giovedì 29 giugno 2023

I MALAVOGLIA DI GIOVANNI VERGA

 

Una barca di pescatori in balìa della tempesta, è questa l'immagine più adatta a rappresentare I Malavoglia dello scrittore siciliano Giovanni Verga.
Pubblicato nel 1881, questo romanzo apre il ciclo dei vinti, che avrebbe dovuto comporsi di cinque romanzi ma che l'autore non completò mai, lasciandoci solo due straordinari romanzi: I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo.
Il romanzo racconta la storia di una modesta famiglia di pescatori, i Toscano, soprannominati Malavoglia, la cui esistenza dura e semplice presto muta in tempesta, agitata dai venti del progresso e dalle onde della disgrazia. La situazione per loro comincia a guastarsi quando ottengono un prestito da ripagare dopo la vendita di un carico di lupini, sfortunatamente però la loro imbarcazione, la Provvidenza, viene sorpresa da una violenta tempesta e naufraga, portandosi via il carico e la vita di Bastianazzo, figlio del patriarca padron 'Ntoni. La famiglia reagisce e prova a rimettersi in sesto, ma l'avidità di padron Cipolla, il creditore, li costringe a cedere l'adorata casa in cui abitano, la casa del nespolo. Nonostante la situazione disperata, e la morte di un altro figlio durante il servizio militare, la famiglia non smette di darsi da fare e di racimolare il denaro necessario a ricomprare la casa; purtroppo i progetti si infrangono sui malesseri interiori di 'Ntoni, il nipote del patriarca, il quale non vuole saperne di vivere di fatica come il nonno e diventa un contrabbandiere, finendo per essere arrestato durante una retata.
Come in tutte le opere di Verga, I Malavoglia ci permette di osservare da più angolazioni la vita dura della Sicilia povera, dandoci un quadro dell'Italia post-risorgimentale difficile da trovare in altre opere letterarie. Attraverso gli occhi dei Malavoglia vediamo le condizioni di precarietà e miseria di una consistente fetta della classe lavoratrice, costretta a operare senza alcuna tutela e in balìa tanto delle circostanze quanto dei compaesani più benestanti. Vediamo poi attraverso padron Cipolla e Piedipapera il potere enorme, decisamente sproporzionato e immorale, che all'epoca aveva sulla povera gente chi disponeva di ingenti quantità di denaro. In questo contesto ingiusto e misero si percepisce la totale assenza di uno Stato, che non tutelava in alcun modo le fasce più deboli della società e si faceva sentire solo imponendo nuove tassazioni o chiamando i giovani alla leva.
Ne I Malavoglia vediamo uno scontro tra due generazioni distanti anni luce, quella dell'anziano padron 'Ntoni e quella del suo omonimo nipote. Mentre il nonno accetta con laboriosa rassegnazione la sua condizione miserabile, il nipote percepisce quanto sia ingiusto che la classe povera debba rischiare la vita per guadagnarsi appena il necessario per la sopravvivenza mentre altri vivono nel lusso senza muovere un dito. L'anziano padron 'Ntoni, arroccato nell'antica saggezza popolare e nella convinzione che nulla possa cambiare, si consuma dietro alle disgrazie, correndo dietro alla vana speranza di riacquistare almeno la casa del nespolo; il nipote invece vuole ribellarsi, entra anche in contatto con la propaganda socialista, ma sceglie la strada più facile, cioè invece di istruirsi e organizzare una seria lotta politica si dà alla delinquenza, finendo per cadere ancora più in basso nelle gerarchie sociali, diventando cioè un galeotto. Nel modo di rapportarsi alle ingiustizie della vita si può vedere la straordinaria modernità di questo romanzo; ancora oggi la nostra società, piena di squilibri e ingiustizie, si compone di tante persone convinte che questo sia il sistema politico-economico migliore di tutti (vittime che amano i propri carnefici) e di altrettante persone che invece di istruirsi e lottare costruttivamente per il progresso sociale scelgono la delinquenza o il populismo. Due società molto lontane nel tempo tendono le stesse trappole, questo è uno dei motivi per cui romanzi come questo non hanno età.
Molto toccante all'interno del romanzo è la muta e infelice storia d'amore tra Alfio Mosca e Mena Malavoglia. I due sono vicini di casa e segretamente si amano, benché non osino mai dichiararsi né avere comportamenti sconvenienti, ma sono costretti a rinunciare a qualsiasi proposito di unione perché lui è troppo povero e non potrebbe garantirle un futuro tranquillo. Alfio Mosca cambia città, tornando ad Aci Trezza molti anni dopo; in uno struggente dialogo, l'uomo apre il suo cuore a Mena, ma stavolta è lei a non avere i "requisiti" per essere una moglie adatta, infatti la dissolutezza di 'Ntoni ha contagiato anche la sorella Lia, e sposando Alfio Mosca gli tirerebbe addosso tutte le malelingue del paese. In un'Aci Trezza fatta ancora di matrimoni combinati dai genitori in funzione della dote, vediamo questa storia d'amore pura che, in quanto tale, è destinata sin dall'inizio ad essere infelice. Sui veri sentimenti vincono l'ingiustizia sociale, che al povero nega perfino il diritto d'amare, e il giudizio degli ipocriti. Il peso e la mutevolezza dell'opinione comune si vede anche nel comportamento che i cittadini di Aci Trezza hanno coi Malavoglia: li rispettano e ne hanno compassione, ma quando questi perdono la casa li isolano, perché allora come oggi c'era la tendenza a vedere la povertà come una colpa più che come una disgrazia.
Una cosa va sottolineata, perché ha un'importanza non secondaria nell'interpretazione del romanzo. L'opera non descrive la distruzione della famiglia, perché alla fine restano Alessi, che sposa Nunziata e ricompra la casa del nespolo, e Mena, che vive con loro e li aiuta ad accudire i figli. I Malavoglia non descrive l'inizio di una dinastia o la sua estinzione, semplicemente una tappa, un comune lasso di tempo non tanto diverso dagli altri, questo perché le miserie che il romanzo rappresenta non sono straordinarie ma sono parte dell'esistenza umana.
Ho una storia personale con I Malavoglia, e con Verga in generale, che mi piace raccontare perché mostra come le persone cambino nel tempo. Lessi questo romanzo la prima volta negli anni del liceo e lo odiai, ricordo che non arrivai nemmeno a leggerne metà. Per anni dopo quell'esperienza ho evitato Verga, finché in età molto più matura ho dato una possibilità a Mastro-don Gesualdo, che ho adorato. Spinto dal gradimento avuto per Mastro-don Gesualdo, ho letto i racconti, che pure ho adorato, quindi ho dato una nuova possibilità a questo romanzo che, come credo di deduca dall'articolo, mi è piaciuto tantissimo. Questo dimostra come spesso un libro non gradito sia stato solo letto nel momento sbagliato, perché le persone nel tempo cambiano e così i loro gusti. Ai tempi del liceo gradivo di più la letteratura distopica o i romanzi che sovvertivano i comuni valori della società, non riuscivo ad apprezzare la bellezza di opere che a loro modo erano comunque rivoluzionarie, ma che i loro concetti li presentavano attraverso il racconto di esistenze comuni. 
I Malavoglia è il romanzo più proposto nei programmi scolastici italiani, e credo sia giusto così. La lettura di quest'opera ci immerge in un periodo storico, facendoci conoscere le delusioni nate all'indomani dell'unità d'Italia, ma ci mostra anche problemi sociali e umani che esistono ancora oggi.

Francesco Abate

martedì 20 giugno 2023

BRACCIANTI

 

Avete presente i pomodori che comprate al supermercato, che poi magari lasciate marcire in frigo e finite per buttare? Ebbene, a meno che non abbiate vissuto sulla Luna negli ultimi anni, dovreste sapere che sono quasi sempre raccolti da braccianti agricoli sottopagati e spesso ricattati perché clandestini. 
Braccianti è una piccola eccezione ne L'inferno delle persone, sezione dedicata ai singoli nella mia raccolta di poesie Inferno, perché non parla di una persona in particolare ma di una categoria intera. 
Se vi capita qualche volta in estate per passare in zone di campagna, guardate nei campi e sotto le serre, perché a qualsiasi ora troverete questi poveri cristi che lavorano, spesso sotto il sole in quegli orari in cui noi evitiamo persino di stare al mare ("Nero come un tizzone / piegato sotto il peso della vita / muovi la mano / e strappi i figli alla verde pianta.")
Dei braccianti tutti sappiamo e tutti fingiamo di non sapere, perché ci spaventa l'idea di pagare il pomodoro un po' di più, quindi le umiliazioni e la morte di quelle persone valgono i due euro risparmiati sulla nostra spesa; tanto sono stranieri, sono clandestini, che diritto hanno di chiedere una vita dignitosa? ("Dio è bianco, tiene gli occhi chiusi, / dona il silenzio a chi chiede aiuto / perché il diavolo ha la voce più forte.")


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giovedì 8 giugno 2023

IL GIORNO DELLA CIVETTA DI LEONARDO SCIASCIA

Il giorno della civetta è un racconto lungo (l'autore non lo definì mai romanzo) pubblicato da Leonardo Sciascia nel 1961.
Fu il primo libro di intrattenimento dedicato al fenomeno della mafia, prima erano stati scritti solo saggi sull'argomento. L'opera ebbe un grande impatto e ispirò l'omonimo film del 1968 diretto da Damiano Damiani, con protagonisti tra gli altri Franco Nero e Claudia Cardinale.
Il racconto descrive le indagini sull'omicidio del presidente di una cooperativa edilizia; a condurle è un tenace capitano di Parma, che si trova a lottare contro l'omertà diffusa dei cittadini e le interferenze che giungono dall'alto. Il capitano riesce a ricostruire la catena dei colpevoli, fino al potente capomafia che ha commissionato l'omicidio, ma l'inchiesta viene distrutta dall'intervento di una misteriosa figura che orchestra un fiume di false testimonianze e invalida le confessioni ottenute con l'astuzia dai carabinieri.
L'opera fu ispirata dall'assassinio del sindacalista comunista Accursio Miraglia del 1947, ucciso a Sciacca dalla mafia. Anche la figura del capitano Bellodi ha origine da una persona realmente esistita, il generale dei carabinieri Renato Candida.
Sciascia in questo racconto giallo mostra la mafia e il substrato culturale in cui prospera. La denuncia dello scrittore non è però solo contro i siciliani, viene infatti narrata una seduta della Camera dei Deputati in cui un sottosegretario derubrica a fatto di cronaca ordinaria l'omicidio su cui indaga il capitano Bellodi, e al termine del suo intervento l'uomo del Governo dichiara come la mafia sia solo il frutto della fantasia dei socialcomunisti. Questo passaggio apparentemente secondario del racconto mostra come la politica all'epoca volesse nascondere il fenomeno mafioso, forse per ottusità o per convenienza.
L'analisi di Sciascia rivela anche come la mafia in quegli anni si stesse espandendo, perdendo la sua connotazione regionale, infatti nel finale della storia un amico parmense di Bellodi dichiara che "Forse tutta l'Italia sta diventando Sicilia...". Vengono i brividi a pensare che Sciascia quest'allarme risale al 1961 e che ancora oggi in Italia e in Europa c'è chi collega le associazioni mafiose solo alle regioni d'origine.
Il giorno della civetta ci mostra come certe cose non cambino mai. Più di sessant'anni fa la mafia spadroneggiava e si avvantaggiava dell'ottusità (o della complicità) della politica, cosa che oggi non è cambiata per niente. Il fenomeno mafioso prospera nella sfiducia dei cittadini nei confronti della legge, dalla quale nasce l'omertà, e non trova ostacoli se chi amministra la cosa pubblica non lo affronta con la giusta determinazione e senza scendere a compromessi. Purtroppo la lettura delle pagine di questo racconto ci mostrano come pochi passi in avanti siano stati fatti sul piano politico, forse solo la cultura nella società è cambiata, ma questo da solo non può bastare ad arginare un fenomeno che ogni giorno inonda di sangue le strade delle nostre città.

Francesco Abate

venerdì 2 giugno 2023

KURDISTAN

 

Kurdistan è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
Il Kurdistan è una regione divisa tra cinque stati (Turchia, Siria, Iran, Iraq e Armenia). Previsto come stato indipendente dopo il disfacimento dell'Impero ottomano, fu in realtà smembrato e la sua popolazione vive ancora oggi come minoranza discriminata e oppressa in ciascuno dei cinque stati. Forti sono le rivendicazioni politiche di questa etnia tenace e orgogliosa, tanto quanto dura è la repressione operatagli contro. 
La poesia, oltre a ricordare lo smembramento subito da questo popolo (Cinque iene a spartirti le nostre carni, / cinque nubi a darci tempesta, / cinque zecche ci avvelenano il sangue, / cinque lati ha la nostra tomba, / cinque note ci suonano il requiem), richiama l'uccisione dell'attivista siriana di origine curda Hevrin Khalaf, uccisa molto probabilmente per il suo impegno a favore delle donne curde (Riposa in pace, dolce Hevrin; / non ci sarà mai primavera / per chi è prigioniero sottoterra).


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Francesco Abate