mercoledì 26 ottobre 2016

L'EQUIVOCO SULL'ATEISMO DI SPINOZA

Nato ad Amesterdam nel 1632, originario però del Portogallo, Baruch d'Espinoza fu uno dei filosofi più importanti del Seicento.
Intorno alla sua figura ancora oggi esiste però un equivoco, molti infatti (in special modo nel mondo dei semplici appassionati di filosofia) ritengono erroneamente che Spinoza fosse ateo. In realtà egli credeva nell'esistenza di Dio, si allontanò però dalle religioni ufficiali finendo anche scomunicato dalla Sinagoga.

L'origine del conflitto tra le religioni e Spinoza, prima ancora che nel suo pensiero, si trova a mio parere nella sua biografia. Il filosofo nacque da una famiglia di marrani, cioè di Ebrei obbligati a convertirsi al Cristianesimo. La conversione della sua famiglia fu però solo di facciata, essi emigrarono in Olanda, dove poterono liberamente professare la religione ebraica. Col passare degli anni, poi, si delineò in Spinoza il suo pensiero e per causa di questo il filosofo fu scomunicato dalla Sinagoga. Essere scomunicato dalla Sinagoga lo portò all'isolamento e gli creò grossi problemi sul piano sociale, egli entrò così in contatto stretto con i Cristiani, ma mai aderì al loro credo.
La mancata adesione del filosofo alle religioni oggi porta molti a considerarlo erroneamente ateo, in realtà egli nel suo pensiero filosofico parla ampiamente di Dio, mentre rivaluta le religioni dando loro una funzione più utilitaristica che sacra.

In merito a Dio, Spinoza affermava: <<Per Dio intendo un ente assolutamente infinito, ossia una sostanza consistente in un'infinità di attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna e infinita>>. Spinoza nella sua filosofia riprende il concetto aristotelico secondo cui tutto ciò che è o è sostanza o affezione di essa. La filosofia antica però prevedeva molteplici sostanze, per Spinoza invece ne esiste solo una, originaria e autofondata (causa sui) che è Dio. 

Parlando della religione, invece, bisogna innanzitutto premettere che Spinoza descrisse tre gradi della conoscenza:
1) conoscenza empirica, ovvero relativa ad opinione ed immaginazione;
2) conoscenza razionale;
3) conoscenza intuitiva.
Per il filosofo, la religione appartiene solo al primo grado della conoscenza, mentre la filosofia invece al secondo e al terzo. A dimostrazione di ciò egli evidenziò come i Profeti e gli autori biblici spiccassero per immaginazione e fantasia, non per vigore dell'intelletto.
La religione mira solo all'obbedienza, infatti viene usata dai tiranni per perseguire i propri scopi, solo la filosofia mira alla verità assoluta.
Per Spinoza la religione non ha "dogmi veri", ma "dogmi pii", che inducono all'obbedienza. I dogmi religiosi non vincolano ad alcuna setta, c'è assoluta libertà di fede, ciò che conta è solo l'obbedienza a Dio intesa come amore verso il prossimo. La bontà e la cattiveria di un dogma si misurano quindi solo in funzione dell'obbedienza a Dio che esso impone.
Per Spinoza, detto in parole povere, non contava essere Ebreo o Cristiano, non importava il culto e le cerimonie religiose, contava solo l'obbedienza a Dio intesa come amore verso il prossimo.

Francesco Abate

martedì 18 ottobre 2016

LETTERATURA E CINEMA: L'EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL VAMPIRO

La figura del vampiro ha origini molto antiche che si fondono tra la religione e la superstizione. 
Nel corso dei secoli questo mostro ingordo di sangue umano ha incontrato grande fortuna e diffusione prima grazie al romanzo di Bram Stoker, poi grazie ai tantissimi film che ha ispirato, di cui il più famoso è ancora quello di Francis Ford Coppola del 1992. Ancora oggi non mancano romanzi e pellicole ispirate dal tema del vampirismo, come la fortunata trilogia di Twilight.  

Come detto, la superstizione ha un peso importante nella creazione del mito del vampiro.
Nel Medioevo non mancavano superstizioni secondo le quali si potesse conservare la giovinezza bevendo sangue umano. Spinta da tale folle convinzione agì la contessa ungherese Erzsébet Bàthory, la serial killer più famosa d'Europa, che nel XVI secolo torturò e uccise centinaia di ragazze solo per poter bere il loro sangue e farcisi dentro il bagno, convinta di conservare così la propria giovinezza.
Secondo gli studiosi forse fu il concetto di remissione dei peccati ottenuta bevendo il sangue di Cristo a favorire la nascita dei miti riguardo l'eterna giovinezza ottenuta bevendo sangue. Secondo la Chiesa, bevendo il sangue di Gesù si rigenera l'anima, probabilmente questa associazione tra sangue e rigenerazione fu trasferita al corpo. Non è però da escludere che semplice follia ed ignoranza abbiano generato tali folli teorie, come ancora oggi succede.

La figura del vampiro come anima maledetta che si nutre di sangue è comunque presente da secoli nel folklore rumeno.
Nell'antichità la chiesa ortodossa orientale riteneva che i morti in regime di scomunica o sotto maledizione diventassero morti viventi e che si nutrissero di carne e sangue umani. Il maledetto avrebbe trovato pace solo con l'assoluzione di un sacerdote.
Altre leggende rumene narravano che i bambini morti senza battesimo, i figli illegittimi, le streghe e i settimi figli di settimi figli, diventassero vampiri e assumessero sembianze di lupi o pipistrelli.

Il vampiro più famoso della letteratura è certamente quello di Bram Stoker. In realtà però il primo europeo che scrisse un racconto basato sulla figura del vampiro fu il medico John Polidori, intimo amico di lord Byron, che lo pubblicò nel 1819 sul New Monthly Magazine.
Il vampiro di Polidori si chiamava Lord Ruthven. Si trattava di un personaggio che fisicamente richiamava la bellezza un po' femminea di Byron. 

Il romanzo più grande sul vampiro, il primo in cui compare il conte Dracula, è quello di Bram Stoker.
Scritto nel 1897, fu di certo l'opera di maggior successo dello scrittore irlandese. 
La figura del Conte Dracula creata da Stoker probabilmente è ispirata a Vlad III l'Impalatore, un nobile signore di Valacchia che governò la regione tra il 1448 e il 1476 e si distinse per crudeltà. Vlad III era solito far impalare i suoi nemici, famosa è una stampa del XV secolo in cui lo si vede banchettare circondato da numerose persone impalate.
Il Dracula di Stoker ha caratteri più animaleschi che umani, ha denti aguzzi e peli sui palmi delle mani, come se fosse un lupo.
Nel Dracula di Stoker molti critici hanno colto anche un carattere sessuale. Forte è nel personaggio l'oralità, egli usa la bocca per soggiogare le sue vittime. Nel suo atto di vampirismo c'è un atto di sessualità deviata, non c'è l'uso di genitali, egli però seduce le sue vittime con la bocca, poi non è lui a donare i suoi fluidi, ma ruba quelli della vittima.

Se la figura del vampiro ha goduto di grande fortuna letteraria, lo stesso si può dire in campo cinematografico.
Già nel 1896 comparve nella pellicola Le manoir du Diable un enorme pipistrello che si trasforma in Mefistofele, poi sconfitto da un cavaliere che gli mostra un crocifisso.
La prima stagione d'oro del vampiro al cinema arrivò negli anni Trenta grazie all'attore ungherese Bela Lugosi. L'attore si identificò tanto con la figura di Dracula che arrivò a ritenersi una sua incarnazione e si fece costruire un letto a forma di bara.
La prima variazione importante della figura del vampiro arrivò con Christopher Lee, un attore che diede a Dracula un carattere tenebroso, ma un aspetto bello e un discreto fascino.
Negli anni '70 arrivò poi la svolta definitiva. Il vampiro smise di essere solo un malvagio, divenne un dannato che soffre la propria condizione, capace anche di sentimenti buoni. Il vampiro divenne così un cattivo che può suscitare pietà e simpatia. Il momento più alto di questo filone arrivò proprio con l'opera di Coppola.

Ancora oggi si continuano a scrivere romanzi e fare film sui vampiri. Oggi spesso le creature che un tempo furono demoniache sono presentate come buone, si innamorano e combattono contro i lupi mannari (nel romanzo di Stoker il vampiro comandava i lupi, invece). A mio parere si tratta di opere corrotte dal romanticismo a tutti i costi, dal valore estetico e culturale molto dubbio. Si tratta però solo del mio parere.

Francesco Abate


martedì 11 ottobre 2016

RECENSIONE DEL ROMANZO "IL PREZZO DELLA VITA"

Quella che segue è una recensione del romanzo Il prezzo della vita fatta dall'autore, quindi sarò io stesso a raccontarvi cosa è il mio romanzo e perché a mio parere valga la pena leggerlo.

Nonostante io l'abbia pubblicato meno di un anno fa con la CSA Editrice, scrissi Il prezzo della vita tra il 2010 e il 2011. 
Come tutto ciò che scrivo, il romanzo è fortemente permeato dalle mie esperienze personali. Lo sviluppai per veicolare i vari messaggi che esso contiene, figli delle vicende della mia vita e delle mie riflessioni, e l'intera trama così come i personaggi servono solo per dare una forma alle idee che volevo esprimere.

Come dichiarato sin dalla prefazione, il tema centrale del romanzo sono i soldi. Essi ormai hanno un peso eccessivo nell'esistenza degli uomini, spesso cessano di essere un semplice mezzo attraverso cui acquistare beni e servizi necessari per vivere e diventano armi attraverso cui comprare le persone o la felicità stessa. Se però senza soldi è quasi impossibile essere felici nella società consumistica di oggi, è pur vero che i soldi non servono ad acquistare la felicità, specie se usati in maniera impropria.
Nel romanzo osserviamo, attraverso le vicende dei protagonisti, come il potere dei soldi stia portando alla svalutazione dei valori. Sempre più persone, così come alcuni dei personaggi principali del romanzo, accettano di subire abusi o si sottomettono al ricco, svendendo la propria umanità e la propria esistenza per il benessere dato da una buona quantità di denaro. C'è chi si sottomette diventando il tirapiedi del padrone ricco, rinunciando alla propria individualità ed alla propria autodeterminazione; c'è chi vende il proprio corpo e magari un amore finto, dando via per soldi cuore e dignità. 
Un altro tema importante presente nel romanzo è quello che mi piace definire la "contagiosità del male". Quando un uomo fa del male ad un altro uomo, lo indispone e lo spinge a fare lo stesso con un terzo uomo, dando così inizio ad un circolo vizioso che potenzialmente può non avere fine. Un po' quello che ci si augura succeda quando si fa del bene. Il protagonista de Il prezzo della vita usa il potere che gli deriva dalla ricchezza per prendere tutto, facendo del male a molte persone, e così facendo rovina la vita a tanta gente che finisce per diventare arida e malvagia come lui, facendo a propria volta del male ad altri.
Nel romanzo non sono però presenti solo valori negativi, ad un certo punto compare anche del vero amore, solo che il protagonista è troppo disabituato ai veri sentimenti per riconoscerlo, finendo per rovinare tutto.

I protagonisti principali della vicenda sono quattro:
- Antonio Baldi: uomo anziano e molto ricco. Compra tutto con i soldi, cose e persone, è consapevole del fatto che nessuno provi per lui un vero affetto, ma con cinismo sfrutta la sua condizione. In realtà è ormai consapevole che la strada da lui percorsa non lo porterà mai alla vera felicità, ma non sa quale è l'alternativa da seguire, per questo si è arreso alla propria condizione accontentandosi di una ricca infelicità.
- Filomena Livriero: giovane moglie di Antonio. Di lei non posso dire molto, finirei per svelare troppe cose, dirò solo che è opportunista e pur di vivere nella ricchezza non si pone alcuno scrupolo.
- Michele Mestieri: finto miglior amico di Antonio, cerca di usarlo per trarne quanti più benefici possibile. Cattivo marito e cattivo padre, non pensa a nient'altro che alla propria felicità e non esita a tradire o ingannare le persone a cui dichiara amore.
- Jessica Mestieri: figlia di Michele, posso dirvi di lei che è l'unica ad affezionarsi davvero ad Antonio.

Con queste poche righe ho provato a spiegarvi, senza rovinarvi il piacere della lettura, il mio secondo romanzo: Il prezzo della vita.

Vi ricordo che il libro può essere ordinato sul sito www.csaeditrice.it, in tutte le librerie ed anche in quelle online.

Potete seguire la mia attività su questo blog, sulla pagina Facebook "Francesco Abate, lo scrittore battipagliese", e su Twitter "@FrancescoAbate3".

Grazie mille e buona lettura.

Francesco Abate

Francesco Abate nasce a Salerno il 26 agosto 1984, ma da sempre vive nella città di Battipaglia. Sin da piccolo manifesta interesse prima per la lettura, poi per la scrittura. Comincia ad abbozzare i primi romanzi già ai tempi del liceo, ma la prima pubblicazione arriva solo nel 2009 con Matrimonio e piacere. Autore anche di poesie. Il prezzo della vita è la sua prima pubblicazione per la CSA Editrice.