello scrittore statunitense Nathaniel Hawthorne.
Non sorprende come quest'opera, sebbene scritta più di centocinquanta anni fa, oggi risulti ancora così moderna e abbia ispirato in tempi recenti diversi adattamenti cinematografici, il più recente dei quali risale al 1995, diretto da Roland Joffé e con protagonista Demi Moore. Al di là infatti delle indiscutibili qualità stilistiche e dello straordinario lavoro di costruzione della psicologia dei personaggi, il romanzo si segnala per i suoi temi che restano attuali ancora oggi.
La lettera scarlatta è la storia di Ester Prynne, cittadina della Boston costruita e abitata dai puritani da poco giunti nel Nuovo Mondo dall'Inghilterra, la quale commette un adulterio ed è condannata a portare cucita sul vestito un'enorme A scarlatta, a testimonianza della sua colpa. Quella di Ester non è però una semplice storia di peccato e redenzione, è prima di tutto la storia di una società ipocrita e sessista che per un peccato commesso in due mostra una maggiore severità nei confronti della donna. Lei personalmente non subisce questa ingiustizia, ma solo perché non rivela il nome dell'uomo con cui ha compiuto il peccato; nelle sue riflessioni però viene fuori una visione nitida e razionale della condizione di svantaggio delle donne nelle società fondate sulla regola religiosa. C'è anche una luce gettata sulla crudeltà di questo tipo di società, le quali fondano le proprie leggi su una religione che predica il perdono, eppure non esitano a giudicare ed umiliare una persona che ha avuto la sola colpa di cedere ai richiami della carne.
Questo non è solo un romanzo di denuncia morale e sociale, è anche un romanzo di redenzione. Ester affronta infatti la propria pena a testa alta, ma è cosciente del peccato commesso, ha paura della dannazione eterna e non manca di chiedere perdono a Dio, sebbene mostri di non essere realmente pentita del suo peccato quando pianifica di tornare in Inghilterra col suo amante per salvarlo dalla crudele vendetta del marito. Il processo di redenzione si delinea nettamente attraverso l'amante di lei che, venerato uomo di chiesa, riesce a vincere vergogna e paura ed a rivelare il proprio peccato subito prima di morire, liberandosi dal senso di colpa che l'ha consumato negli anni e salvandosi dalla persecuzione psicologica messa in atto dal marito di Ester. Nella scena della redenzione del pastore viene mostrata la vicinanza dell'anima apparentemente pura a quella riconosciuta come peccatrice, si rivelano infatti unite dallo stesso peccato la persona più santa della comunità con quella più derelitta; il pastore quindi chiede perdono per il proprio peccato e allo stesso tempo insegna alla sua comunità che l'uomo non può arrogarsi il diritto di giudicare i santi e i peccatori.
A proposito del peccato, che è il punto centrale attorno al quale ruota l'intera vicenda, in questo romanzo, così come nel racconto La sepoltura di Roger Malvin, Hawthorne mostra come possa consumare una persona se nascosto nel fondo dell'anima. Ester Prynne non può nascondere l'adulterio commesso essendo rimasta incinta, subisce quindi le umiliazioni che le infligge la società, ma riesce a condurre la propria esistenza, ad espiare e conservare la propria dignità; il suo amante segreto invece si consuma fino alla morte, salvando la propria anima solo nel momento estremo, quando capisce di doversi liberare dal fardello che porta nel cuore. Hawthorne mostra come l'ammissione del peccato sia una condizione essenziale per la salvezza; conservando il segreto si può sperare di mantenere una rispettabilità di facciata, ma vergogna e senso di colpa finiscono per consumare l'anima come il fuoco la candela.
Credo che l'attenzione ancora oggi riservata a La lettera scarlatta sia dovuta soprattutto alla visione della persecuzione morale nei confronti della donna peccatrice, che assumeva allora e assume a volte oggi i contorni di una vera e propria persecuzione, e al tema del trattamento diverso in base al sesso nella formulazione dei giudizi morali. In questo romanzo però non dobbiamo sottovalutare il tema del peccato perché, liberandolo dal suo significato prettamente religioso, quindi parlando di colpa e non di peccato, capiremmo quanto anche questo sia attuale, perché l'autore ci mostra come i segreti uccidano più delle cattive azioni commesse.

Francesco Abate

ZOHRA E I PAPPAGALLINI

 

Li vedevi chiusi nella gabbia
come te, schiava nella casa
in cui eri stata gettata da false promesse.
Questo è l'incipit di Zohra e i pappagallini, una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
A ispirare questo componimento è stata l'uccisione in Pakistan della piccola Zohra Shah, bambina di 8 anni tenuta come schiava domestica da una coppia benestante che l'aveva sottratta alla famiglia d'origine con la promessa di un'istruzione in cambio del lavoro domestico. La coppia non ha mai fatto frequentare la scuola alla piccola Zohra, l'ha ridotta in schiavitù e sottoposta a violenze fisiche e sessuali, finché un giorno la piccola ha commesso l'errore di far fuggire due pappagallini dalla gabbia in cui erano rinchiusi. La coppia, che con l'inganno le aveva rubato libertà e dignità, decise di rubarle anche la vita.
La condizione di prigionia di Zohra non era così diversa da quella dei pappagallini, perciò mi è piaciuto immaginare che lei, immedesimandosi col loro dolore, li abbia lasciati fuggire di proposito ("Li vedevi chiusi nella gabbia, / piccoli pappagalli colorati / e indifesi come te, piccolo angioletto").
La storia di Zohra è una delle tante di schiavitù e violenza, storie che non vorremmo mai sentire ma che sono ovunque, spesso neanche troppo lontane dalle nostre comode case. Storie di innocenti derubati della propria innocenza e poi uccisi senza pietà:
Ridesti vedendoli alzarsi nel cielo
e dopo ti alzasti nel cielo anche tu
sospinta da calci, da schiaffi e da sputi.


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Francesco Abate

martedì 5 dicembre 2023

CONTRO LA SINISTRA NEOLIBERALE DI SAHRA WAGENKNECHT

 

Sahra Wagenknecht è deputata del Bundestag, il Parlamento federale tedesco, dal 2009 col partito di sinistra Die Linke, del quale è stata vicepresidente dal 2010 al 2014. Nel 2022 ha dato alle stampe il saggio Contro la sinistra neoliberale, un libro che possiamo definire una lucida e amara riflessione sullo stato in cui versa la sinistra europea. Da tempo sentiamo dire che questa è l'epoca delle destre, vista la marea nera che sta risalendo in quasi tutti i paesi del mondo, e bisogna ammettere che questo nasce più per demerito di quelle forze che storicamente dovrebbero portare avanti le istanze delle classi più disagiate, le forze di sinistra, che per meriti dei partiti reazionari che avanzano; a questo dato di fatto che molti vedono e segnalano, non si affianca però quasi mai una visione lucida della situazione, che è proprio ciò che l'autrice ci offre.
Il problema per l'onorevole Wagenknecht è che la sinistra non dedica più le sue attenzioni ai problemi delle classi più disagiate, abbandonando a sé stesse tante persone che annaspano in questo sistema economico iniquo. L'ideale di sinistra tra la gente vive ancora, ma a livello politico ha preso il sopravvento il "liberalismo di sinistra", una pseudo-ideologia che asseconda la sinistra alla moda delle classi sociali più agiate, principalmente il ceto medio laureato, e che si concentra tutta sulla tutela delle minoranze e della libera circolazione, senza però preoccuparsi che le sue battaglie avvantaggiano solo quell'esigua parte delle minoranze proveniente da famiglie benestanti. Per fare un esempio, negli ultimi anni grazie alle battaglie della sinistra è aumentato l'accesso delle donne ai vertici della politica e delle aziende, però quasi mai ad emergere sono state persone venute dal basso, questo perché la mancata attenzione della sinistra alle classi deboli ha portato alla sparizione dell'ascensore sociale, perciò solo chi nasce nella fascia alta della popolazione può ambire a posizioni di vertice. Il liberalismo di sinistra, così come la sinistra alla moda da cui trae i consensi, oltre ad essere sordo alle richieste di maggiore giustizia sociale è anche arrogante, perché bolla come ignorante o di destra chiunque osi mettere in dubbio i suoi dogmi. L'arroganza e la cecità del liberalismo di sinistra, quindi di tutta la sinistra parlamentare europea, porta la gente a gettarsi tra le promesse palesemente farlocche della destra, regalando a questa il concime che le permette di crescere e creando la pericolosa premessa per la diffusione di quegli ideali totalitari e reazionari che meno di un secolo fa hanno gettato l'Europa nella sua epoca più buia.

Contro la sinistra neoliberale non è solo una critica alla sinistra attuale, ma offre anche quelli che per l'autrice sono i cambiamenti che le classi dirigenti dei partiti di sinistra dovrebbero operare. 
La sinistra negli ultimi anni, sulla scia della moda, ha abbracciato in modo entusiasta e acritico il progressismo e la globalizzazione, aprendo la strada allo sviluppo di un sistema economico sempre più iniquo e insostenibile. In parte dovrebbe tornare tradizionalista, dice l'autrice, nel senso che dovrebbe recuperare i valori tradizionali di comunità e coesione sociale, senza i quali una società si disgrega e resta indifesa alla mercé dei capitalisti. Dovrebbe inoltre essere abbandonata l'idea della debolezza degli stati nazionali anzi, secondo Wagenknecht bisognerebbe depotenziare gli organismi sovranazionali come l'UE (che attualmente è governata da burocrati al soldo delle lobby economiche) per riportare la centralità del potere nelle singole nazioni, le quali hanno il potere e i mezzi necessari a combattere il mercato globale e le sue degenerazioni.
Il saggio offre anche una visione dell'immigrazione molto diversa rispetto a quella tipica della sinistra europea attuale. Si deve smettere con la propaganda dell'immigrazione illimitata come valore positivo, in quanto proprio l'alto flusso di immigrati in Europa ha tolto potere contrattuale alla classe operaia e ai lavoratori non specializzati, invadendo il mercato con manodopera a basso costo.
Anche l'approccio al problema del clima è sbagliato secondo l'autrice. Non serve chiedere alla gente di cambiare il proprio stile di vita, o imporlo attraverso l'aumento del prezzo di determinati beni (azione iniqua, perché danneggia solo chi ha bisogno del bene e ha un basso reddito, non intaccando chi ha ampie disponibilità economiche e il bene lo usa per sfizio); la sinistra dovrebbe invece combattere contro la logica economica che genera produzioni iper-intensive finalizzate alla creazione di beni a basso costo, inoltre dovrebbe battersi contro la globalizzazione che produce un traffico mondiale di merci il cui risultato è l'emissione abnorme di gas serra nell'atmosfera.

Leggendo le pagine di questo saggio, è difficile non essere d'accordo con Sahra Wagenknecht e con la sua visione dell'attuale crisi della sinistra. Se però la sua analisi del problema è condivisibile quasi in toto, sulle soluzioni ha una visione un po' troppo parziale e ragiona più da politico che da filosofo o sociologo.
Riesce difficile contraddire il pensiero dell'autrice sulla sinistra alla moda e sul liberalismo di sinistra, perché è sotto gli occhi di tutti come oggi le sinistre parlamentari vivano in una bolla del tutto scollegata dal mondo reale, così come è percepito chiaramente come i dibattiti sul lavoro giusto e sui diritti dei consumatori siano quasi del tutto spariti dal dibattito politico lasciando il posto a questioni più alla moda e meno divisive. 
A non convincere del tutto sono le soluzioni che offre ai vari problemi che oggi affliggono il mondo, che nascono a mio modo di vedere da una visione dei problemi un po' troppo parziale e forse un po' troppo legata a una società che oggi non esiste più. 
Per quanto concerne il ritorno ai valori di comunità ed alla coesione sociale, l'autrice auspica una sinistra più conservatrice. Se però è vero che non si può accettare la totale disgregazione delle comunità e la riduzione delle società in semplici aggregati di unità, non si può nemmeno negare che i valori di comunità e coesione sociale sono spesso estremizzati al punto di annullare le individualità, al fine di ridurre le persone a semplici ingranaggi di un sistema, come ad esempio accade quando i governi legiferano su questioni che riguardano la sfera intima o ideologica dell'individuo. Chi detiene il potere ha provato, e prova ancora oggi, a governare le persone annullandone l'identità e spingendole verso un ideale di "uomo retto" che altri non è che l'uomo uniformato ai dettami del comandante. Oggi da tutte le parti si leva la ferma condanna dell'individualismo dilagante, e ad essa si associa l'autrice prima di proporre il ritorno alla comunità ed alla coesione sociale, ma nessuno pensa che questo sia una reazione al tentativo del potere di disumanizzare l'individuo per renderlo solo la parte di un insieme. Come per tutte le cose, la risposta è nell'equilibrio: di certo non si può accettare una società fatta di unità ognuna concentrata solo su sé stessa, ma allo stesso tempo si deve promuovere una comunità che ospiti al suo interno persone uniche e irripetibili, le quali siano in condizione di cercare la propria felicità. La sinistra perciò non deve essere conservatrice, deve essere progressista, ricordando però che progredire non significa per forza distruggere tutto ciò che è stato creato.
Anche sulla forza degli stati nazionali l'autrice non mi trova d'accordo. Oggi il capitale si muove al di sopra delle nazioni e dei confini, pensare di arginarlo attraverso leggi dal valore limitato ai confini di una nazione è semplicemente folle. Di sicuro le sinistre mondiali devono trovare il modo di limitare il fenomeno della globalizzazione, ma vista la necessità che c'è di libera circolazione delle merci (perché non possono esistere nazioni autosufficienti) si capisce che bloccarla del tutto è impossibile. D'altronde ha poco fondamento anche la visione negativa dell'UE che ha l'autrice; se è vero che oggi è malgovernata da burocrati al servizio delle lobby, è pur vero che non sempre ciò che non funziona va distrutto, spesso si deve solo migliorare. La sinistra perciò dovrebbe smettere di vedere nell'UE la perfezione e pensare seriamente a riformarla, ad avvicinarne il governo alle classi sociali più deboli, ma depotenziarla più del dovuto sarebbe un errore, e dovrebbe essere facile capirlo vista l'attuale situazione internazionale (pensate ai paesi europei divisi e messi in mezzo agli USA da un lato ed alla Cina dall'altro).
Su immigrazione e clima sono sostanzialmente d'accordo con l'autrice, anche se nel valutare i danni dell'immigrazione commette l'errore di confondere il fenomeno con una conseguenza generata dallo sfruttamento economico. Non è colpa degli immigrati se il potere contrattuale delle classi lavoratrici è calato, ma è colpa di chi ne sfrutta la disperazione. La sinistra perciò non dovrebbe battersi per frenare i flussi migratori, dovrebbe lavorare a livello globale affinché non ci siano più nel mondo paesi da cui fuggire per sopravvivere (e questo non si ottiene finanziando governi corrotti con ridicoli accordi, come si sta facendo negli ultimi anni), e contemporaneamente creare degli strumenti che impediscano di pagare il lavoro meno di un valore dignitoso. Sul clima poi, se è vero che non si può far pesare il riscaldamento globale sulle classi sociali più deboli, penalizzandole con aumenti dei prezzi di beni inquinanti di cui comunque hanno bisogno (come la macchina vecchia e scassata del lavoratore precario), non si può pensare di risolvere il problema senza cambiare almeno un po' tutti le abitudini di consumo, perché senza porre fine al consumismo sfrenato di questi ultimi anni sarà impossibile fermare la produzione del superfluo.

Francesco Abate

mercoledì 29 novembre 2023

LIBIA

 

Libia è una poesia contenuta nella mia raccolta Inferno.
In questa poesia non canto il dramma di un solo popolo, ma quello dell'enorme massa umana che si sposta dalla propria casa alla ricerca di un mondo migliore nel nostro occidente sedicente civilizzato. La Libia è il punto in comune di buona parte dei viaggi della speranza di questa povera gente, perché molti di loro nel paese nordafricano vengono fermati a forza e stipati in centri di raccolta, i quali non sono altro che campi di concentramento in cui ai prigionieri sono riservate torture e umiliazioni di ogni genere.
Quello che succede in Libia, ma che in proporzioni diverse accade in tante altri parti del mondo, è la sconfitta dell'umanità; non sono bastate due guerre mondiali e le atrocità dei lager nazisti a insegnarci il rispetto dei diritti umani, continuiamo a commettere le stesse atrocità per mantenere in piedi un sistema economico perverso e iniquo. I lager libici esistono non perché quell'Occidente che si veste da protettore dei diritti umani non li vede, ma perché servono a tenere in piedi un accordo che quello stesso Occidente ha stipulato con la Libia.

La poesia è il canto di un migrante qualunque: "Scappai da fame, violenza e dolore, / traversai il deserto di fiamme e veleno, giunsi alla spiaggia della speranza". I sogni di questo poveretto si scontrano però con la crudeltà della Libia ("La Luna e la stella", immagini contenute nella bandiera libica), che come spesso accade maltratta e mette all'asta il migrante come fosse semplice merce di poco valore: "La Luna e la stella sono spietate, / mi rubano la vita per venderla / e avere i soldi per farsi la guerra; / quanti dinari per ogni mio urlo? / quanti dinari per questo mio sangue?"
Il migrante fugge attraverso il mare, incontrando l'indifferenza tanto di Malta quanto dell'Italia, che si rimbalzano le responsabilità mentre i barconi stracolmi affondano in mare: "Vennero pescatori dell'isola dei cavalieri / e risero della mia debolezza / ... / Vennero soldati dalla penisola dei falsi / e finsero di non potermi vedere".
Il finale di questa storia non è lieto, come spesso accade nel mondo reale: "Scappai da fame, violenza e dolore, / per trovare il freddo abbraccio d'un cielo / liquido, senza stelle e salato".


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Francesco Abate

martedì 21 novembre 2023

LA TOLLERANZA RELIGIOSA SECONDO IL FILOSOFO JOHN LOCKE

 

Il filosofo inglese John Locke dedicò molte energie al tema della tolleranza religiosa, che era scottante ai suoi tempi visti gli attriti tra anglicani e papisti e lo scisma causato dalla Riforma protestante. I suoi scritti però vanno letti non solo per comprendere un punto di vista circa la tolleranza delle confessioni religiose coesistenti in uno stato, ma possono essere estesi anche alla tolleranza delle opinioni diverse, quindi assimilati con un carattere più squisitamente politico ed etico, e diventare molto attuali anche per noi occidentali che, almeno sulla carta, dovremmo essere guariti dal cancro della repressione religiosa.
Onde evitare equivoci, inizio col chiarire che la tolleranza per Locke non era dovuta a tutte le confessioni religiose. Ci tengo a specificarlo perché oggi, nell'enfasi modernizzatrice e spinti dalle pressioni della cancel culture, si finisce spesso per attribuire a pensatori ed intellettuali del passato pensieri o aperture che non gli appartenevano; ogni autore va letto e compreso, poi va giudicato sempre in funzione dell'epoca e del contesto storico in cui è vissuto, perché nessun essere umano, per quanto eccelso, può essere mai un puntino totalmente staccato dal mondo in cui vive. Locke promuove la tolleranza religiosa per tutte quelle fedi che non tendono a sovvertire l'ordine costituito, mentre appoggia in pieno la repressione delle fedi sovversive. Molto interessante è il suo punto di vista circa la tolleranza nei confronti dei papisti: "I papisti non devono godere i benefici della tolleranza perché, dove essi hanno il potere, si ritengono in obbligo di rifiutarla agli altri. E' infatti irragionevole che abbia piena libertà di religione chi non riconosce come proprio principio che nessuno debba perseguitare o danneggiare un altro per il fatto che questo dissente da lui in fatto di religione". Questo che ho citato è un passaggio tratto dal Saggio sulla tolleranza, scritto da Locke nel 1667 e pubblicato dopo la sua morte. Il concetto che rappresenta è semplice: non può essere tollerato chi non tollera. Locke continua poi spiegando che lasciare che chi non tollera goda dei benefici della tolleranza significherebbe favorire chi vuole distruggere il governo. Questo passaggio lo trovo molto interessante perché, se tolto dal contesto religioso, può valere come regola generale della buona politica: non è bene tollerare chi non tollera, quindi i pensieri politici che predicano la repressione degli avversari (es. il fascismo) non sono da tollerare, così come le idee repressive in generale. Il pensiero di Locke, già di per sé moderno visto che in molte parti del mondo resistono le teocrazie, esteso all'ambito politico ed ideologico diventa di grande attualità anche per noi occidentali.
Sulla tolleranza religiosa Locke scrisse molto nel corso della propria vita. Oltre al saggio che ho già citato, scrisse anche quattro lettere. Secondo il filosofo le confessioni religiose vanno tollerate per quattro ragioni principali:
1) il magistrato (cioè colui che fa le leggi) deve legiferare solo su quello che può danneggiare la società o il governo, cosa che i culti non sovversivi non fanno;
2) l'imposizione della religione da professare porta ad una falsa adesione che non assicura la salvezza dell'anima, è perciò inutile, oltretutto può nutrire dei rancori che col tempo possono fermentare e portare ad una ribellione;
3) il magistrato non conosce la verità religiosa, non è in possesso della verità assoluta, quindi non può decidere dell'anima altrui;
4) imporre una confessione religiosa all'interno di una nazione giustificherebbe lo stesso comportamento in altre nazioni con altre religioni, aprendo così la strada a persecuzioni nei confronti dei correligionari del magistrato.
Molto interessante è il punto di vista di Locke sull'uso della violenza da parte del magistrato nei confronti delle persone di diversa religione. Le società politiche nascono dalla necessità degli uomini di sfuggire alla violenza del mondo, il magistrato usando la violenza contro un uomo priverebbe di senso l'esistenza dell'intera società perché infliggerebbe a qualcuno ciò da cui è fuggito quando si è sottomesso alle leggi. Scrive Locke nel Saggio sulla tolleranza: "se non vi fosse il timore della violenza, non ci sarebbe al mondo alcun governo, né alcun bisogno di esso". Il magistrato inoltre usando la violenza verrebbe meno al suo compito, che è quello di perseguire la sicurezza di tutti i cittadini, perché colpirebbe la sicurezza di alcuni al fine di avvantaggiare altri. Questo di Locke sulla violenza è un punto di vista molto interessante, a distanza di secoli dovrebbero leggerlo i nostri governanti, i quali non esitano a scatenare la violenza repressiva nei confronti di chi manifesta qualche tipo di dissenso, basti ricordare la recente repressione scatenata in Iran oppure, per restare in Italia, tornare alla mente al G8 di Genova del 2001; la repressione violenta del dissenso è ancora ampiamente utilizzata ovunque, perché il potere oggi accetta solo le proteste che giudica innocue.
Gli scritti sulla tolleranza di Locke dimostrano come il passare del tempo spesso non corrisponda a reali cambiamenti nel mondo. Nel Seicento i filosofi dibattevano tra le altre cose sulla la tolleranza e sull'uso della violenza istituzionalizzata; a distanza di circa quattro secoli questi temi sono ancora attuali, sono infatti cambiati i destinatari dell'intolleranza ma il sentimento è sempre vivo e ben nutrito. L'attualità del pensiero di Locke che ho illustrato sopra non nasce solo dalla straordinaria lucidità del pensatore, ma anche dall'immobilismo culturale delle nostre società che, benché passino gli anni e corra l'evoluzione tecnologica, continuano a perseverare negli stessi errori al fine di conservare il possesso di un potere che, sebbene malato, sembra non stancare mai.

Francesco Abate

martedì 14 novembre 2023

LA STRAGE DEGLI INNOCENTI

 

In questa foto vediamo un gruppo di pericolosi terroristi di Hamas colpiti dai bombardamenti israeliani.
Lasciando da parte l'ironia, quello che Israele sta facendo in Palestina in questo momento è così crudele e disumano da risultare poco digeribile perfino per nostri media, storicamente filo-americani e di conseguenza filo-sionisti. Credo sia difficile contestare che, per quanto crudele possa essere un attacco terroristico, non può giustificare la distruzione di un'intera comunità, così come dovrebbe essere facile capire che Hamas non è l'intera Palestina e che i palestinesi spesso sono spinti tra le braccia dei terroristi proprio dalle crudeltà israeliane.
Quello che poco si dice, ma che è importante per capire a fondo quanto atroce sia l'azione israeliana in Palestina, è cosa accadeva immediatamente prima dell'attacco di Hamas e della conseguente, sproporzionata, reazione israeliana. Sin dalle ultime elezioni israeliane, che hanno permesso a Netanyahu di formare un governo con l'estrema destra del paese, i sionisti hanno provocato la reazione palestinese con il costante vilipendio dei loro luoghi sacri, con aggressioni ed arresti arbitrari. Non che lo stato di cose fosse così nuovo, Israele sin da quando ha invaso il territorio palestinese e ha iniziato a rubarlo si comporta con prepotenza, ma negli ultimi mesi si era chiaramente manifestata da parte dei governanti israeliani la volontà di provocare una reazione.
Sin dal 1946 Israele occupa abusivamente il territorio palestinese, lo depreda, rinchiude i palestinesi in aree sempre più ristrette e contro di loro usa ogni sorta di prepotenza. Con le dovute proporzioni, quello che Israele sta facendo ai palestinesi ricorda molto ciò che gli statunitensi fecero ai nativi americani. Essere contro Israele non significa essere antisemiti, questo è un giochetto vittimistico che i sionisti e i loro complici usano per colpevolizzare l'intera opinione pubblica a loro contraria; essere contro Israele significa essere contro un gruppo di invasori che ha occupato e sta devastando un territorio, il tutto con la complicità della comunità internazionale. 
Detto questo, è importante leggere il momento storico attuale. Dietro un gioco politico crudele che va avanti da decenni, e che forse ha subito una brusca accelerazione per via della guerra in Ucraina (il sospetto che ci sia lo zampino della Russia non può essere ignorato), non dobbiamo commettere l'errore di sventolare le bandiere e fare il tifo. In questo momento sotto le bombe ci sono uomini, donne e bambini che stanno morendo, persone a cui viene negato il diritto all'esistenza perché nate sotto la bandiera sbagliata. Chiunque non si scaglia con decisione contro tale abominio è complice, non creda l'Onu che basti qualche smozzicata dichiarazione per pulirsi la coscienza; chi rivolge la propria rabbia contro persone che non c'entrano niente e hanno la sola colpa di essere ebrei, cogliendo l'occasione per sfogare odi che hanno ben altre poco nobili radici, è altrettanto colpevole. 
Cerchiamo per una volta di essere razionali: lo stato di Israele è colpevole e va fermato, la Palestina è vittima e va liberata. Tutto il resto sono chiacchiere.

Francesco Abate

IL CAVALIERE DELL'EST

 

Il cavaliere dell'est è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
In questa poesia parlo delle nobili gesta di un vero cavaliere; non della leggenda di un personaggio inventato e nemmeno delle storie su un uomo ricco che ha comprato il rispetto, ma la storia vera di un uomo semplice che ha sacrificato la propria vita per aiutare il prossimo ("Non la spada affilata avevi dell'eroe / e non un bianco destriero cavalcavi, / ma la Natura è una maga crudele / e ti maledisse col più perfido dei doni: / la forza di non chiudere gli occhi").
La poesia è ispirata alla storia di Adnan Siddique, un uomo che dal Pakistan era emigrato in Italia e, come ho scritto nei versi citati sopra, aveva il peggiore dei doni: la forza di non far finta di niente davanti alle ingiustizie. Adnan tentò di aiutare alcuni suoi connazionali costretti a fare i braccianti a cui i caporali rubavano la metà dello stipendio, addirittura convinse uno di loro a sporgere denuncia ("Guardasti negli occhi il demone / che seviziava i tuoi fratelli dell'est..."). La storia di Adnan, come buona parte delle storie vere che riguardano gli eroi, non ha un lieto fine: fu aggredito in casa e ucciso a coltellate ("Non so quante volte il coltello / stracciò la sua morbida carne / e non contai quante gocce di sangue / sporcarono la strada in cui il mostro / attaccò alle spalle il nostro eroe").
Come purtroppo accade spesso alle tristi storie dei migranti, la vicenda di Adnan ebbe una forte eco mediatica all'inizio, scatenando le chiacchiere dei politici che per i propri sporchi fini alimentano il sistema che l'ha ucciso, per poi finire subito dopo sommersa dal silenzio complice nostro e della nostra classe dirigente:
Adnan è morto. L'eroe è caduto.
Tacciono le sue parole di fuoco
e lasciano il posto all'aria vuota
sputata dai polmoni pigri e vili
di codardi che indossano la cravatta.

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Francesco Abate

mercoledì 8 novembre 2023

MEMORIE DEL SOTTOSUOLO DI FEDOR DOSTOEVSKIJ

 

Memorie del sottosuolo è un romanzo breve pubblicato a puntate dallo scrittore russo Fedor Dostoevskij nel 1864.
L'opera è la prima in cui l'autore presenta uno studio dell'abiezione umana ed è per questo considerata antesignana dei suoi più grandi capolavori come Delitto e castigo I fratelli Karamazov.
Il romanzo altro non è che una raccolta delle memorie del protagonista e si divide in due parti: ne Il sottosuolo chi scrive rende partecipe il lettore delle proprie teorie sul sottosuolo e sull'animo umano, poi ne A proposito della neve bagnata ci descrive la sua storia di abiezione e di scelta del dolore.
Il protagonista di questa storia è infatti una sorta di autolesionista, un uomo che esercita la propria volontà facendosi del male, assumendo una serie di comportamenti utili solo ad acuire il proprio disagio spirituale. A scrivere è un uomo che si sente respinto dalla società, inferiore a tutti, e che con ogni sua azione non fa che scivolare sempre più in basso, rannicchiandosi come un animale nel proprio sottosuolo. Alla fine prova a cercare consolazione nell'abiezione massima; comincia a tormentare una persona che sente inferiore a lui, una giovane prostituta alle prime armi, ma anche questo comportamento disgustoso finisce solo per farlo stare peggio.
Memorie del sottosuolo è di certo influenzato dall'esistenza molto tribolata del suo autore. Nel 1849 Dostoevskij fu condannato a morte perché parte di un gruppo socialista ispirato dalle idee del filosofo Fourier, la pena gli fu poi commutata sul patibolo e fu costretto al confinio in Siberia. Prigioniero, morì nello scrittore l'idea dell'uomo che, in condizioni ideali, riesce ad autodeterminarsi per perseguire il bene, e nacque invece l'ossessione per il sottosuolo, cioè per lo stato dell'animo umano che rinnega gli alti ideali e si rannicchia nella miseria morale. Memorie del sottosuolo in fondo è questo, una lezione in cui l'autore, citando l'esempio del protagonista dell'opera, spiega come esercitando la propria libera volontà l'uomo possa scegliere il proprio male, come quindi ci sia una differenza abissale tra gli alti ideali della società del tempo e la vita reale, come gli uomini eroici plasmati dai letterati e dai filosofi non esistano perché "...tutti zoppichiamo, chi più e chi meno".
Per quanto mi riguarda, Memorie del sottosuolo non è l'opera migliore di Dostoevskij, o almeno è quella che appassiona meno e che si fa leggere meno volentieri. Credo sia però importante approcciare a questo romanzo per capire a fondo la poetica dello scrittore russo, in fondo le sue grandi opere immortali sono figlie di questo romanzo breve.

Francesco Abate

domenica 5 novembre 2023

RUANDA

 

Ruanda è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
Nei versi di questo componimento faccio riferimento al genocidio che insanguinò il paese africano nel 1994 e che causò circa 800.000 morti. Ad essere perseguitati furono i ruandesi del gruppo etnico dei Tutsi, uccisi a colpi di machete e mazze chiodate dai concittadini Hutu. Il genocidio fu l'episodio culminante di un odio razziale introdotto dai colonizzatori belgi a partire dagli anni Venti del Novecento; prima di allora i due gruppi etnici vivevano concordi e non erano rari anche i matrimoni misti. L'odio razziale introdotto dal colonizzatore belga negli anni fu inasprito dalla lotta per il potere, e il culmine si ebbe nel 1994 quando gli Hutu, attraverso due gruppi paramilitari, iniziarono una crudele e inesorabile operazione di sterminio dei Tutsi.
Nella poesia chi parla, che si deduce appartenere al gruppo dei Tutsi, si chiede: "Perché mio fratello non mi è più fratello? / Perché la carezza è diventata un machete?"
Il protagonista fugge, ma è consapevole che "qualcuno tanto veloce non fuggirà" e per questo cadrà vittima della furia Hutu. La poesia si conclude con un verso carico di dolore: "e di sangue straripò il Kagerà". Kagera è il fiume che delimita il confine tra Tanzania e Ruanda; nella poesia accento l'ultima lettera del suo nome per creare un'assonanza con il verso precedente e dare un po' più di musicalità.


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Francesco Abate


giovedì 19 ottobre 2023

RACCONTI DI PIETROBURGO DI NIKOLAJ GOGOL'

 

Racconti di Pietroburgo è una raccolta di racconti dello scrittore russo Nikolaj Gogol' pubblicata dopo la sua morte, precisamente nel 1842.
Al centro dei cinque racconti che compongono l'opera c'è la città di Pietroburgo, un gigantesco mosaico di esistenze che vivono e si muovono a stretto contatto, pur essendo ognuna sola a modo proprio. La Pietroburgo di Gogol' è infatti lo specchio di una società super burocraticizzata e bloccata, dove ogni esistenza si svolge entro rigide regole sociali e dove ognuna è consumata dall'invidia del superiore, la figura arrogante le cui pecche sono ben manifeste e di cui pare quindi giusto sognare di prendere il posto.
Tutti i borghesi dei Racconti di Pietroburgo sono persone mediocri, persi tutti nel sogno di essere nobili ma in fondo consapevoli di essere dei numeri in una struttura bloccata e disumana. Ciascuno dei protagonisti a un certo punto vive un evento straordinario, in genere un avvenimento che sembra sul punto di farlo salire di livello nella scala sociale, poi però finisce per cadere rovinosamente e ritrovarsi peggio di prima.
La vera protagonista dei racconti è perciò la società russa, piena di ipocrisia, in cui senza vergogna si manifestano di continuo l'arroganza delle classi più alte e il servilismo dei funzionari più semplici; un mondo di persone mediocri che vivono della carica che ricoprono, in essa si identificano nel bene e nel male, e come unica aspirazione hanno la crescita sociale, una crescita che non vuol dire miglioramento ma solo possibilità di essere prepotenti con quelli che un tempo erano pari o superiori.
Racconti di Pietroburgo è la fotografia impietosa di una società impantanata nella propria inutilità e nella propria miseria morale, che non è capace di crescere, i cui membri sono tutti proiettati in una scalata sociale che il più delle volte si rivela impossibile. Gogol' con sguardo severo e indagatore scava nelle vite di uomini qualunque, mostrando come vadano sprecate dietro mediocri sogni di rivincita, come anche i pochi sprazzi di genialità vadano buttati al vento nella corsa ad una vita più lussuosa. Si tratta di un libro che vale la pena di leggere perché ci mostra un mondo che in fin dei conti non è tanto diverso dal nostro, in fondo anche noi oggi siamo soli pur essendo sempre immersi tra la gente e sprechiamo la vita inseguendo il benessere economico; come sempre, la grande letteratura vola al di sopra delle epoche.

Francesco Abate

martedì 10 ottobre 2023

ARIA

 

Aria è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
Questo componimento è dedicato a George Floyd, cittadino statunitense la cui uccisione scatenò le rivolte del Black Lives Matter.
L'uccisione di Floyd colpisce per tante ragioni. Prima di tutto è inammissibile che la polizia abusi dei propri poteri per commettere una prepotenza (in questo caso l'estrema prepotenza dell'omicidio) contro un cittadino inerme. A colpire è poi l'accusa ridicola che ha portato alla morte del povero George, sospettato dal commesso di un negozio di aver usato una banconota da venti dollari falsa. C'è poi l'aggravante razziale, perché negli Stati Uniti la polizia diventa particolarmente violenta nei confronti dei cittadini colpevoli di avere la pelle scura; quella nazione che si propone come baluardo di giustizia e libertà, che ne invade altre al fine di imporre i propri "santi" ideali, tollera che i cittadini di un certo colore muoiano vittima di un apparato dello Stato (la polizia).
La poesia richiama l'aria che mancava nei polmoni del povero George Floyd mentre l'agente di polizia gli schiacciava la gola con un ginocchio, "Aria che riempie i polmoni, / che accende la vita". 
Sottolineo nell'ultima strofa come la morte di George Floyd sia diventata l'urlo di rabbia e dolore di un'intera popolazione:
"prendi tutta l'aria che puoi
e urla che l'uomo schiaccia il fratello
perché, accecato dal colore dell'ebano,
dimentica che l'anima non ha colore."


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Francesco Abate

domenica 1 ottobre 2023

LE CITTA' INVISIBILI DI ITALO CALVINO

 

Le città invisibili è una raccolta di racconti pubblicata dallo scrittore Italo Calvino nel 1972. 
L'opera è formata da nove parti, ognuna delle quali si apre e si chiude con un dialogo tra l'imperatore dei Tartari Kublai Kahn e l'esploratore Marco Polo. In ogni parte sono elencate diverse città, tutte inventate dall'autore e chiamate con un nome di donna. Il racconto delle diverse città è fatto proprio da Marco Polo, che presenta in modo molto originale quello che ha visto, scatenando le riflessioni del suo imperatore che dei suoi racconti non può fare a meno.
Stando a quanto dichiarato dall'autore, lo scopo segreto della raccolta è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, attraverso un'indagine che permette di riflettere tanto su di una città quanto sulla città in generale. 
L'opera si conclude con una bellissima riflessione di Marco Polo che sembra suggerire un corretto modo di vivere nella città e tra la gente; in molti hanno trovato il significato finale dell'opera in questa riflessione, ma Calvino stesso dichiarò che <<... questo è un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po' dappertutto...>>. In effetti ogni scambio di battute tra l'esploratore e l'imperatore nasconde riflessioni che possono considerarsi conclusive, ma la battuta finale di Marco Polo è degna di nota sia per la profondità che per la bellezza, per questo ve la riporto integralmente: <<L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.>>

Sebbene la battuta che ho citato sopra meriti di essere letta mille volte, devo dire che questo libro è in assoluto quello che mi piace meno di Calvino. L'ho trovata una raccolta di racconti sconclusionata e fine a sé stessa, noiosa da leggere e piuttosto ripetitiva.
Nonostante la mia opinione negativa non mi sentirei però di sconsigliare l'opera né di stroncarla. Come Calvino stesso ci insegna in Se una notte d'inverno un viaggiatore, la lettura è qualcosa di soggettivo, ognuno la vive in un modo diverso e per questo ognuno tra le pagine di un libro può trovare emozioni o significati diversi. Il fatto che io in questa raccolta non abbia trovato niente di interessante non significa che non vi sia niente, semplicemente forse non era il libro giusto per me, almeno in questo momento non c'è affinità tra noi. Di sicuro Le città invisibili è un tentativo di fare arte, cioè di esprimere un concetto attraverso qualcosa di bello, quindi a chi ama Calvino consiglio comunque di assaggiarlo, almeno per vedere se qualcosa tra le sue pagine davvero c'è o se la mia impressione è giusta.

Francesco Abate

domenica 24 settembre 2023

"INFERNO" SECONDO CLASSIFICATO AL PREMIO CITTA' DI SIENA

 

La qualità della foto è scarsa (l'ho fatta io...), ma la posto giusto per comunicarvi che Inferno si è piazzato al secondo posto tra le opere di poesia edite nell'VIII Premio Letterario Città di Siena.

Grazie mille a tutti voi che mi seguite.

Francesco Abate

martedì 19 settembre 2023

LA CASA DEGLI SPIRITI DI ISABEL ALLENDE

 

La casa degli spiriti è il primo romanzo pubblicato dalla scrittrice peruviana naturalizzata statunitense Isabel Allende, un capolavoro di realismo magico che nel 1993 ha ispirato l'omonimo film diretto da Bille August e interpretato da attori del calibro di Jeremy Irons, Meryl Streep, Glenn Close, Winona Ryder e Antonio Banderas.
La casa degli spiriti è un romanzo di contrapposizioni: alle idee innovative del socialismo si oppone lo stagnante e prepotente capitalismo, alla generazione vecchia di Esteban Trueba si oppone la libertà di giovani come Blanca e Pedro Terzo Garcia, al carattere duro ed irruente di Esteban si contrappone la mite dolcezza di sua moglie Clara, ed il vento di giustizia portato dalla vittoria elettorale di Salvador Allende si scontra con la cieca violenza dei capitalisti prima e dei militari poi.
La storia della famiglia Trueba, a partire da Esteban fino a sua nipote Alba, attraversa la storia del Cile, compresi i duri e sanguinosi anni del golpe militare. Le vicende di questa famiglia sono perturbazioni, spesso temporali, causati dagli incontri e dagli scontri di personaggi molto diversi tra loro. 
Esteban Trueba è un capitalista capace, che riesce ad avere successo e sviluppa l'arroganza tipica di chi crede di essersi fatto da solo senza però considerare di aver avuto, a differenza di tanti altri, un'opportunità di farcela. Esteban è infatti capace di riportare ai fasti di un tempo la tenuta ereditata dalla madre partendo da una situazione disastrosa, questo lo spinge a ritenersi migliore dei contadini, che giudica incapaci di autogestirsi, senza mai portarlo a chiedersi cosa sarebbe stato di lui se non avesse avuto la proprietà di una tenuta da cui cominciare. Esteban produce e si arricchisce, e più si arricchisce più diventa arrogante, un perfetto esempio di capitalista, convinto di poter disporre liberamente non solo delle proprietà e delle cose, ma anche delle persone; finché non si sposa con Clara, sfoga i suoi impulsi sessuali abusando delle giovani contadine del suo podere. Le persone per lui sono oggetti, da usare a proprio piacimento, ma questa sua arroganza lo porta a creare una delle fonti principali del dolore che lo tormenterà in futuro: Esteban Garcia, il figlio della prima donna di cui il padrone abusa. Esteban Garcia cresce vedendo la miseria della propria famiglia e mettendola continuamente in relazione con gli agi in cui vivono i figli legittimi di Esteban Trueba, diventa perciò consapevole che la sua condizione di sofferenza non nasce da una colpa commessa, ma da un torto subito, e questo senso di ingiustizia finisce per incattivirlo. Esteban Garcia cresce con l'ossessione per Alba, vuole distruggerla a tutti i costi, punirla perché lei ha quello che a lui non è stato concesso, e ci va vicino quando nel corso della dittatura militare la ritrova come prigioniera politica. 
Contrapposta alla solidità, al cinismo ed all'egoismo di Esteban Trueba, c'è sua moglie Clara, l'elemento spirituale della famiglia, la quale è in grado di comunicare con gli spiriti e di esercitare la telecinesi, vivendo quasi più a contatto con le entità ultrasensibili che con quelle sensibili. Il suo spirito così distaccato dalle cose materiali, quindi così diametralmente opposto a quello del marito, porta nella famiglia quella ventata di aria fresca che origina Blanca. La figlia primogenita, Blanca Trueba, sebbene educata dal padre come una perfetta borghese, devia dalla strada tracciata per lei grazie all'amore per il contadino Pedro Terzo Garcia; sebbene resti attaccata ai privilegi di casta in cui è cresciuta, si avvicina di più alle sorti dei derelitti e questo, unito all'amore per Pedro Terzo, la porta ad un continuo ed aspro contrasto col padre.
Dall'unione tra Blanca e Pedro Terzo Garcia nasce Alba, la quale perfeziona il cambio ideologico e generazionale rispetto al nonno Esteban. Alba è giovane, sin da subito vicina ai ribelli socialisti, e non esita ad aiutare i perseguitati politici quando viene instaurata la dittatura militare. Il nonno, sebbene così diverso da lei, le vuole molto bene, ma la sua colpa antica finisce per causarle enormi sofferenze quando Esteban Garcia, avendola agli arresti, ne abusa senza pietà con l'intento di distruggerla.
La grandezza de La casa degli spiriti sta anche nei personaggi che possiamo definire minori. Ferula, sorella di Esteban Trueba, vive la giovinezza dedicandosi alla cura della madre malata, non riesce perciò a provare mai il vero amore; quando incontra Clara, e comincia a prendersene cura, sviluppa per lei un'ossessione morbosa, quasi un innamoramento, e per questo entra in contrasto col fratello, che non può certo tollerare che qualcuno aneli alla sua proprietà. Ci sono poi Jaime e Nicolas, figli minori di Esteban e Clara, i quali crescono insieme ma finiscono per prendere strade diametralmente opposte: il primo, medico socialista, rimane fedele ad Allende e per questo finisce torturato e ucciso, il secondo invece diventa capo di un'improbabile setta e va a vivere all'estero.
Tutto questo excursus sui personaggi già da solo basterebbe a far capire l'immensità dell'opera. Eppure questo romanzo non è solo lo scontro di modi di essere e di pensare, di caratteri e di idee politiche, è soprattutto una fotografia dell'evoluzione della società sudamericana. Nelle pagine iniziali leggiamo di un paese dominato da padroni senza scrupoli, possessori dei beni e delle persone, e immerso nelle atmosfere fatate delle superstizioni, con spiriti ed eventi soprannaturali di ogni tipo. Questo Cile ingiusto e fatato lentamente si spegne, viene prima scosso dall'ascesa del socialismo e poi sferzato dal golpe militare: crollano le vecchie classi dominanti, che finiscono per non contare più niente (quando sua nipote Alba viene arrestata, Trueba viene trattato come un vecchio rimbambito nonostante abbia dato lui impulso al rovesciamento di Allende); col passare degli anni sparisce anche la magia, infatti Clara vive più tra gli spiriti che tra i vivi, sua figlia Blanca ha un potere molto più limitato e addirittura la nipote Alba non lo manifesta mai. 
Le figure di Esteban Trueba ed Esteban Garcia, così diverse tra loro, impongono al lettore anche una seria e molto attuale riflessione sullo stupro. L'abuso del corpo delle donne che i due fanno mostra un concetto che oggi molti dimenticano, o fingono di dimenticare: lo stupro non è un atto sessuale, è un atto violento. Esteban Trueba non stupra le donne, ma stupra le contadine, questo perché esercita un diritto di possesso che ritiene naturale; Esteban Garcia, invece, stupra Alba non perché ne sia attratto, ma perché vuole distruggerla, fare qualcosa che sia peggio di ucciderla. In un caso lo stupro è perciò un atto di prepotenza sul corpo di un essere ritenuto inferiore, la cui inferiorità è marcata proprio attraverso l'abuso, nell'altro è un colpo inferto per uccidere. Sebbene dovrebbe essere un'ovvietà, oggi molti tendono a confondere l'abuso sessuale con un impulso sessuale incontrollato (complici i media di regime) e questo porta al successo di soluzioni tanto assurde quanto illogiche come la castrazione chimica. Chi stupra non è un uomo particolarmente eccitato, è solo un violento privo di empatia e rispetto, e come tale va trattato dalla giustizia; il problema degli abusi sessuali non si risolve di certo vendicandosi degli stupratori con un atto altrettanto violento (la castrazione), questo perché giustizia e vendetta sono due concetti contrastanti.

La casa degli spiriti, come è tipico del realismo magico, narra la realtà decorandola con brillanti manifestazioni metafisiche.

Francesco Abate

martedì 12 settembre 2023

DARFUR

 

Darfur è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
In questa poesia parlo del genocidio del Darfur, iniziato nel 2003 e ancora ben lontano da una vera conclusione. Il Darfur è una regione del Sudan nella quale, venti anni fa, le popolazioni non-arabe insorsero contro il Governo, il quale non esitò a colpire indiscriminatamente civili e militari pur di venirne a capo. Da allora sono stati centinaia di migliaia i morti, numerosi villaggi sono stati rasi al suolo e non si contano i casi di abusi sessuali.
Trattandosi di una guerra civile, cioè di uno scontro armato tra gente dello stesso paese, ho immaginato lo smarrimento e il dolore del sudanese "fratello" di entrambi i gruppi in guerra, che viene da tutti e due umiliato e ferito. In questo interminabile genocidio infatti, come sempre accade in tutte le guerre, in mezzo ai due schieramenti c'è tanta gente che si dibatte in un mare di sofferenze nel disperato tentativo di sopravvivere.
Il civile che ho immaginato nella poesia non è però neutrale, viene prima sedotto dalle promesse di libertà dei ribelli ("Viene il brigante e mi chiama amico, / mi darà la libertà, la prosperità..."), poi dalla promessa di vendetta dell'esercito regolare ("Viene il soldato e mi chiama amico, / mi darà la vendetta, l'orgoglio..."). Entrambe queste promesse si riveleranno però false, e per il povero sudanese in entrambi i casi ci saranno solo violenze e umiliazioni, così da lasciarlo intrappolato nella paura:
Resto da solo, io non ho un amico;
ho paura di volere, paura di non volere,
la mia saliva sa di fucile, la pelle di pistola,
mia moglie è un tempio straziato, in macerie,
i miei figli sono anime senza tomba, senza pace.


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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

giovedì 7 settembre 2023

LA SOLITUDINE DEL CITTADINO GLOBALE DI ZYGMUNT BAUMAN

 

La solitudine del cittadino globale è un saggio scritto dal sociologo polacco Zygmunt Bauman.
Pubblicato nel 1999, un anno prima del suo lavoro più celebre, Modernità liquida, questo saggio ci mostra come nell'epoca attuale, l'epoca postmoderna, nella nostra società l'assenza di libertà si è sostituita con un'assoluta mancanza di limiti alla libertà individuale; la libertà dovrebbe consistere nella possibilità data a ciascun individuo di scegliere i propri limiti, oggi invece limiti non ce ne sono e la libertà individuale è, almeno in apparenza, infinita. Questa overdose di libertà individuale, che a prima vista potrebbe sembrare positiva, finisce per creare una realtà sregolata in cui viene a mancare quella che i tedeschi chiamano Sicherheit, cioè un insieme di sicurezza esistenziale, certezza e sicurezza personale.
L'assenza di limiti, di un percorso definito, oltre a generare questa insicurezza, finisce per rendere il cittadino solo, distrugge infatti tutti gli spazi di condivisione delle idee e dei bisogni; in questo contesto di solitudine viene a mancare il tendere verso a un bene comune, c'è quella che Bauman chiama "privatizzazione dell'utopia". Questa solitudine, questa assenza di condivisione, si traduce nell'uomo in una sterile lotta contro nemici invisibili sostenuta spesso creando comunità fasulle, le quali fingono di combattere collettivamente una battaglia che in realtà ogni membro affronta per conto proprio.
Oltre a essere solo, quello che un tempo era un cittadino politico nella società postmoderna è semplicemente un consumatore. Questa trasformazione avviene perché il flusso di capitali sta acquistando sempre più potere a discapito della politica, aiutato dalla scellerata deregolamentazione con la quale i governi cedono lo scettro a chi detiene il potere finanziario, e avvantaggiato inoltre dal suo carattere internazionale che gli permette di sfuggire alle regole nazionali imposte dai vari governi. Quello che prima era fatto dalla regolamentazione normativa è oggi fatto dalla fabbricazione dei desideri operata dai grandi capitalisti; mentre un tempo erano i governi a dettare le norme di comportamento, e tali norme venivano fatte rispettare dagli organi di polizia, oggi le regole sono fatte da chi detiene i capitali e sono fatte rispettare dalla propaganda commerciale. Mentre un tempo i governi dittatoriali usavano l'oppressione per schiacciare i cittadini e ridurli all'obbedienza, oggi il capitale usa la routine, che limita ugualmente la libertà della persona ma viene percepita come rassicurante e viene addirittura ricercata. 
Essendo il cittadino abituato alla routine, finisce per soffrire maggiormente la crisi, che un tempo era il momento di prendere decisioni mentre oggi genera un surplus di incertezza. La condizione di incertezza delle conseguenze delle azioni, quindi la crisi, è per Bauman una realtà normale, ma attualmente fa più paura perché i cambiamenti sono molto più numerosi e profondi, più veloci, e soprattutto le persone si trovano nell'impossibilità di poter decidere perché mancano regole decifrabili.
L'uomo della società attuale è un "uomo modulare", cioè un uomo con troppe qualità e troppi aspetti, così che molti possono essere mantenuti soltanto per un po' ed essere esibiti al bisogno. L'uomo modulare è dotato di qualità mutevoli, scambiabili e monouso, ma è privo di essenza, esiste come una serie di compiti da eseguire; sviluppa legami ad hoc, pieni di incertezza e di rischio, mai rigidi.
L'incertezza in cui annaspa l'uomo modulare non è osteggiata da chi detiene il vero potere nella società attuale, cioè da chi detiene i capitali, in realtà è l'arma dell'attuale sistema economico usata per tenersi in vita, per evitare che i cittadini si stacchino da esso. Tutti sono resi precari, il futuro è mostrato come una costante minaccia e di conseguenza l'insicurezza aumenta. Perché cresca l'insicurezza, il sistema alimenta di proposito la povertà, usando così i poveri per ricordare agli schiavi che in caso di ribellione possono essere privati dei mezzi di sostentamento. Per lo stesso scopo esiste il lavoro flessibile, che priva il cittadino della sicurezza di un posto di lavoro stabile e di un futuro senza lo spettro della povertà.
La società odierna può essere definita una società eteronoma, fondata su certezze e tradizioni sacre ("Dio, patria e famiglia", giusto per fare un esempio), che si eleva a qualcosa di intoccabile, al di sopra dei cittadini e a cui questi devono obbedire e uniformarsi. Per giungere a una società autonoma, cioè ad una società fondata sulla consapevolezza che le regole e le istituzioni possono sempre essere migliorati, servono individui autonomi, cioè formati da un "arduo e infinito lavoro di identificazione", consapevoli dell'assenza di fondamenti prefabbricati ed esterni all'Io e pronti ad assumersi la responsabilità di formare l'Io ancora da scegliere. L'insicurezza impedisce però all'individuo di dedicarsi a questa "missione", per questo Bauman individua la necessità di un Reddito minimo garantito che, liberando i cittadini dalla paura della povertà, gli permetta di concentrarsi sulla costruzione e sul miglioramento di una repubblica con al centro dell'appartenenza comunitaria l'indagine critica. In alcuni paesi, rileva l'autore, qualcosa di simile al Redditto minimo garantito c'è già, ma viene commesso l'errore di presentarlo come un aiuto ai meno fortunati invece di uno strumento utile a cambiare il sistema socio-economico. Ovviamente tali misure dovrebbero essere universali e non statali, perché il potere globalizzato non può essere combattuto con azioni locali, per questo è necessario un nuovo internazionalismo utile a formare una repubblica che superi i confini nazionali. 

La solitudine del cittadino globale non è certo un saggio di facile lettura, non può esserlo vista la complessità e la delicatezza del tema trattato, eppure permette di ragionare sull'epoca che viviamo. Oggi viviamo dentro un turbine di informazioni, le quali ci piovono addosso così fittamente da impedirci di assimilarle, lasciandoci con la mente confusa e la bocca piena di preconcetti.
Bauman nel suo saggio rileva come sia venuto meno il ruolo di guida che un tempo avevano gli intellettuali; quelli moderni sono autoreferenziali e pensano più alle loro apparizioni televisive che non ai concetti espressi o al peso di quello che dicono. Il mio pensiero di fronte a questa cosa che sento giustissima va ai tanti personaggi che non fanno altro che appropriarsi di battaglie serie e trasformarle nella vetrina in cui mettersi in mostra, preoccupandosi di prendere sempre la posizione più rumorosa e proporla in modo da scatenare un putiferio. L'intellettuale vero è di certo divisivo, ma porta anche contenuti propri, cosa che, almeno a mio modo di vedere, i personaggi in questione non fanno (non ne cito nessuno perché non voglio trasformare il post in una disputa tra i loro sostenitori e i loro detrattori).
Venuti meno i riferimenti di un tempo, mancando la guida degli intellettuali e la necessaria riflessione per la creazione dell'uomo nuovo, ecco arrivare fenomeni come la solitudine e l'uomo modulare. Al di là di quelle che possano essere le idee politico-sociali di una persona, sfido chiunque a contestare la visione dell'uomo trasformato in consumatore, o del mito del multi-skills che si traduce in tanti ottimi lavoratori privi di qualsiasi essenza, o ancora del capitale che opera al di sopra della politica e al di fuori delle regole.
Nel 1999 Bauman descriveva nei dettagli un fenomeno che nei successivi ventiquattro anni ha prodotto i suoi effetti più sanguinosi, con la solitudine e l'assenza di limiti autoimposti che si sta traducendo in fenomeni di violenza gratuita ed estrema, con la deregolamentazione che sta spingendo l'umanità all'autodistruzione, e così via. Se non cominciamo a riflettere sul nostro mondo seriamente, a ragionare sul superamento dell'attuale sistema socio-economico e sulla creazione di nuovi punti di riferimento, sul modo di costruire una società che non schiacci né trascuri l'individuo ma gli permetta di trovare la propria felicità, trasformeremo la nostra esistenza in una lunga ed estenuante agonia. Dobbiamo cominciare a pensarci e farlo in fretta, perché il sistema economico sta già elaborando nuove teorie per conservarsi (vedi il lungotermismo).

Francesco Abate