giovedì 29 febbraio 2024

LA STRADA DI CORMAC MCCARTHY

 

La strada è un romanzo post-apocalittico dello scrittore americano Cormac McCarthy pubblicato nel 2006. Nel 2009 ha ispirato l'omonimo film con Viggo Mortensen e Charlize Theron.
Nel romanzo viene raccontato il viaggio verso sud di un padre e un figlio, i quali si muovono dentro un paesaggio devastato fatto di alberi arsi e costruzioni distrutte.
Tutto in questo romanzo è indefinito: i protagonisti non hanno nome, non viene mai specificato qual è stata la catastrofe che ha ridotto il pianeta nel tizzone inospitale che è, e nemmeno si specifica in quale periodo dell'anno si svolge la narrazione. Il mondo narrato da McCarty è infatti un mondo distrutto, dove i nomi non servono, perché essi nascono come etichette per renderci distinguibili in una società che non c'è più. Nel mondo mccartyano non serve poi misurare il tempo, ogni giorno è infatti la stessa monotona lotta per la sopravvivenza, non ci sono eventi salienti da programmare o da ricordare. Il mondo in questo romanzo è completamente indefinito perché non esiste così come noi lo concepiamo; non è più il teatro dei nostri pensieri e delle nostre speranze, ma solo una landa in cui cercare cibo e non farsi ammazzare.
Gli uomini in La strada sono bestie in cerca della sopravvivenza, non ci sono ideali né scopi. Il padre vede nel proprio figlio una specie di divinità, sebbene questo non manifesti mai qualità degne di nota. Il piccolo è differente dagli altri esseri umani perché è l'unico legame che l'uomo ha con la vita passata, l'unico contatto con la moglie defunta e con un tipo d'amore, quello umano, che sembra essere sparito da quella bolgia infernale. Il piccolo poi è speciale perché ripone in sé ancora la speranza, ancora tende a distinguere il bene dal male, non cedendo così alla crudeltà del presente, ed è l'unico dei due che può cercare di vivere un futuro diverso.
Sebbene racconti una realtà all'apparenza tanto diversa, La strada è un romanzo che può benissimo essere usato per leggere la nostra attuale società, presentando un'estremizzazione di quanto già succede intorno a noi. L'uomo distrugge la natura (nell'immagine vedete alberi bruciati in Amazzonia, non la foto di un mondo distopico), che infatti nel romanzo è morta, e paga le conseguenze di questo comportamento scellerato con eventi naturali sempre più estremi, così come estrema è la natura nel libro. Nel romanzo ci sono poi i cannibali, che tengono prigionieri altri esseri umani per nutrirsene, così come oggi fanno i capitalisti, che imprigionano altri uomini in lavori degradanti e sottopagati per nutrirsene e accumulare altre ricchezze. Nel mondo popolato da ladri e cannibali, anche i buoni rischiano di cedere all'odio e comportarsi da malvagi, così come oggi in questo mondo cinico anche chi non lo è può cadere nella trappola e approfittare di qualcun altro a proprio vantaggio. Anche il finale del libro lancia un messaggio valido anche per la contemporaneità: in un mondo dove gli uomini sono disposti a distruggerne altri pur di avere un vantaggio, l'unica speranza consiste nel restare umani e non perdere la voglia di amare e condividere.

Francesco Abate

sabato 24 febbraio 2024

LA DEUMANIZZAZIONE SPIEGATA DA CHIARA VOLPATO

 

Nel 1550 Juan Ginés de Sepulveda descrisse gli indios del Nuovo Mondo come omuncoli privi di qualsiasi traccia di umanità, creati da Dio al solo fine di servire come schiavi i civilizzatori europei. Circa un paio di secoli dopo, George Washington giustificava il genocidio dei pellerossa paragonandoli a lupi da cacciare. In tempi molto più recenti, la propaganda nazista diffondeva vignette in cui gli ebrei venivano rappresentati come esseri deformi o veri e propri mostri. Oggi si imita il verso della scimmia per offendere le persone di colore.
Gli esempi che ho fatto sopra, benché distanti tra loro nel tempo e nello spazio, fanno parte tutti di un unico fenomeno, quello della deumanizzazione, di cui parla ampiamente la prof.ssa Chiara Volpato in un saggio del 2011 intitolato Deumanizzazione. Come si legittima la violenza.
Deumanizzare significa negare l'umanità dell'altro, singolo o gruppo, introducendo un'asimmetria tra chi gode delle qualità dell'umano, giudicate superiori, e chi ne è considerato privo o carente. Partendo dagli esempi storici citati sopra, occorre subito chiarire come la deumanizzazione non sia una conseguenza di fenomeni come la ghettizzazione, la persecuzione o la riduzione in schiavitù, ma ne sia causa o giustificazione; gli storici ritengono che la schiavizzazione dei neri africani in America precedette la diffusione del razzismo nei loro confronti, non la seguì. La deumanizzazione serve infatti ad escludere dei soggetti dalla razza umana, giustificando le nefandezze compiute nei loro confronti, è perciò funzionale agli interessi economici e politici dell'agente.
Leggendo il saggio della prof.ssa Volpato, si impara come esistano due tipi di deumanizzazione, una esplicita ed una sottile. La deumanizzazione esplicita si ha quando l'altro è accusato apertamente di essere carente o mancante di condizioni umane, quella sottile invece si insinua subdolamente nella nostra quotidiana percezione degli altri e ci convince che le emozioni unicamente umane siano proprie solo del nostro gruppo di appartenenza.
Nel saggio sono individuate cinque strategie di deumanizzazione esplicita: espulsione sociale (quando le vittime sono viste come violatrici di una o più norme sociali), caratterizzazione in tratti, uso di etichette politiche, confronto tra gruppi (si delegittima un gruppo facendo leva sulle differenze col gruppo cui appartiene l'agente), deumanizzazione (metafore o paragoni con animali, mezzi meccanici, virus e batteri, mostri, ecc.).
Per quanto concerne la deumanizzazione sottile, come esempio più comune possiamo richiamare l'ontologizzazione, cioè il fenomeno che ci porta a vedere più vicina al mondo animale che a quello umano una minoranza etnica non assimilata (non si denuncia apertamente la mancanza di umanità, ma a pelle si percepisce una differenza tra noi e loro).
C'è poi una forma particolare di deumanizzazione che è l'oggettivazione, cioè la percezione di un individuo come oggetto, merce o strumento. Il caso più comune ed evidente di oggettivazione è quella sessuale, nella quale l'individuo (spesso la donna) viene visto come strumento per il raggiungimento del piacere sessuale e non come persona. Una forma di oggettivazione è anche la schiavitù, perché lo schiavo è visto come strumento al servizio del padrone.
Nel saggio viene evidenziato come la deumanizzazione possa essere favorita dalla depersonalizzazione, cioè dal trattare i membri di un gruppo come una cosa unica, privandoli della propria singolarità. Questa considerazione, in apparenza banale, deve portarci a riflettere sull'opportunità delle categorizzazioni, di cui oggi si abusa. Quando si semplifica un fenomeno riducendo vittime e carnefici in categorie, si apre la strada alla deumanizzazione, rendendo così più facile l'esplosione di comportamenti violenti o comunque discriminatori nei loro confronti.
Nelle pagine del libro si evidenzia anche come il linguaggio possa facilitare l'uso della violenza, citando studi che correlano un maggiore uso di epiteti contro una certa categoria ad una maggiore frequenza di aggressioni violente nei loro confronti. Questo dovrebbe spingere chi esercita un'influenza, o comunque ha la possibilità di parlare ad un pubblico numeroso, a pesare bene le parole ed evitare l'uso di epiteti offensivi o di termini violenti.

Il saggio Deumanizzazione. Come si legittima la violenza della prof.ssa Volpato non rivela delle verità fino ad ora ignote, ha però il merito di spiegare in modo chiaro un fenomeno molto comune nelle dinamiche della nostra società ma ancora troppo sottovalutato. Ancora oggi parliamo con leggerezza di "clandestini", riassumendo in un'etichetta denigratoria una moltitudine di vicende umane, o usiamo con leggerezza epiteti denigratori (come non citare i "fottuti figli di Allah" di Oriana Fallaci), o deumanizziamo esseri umani di cui sappiamo poco. Queste che possono sembrare leggerezze possono aprire la strada ad eventi drammatici, la deumanizzazione ha permesso di giustificare Abu Ghraib e Guantanamo, permette a molti di giustificare il genocidio dei palestinesi (che per molti sono solo terroristi, o musulmani), consente di lasciare impunite mostruosità come le manganellate agli studenti (che per molti sono "comunisti", non persone con un'opinione e il diritto di manifestarla).
La deumanizzazione è un fenomeno ancora molto attuale, un'arma ancora molto usata dal potere per manipolare la nostra volontà, e solo conoscendola possiamo sfuggirle.
Il saggio ha il merito di essere molto semplice, leggibile da chiunque, pur se molto completo e rigoroso.

Francesco Abate

giovedì 15 febbraio 2024

ERITREA

 

"Giovane ragazza dalla pelle alla nocciola,
perché i tuoi ricci ribelli son fuggiti
dalla casa in cui nascesti?"

Eritrea, poesia contenuta nella mia raccolta Inferno, non è solo il canto di un paese stritolato dalla dittatura, ma è anche la voce di tante donne che fuggono dall'inferno per resistere a un destino nefasto.
"Là parlavo a voce bassa per paura delle orecchie
ma io ho la voce forte e i polmoni per urlare,
per questo fuggii"
La donna eritrea che parla nella poesia fugge, ma non lo fa perché codarda; a spingerla alla fuga è la forza di opporsi al piede prepotente che vuole schiacciarla, ridurla al silenzio, usarla e poi buttarla via.
In Eritrea, come purtroppo in tantissime parti del mondo, le donne sono, insieme ai bambini, le vittime preferite dei regimi, che quando non le uccidono le declassano al rango di schiave, e la fuga in questi casi è il più grande atto di coraggio, un atto che molto spesso costa la vita.
La poesia si conclude con la donna che rivendica la voglia di vivere della sua fresca gioventù:
"Là la morte è padrona con la falce sua compagna
ma io ho le carni fresche e la voglia di campare,
per questo fuggii".

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Colgo l'occasione per segnalarvi la mia ultima intervista, rilasciata ad Ottiche Parallele Magazine.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

sabato 10 febbraio 2024

SOFFOCARE DI CHUCK PALAHNIUK

 

Soffocare è un romanzo pubblicato nel 2001 dallo scrittore statunitense Chuck Palahniuk, dal quale è stato tratto l'omonimo film diretto del regista Clark Gregg nel 2008.
Al centro di questo romanzo c'è la nevrosi, il protagonista Victor Mancini è infatti sessodipendente ed ha serie difficoltà a vivere un'esistenza normale nella società. Perseguitato da un'infanzia passata con una madre instabile ed ossessionata da teorie complottiste, Victor non fa niente per combattere la propria dipendenza anzi, la alimenta in continuazione, e nel frattempo mantiene l'anziana madre in una costosa clinica per malati di Alzheimer raccattando i soldi con un espediente tanto furbo quanto squallido: ogni sera, in un ristorante diverso, volontariamente inghiotte qualcosa che rischia di soffocarlo, per poi venire salvato dall'eroe di turno che puntualmente lo prende a cuore e gli dona del denaro. 
L'ipersessualità in questo romanzo è una disperata via di fuga, una trasgressione necessaria per deragliare da un percorso di vita fin troppo ben definito dalla società. Tutti i personaggi principali di questo romanzo non riescono a conformarsi alla vita definita normale, ognuno trova una propria via di fuga. Per buona parte del romanzo la fuga dalla società è distruttiva, infatti i personaggi non fanno altro che abbandonarsi alla propria dipendenza e chiudersi nel proprio malessere; nel finale sembrano trovare la loro via, perché realizzano che non c'è una strada maestra da seguire per essere felici, l'unica soluzione che c'è è disegnare il proprio mondo, realizzarlo e viverlo. Il romanzo si conclude proprio con Victor e i suoi amici intenti a crearsi un mondo proprio, a concretizzare quella fuga dalla società solo abbozzata a colpi di dipendenze e trovate squallide.
Victor Mancini, il protagonista di Soffocare, per molti versi somiglia a due dei personaggi principali dell'opera dello scrittore russo Fedor Dostoevskij. Victor è infatti imprigionato nel proprio sottosuolo, come il protagonista di Memorie del sottosuolo, e con ogni azione autolesionista sceglie di scivolare sempre più in basso, di farsi respingere sempre più dalla società, di annegare nelle bassezze del proprio animo, e come il suo omologo tenta di trovare consolazione abbandonandosi alla massima abiezione quando tenta di consumare un rapporto sessuale sull'altare di una chiesa. Victor è un dannato, uno schiavo del proprio lato oscuro, ma presenta anche dei lati di estrema bontà paragonabili a quelli del principe Myskin, protagonista de L'idiota, che appaiono quando prende sulle proprie spalle i peccati che tormentano le anziane pazienti del centro per i malati di Alzheimer in cui è ricoverata sua madre. Questo dualismo tra il suo sottosuolo e i suoi lampi di bontà provocano una sorta di corto circuito nella sua anima, soprattutto quando si convince di essere una sorta di erede di Gesù Cristo, ma il tutto si risolve quando viene a conoscenza della verità intorno alle proprie origini e alle persone che lo circondano, a quel punto realizza di dover trovare una strada diversa da quella già tracciata dalle narrazioni religiose.
Soffocare è senz'altro un bel romanzo, disturbante e forte come ci si aspetta da un'opera di Palahniuk, anche se non all'altezza del suo capolavoro, Fight Club. Sebbene sia peculiare della scrittura di Palahniuk una certa volgarità e la descrizione esplicita di immagini crude o di atti sessuali, in alcuni casi la scelta di un certo tipo di linguaggio e di certi particolari appare un po' forzata, finalizzata più a colpire che a dare un valore aggiunto all'opera. Nonostante tutto vale la pena di leggere questo romanzo, ci mostra infatti tante cellule impazzite che non riescono a integrarsi in questo grande organismo che è la società odierna, facendoci vedere come esse tendano ad essere espulse ma allo stesso tempo tentino di costruirsi una propria strada, perché anche chi non riesce a sottostare alle regole sociali (che non ha scelto) ha il diritto di vivere un'esistenza dignitosa e felice.

Francesco Abate

domenica 4 febbraio 2024

LA MARCIA DI REHAM

 

La marcia di Reham è una poesia contenuta nella raccolta Inferno.
La poesia parla di Reham Yacoub, nutrizionista irachena e attivista dei diritti umani, uccisa da un commando armato nel 2020 probabilmente per via delle sue attività di protesta contro il governo iracheno e le sue violazioni dei diritti umani.
Nella poesia ho voluto spronare la povera Reham, e tutte le persone coraggiose come lei, a non mollare nemmeno mentre la morte incombe, perché "morire fa male, però non dura".
Purtroppo la sua marcia coraggiosa e il suo sacrificio, almeno per ora, non sono serviti a niente, e la poesia purtroppo ha una conclusione amara:
"Cammina Reham, ancora il governo
con lo scettro trasforma l'Iraq in inferno."

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Francesco Abate