mercoledì 14 marzo 2018

RECENSIONE DE "STORIA DELLA COLONNA INFAME" DI ALESSANDRO MANZONI

Inizialmente pensato per far parte della prima stesura di Fermo e Lucia, Storia della Colonna Infame è un saggio storico attraverso il quale Manzoni ci mostra come, in preda al furore, il buon senso possa venire a mancare e la legge cessi di essere giustizia.
Manzoni nel saggio analizza una vicenda giuridica del 1630. Accusati di aver unto i muri di alcune abitazioni di Milano, Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora subirono un'atrocissima condanna. Furono prima torturati con ferri roventi, poi con la ruota, infine appesi sei ore e poi sgozzati. I loro cadaveri furono bruciati e le ceneri disperse nel fiume. La bottega di Mora, dove si riteneva essersi stretto il patto scellerato che portò al crimine, fu rasa al suolo e al suo posto fu eretta la "Colonna infame", che avrebbe dovuto ricordare ai posteri l'infamia degli untori condannati e la vittoria della legge contro di loro.
Lo scrittore non si limita a raccontare la vicenda, la usa come spunto per delle importanti riflessioni. Già altri scrittori prima di lui, su tutti Pietro Verri (filosofo, economista, storico e scrittore del Settecento), avevano ampiamente analizzato la vicenda. Verri, colui che aveva approfondito la storia più di tutti, si era però limitato all'aspetto giuridico, evidenziando l'abuso che si era fatto della tortura in quel procedimento. Manzoni, pur sottolineando le forzature fatte dai giudici per estorcere le confessioni a Piazza e Mora, cerca di cogliere maggiormente il lato umano della questione. All'autore della Storia della Colonna Infame preme infatti mostrarci come i giudici, che dovrebbero lavorare per assicurare la giustizia, nella foga di punire qualcuno per un crimine temuto e odioso (nel Seicento la peste mieté numerose vittime, generando quindi un vero terrore), finirono per costruire un'accusa inverosimile e la portarono avanti violando continuamente le procedure, abusando della tortura negli interrogatori. Il buon senso cedette il passo alla furia, questo Manzoni lo sottolinea più volte, trasformando gli uomini di legge in aguzzini. 
La storia che ci narra l'autore ci mostra poi il dramma dei miserabili, infatti Piazza e Mora finirono condannati all'atroce pena che ho descritto sopra, mentre il cavalier Padilla, potendosi permettere una difesa e non dovendo contare su quella d'ufficio, riuscì a mostrare l'infondatezza delle accuse e ad essere assolto. I due condannati dovettero aspettare il secolo successivo per essere assolti dalla storia: nel 1778 la Colonna, ormai divenuta simbolo dell'iniquità dei giudici, fu abbattuta e oggi ne è conservata solo la lapide nel Castello Sforzesco.

Ogni volta che leggo un classico, mi piace trovare la ragione per cui valga la pena leggerlo ancora oggi, nell'epoca in cui tutto ciò che non procura denaro viene considerato inutile. Come ho scritto sopra, Manzoni ha voluto raccontarci questa storia per mostrarci come la paura di un male oscuro, e la furia che essa genera, possano alterare le capacità di giudizio e trasformare la giustizia in ingiustizia. Per capire quanto sia attuale il messaggio di Manzoni, ci basti ricordare delle gogne mediatiche create dai giornalisti all'indomani di un delitto che ha fatto scalpore, dell'odio che spesso finiamo per provare nei confronti di una persona che nemmeno è ufficialmente accusata del delitto, e che magari alla fine ne è estranea. Ogni volta in cui noi giudichiamo senza obiettività, solo sulla base dell'emotività, commettiamo un crimine simile a quello commesso contro Piazza e Mora nel 1630. 

Francesco Abate

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