giovedì 27 luglio 2023

AL PICCOLO GEDHUN PERSO NELLA NOTTE

 

Gedhun Choekyi è uno dei tanti, anzi troppi, simboli dell'infanzia negata. Nato in Tibet, a soli sei anni fu riconosciuto come Panchen Lama, seconda carica religiosa tibetana, e qui subì la prima violenza, perché un bambino dovrebbe pensare a giocare e crescere e non dovrebbe essere esposto al lavaggio del cervello di un monastero ("...sei anni avevi e ti rubarono il nome, / Panchen ti chiamarono, / e ti diedero un vestito / così pesante da schiacciarti a terra"). Per il piccolo Gedhun la tragedia era però solo cominciata, fu infatti travolto da crudeli giochi di potere quando nel 1995, a seguito della sua proclamazione ufficiale dal Dalai Lama, fu rapito dai cinesi e sostituito con un Panchen Lama a loro gradito; da allora di lui non si sa più nulla ("In quella notte di terra e di sassi / quel vestito si colorò di rosso / come il sangue che attira lo squalo / e venne il mostro a forma di drago / a inghiottirti e portarti lontano").
La poesia si conclude con le domande che nascono davanti alla notizia del rapimento di un bambino qualunque:
Chissà se piange il piccolo Gedhun
perso nell'oscura notte cinese...

Chissà se dorme il piccolo Gedhun
avvolto nell'oscura notte cinese,
se il suo respiro è alfine chetato
e la sua pelle morbida e fredda.

Quella di Gedhun è una storia poco nota dalle nostre parti, ma merita di essere raccontata perché racchiude la tragedia dei bambini privati dell'infanzia e della vita, inoltre ci permette di conoscere il dramma del Tibet e la crudeltà dell'imperialismo cinese.


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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

venerdì 14 luglio 2023

L'ARTE DI OTTENERE RAGIONE DI ARTHUR SCHOPENHAUER

 

L'arte di ottenere ragione è un breve trattato manoscritto del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer datato dai critici tra il 1830 e il 1831 per via di corrispondenze tematiche nelle ultime lezioni berlinesi del pensatore.
In questo libro il filosofo descrive trentotto stratagemmi utili a prevalere in un dibattito, a prescindere che la tesi proposta sia vera oppure no. Non siamo quindi nel campo della Logica, che ricerca la verità obiettiva, ma in quello della dialettica Eristica, finalizzata solo ad ottenere ragione nel dibattito. Si tratta di una posizione che lo stesso Schopenhauer rinnegherà nel Parerga e paralipomena, in cui scriverà che <<non corrisponde più alla mia disposizione d'animo, perciò la abbandono>>.
Sebbene si tratti di un'opera poco "costruttiva", perché insegna dei mezzucci per ottenere ragione anche quando si sostiene un'assurdità, nell'ultimo stratagemma il filosofo constata come l'attrito di teste (così definisce la disputa) può risultare di vantaggio reciproco per i contendenti, che possono usarla come spunto per la rettifica dei propri pensieri e per la produzione di nuovi. 
Leggendo gli stratagemmi illustrati da Schopenhauer viene automatico fare un raffronto con la realtà contemporanea, coi dibattiti pubblici (in special modo quelli politici) in cui i contendenti usano spesso i mezzucci dialettici elencati nel libro. Il più usato dai nostri uomini politici è di sicuro lo stratagemma numero 38, quello più miserabile e che più degli altri denota la debolezza delle argomentazioni proposte: "Quando si nota che l'avversario è superiore e si avrà torto, si diventi aggressivi, offensivi, villani, passando dal tema della discussione alla persona del contendente...". Parlando dei nostri politicanti, non posso dimenticare lo stratagemma 36: "Stupire e sconcertare l'avversario con un insensato torrente di parole...". Questi sono i due più usati, ma seguendo un talk show politico qualsiasi possiamo notare come siano parecchi quelli a cui fanno ricorso i partecipanti; il fatto che si dibatta seguendo le regole dell'Eristica dimostra come non importi a nessuno di conoscere la verità, conta solo ottenere il consenso, e questo è il segno evidente di quanto sia miserabile la nostra attuale classe dirigente.

Francesco Abate

venerdì 7 luglio 2023

YEMEN

 

Yemen è una poesia contenuta nella mia raccolta Inferno, nella sezione dedicata all'Inferno dei popoli.
Con questo componimento ho voluto ricordare il piccolo stato (il più povero della penisola arabica) devastato sin dal 2014 da una sanguinosa guerra civile; come la maggior parte dei conflitti locali, dapprima è cominciato come scontro interno tra due fazioni, presto però si è allargato a causa dell'intervento della comunità internazionale. Sono ormai otto anni che lo Yemen viene costantemente bombardato dall'Arabia Saudita, che ufficialmente è intervenuta accusando l'Iran di finanziare e rifornire di armi la fazione sciita. Sebbene sia un conflitto di cui si parla poco, ha prodotto negli ultimi otto anni circa 20.000 vittime civili e più 4,5 milioni di sfollati, tra cui 2 milioni di bambini (fonte: Save the Children).
Del sangue yemenita sono sporche anche le mani occidentali, visto che l'Arabia Saudita ha ottenuto il pieno appoggio della comunità internazionale e può contare per i suoi massacri di civili su armi statunitensi e britanniche
In questo tragico scenario, la vita di uno yemenita non può che essere un lungo pianto:
"Piange il neonato che apre la vita
e piange il bambino scheletrico che la chiude;
piange la donna che dona la vita
e piange il cielo lacrime di bombe che la tolgono."
In questo interminabile massacro, resta difficile immaginare nel cuore dello yemenita un sentimento diverso dalla rassegnazione, per questo la poesia si conclude con le strofe
"Non datemi più ordini,
voglio morire tranquillo."

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Francesco Abate