lunedì 24 luglio 2017

RECENSIONE DE "IL VISCONTE DIMEZZATO" DI ITALO CALVINO

Dopo aver letto recentemente Il sentiero dei nidi di ragno e Il cavaliere inesistente, posso dire di essermi appassionato ad Italo Calvino. Ormai con la fiducia dell'estimatore mi sono approcciato alla lettura del romanzo breve Il visconte dimezzato e anche stavolta non sono rimasto deluso.
Come lo stesso Calvino dichiarò in una lettera del 1952, egli scrisse questo romanzo principalmente per divertirsi e divertire. Questo suo scopo lo scrittore l'ha raggiunto in pieno, la storia infatti parte subito con un colpo di scena e si sviluppa per successive sorprese. Ne nasce perciò una vicenda piacevole da leggere che incolla il lettore fino all'ultima pagina.
Ne Il visconte dimezzato leggiamo la storia del visconte Medardo di Terralba che, colpito da una cannonata, viene appunto dimezzato. La metà che torna a casa si rivela estremamente malvagia e si attira l'odio di tutta la comunità. Dopo un po' di tempo però arriva nelle terre del visconte anche l'altra metà, questa totalmente buona e altruista. Se la metà cattiva si crea nemici, quella buona pure finisce per disturbare gli abitanti della zona, in special modo gli ugonotti che vedono messa in discussione la loro fede puramente dogmatica e vuota di contenuti.

Come tutte le opere di Calvino, Il visconte dimezzato riesce a trattare temi importanti pur essendo in apparenza leggero. L'autore riesce in questo intento usando, come ne Il sentiero dei nidi di ragno, un bambino come narratore. Per quanto i temi trattati possano essere profondi, quando a narrare è un bambino è giusto e necessario che il racconto sia essenziale e privo di retorica.
Il tema principale, come dichiara lo stesso autore, è il dramma dell'uomo alienato, rappresentato appunto dall'uomo dimezzato. Calvino per rendere più evidente la frattura nell'animo del protagonista la estende al suo corpo e crea la contrapposizione tra bene e male, ma racconta di fatto il dramma di chi si sente incompleto.
Nel romanzo c'è poi anche una forte critica al mondo culturale di quegli anni. Nelle terre del visconte vi sono i lebbrosi che, isolatisi dal resto della popolazione, vivono di elemosine e in totale assenza di regole morali: per Calvino rappresentano gli intellettuali decadenti. Ci sono poi il dottore che prova disgusto alla vista dei malati, non sforzandosi nemmeno di aiutarli, e il carpentiere che riesce a costruire solo le forche commissionategli in gran quantità dalla metà cattiva del visconte: essi rappresentano i medici e gli scienziati che operano privi di umanità. Ci sono poi gli ugonotti, religiosi in fuga che vivono seguendo una fede rigida di cui però ricordano pochissimo, si tratta di una religione puramente di facciata perché essi, di fronte al bene assoluto rappresentato dalla metà buona del visconte, reagiscono con violenza e ostilità: essi rappresentano il moralismo idealista della borghesia.

Come i romanzi di Calvino che ho letto in precedenza, Il visconte dimezzato riesce a trattare in maniera semplice, e senza eccedere nella ricerca della drammaticità, temi importanti. Si tratta di una lettura piacevole e leggera, ma non banale. Un libro che consiglio anche a chi non ama particolarmente leggere o a chi muove i primi passi nel mondo della letteratura.

Francesco Abate


venerdì 21 luglio 2017

VI RACCONTO LA MIA POESIA "MI ARRENDO"

Partii carico di leggende dorate
che il peso della vita ha schiacciato.
Così inizia la poesia Mi Arrendo che ho pubblicato sul sito Spillwords.com il 7 luglio.
Come si intuisce dalle prime strofe, è una poesia che parla di delusione e sconforto. Da bambini costruiamo imponenti castelli di sogni che poi rinforziamo crescendo, diventando adulti però ci tocca spesso vedere queste costruzioni cadere o peggio ancora ammettere che non è possibile realizzarle nella realtà. Di fronte alla percezione di una realtà così deludente, l'animo è spesso tentato dall'idea della resa:
i tormenti sembrano infiniti
e mi arrendo.
Si ci arrende spesso perché si percepisce l'inutilità della propria esistenza:
Non ha senso cercare la fuga nel deserto,
qualunque cammino ha come meta
la morte.
Ovviamente ognuno di noi trova dentro sé il proprio motivo per continuare a camminare, una ragione per vivere, chi non ci riesce finisce per autodistruggersi nei tanti modi che il mondo ci offre (suicidio, dipendenze, ecc.).
Nella poesia non manca poi il tema del tradimento. A tutti capita di restare delusi da persone fidate, in questi momenti di sconforto questi tradimenti, seppur spesso banali, pesano come un macigno.
Si avvicina un volto amico che ride,
gli tendo la mano
e mi ruba acqua e cibo.

Qualora lo desideraste, potete leggere Mi Arrendo al link http://spillwords.com/mi-arrendo/.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

martedì 18 luglio 2017

RECENSIONE DE "I PRIGIONIERI DEI SAVOIA. LA VERA STORIA DELLA CONGIURA DI FENESTRELLE" DI ALESSANDRO BARBERO

Dall'inizio degli anni Novanta in Italia è esplosa la moda del revisionismo anti-risorgimentale. Alla necessità di approfondire alcuni aspetti meno noti delle vicende legate all'Unità d'Italia, ed all'importanza di avviare uno studio dei fatti libero dalla retorica risorgimentale, si sono uniti i sentimenti anti-italiani esplosi in buona parte del paese, in special modo al sud. Il risultato è stato il fiorire di teorie tutt'altro che dimostrabili, lo sviluppo addirittura di movimenti neoborbonici e la diffusione dell'idea che chi insegna la storia ci stia nascondendo qualcosa.
Purtroppo oggi l'editoria è prima di tutto mercato, giornalisti ed editori hanno capito che pubblicando libri in cui il Risorgimento è raccontato solo dal punto di vista degli sconfitti possono moltiplicare gli introiti, per questo stiamo assistendo alla moltiplicazione di libri che raccontano le cose più folli, da campi di concentramento sabaudi a sadiche torture nei confronti dei napoletani. In questo clima così confuso, dominato da libri in cerca di sensazionalismo e pieni di nozioni alterate dall'ideologia, il libro I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle è essenziale come l'acqua.

Si tratta di un volume in cui lo storico Alessandro Barbero ci racconta, con precisione scientifica e prendendo dati da tutti i tipi di fonti possibili (tanto i giornali, tenendo ovviamente conto della loro appartenenza politica e quindi dei loro interessi nell'elaborare in un certo modo la notizia, quanto gli archivi), il destino dei soldati del Regno delle Due Sicilie prima come prigionieri di guerra, poi come arruolati a forza nel nuovo esercito italiano. Barbero ci descrive i problemi che il neonato Regno d'Italia si trovò ad affrontare, i diversi umori suscitati dall'arrivo di tanti soldati napoletani al nord, il dibattito politico ed i provvedimenti che furono attuati. Il libro racconta poi della congiura di Fenestrelle e, cosa fondamentale, smonta pezzo per pezzo le tesi assurde proposte dai tanti scrittori neoborbonici che hanno trattato lo stesso argomento dagli anni Novanta ad oggi. 
All'autore va riconosciuto il merito di raccontare tanto e con rigore senza però mai diventare pesante, il libro si legge infatti in modo scorrevole pur riportando al proprio interno un grosso numero di cifre (indispensabili per chiarire la portata del fenomeno dei prigionieri di guerra napoletani spostati al nord). Così come ci appare in tv, anche come scrittore Barbero si conferma un ottimo divulgatore.
La storia che ci racconta Barbero parla di un governo sabaudo in difficoltà di fronte al massiccio arrivo di prigionieri napoletani, della rovente polemica politica scoppiata tra chi appoggiava l'impresa dell'Unità d'Italia e chi era contrario, degli articoli coi quali i giornali vicini alla chiesa tentavano di screditare l'opera del Governo. Rileggendo gli archivi e i carteggi dell'epoca non emergono lager, fortezze o punizioni per i soldati napoletani, ai prigionieri furono date ampie garanzie riguardo i loro diritti ed anche quando sbagliarono (disertando una volta diventati soldati italiani o macchiandosi di delitti più gravi) ebbero sempre diritto a regolare processo e furono trattati come i loro pari piemontesi. Non vi furono migliaia di morti a Fenestrelle (che era una fortezza in cui alloggiavano anche militari piemontesi, non un lager destinato ai napoletani), come qualcuno oggi racconta, ma i decessi di napoletani si contarono sulle dita delle mani. In generale i napoletani che transitarono per la fortezza vi rimasero poco, tranne nel caso dei Corpi Franchi. Barbero ci illustra anche il problema della camorra che i napoletani portarono nell'esercito italiano e di come la magistratura dell'epoca provò ad affrontarlo. 
Nel libro I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle lo storico Alessandro Barbero tratta un pezzo del Risorgimento con rigore scientifico, privandolo sia della retorica patriottica che di quella anti-risorgimentale, portando alla luce semplicemente i fatti. L'autore riconosce anche ai neoborbonici il merito di aver sollevato dei temi di cui non si è parlato per tanti anni, però essi agiscono con un movente ideologico e non affrontano in modo scientifico la ricostruzione dei fatti, trascurando molte fonti e non valutando l'attendibilità di quelle da cui prendono informazioni. 
Alla luce di tanti articoli discutibili che girano oggi su internet, credo che la lettura di questo libro serva a capire come davvero andarono le cose ed a diffidare da chi cerca il colpo a effetto trascurando la verità.

Francesco Abate

mercoledì 12 luglio 2017

RECENSIONE DE "IL MAESTRO E MARGHERITA" DI MICHAIL BULGAKOV

Le persone che leggono poco e scelgono in genere i romanzi più commerciali hanno generalmente una cattiva opinione della letteratura russa, ritenendola pesante. A motivare questa opinione diffusa c'è sicuramente una valutazione troppo leggera delle opere dei grandi letterati russi, basata perlopiù sull'elevato numero di pagine dei libri e sui temi sempre molto profondi trattati nelle varie opere. Io mi sono avvicinato alla letteratura russa da poco, con Dostoevskij capii subito che l'opinione generale sulla letteratura russa è frutto di grande superficialità, adesso Bulgakov mi ha definitivamente fatto capire che non solo le opere russe non sono necessariamente mattoni pesanti da digerire, ma spesso sono molto godibili pur riuscendo a non cadere mai nella banalità.
Ho letto Il maestro e Margherita e posso dire di essermene letteralmente innamorato. Si tratta di un romanzo così pregno di contenuti da farti sentire una persona diversa già nel momento in cui lo stai leggendo, scritto in modo tale da incollare il lettore e costringerlo a leggere fino all'ultima pagina. Molti definiscono questo romanzo uno dei migliori del Novecento russo, io credo possa benissimo essere uno dei migliori in assoluto nella storia (anche se non ho letto abbastanza perché questo mio giudizio possa essere degno di considerazione).
Questo romanzo fu pubblicato più di vent'anni dopo la morte dello scrittore. Trattandosi di un'opera in cui è forte l'elemento sovrannaturale, cosa non gradita nell'URSS atea di Stalin, ed in cui la società russa è mostrata in tutta la sua corruzione, lo scrittore era ben consapevole che gli avrebbe causato tanti guai. Bulgakov arrivò anche a bruciare il manoscritto, ma attraverso la bocca di uno dei suoi personaggi ci insegna che "i manoscritti non bruciano".

Ne Il maestro e Margherita il lettore vive due vicende parallele. 
Quella principale vede arrivare il misterioso Woland a Mosca, accompagnato da un gruppo piuttosto anormale in cui spicca la presenza di un gatto che parla e cammina su due zampe, Behemoth. L'arrivo di Woland porta con sé tutta una serie di guai che travolgono la città di Mosca. In questa vicenda si inseriscono anche il Maestro e Margherita, due amanti separati dal ricovero in manicomio dell'uomo. Il Maestro ha scritto un'opera su Ponzio Pilato, ma questa gli ha causato solo guai ed ha finito per bruciarla. Grazie all'intervento del malvagio Woland, che altri non è che Satana, il Maestro riesce a recuperare il suo manoscritto e ritrova l'amata Margherita. 
Attraverso il racconto di Woland ed il manoscritto del Maestro, riusciamo a rivivere l'avventura che visse Ponzio Pilato, una vicenda in parte simile al Vangelo, ma diversa per i nomi dei personaggi e per alcune sfumature della vicenda. A differenza delle scritture evangeliche, il protagonista assoluto di questo racconto sacro è proprio il governatore Pilato, che prima vediamo impegnato nella spinosa questione della crocifissione di Jeshua Ha-Nozri, poi lo troviamo condannato ad una pena millenaria, infine lo vediamo finalmente libero dalle sue sofferenze.

Come detto sopra, i temi che il romanzo tratta sono tantissimi. Innanzitutto è forte la critica alla società moscovita dell'epoca. Woland è il male e mette tutti i personaggi in cui si imbatte di fronte alla loro malvagità. A volte in modi drammatici, altri in modi grotteschi, i moscoviti che si imbattono in Woland vengono puniti per le azioni malvagie dettate dal loro animo corrotto e meschino. Anche l'elite letteraria dell'epoca viene rappresentata in modo tutt'altro che lusinghiero, si vedono infatti i membri del MASSOLIT sfruttare la loro tessera non per impegnarsi in proficue discussioni culturali, ma per mangiar bene e vivere agiatamente. I letterati che compaiono in questo romanzo scrivono per mestiere, non per fare arte, e si vedono riservati dei privilegi che ne fanno quasi una casta privilegiata. Ivan Bezdomnyj, il primo poeta che si imbatte in Woland, finisce per comprendere di essere un letterato mediocre e decide che non scriverà più i versi e diventerà una sorta di discepolo spirituale del Maestro.
Nel romanzo i temi di peccato e redenzione sono molto forti. Di peccati lo scrittore ne descrive tanti, il più grande però dice Ha-Nozri è quello di vigliaccheria. Ponzio Pilato è il simbolo della vigliaccheria, dopo aver condannato a morte il povero e inoffensivo Ha-Nozri è tormentato dai sensi di colpa, alla fine del romanzo si scopre poi che quel peccato lo sta pagando anche dopo la morte. Così come c'è il peccato, c'è però la redenzione. Pilato alla fine della vicenda è liberato dalla sua pena, inoltre agli stessi Maestro e Margherita viene concessa la pace nonostante abbiano venduto l'anima a Woland pur di ritrovarsi.
Nella Russia della dittatura comunista l'unica fede ammessa era quella al regime, ogni forma di religiosità e di magia era perseguita, eppure questo romanzo irrompe in quella realtà e la frantuma. Questa irruzione violenta del romanzo nella realtà russa avviene anche all'interno della vicenda principale che esso narra, infatti l'arrivo di Woland è irruzione della spiritualità (sotto forma del suo male supremo, Satana) e della magia nera nella Mosca atea. Anche la stesura da parte del Maestro di un romanzo su Ponzio Pilato è una violazione dell'ateismo forzato in vigore nel paese, lo scrittore perciò ci mostra come la politica non possa impedire alla curiosità che è insita nell'animo umano di esplorare le terre misteriose della metafisica. L'arma che la censura usa per bloccare l'opera della curiosità è la censura, ma Woland (che nel romanzo è la massima espressione del metafisico) dicendo che "i manoscritti non bruciano" vuole secondo me far capire che non è possibile cancellare la cultura, quindi non si può bloccare la formazione del libero pensiero che, in quanto libero, spazia su temi infiniti.
Non manca poi ovviamente il tema dell'amore, che è rappresentato dalla vicenda di Margherita e del Maestro. Per questo amore i due arrivano addirittura a vendere l'anima al Diavolo, ma per questo peccato essi vengono perdonati.

Come già avevo anticipato Il maestro e Margherita è ricco di temi importanti. Quando decisi di approssimarmi alla lettura di questo romanzo, lo feci temendo che fosse la classica storia d'amore tormentata. Fui piacevolmente sorpreso dalla prima parte, in cui si vedono le magie di Woland scombussolare la vita dei moscoviti, ma non appena il Maestro comparve sulla scena e raccontò la sua passione, cominciai a temere che tutto sarebbe stato rovinato dalla dolcezza. A Bulgakov adesso riconosco che non è così, ha saputo rendere bene l'intensità dell'amore provato dai protagonisti, un sentimento per il quale arrivano a mettere in gioco la propria anima, senza però appesantire il romanzo e senza mettere in secondo piano quelli che sono i temi più importanti. Bulgakov è stato poi grande nel creare una vicenda reale farcita di elementi sovrannaturali, il tutto senza renderla inverosimile. Anche i personaggi malvagi poi, non sempre ci regalano momenti crudi e drammatici, ma a volte arrivano perfino a farci sorridere, come spesso accade col lamentoso e bugiardo gattone Behemoth.

Per concludere, mi limito semplicemente a consigliarvi caldamente la lettura di questo magnifico romanzo.

Francesco Abate

giovedì 6 luglio 2017

IL RUOLO DELL'ALCOOL NE "IL PREZZO DELLA VITA"

Le bevande alcoliche oggi sono una componente importante della nostra esistenza. La maggior parte delle persone beve per superare le proprie inibizioni, uscire dalla gabbia creata intorno a noi dalle convenzioni e dalle paure per vivere qualche ora con lo spirito completamente libero. C'è poi anche chi beve semplicemente per sballarsi, manifestando così una grave insoddisfazione, cercando infatti l'autodistruzione, mostrando di tenere poco alla propria vita ed al proprio benessere.
Nel mio romanzo Il prezzo della vita l'alcool compare spesso. Mi capita spesso di ragionare sulle funzioni che le bevande alcoliche hanno nella nostra vita, questo perché sono un appassionato, vi basti sapere che preparo a casa mia diversi liquori con la frutta e che nel mio passato c'è anche una parentesi come gestore di un bar. Amando gli alcolici ed avendoci vissuto in mezzo per diversi mesi, ovviamente mi viene spesso da riflettere sulle motivazioni e sugli effetti che i vari tipi di consumo di queste bevande hanno, era quindi impossibile non gettare su carta almeno una parte delle mie idee in materia. Ovviamente nel libro trovate solo quello che è funzionale alla vicenda e compatibile col carattere dei personaggi, non ci sono riflessioni approfondite perché non era il tema che mi premeva trattare al momento in cui l'ho scritto.
Antonio Baldi, il protagonista del romanzo, è il principale utilizzatore dell'alcool. Lui però non lo usa per uscire dalla gabbia, per lui le bevande alcoliche sono un'arma da usare sia contro gli altri che contro sé stesso. Con l'alcool fa calare le difese delle sue giovani prede sessuali, finendo per abusarne senza nemmeno dover usare la forza fisica. Allo stesso tempo l'arma Antonio la usa di continuo contro sé stesso. Prova ad usarlo per dimenticare, ma sappiamo benissimo che l'alcool non fa dimenticare un bel niente e lui non fa eccezione alla regola, ma il vero scopo per cui beve tanto è quello di porre fine ad un'esistenza che lo tormenta. Nel suo bere non c'è moderazione perché nell'alcool lui contemporaneamente cerca una cura che non c'è e una causa di morte, di fatto non ha alcuna ragione per fermarsi quando sarebbe il momento giusto.
Ovviamente anche gli altri protagonisti bevono, però il bevitore più accanito, ed anche l'unico le cui bevute sono registrate con una certa precisione, è Antonio.

Fatta questa breve parentesi, voglio darvi un consiglio da amante dell'alcool. Il segreto del bere bene è scegliere la qualità prima della quantità e conoscere sé stessi. Comprare liquori da due soldi per poterne consumare una damigiana è stupido, vi consiglio di provare a comprare cose di qualità maggiore (che non necessariamente costano molto di più) e gustarvele, così berrete meno per bere meglio. Conoscere sé stessi è poi importante. Quando deciderete di bere forte, sapendo bene quando fermarvi, arriverete al punto di liberarvi dalla gabbia senza sentirvi male e passare le ore successive a vomitare, così proverete il vero piacere che può darvi l'ebbrezza (che è cosa diversa dall'ubriachezza molesta). Qualcuno probabilmente dirà di non avere bisogno dell'alcool e troverà riprovevoli i consigli che ho dato sopra, magari pensando che sarebbe meglio fuggire del tutto certe cose. Io penso che sia giusto non far diventare nulla un vizio, non bisogna mai dipendere da quello che ci piace, ma allo stesso tempo sono d'accordo con chi disse che "chi non beve alcool ha un segreto da nascondere". Bevete in compagnia, bevete bene e divertitevi!

Vi ricordo che Il prezzo della vita può essere ordinato al link http://www.csaeditrice.it/index.php?option=com_virtuemart&view=productdetails&virtuemart_product_id=294&virtuemart_category_id=2&lang=it, in tutte le librerie ed anche in quelle online. Attualmente è in promozione sui siti de LaFeltrinelli e Mondadori Store.
Potete seguire la mia attività su questo blog, sulla pagina Facebook "Francesco Abate, lo scrittore battipagliese" (https://www.facebook.com/FrancescoAbatescrittore/?fref=ts) e su Twitter seguendo l'account "@FrancescoAbate3".

Grazie mille e buona lettura.

Francesco Abate

Francesco Abate nasce a Salerno il 26 agosto 1984, ma da sempre vive nella città di Battipaglia. Fin da piccolo manifesta interesse prima per la lettura, poi per la scrittura. Comincia ad abbozzare i primi romanzi già ai tempi del liceo, ma la prima pubblicazione arriva solo nel 2009 con Matrimonio e Piacere. Il prezzo della vita è il primo romanzo pubblicato per CSA Editrice. Pubblica anche poesie sul sito Spillwords.com. Attualmente sta lavorando come sceneggiatore e regista alla realizzazione di un cortometraggio.