giovedì 31 dicembre 2020

IL 2020 SE NE VA

 

Nella copertina del Time il 2020 è indicato come "Il peggiore anno di sempre". Come dargli torto.
Eppure il 2020, se per un attimo guardiamo oltre la pandemia, qualcosa di buono pure ce lo lascia. 
Abbiamo avuto modo di riflettere su cosa sia davvero la socialità, sul bisogno spesso eccessivo che tante persone hanno di trovarsi in mezzo al rumore e alla folla. Abbiamo potuto riscoprire il valore della solitudine, quella costruttiva, che permette di guardarsi dentro e capire quale cammino seguire per trovare la felicità. Abbiamo riscoperto l'importanza della casa e della famiglia, quanto sia importante costruire all'interno delle mura domestiche relazioni sane. Ci sono poi storie personali in cui quest'anno, pur limitando fortemente libertà e vita sociale, ha portato grandissime svolte positive.
Questo mio post non intende ovviamente cancellare o sminuire il dramma vissuto da chi ha perso la vita, un affetto, o da chi ha visto compromesse le proprie situazioni lavorative ed economiche. Il 2020 resta un anno terribile che ci ha tolto tanto, ma voglio suggerire che forse qualcosa di buono lo lascia e noi dobbiamo essere bravi a vederlo.
Adesso tutti noi aspettiamo con ansia che il 2020 ceda il passo al 2021, ma non dobbiamo dimenticare che il cambio di calendario non porta automaticamente a una svolta. Se volete che la vostra vita migliori, datevi da fare e miglioratela, perché non basta sperare che domani sia sereno per scacciare via le nuvole. 

Ciò detto, vi lascio i miei auguri di buon anno. Vi auguro di trovare la vostra strada per la felicità, di godervi il viaggio lungo di essa e giungere finalmente alla meta. Vi auguro inoltre di passare l'anno venturo tra piacevoli letture e, se vi farà piacere, tra queste potrete includere I Protettori di Libri, Il prezzo della vita ed Ekatomere.

Francesco Abate

venerdì 25 dicembre 2020

BUON NATALE A TUTTI

 

Natale è arrivato.
Non sono il tipo da "a Natale siamo tutti più buoni" o "a Natale puoi", ma quest'anno la festa assume senza dubbio un valore particolare.
In un anno in cui non ci è stato possibile muoverci liberamente, in cui abbiamo dovuto centellinare gli incontri, e in alcuni casi improvvisarci giuristi per capire se fosse possibile andare a casa di Tizio oppure no, questa deve essere un'occasione per incontrarsi (laddove possibile) e per dimenticare tutte le tribolazioni: oggi dobbiamo festeggiare la vita e i legami, lasciando fuori ogni preoccupazione.
Ovviamente dimenticare le tribolazioni non vuol dire far finta che non stia succedendo niente, siate prudenti o questo giorno potrebbe diventare la causa di tanti lutti. Essere spensierati è diverso dall'essere imprudenti.
Vi auguro di passare il Natale in ottima compagnia, con tanto buon cibo e tante ore di gioia, e in compagnia di un bel libro con cui chiudere la serata. Vi lascio una canzone suonata dalla superband finlandese Raskasta Joulua. 

Siate felici.

Francesco Abate

martedì 22 dicembre 2020

"LA MORTE DI IVAN IL'IC" DI LEV TOLSTOJ

 

La morte di Ivan Il'ic è un racconto dello scrittore russo Lev Tolstoj pubblicato per la prima volta nel 1886.
L'opera fu fortemente influenzata dalla crisi spirituale che l'autore stava attraversando in quel periodo, e che lo portò in seguito a convertirsi al Cristianesimo.

Ivan Il'ic è un borghese che riesce a costruirsi una vita agiata e tranquilla; è ben visto da tutti, fa carriera nell'ufficio pubblico che arriva a ricoprire, contrae un matrimonio rispettabile. La sua esistenza non ha però niente di spontaneo, ogni cosa che fa è in funzione della morale borghese e per questo conduce una vita assolutamente piatta.
Tutto viene sconvolto da un banale incidente domestico, la caduta sul fianco, che però dà inizio a una lenta e dolorosa agonia. Nella malattia, Ivan Il'ic si ritrova abbandonato; moglie e figli gli portano un'assistenza dalla facciata amorevole, ma di fatto lo trascurano e non riescono a celare quanto sia per loro un peso averlo in casa moribondo. Solo il servo Gerasim, persona umile, gli dà quel po' di calore umano e premura capaci di alleviare un poco le sue pene.
Il racconto si conclude con la morte di Ivan Il'ic.

La morte di Ivan Il'ic è un racconto in cui Tolstoj esprime un concetto molto importante: una vita passata ad assecondare il sentire comune, in funzione dei valori altrui e in dispregio dei propri, è uno spreco. Il protagonista giunge a questa conclusione attraverso le riflessioni finali; capisce di non aver vissuto la propria esistenza, mai infatti ha compiuto un'azione spinto da una propria pulsione, ha agito solo per compiacere le persone altolocate e garantirsi una vita agiata, e questo spreco della sua esistenza è stato la vera causa della sua morte: gli viene sottratta la vita che lui sta buttando via. In pratica il non vivere la propria vita equivale a morire.
Attraverso gli occhi del protagonista, Tolstoj mostra anche tutta la falsità nascosta nei valori fondanti della classe borghese (russa e non solo). Finché è un uomo in carriera e in salute, la sua vita scorre tranquilla e tutti sembrano apprezzarlo, quando invece si ritrova malato e bisognoso di aiuto, nemmeno la moglie e i figli hanno davvero pietà di lui, nonostante si preoccupino di circondarlo con una parvenza di premura.
Solo nella semplicità del servo Gerasim, Ivan Il'ic trova un po' di compassione; solo chi è al di fuori del sistema di valori fittizi su cui il protagonista ha costruito la propria vita riesce a sentire un briciolo d'amore per un uomo debole e indifeso.
C'è anche chi all'opera ha dato una lettura più religiosa, leggendovi una critica alle vite condotte in assenza di Dio e consacrate al solo raggiungimento della felicità materiale. Io credo che tale lettura sia influenzata dal fatto che Tolstoj qualche anno dopo si convertì al Cristianesimo, ma nell'opera personalmente ho letto solo una critica alla vita vissuta in funzione degli altri e non ho visto una conversione del protagonista in funzione religiosa.

Questo racconto, seppur breve, è l'ennesima testimonianza della grandezza di Lev Tolstoj e dell'importanza che la sua opera ha ancora ai giorni nostri.
In poche pagine lo scrittore russo si scaglia contro le persone che vivono in funzione degli altri, avendo come unico scopo della vita quello di essere accettate, così da potersi permettere un'esistenza piatta e sicura.
La vita è passione, è lotta, è vittorie e sconfitte, è affermazione di sé nel mondo: se a questo rinunciamo, non viviamo. 
Ivan Il'ic era nel 1886 l'immagine del borghese russo, ma è oggi la fotografia dell'uomo medio. In tanti oggi vivono uniformandosi ai dettami della massa, rinunciando completamente alla propria unicità, perché convinti che diventando una copia degli altri saranno accettati. Eppure, ci dice Tolstoj, così facendo rinunciamo a noi stessi, e moriamo.   

Francesco Abate

giovedì 10 dicembre 2020

RECENSIONE DE "IL CIMITERO DI PRAGA" DI UMBERTO ECO

 

Il cimitero di Praga è un romanzo dello scrittore italiano Umberto Eco pubblicato nel 2010.
L'autore trascrive in forma romanzata un identikit dell'antisemitismo e delle leggende create per giustificarlo, mettendoci così in condizione di capire meglio come certi sentimenti disumani possano aver trovato terreno fertile durante gli anni dell'Olocausto.

Il romanzo è formato dai diari del protagonista, un certo Simone Simonini, che si risveglia privo di memoria e inizia a scrivere per riportare alla mente i fatti della sua vita. Ben presto però il suo diario si trasforma in un'opera scritta a quattro mani, visto che ai suoi appunti si uniscono quelli del misterioso abate Dalla Piccola, il quale vive in un piccolo appartamento collegato a quello di Simonini attraverso un cunicolo.
Simonini ripercorre i fatti salienti della propria vita. Abilissimo nel falsificare i documenti, da semplice falsario si ritrova ad essere un agente segreto incaricato di costruire complotti credibili al fine di screditare il nemico politico di turno. I suoi ricordi spesso vengono corretti, o arricchiti, dagli appunti dell'abate Dalla Piccola, la cui vita evidentemente è legata a quella dell'ignoto interlocutore.
Il mistero si infittisce quando Simonini ricorda di aver ucciso l'abate Dalla Piccola, nonostante questo continui a scrivere sul suo diario.
I ricordi del protagonista intanto continuano. Da agente impegnato nella costruzione di finti complotti massonici o rivoluzionari, finisce per dedicarsi all'invenzione di un documento che attiri tutta l'attenzione sugli ebrei, nella speranza di spingere i governi di tutto il mondo a impegnarsi nello sterminio di quella razza che lui tanto odia.
Visto l'argomento delicato dell'opera, e la bravura dell'autore nel rendere realistico l'odio di Simonini verso gli ebrei, all'uscita del romanzo alcuni sostennero che avrebbe contribuito a diffondere l'antisemitismo più che a condannarlo. Dal mio punto di vista la polemica fu però stupida e superficiale, infatti nel romanzo è mostrato chiaramente che l'odio verso gli ebrei non ha alcun fondamento reale, inoltre si vede come i capisaldi dell'antisemitismo siano figli di invenzioni fatte in malafede.

Il cimitero di Praga è un romanzo storico che ci mostra la genesi di uno dei documenti falsi più celebri della storia, I Protocolli dei savi Anziani di Sion, che la polizia zarista usò per diffondere l'antisemitismo e giustificare agli occhi dell'opinione pubblica la persecuzione degli ebrei. Anni dopo Adolf Hitler, benché fosse stata ormai provata la falsità dei Protocolli, li citò nel Mein Kampf e ne usò i contenuti per giustificare la sua politica anti-ebraica.
I fatti narrati nel romanzo, precisa il narratore alla fine, sono reali, solo alcuni nomi (tra cui quello di Simonini) sono stati inventati per attribuire a uno solo i pensieri e le azioni che furono di molti, così da rendere più agevole la trasposizione dei fatti storici in un romanzo.
Con quest'opera perciò Eco ci mostra la falsità e i pregiudizi su cui si fonda il sentimento dell'antisemitismo, inoltre ci fa vedere come dalla fantasia si plasmino le false notizie con cui viene manipolata l'opinione pubblica.

I personaggi che compaiono ne Il cimitero di Praga sono tantissimi, ma quello principale intorno a cui ruota tutto è Simone Simonini.
Leggendo le pagine del suo diario, scopriamo un uomo pervaso da un odio profondo nei confronti sia dei gesuiti che degli ebrei. Se nel caso dei primi il suo odio trova però una giustificazione, fu infatti educato duramente da loro e da un gesuita subì anche molestie sessuali, nel caso degli ebrei è un odio viscerale totalmente immotivato, nutrito da quello che già suo nonno provava.
Simonini è un opportunista senza scrupoli, impara a falsificare i documenti e su questo costruisce la propria fortuna economica. Diventa una spia e fa fruttare la sua abilità, ma in cuor suo ha sempre un unico scopo che lo muove: costruire una storia che convinca la gente che gli ebrei sono un pericolo, così da favorire lo sterminio di quella razza che tanto odia. Costruisce le sue menzogne basandosi sui romanzi; sa che sono bugie, ma tanto li odia da convincersi che esse manifestino una verità nascosta. In pratica nutre un odio ingiustificato, fabbrica motivi fasulli per giustificarlo e se ne convince lui per primo.
Simonini è anche molto abile nel manipolare le persone e nel comprendere le situazioni in cui si trova invischiato, riesce perciò a tirarsi fuori dai guai ogni volta che rischia la vita. 
Non è un uomo violento, ma pur di salvarsi la vita non esita a uccidere delle persone. 

Le vicende de Il cimitero di Praga le scopriamo attraverso il diario di Simone Simonini, nonostante questo le voci narranti sono tre. Agli scritti del protagonista si aggiungono i racconti dell'abate Dalla Piccola, che integra e spesso corregge i ricordi confusi di Simonini, e gli interventi dell'autore, che in alcuni passaggi sintetizza il racconto e media tra le due versioni. 
Eco usa gli interventi dell'autore per evitare che il romanzo diventi troppo prolisso senza però tralasciare alcun passaggio della narrazione. Questo espediente si rivela necessario perché l'autore ci racconta una storia vera, quella della genesi dei tristemente celebri Protocolli dei savi Anziani di Sion, e per non privarla di accuratezza non può trascurare nessun evento, ma allo stesso tempo ha bisogno di snellire i passaggi che potrebbero rendere la lettura troppo noiosa, perché in fin dei conti l'opera resta comunque un romanzo.

Adoro Umberto Eco e posso dire senza dubbio alcuno che Il cimitero di Praga è dopo Il nome della rosa la sua opera migliore.
In un romanzo ricco di suspense e molto godibile, l'autore affronta un tema spinoso che troppo spesso viene trattato con leggerezza, quello dell'antisemitismo. Si parla molto dell'odio contro gli ebrei in occasione della shoah, così erroneamente molti finiscono per associare la persecuzione degli ebrei col nazismo, ignorando che invece la soluzione finale fu solo una conseguenza estrema. L'antisemitismo in Europa esiste da almeno un millennio; già nel romanzo Ivanhoe, che è ambientato nel Trecento, troviamo un ebreo da tutti discriminato e visto come un avido avvoltoio. Ricordiamo poi che questa piaga oggi non è estinta, visto il proliferare di gruppi neonazisti e le numerose profanazioni di cimiteri ebraici a cui abbiamo assistito di recente.
Leggendo questo libro vediamo a cosa è approdato l'antisemitismo antico, i Protocolli, e come questi siano stati usati per giustificare le sanguinose persecuzioni del ventesimo secolo. Ci viene mostrato come certi pseudo-documenti nascano per giustificare l'odio ma non ne siano i padri, bensì ne sono i figli, perché dall'odio essi sono generati; possiamo quindi capire che fenomeni come i Protocolli dei savi Anziani di Sion non siano la ragione dell'odio contro gli ebrei, ne sono una conseguenza. 
Oggi più che mai ritengo importante la lettura di questo romanzo. Prima di tutto ci permette di riflettere su una piaga che non è per niente rimarginata, quella dell'odio verso razze diverse e verso gli ebrei in particolare, inoltre mostra come certi pseudo-documenti siano fasulli, permettendoci di sfuggire alle loro periodiche riproposizioni (di recente il senatore Lannutti denunciò che le banche sono controllate dai savi di Sion). Non è perciò soltanto un bellissimo romanzo, ma anche ricco di contenuti importanti.

Francesco Abate

domenica 6 dicembre 2020

LA FAMIGLIA E "I PROTETTORI DI LIBRI"

 

In questo anno tragico che si avvia alla conclusione, l'approssimarsi delle feste natalizie ha sollevato il problema dei ricongiungimenti familiari, con polemiche aspre (e talvolta stupide) che arrivano da tutte le parti.
Non voglio addentrarmi nel merito della questione politica, non è questa la sede opportuna, ma voglio approfittarne per fare una riflessione su ciò che davvero è la famiglia, usando come esempi i personaggi del mio ultimo romanzo, I Protettori di Libri.
La famiglia è per tradizione un nucleo tenuto insieme da legami di sangue molto stretti e da amore reciproco. 
Nel romanzo non si menziona la situazione familiare di nessuno dei protagonisti, eccezion fatta per Francesco. Del misterioso ribelle veniamo a sapere che non ha più i genitori, ma ha ancora in vita un fratello, il quale però è schierato dalla parte opposta alla sua; mentre il maggiore, Francesco, si isola e si dedica a una causa importante per l'intera umanità, Federico sceglie di aggregarsi ai briganti di Peppe 'a ciucciuvettola e dedica la sua vita alla violenza sui più deboli. Tra i due ovviamente non c'è stima e finiscono per scontrarsi duramente.
Benché tra Francesco e Federico vi sia un legame di sangue, è impossibile poterli definire una famiglia. Tra di loro non solo non c'è amore, ma nemmeno stima, e combattono l'uno contro l'altro. 
Se una famiglia si crea nel romanzo, è la coppia Francesco e Giovanna. Vi anticipo che tra i due non nasce una storia d'amore in stile hollywoodiano (una cosa così banale non l'avrei scritta nemmeno sotto tortura), eppure si sviluppa un legame molto intenso, che porta ciascuno dei due a tenere all'altro quanto tiene a sé stesso: un legame del genere per me è famiglia.

***

Cosa porta allo scontro tra Francesco e il suo fratello brigante? Che ruolo ha Federico nella banda di Peppe 'a ciucciuvettola? Che tipo di amore si sviluppa tra Francesco e Giovanna?
A queste domande potete avere risposta acquistando I Protettori di Libri su uno dei link che trovate andando in questa pagina. Il romanzo è disponibile sia in formato cartaceo che elettronico.
Dopo averlo letto, non dimenticate di lasciare un commento sul blog, su Facebook o su Twitter. Potete seguirmi anche sul canale Istagram f.abate_scrittoresa.
Se vi fa piacere, fatemi sapere cosa è per voi la famiglia.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

martedì 1 dicembre 2020

DUE CHIACCHIERE SU EKATOMERE E IL MIO RACCONTO "LA FUGA"

 

Ciò che ha contraddistinto il 2020 è stato di certo questo maledetto Covid-19, che ha spezzato tante vite e ci ha rinchiusi in casa.
Come sempre accade ai giorni nostri, anche un evento tanto epocale quanto tragico è stato coperto con la caciara, che serve solo a fare rumore, mentre i giorni segnanti che abbiamo trascorso meriterebbero di essere meditati, metabolizzati e compresi.
Mentre tanti peggioravano una situazione già caotica facendo quella che a Napoli chiamano ammuina, un gruppo di scrittori ha tradotto sulla carta le impressioni generate dal momento della chiusura totale (che da bravi odiatori della lingua italiana chiamiamo lockdown) e i frutti delle proprie meditazioni. Dal lavoro di questi trentaquattro scrittori nasce Ekatomere. Racconti tra Decameron e pandemia, edito dalla casa editrice indipendente Terra Somnia Editore e curato da Paola Bisconti.
Lo scopo dell'opera è semplice nella sua complessità: fotografare un momento storico tragico attraverso le sensazioni e le riflessioni più disparate, scrivere un'opera di narrativa capace di raccontare un periodo e una cultura. Inevitabile è stato il richiamo al Decameron di Boccaccio, che fu scritto in un contesto simile a suo modo è l'immagine di un periodo storico.
In questo libro si trovano i racconti più vari e leggerlo sarà come confrontarsi con trentaquattro persone diverse, capirne le idee e gli stati d'animo, arrivando così a comprendere la realtà contemporanea in modo meno superficiale di quanto si possa fare rincorrendo le informazioni contrapposte che i media vomitano senza freno.

Tra i trentaquattro autori sopracitati ci sono anche io. Il mio racconto prende l'ispirazione da un fatto realmente accaduto, rielaborato per riflettere su quanto ci facesse soffrire l'impossibilità di avere rapporti sociali, ma anche sulla ragione per cui ci riesce così pesante restare da soli e immersi nel silenzio.
La chiusura in primavera ha costretto tutti a rinunciare alla movida e alla socialità spinta a cui siamo assuefatti, è stata perciò una buona occasione per chiedersi perché preferiamo le finte amicizie e le chiacchiere senza senso alla solitudine e alla riflessione.

Vi invito ad acquistare e leggere il libro, perché anche dal periodo più nero può arrivare la crescita se si è capaci di capirlo e capirsi.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate