domenica 30 aprile 2023

RIPRENDIAMOCI LE STRADE D'EUROPA DI MICHAEL D. HIGGINS

 

Riprendiamoci le strade d'Europa. Discorsi sull'Unione Europea 2018-2021 è un saggio pubblicato di recente in Italia dalla casa editrice Castelvecchi nel quale sono raccolti i discorsi sull'Unione Europea di Michael D. Higgins.
Per capire di cosa stiamo parlando, è necessario innanzitutto spiegare chi è Higgins. Michael D. Higgins è Presidente della Repubblica d'Irlanda dal 2011. Chiamato a guidare il paese in una fase complessa, sotto il peso di una grave crisi economica e con le storiche divisioni a logorare cittadini e istituzioni, ha posto l'accento sui diritti umani e sulla questione ambientale, mettendo in campo un'azione politica che ha incontrato il favore della cittadinanza e l'ha portato nel 2018 alla conferma del mandato presidenziale con il più alto numero di preferenze della storia d'Irlanda.
Higgins non è però solo un politico apprezzato e lungimirante, è prima di tutto un accademico (autore di numerosi saggi) e un poeta. La sua vasta preparazione in campo socio-economico si palesa nei discorsi che sono riportati in questo libro, e stride tantissimo con la vuota demagogia dei politici italiani. Per un italiano, abituato a sentir parlare di scempiaggini come sovranismo e sostituzione etnica, leggere Higgins è incoraggiante e desolante allo stesso tempo: si è rinfrancati dalla consapevolezza che qualche mente illuminata ancora esista, ma allo stesso tempo sconforta il confronto con la pochezza nostrana.
Il pensiero di Higgins sull'Europa può essere definito come un europeismo critico. Si può sostenere la necessità di una politica comune europea senza cadere nella vuota accettazione dell'attuale stato di cose; ci vuole l'Unione Europea, ma non è blasfemo ammettere che le sue istituzioni così come sono oggi non funzionano. Si è creata una distanza eccessiva tra gli organi di governo e gli ultimi della società, un divario che alimenta il malcontento e si traduce in situazioni estreme come la rivolta dei gilet gialli in Francia, la Brexit in Gran Bretagna o l'esplosione dei nazionalismi in molte nazioni europee. Questo succede, secondo Higgins, per via dell'incapacità di pensare a un modello economico differente, qualcosa che sostituisca il capitalismo (che è incompatibile con la democrazia) con un'economia delle persone. Higgins più volte ricorda come già nel Manifesto di Ventotene, documento considerato all'origine dell'Unione Europea, veniva posto l'accento sulla necessità di creare un sistema economico più vicino alle esigenze delle persone e meno sottoposto ai voleri dell'alta finanza. In un discorso il Presidente ricorda come la globalizzazione abbia già dimostrato di non essere un mezzo valido per il conseguimento della pace (all'alba della Prima Guerra Mondiale i mercati erano fortemente connessi tra loro) e per questo è richiesto tanto alla politica quanto al mondo accademico un dibattito sull'economia che non escluda a priori soluzioni alternative all'attuale sistema.
Il Covid 19, così come nel secolo scorso le guerre mondiali, ci ha ricordato quanto l'umanità sia vulnerabile. Se dalle guerre mondiali nacque il sogno europeo (il Manifesto di Ventotene fu scritto da due italiani mandati al confino dai fascisti), dal Covid dovrebbe partire la spinta verso un'economia diversa. Il sistema economico dovrebbe essere più empatico, l'esatto contrario dell'austerità, e porre una maggiore attenzione alle esigenze delle classi sociali maggiormente in difficoltà. Sulla scia di questo nuovo sistema economico, sarebbe necessario anche dare più spazio nelle organizzazioni internazionali ai paesi africani e asiatici; la loro attuale sottorappresentazione crea una ingiusta disparità, con la maggior parte della popolazione mondiale tagliata fuori dalle scelte economiche globali.
Higgins, a differenza di quanto fanno i politici italiani, non propone un cambiamento di prospettiva tirato fuori come un coniglio dal cilindro. Per lui è necessario iniziare un dibattito sulle nuove scelte economiche a partire dalle accademie, sono gli studiosi i primi a dover trovare il coraggio di proporre ricette alternative convincenti (cita alcuni studiosi che già lo hanno fatto), successivamente sulla base dei loro studi la politica dovrà decidere la strada da seguire. Qui vediamo la differenza tra uno statista e un populista, il Presidente infatti non mente e non sostiene che il cambiamento possa avvenire dall'oggi al domani, è consapevole che qualsiasi rivoluzione debba essere prima culturale e solo dopo possa manifestarsi concretamente nella politica e nella società.

Francesco Abate

mercoledì 26 aprile 2023

INTERVISTA SUL BLOG "IRIS E PERIPLO TRAVEL"

  

Ho il piacere di segnalarvi la mia intervista pubblicata sul blog Iris e Periplo Travel.

Ringrazio lo staff per l'attenzione e lo spazio dedicatomi.

Buona lettura.

Francesco Abate

martedì 25 aprile 2023

SCUSACI SILVIA

 

Scusaci Silvia è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
Con questo componimento ho voluto chiedere scusa a nome di tutti a Silvia Romano, attivista italiana rapita in Kenya per la cui liberazione pare che il Governo italiano pagò un riscatto, e questo bastò a farle piovere addosso un odio furioso da parte di tanti.
Le ho chiesto scusa perché ho immaginato una ragazza che, in pericolo di vita, esulta alla notizia della prossima liberazione e immagina il momento in cui potrà riabbracciare affetti e paese natìo ("Sorridesti fuggendo dai mitra, / pensavi al bacio di tua madre..."), salvo poi trovarsi travolta da manifestazioni di odio e rancore ("Uscisti alla finestra per salutare / e ti lanciammo le bottiglie di bile"). A sollevare gli italiani "brava gente" contro la povera Silvia fu, oltre la notizia del riscatto, la sua conversione all'Islam. Questo atteggiamento fu una prova lampante dell'ignoranza che serpeggiava (e serpeggia ancora) nella popolazione italiana, che invece di esultare per la liberazione di una ragazza si imbestialì, perché la conversione della ragazza fu vista come un tradimento, essendo per noi italiani l'Islam il nemico (come tutto ciò che è diverso dalla nostra ammuffita e corrotta morale pseudo-cattolica). Il pensiero superficiale che domina i nostri tempi ci spinge a indicare tutti i mussulmani come nemici, lasciando perdere ogni riflessione sul terrorismo e le sue origini ("un coltello in petto piantammo alla profondità / per vivere nel silenzio della più grigia superficie").



Vi ricordo che potete acquistare Inferno in tutte le librerie e in tutti i collegamenti che trovate in questa pagina.
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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

domenica 23 aprile 2023

INTERVISTA SUL BLOG "LETTURE E SOGNI"

 

Ho il piacere di segnalarvi la mia intervista pubblicata sul blog Letture e Sogni.

Ringrazio lo staff per l'attenzione e lo spazio dedicatomi.

Buona lettura.

Francesco Abate

domenica 16 aprile 2023

IL DESERTO DEI TARTARI DI DINO BUZZATI

 

Il Deserto dei Tartari è il romanzo che ha consacrato Dino Buzzati come uno dei principali autori del Novecento. Si tratta di un'opera che ha ispirato numerosi artisti, i più importanti dei quali sono il regista Valerio Zurlini, che nel 1976 ne fece un film, lo scrittore sudafricano J.M. Coetzee, che nel 1980 scrisse il romanzo Aspettando i Barbari usando una trama simile, e il cantautore Franco Battiato, che si paragona a Giovanni Drogo nella canzone Dieci Stratagemmi.
Non deve stupire il successo che il romanzo di Buzzati riscuote sin dalla sua uscita nel 1940, è un'opera che affronta la più grande angoscia dell'uomo moderno, la fuga del tempo. Il sottufficiale Giovanni Drogo, assegnato alla Fortezza Bastiani, passa l'intera esistenza aspettando la grande occasione, quell'assalto nemico che gli permetterà di distinguersi e diventare un eroe. Mentre l'attesa si consuma, il tempo passa e il mondo cambia, gli affetti appassiscono e muoiono, la giovinezza svanisce e la salute si indebolisce; quando finalmente la grande occasione è sul punto di arrivare, non c'è più la forza di coglierla, così Drogo si ritrova ad aver buttato via i migliori giorni della vita senza aver ottenuto nulla in cambio. Giovanni Drogo è l'uomo moderno, che sogna in grande ed è sempre in attesa di una grande occasione, ma finisce per farsi sfuggire quello che già ha: il tempo, la salute e gli affetti.
La storia del protagonista de Il Deserto dei Tartari è pienamente umana, presa in prestito dalla vita vera dell'autore. Buzzati ha più volte dichiarato di essersi ispirato alla sua esperienza di redattore del Corriere della Sera nel periodo tra il 1933 e il 1939; costantemente in attesa della notizia che avrebbe dato la svolta alla sua vita e alla sua carriera, con la sensazione opprimente di lasciarsi scivolare la vita dalle mani distratto da quell'eterno appostamento. A testimoniare questa somiglianza tra Drogo e Buzzati c'è anche l'assenza della figura paterna: lo scrittore era orfano di padre e nel romanzo della famiglia di Drogo è citata soltanto la madre.
Sebbene sia un romanzo realistico, l'ambientazione è frutto della fantasia ed è anche poco definita. La Fortezza Bastiani è l'ultimo avamposto settentrionale di un Regno di cui non viene mai citato il nome, i nemici sono indefiniti e indicati solo nella loro qualità di nemici, la pianura presidiata dalla fortezza è chiamata "Deserto dei Tartari" ma non vi è alcun segno della popolazione mongola da cui prende il nome. La scelta non è casuale, è la storia qualunque di un uomo qualunque che si svolge in un luogo qualunque. Drogo potrebbe essere italiano, potrei essere io che ora scrivo o tu che ora leggi, potrebbe essere chiunque: siamo tutti in attesa della grande occasione, della svolta, e tutti possiamo dimenticare di vivere.
Questo romanzo ha un finale che lascia l'amaro in bocca, anche se in molti hanno voluto vedervi un significato positivo. Giovanni Drogo, ormai malato al punto da non reggersi in piedi, viene allontanato suo malgrado dalla fortezza proprio nel momento in cui i nemici stanno arrivando davvero, quindi gli viene negato quello che ha atteso per tutta la vita. Moribondo e deluso, si consola ingaggiando una lotta con la morte, deciso a non farsi trovare né disperato né scomposto, bensì calmo e sorridente come un soldato che muore eroicamente in battaglia. Per alcuni questo finale ha un significato positivo, perché il protagonista si riscatta trovando la gloria nell'atto finale della vita; per me invece siamo in presenza di un uomo che ha sprecato l'esistenza correndo dietro ad una fantasia e ne è consapevole, nel suo immaginario duello con la morte ci vedo solo la rassegnazione di chi si accontenta del surrogato di quello che ha sempre desiderato, una gloria fasulla utile a nascondere l'errore.
Il Deserto dei Tartari ci dice che la distruzione dell'esistenza di un uomo nell'attesa della grande occasione è figlia di un concorso di colpa. Giovanni Drogo viene assegnato alla fortezza, non sceglie di andarci, e quando chiede di andare via viene convinto con uno stratagemma a restare; col passare del tempo però sposa la fantasia del nemico alle porte e, quando tornando in città si accorge di aver perso tutti gli affetti e la vita precedente, sceglie di restare per sempre nella fortezza consacrandosi a quella folle e inconcludente attesa. Buzzati in questo libro ci dice che la colpa dello spreco di vita è tanto della società, che ci spinge a cercare il successo e crea in noi l'aspettativa della grande svolta, quanto dell'uomo, che perde di vista le cose fondamentali della vita e sposa l'idea comune di successo (nel caso di Drogo il successo è l'eroismo militare).

Il Deserto dei Tartari è considerato uno dei più importanti romanzi del Novecento ed è a mio parere un libro da leggere assolutamente. 
Il tema che tratta Buzzati è molto moderno, basti pensare alla pressante richiesta di affermazione che oggi schiaccia tutti noi e alimenta nella popolazione problemi come lo stress e l'insoddisfazione di sé. La società ci spinge a dare sempre il massimo e ci colpevolizza se non riusciamo, intanto nell'attesa della svolta rischiamo di perdere quello che abbiamo e che davvero può darci la felicità, cioè la vita e l'affetto delle persone care. Non dobbiamo fare come Giovanni Drogo, ma dobbiamo imparare a capire quando l'attesa è inutile o quando non ne vale la pena; dobbiamo inoltre capire che, se quello che aspettiamo non arriva, forse stiamo aspettando la cosa sbagliata.
Sebbene il tema sia importante, il libro è scritto in modo molto semplice e lineare, risulta perciò di facile lettura.

Francesco Abate

venerdì 7 aprile 2023

RAKHINE

Rakhine è una poesia contenuta nella raccolta Inferno, nella sezione L'Inferno dei popoli.
La poesia tratta del genocidio dell'etnia Rohingya, una delle più perseguitate del mondo, che abita per l'appunto la provincia di Rakhine in Myanmar.
Perseguitati nella propria patria, spesso oggetto di dure azioni militari o poliziesche, avallate anche dal premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, che nella poesia definisco "la donna del Male con lo straccio della Pace", molti di loro hanno scelto la fuga nel vicino Bangladesh per salvarsi la vita. Purtroppo, come spesso accade ai rifugiati, nel nuovo paese non hanno trovato una benevola accoglienza, finendo confinati in squallidi campi profughi in cui gli vengono negati anche i più elementari diritti umani.
Quella dei Rohingya è una storia comune a tanti popoli nei suoi tratti salienti (non uguale perché ogni genocidio è diverso dagli altri e sarebbe un errore ignorarne le diversità, sebbene tutti siano mostruosi e ingiustificati), una storia di cui purtroppo si parla pochissimo.
Nella poesia ci sono continui riferimenti al colore verde e al sole rosso, riferimenti alla bandiera del Bangladesh; se all'inizio queste immagini si mostrano avvolte in un'aura benevola ("Giungemmo nel paese verde / che il sole rosso / illuminava di speranza"), in seguito si legge come "Il rosso di quel sole... / era sangue succhiato dai pori" e l'erba verde punge i piedi.


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Francesco Abate

domenica 2 aprile 2023

I RE TAUMATURGHI DI MARC BLOCH

 

I Re Taumaturghi è un saggio pubblicato dallo storico francese Marc Bloch nel 1924 in cui viene analizzata la leggenda del tocco miracoloso dei sovrani francesi e inglesi, coi quali si credeva guarissero i sudditi dalle scrofole.

La leggenda del miracolo reale nacque tra il XII e il XIII secolo e si sviluppò prevalentemente in Francia e in Inghilterra. Da tutta Europa giungevano alle corti francesi e inglesi malati di scrofole in cerca della guarigione miracolosa e questo spinse anche altri sovrani a tentare di attribuirsi doti miracolose, ma la credenza si affermò solo nei due paesi di origine.
L'inizio della credenza, come tutte le cose che affondano le radici nell'antichità, è incerto. Quel che gli storici sanno è che nei secoli immediatamente successivi all'anno Mille i re erano visti alla stregua dei sacerdoti, anche in virtù dell'incoronazione mediante unzione con olio sacro dei sovrani francesi; questo di sicuro creò una condizione ottimale per la nascita e lo sviluppo della leggenda.
Intorno al potere taumaturgico attribuito ai sovrani nacque un'accesa disputa ideologica. I teorici del primato del re sulla Chiesa sostenevano che il potere appartenesse al sovrano per via della sua discendenza, mentre il clero - nel tentativo di limitare l'influenza dei re sulle cose sacre - promuoveva la tesi secondo cui solo al momento dell'unzione con l'olio sacro il sovrano entrasse in possesso del potere di guarire le scrofole.
Quella del potere taumaturgico dei re di Francia e Inghilterra fu comunque una credenza molto diffusa, infatti furono registrati arrivi da tutte le parti di Europa per richiedere la guarigione, e la Chiesa (salvo qualche rara eccezione) non si scagliò mai contro di essa. Si trattò anche di una credenza molto duratura, infatti fu rifiutata del tutto verso la fine del Settecento.
Alla corte d'Inghilterra, oltre alla leggenda del tocco guaritore, si sviluppò anche quella dei Cramp rings, anelli forgiati dal denaro che il re deponeva sull'altare della chiesa dopo l'adorazione della croce del Venerdì Santo; secondo la credenza popolare avevano il potere di guarire da crampi e spasmi muscolari. Si tratta di una leggenda che durò molto meno di quella del tocco, ma fu altrettanto accettata e anche per gli anelli si mossero genti da tutta Europa.

Il saggio di Bloch non ci offre solo una panoramica dettagliata sulla credenza del tocco guaritore dei re francesi e inglesi, ma ci mostra anche come i culti di alcuni santi nascessero all'epoca (e credo nascano ancora oggi) senza un reale fondamento e venissero "adattati" in base alla convenienza.
Nella Francia medievale si diffuse il culto di san Marcolfo, al quale nel tempo venne attribuita la paternità della guarigione delle scrofole, che lui veniva poi trasmetteva ai re in carica. Di questo santo in realtà si sa soltanto che visse circa cinque secoli prima dell'anno Mille e le prime leggende sul suo conto parlano di guarigioni senza mai citare le scrofole. Solo col tempo, e grazie alla volontà dei monaci di entrare nelle grazie del re di Francia, il santo viene associato alla guarigione delle scrofole; da qui la credulità popolare non tardò ad associarlo al potere del re, così divenne consuetudine credere che il sovrano ricevesse la dote miracolosa dal santo.

I Re Taumaturghi è un saggio di cui consiglio la lettura perché mostra come delle credenze in apparenza troppo assurde per essere credibili siano state credute. Per secoli uomini di diverse estrazioni culturali - non solo ignoranti - hanno creduto che il re potesse guarire una patologia col tocco della mano, quindi era accettato che il sovrano fosse più vicino a Dio dell'uomo comune.
Oggi noi sorridiamo leggendo certe cose, ma queste conoscenze devono spingerci a delle riflessioni circa la nostra capacità di discernere tra il sensato e l'assurdo. Così come un tempo la gente era pronta a convincersi che Dio potesse concedere un potere sovrumano al re, oggi c'è chi crede di poter comprare la felicità eterna seguendo un rito scritto da uomini autoproclamatisi messaggeri di Dio. Non dimentichiamo poi quante persone si affidano a sedicenti santoni per curare patologie più o meno gravi; sono passati i secoli, il grado di istruzione è cresciuto, eppure restiamo sempre degli ingenui creduloni. Dalla lettura del saggio di Bloch possiamo - e dobbiamo - porci delle domande sulla capacità umana di valutare razionalmente le verità che gli vengono offerte. 

Francesco Abate