lunedì 21 gennaio 2019

COMMENTO AL CANTO XVII DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
ti colse la nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilmente entra per essi;
e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com'io rividi
lo sole in pria, che già nel corcar era.
Il canto inizia con l'autore che si rivolge direttamente al lettore e, per fargli meglio comprendere ciò che lui vide, gli chiede di riportare alla mente un'esperienza diretta, qualora l'abbia vissuta, cioè quella del diradarsi sulla nebbia in montagna, quando i raggi del sole iniziano leggermente a farsi breccia tra il fumo. Dante vede il fumo diradarsi e inizia a rivedere la luce del sole che sta per tramontare. Seguendo il suo maestro, esce dal fumo e si ritrova all'ombra, perché il sole al tramonto non illumina la parte bassa della montagna. 
L'autore si rivolge stavolta alla fantasia ("O imaginativa"), la quale sottrae l'uomo alle cose che gli sono intorno, e si chiede chi sia a metterla in azione quando non è accesa dai sensi ("chi move te, se 'l senso non ti porge?"); si dà poi una risposta, a muoverla è infatti un lume che discende dal cielo o per sé stesso o per volere di Dio ("Moveti lume che nel ciel s'informa / per sé o per voler che giù lo scorge"). Questa riflessione sulla fantasia serve a introdurre i versi successivi, in cui nella mente di Dante prenderanno forma gli esempi di ira punita. La prima immagine che gli si forma nella mente è quella di Progne, che secondo la mitologia fu mutata in usignolo ("l'uccel ch'a cantar più si diletta") in quanto colpevole di aver ucciso il figlio e averlo dato in pasto al marito Tireo. Adesso la mente di Dante è immersa nelle visioni celesti e nulla può percepire di ciò che avviene all'esterno. La seconda fantasia gli mostra un uomo crocefisso, intorno a cui stanno Assuero, la moglie Ester e il giusto Mardocheo. Questa immagine fa riferimento all'episodio di Aman, ministro della corte di Assuero a Susa, il quale voleva giustiziare l'ebreo Mardocheo perché, per motivi religiosi, non aveva voluto genuflettersi davanti a lui com'era uso tra i Persiani, ma grazie alla regina Ester il piano fu sventato e Aman fu impiccato da re Assuero. La seconda immagine sparisce come una bolla d'aria formatasi nell'acqua una volta salita in superficie, così se ne forma una terza: una fanciulla piange e chiede alla madre perché si sia uccisa per non perderla, adesso l'ha persa comunque e l'ha lasciata a piangere la madre morta. L'episodio richiama la vicenda mitologica narrata nell'Eneide in cui la regina Amata, moglie del re Latino, si uccide credendo Turno ucciso da Enea e convinta quindi di dover dare la figlia Lavinia in sposa all'eroe troiano. Il pianto di Lavinia è un'aggiunta che Dante fa al mito virgiliano, la figlia si chiede che senso possa aver avuto il gesto della madre, suicidatasi per timore di perderla ha finito per perderla davvero. Non è un caso di ira punita, ma presenta comunque il danno causato a sé stessa e alla persona amata dalla caduta nel peccato.
Il sonno mistico di Dante è interrotto dall'apparizione di una luce più intensa di quella del sole. Il poeta si guarda intorno per capire dove si trovi, la voce dell'angelo lo distoglie da ogni altro pensiero e gli dice di salire. Sentendo la voce della creatura celeste, Dante è preso dalla fortissima voglia di vederlo e il suo è quel desiderio che nasce solo quando si è al cospetto di quel che si brama ("e fece la mia voglia tanto pronta / di riguardar chi era che parlava, / che mai non posa, se non si raffronta"). La vista del poeta però non può sostenere quella visione, così come non ci è possibile guardare il sole per via dell'intensa luce che emana. Virgilio spiega al suo protetto che questo è lo spirito divino che consente di salire alla quarta cornice senza essere pregato e con la sua luce nasconde sé stesso; fa con loro due quello che l'uomo fa con sé stesso, cioè esaudisce senza essere pregato, perché chi aspetta la preghiera per esaudire un desiderio tradisce già l'intenzione di rifiutare ("Sì fa con noi, come l'uom fa sego; / ché quale aspetta prego e l'uopo vede, / malignamente già si mette al nego"). Data la spiegazione, la guida invita il discepolo a salire prima che faccia buio, perché nel Purgatorio di notte non si può procedere. Insieme si avvicinano a una scala e cominciano a salire. Non appena Dante si trova sul primo gradino, sente l'angelo muovere le ali e fargli vento sul viso, poi lo sente esaltare i pacifici che non provano cattiva ira ("son sanz'ira mala"). L'espressione ira mala serve all'autore per fare una distinzione tra il peccato mortale e lo zelo, che fu quello di Gesù nel momento in cui scacciò i mercanti dal tempio di Gerusalemme. Questa distinzione tra ira e zelo fu sottolineata anche da san Tommaso d'Aquino nella Summa Theologiae.
Il sole è ormai tramontato e in più parti del cielo sono già apparse le stelle, Dante sente venir meno le forze e si chiede perché questo accada. Arrivati al termine della scala, restano fermi come una barca appena arrivata alla spiaggia. Il poeta resta un po' in silenzio, cercando di sentire se c'è qualcosa degno di nota poi, non sentendo nulla, si rivolge a Virgilio e gli chiede quale peccato sia punito in questa cornice. Il poeta mantovano spiega che qui sono puniti coloro che hanno amato il bene ma difettando in ardore, paragonando le anime della cornice al marinaio che per pigrizia è rimasto indietro e adesso si dà da fare col remo per recuperare. In pratica si purificano coloro che in vita non misero ardore nella bontà, quelli che furono pigri nello spirito, cioè gli accidiosi. La guida invita poi l'allievo a seguire bene il suo discorso, così da trarne un insegnamento. Virgilio spiega che nessun creatore e nessuna creatura può essere priva di amore, che sia amore istintivo (naturale) o d'elezione (d'animo), questo Dante lo deve sapere perché è contenuto nell'Etica di Aristotele, per questo la guida termina il periodo dicendogli "e tu 'l sai". L'amore istintivo non può sbagliare perché tende al proprio fine per inclinazione naturale, invece quello d'elezione può essere diretto verso un oggetto sbagliato ("puote errar per malo obietto"), oppure difettare o eccedere in vigore. Finché l'amore d'elezione è diretto a Dio ("è nel primo ben diretto") ed è misurato verso i beni terreni non può esserci peccato, ma quando si rivolge al male o non tende al bene con la giusta intensità, agisce contro il Creatore e così diventa peccato ("contra 'l fattore adovra sua fattura"). Quindi Dante può capire che dentro l'uomo c'è sia seme d'amore che del peccato. Virgilio spiega che non può un uomo odiare sé stesso perché l'amore non può non volere la conservazione del proprio soggetto; siccome ogni uomo è parte di Dio così come Dio è in ogni uomo, viene da sé che nessun uomo può odiare Dio. Essendo impossibile il male verso sé stessi e verso Dio, è evidente che l'unico a cui si possa fare male è il prossimo e può essere fatto in tre modi: sperando di essere più grandi del prossimo, quindi desiderando che questi decada in una peggiore condizione (superbia); bramando più d'ogni altra cosa onori e fama, quindi soffrendo delle fortune altrui per timore che oscurino le proprie (invidia); vendicandosi di ingiurie subite, causando così il male al prossimo (ira). I tre peccati appena citati sono puniti nelle cornici sottostanti. In questa cornice sono invece puniti coloro che diressero il proprio amore al bene, ma confusamente e con poco ardore: gli accidiosi. Nelle tre cornici sovrastanti si purificano invece i peccati di coloro che diressero il proprio amore in maniera esagerata alle cose terrene, le quali non danno la vera felicità perché solo Dio la dà. Virgilio non fornisce però ulteriori dettagli sulla divisione delle cornici superiori, invitando Dante ad arrivarci da solo ("ma come tripartito si ragiona, / tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi"). Il suo allievo ormai ha le conoscenze necessarie per dedurre che nelle cornici superiori sono puniti coloro che amarono troppo il denaro (avari), il cibo (golosi) e la carne (lussuriosi).

In questo canto l'autore ha chiarito definitivamente la struttura del Purgatorio e, più in generale, la natura del peccato. A ispirare la sua concezione del peccato fu san Tommaso d'Aquino, il quale li distingueva proprio in base all'oggetto e al vigore dell'amore. San Tommaso fu a sua volta ispirato da Aristotele.
Il ragionamento di Virgilio continuerà nel canto XVIII su richiesta di Dante e riguarderà la natura dell'amore. Questo canto e quello successivo vedono prevalere nettamente la funzione teologica, non sono di facile lettura ma sono fondamentali per la comprensione dell'aldilà dantesco.

Francesco Abate

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