sabato 28 luglio 2018

COMMENTO AL CANTO I DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno,
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
Lasciatosi alle spalle l'Inferno, il luogo della pena eterna e della disperazione, Dante arriva al secondo dei regni dell'oltretomba, il Purgatorio. A differenza del regno di Lucifero, questo è un luogo pieno di speranza, infatti le anime patiscono comunque una pena secondo il principio del contrappasso, però sanno che questa finirà e saranno ammessi al Paradiso una volta purificati. 
Dopo aver iniziato la cantica spiegandoci in pochi versi quello che ci descriverà, l'autore invoca le Muse della poesia. Il poeta ha appena finito di cantare l'Inferno e per farlo ha avuto bisogno di una poesia dura, adesso è necessario che il suo linguaggio risorga, si elevi per essere degno di descrivere le anime ben più degne che incontrerà nel Purgatorio. Per aiutarlo nella sua impresa, Dante invoca l'aiuto di Calliope, che nella mitologia greca era descritta come dotata di un'ottima voce ed era considerata l'ispiratrice della poesia epica. Il poeta, per spiegarci la magnificenza delle doti della Musa, ricorda l'episodio in cui sconfisse in una gara di canto le Piche, figlie del re di Tessaglia, che furono poi trasformate in gazze per aver osato sfidarla ("e qui Calliopè alquanto surga, / seguitando il mio canto con quel suono / di cui le Piche misere sentiro / lo colpo tal, che disperar perdono"). 
La visione di una magnifica alba ristora l'animo di Dante, appena uscito dalle tenebre dell'Inferno. Vede un cielo color zaffiro e sente l'aria pura. A oriente vede il pianeta Venere, che definisce "lo bel pianeta che d'amar conforta" perché omonimo della dea dell'amore della mitologia romana, così brillante da oscurare la costellazione dei Pesci a cui si accompagna nel cielo. Si gira poi verso destra e volge lo sguardo verso il polo sud della Terra, vedendo in cielo quattro stelle che solo "la prima gente" ha potuto vedere. Sul significato delle quattro stelle non ci sono dubbi: esse rappresentano le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) e brillano per dare forza e conforto alle anime del Purgatorio che, prima di essere purificate, dovranno comunque scontare una lunga penitenza. Meno concordi sono le interpretazioni riguardo l'espressione "la prima gente". Quella maggiormente accettata vuole che Dante si riferisca ad Adamo ed Eva, infatti quelle stelle sono visibili solo nell'emisfero sud, in cui ci sono solo le acque, la montagna del Purgatorio e alla sua sommità il Paradiso Terrestre, quindi gli unici umani che poterono vedere da vivi quegli astri furono coloro che abitarono l'Eden. Altri commentatori hanno visto in quest'espressione una citazione per gli uomini che vissero l'età dell'oro, o ancora per gli abitanti dell'antica Roma. Al poeta sembra che il cielo goda alla vista dei quattro astri e compatisce l'emisfero settentrionale, quello delle terre emerse, che è vedovo di quelle fiammelle.
Dante distoglie la vista dalle quattro stelle e si volta verso l'altro polo, dove già l'Orsa Maggiore è tramontata, e vede un vecchio solo, con capelli e barba lunghi e bianchi. A prima vista capisce che è un uomo degno di tanta reverenza quanta un figlio non ne deve al padre ("vidi presso di me un veglio solo, / degno di tanta reverenza in vista, / che più non dèe a padre alcun figliuolo"). Le quattro stelle illuminano il suo volto tanto da far sembrare che siano i raggi solari a colpirlo ("Li raggi de le quattro luci sante / fregiavan sì la sua faccia di lume, / ch'io 'l vedea come 'l sol fosse davante"). Il vecchio in questione è Marco Porcio Catone, detto l'Uticense, celebre uomo politico romano il quale si schierò con Pompeo durante la guerra civile. Egli nel difficile periodo dello scontro tra Cesare e Pompeo cercò di far rispettare la legalità e impedire eccessi di crudeltà; quando Pompeo fu sconfitto a Tapso, provò invano a organizzare la resistenza contro Cesare nel tentativo di salvare la libertà repubblicana, quindi si uccise. Dante ce lo mostra illuminato dalle virtù cardinali perché, non solo a suo modo di vedere (molti storici latini e molti padri della Chiesa avevano sostenuto la grandezza di Catone), egli seguì le virtù morali e preferì uccidersi piuttosto che perdere la libertà. Nonostante fosse pagano e suicida, Catone non è relegato né nel Limbo né all'Inferno, il suo infatti fu sì un peccato, ma dettato da una solida morale e non da viltà o debolezza.
Visti i nuovi arrivati, Catone li accoglie subito con delle domande dirette e concatenate, in linea con l'austerità del personaggio. Prima di tutto chiede chi siano coloro che sono usciti dall'Inferno, poi vuole sapere chi li ha guidati in quel cammino insolito, infine si chiede se sono state violate le leggi infernali o se nel cielo è stata deciso un nuovo corso degli eventi ("<< Chi siete voi, che contro al cieco fiume / fuggita avete la pregione etterna? >>, / diss' el, movendo quelle oneste piume. / << Chi v'ha guidati? o che vi fu lucerna, / uscendo fuor de la profonda notte / che sempre nera fa la valle inferna? / Son le leggi d'abisso così rotte? / o è mutato in ciel novo consiglio, / che, dannati, venite a le mie grotte? >>"). Subito Virgilio induce Dante ad assumere un atteggiamento umile e a inginocchiarsi, così da evitare che il suo allievo sembri un dannato superbo che sfida le leggi divine. Fatto ciò, la guida spiega a Catone che non è uscito dall'Inferno di sua iniziativa, ma gli è stato chiesto da un'anima del Paradiso di accompagnare Dante. Gli rivela poi che il suo protetto non è morto ("non vide mai l'ultima sera"), ma per colpa dei suoi peccati è stato vicino alla morte dell'anima. Per salvarlo, dice, non c'è altro modo che percorrere la strada che stanno percorrendo, quindi gli ha fatto vedere i dannati dell'Inferno e adesso vuole mostrargli le anime del Purgatorio. Spiegare come abbia fatto a portarlo fin lì sarebbe troppo lungo, ma dall'alto ha avuto l'aiuto necessario. Spiegato a Catone come stanno le cose, Virgilio gli chiede di non opporsi e per convincerlo fa leva sul suo amore per la libertà, infatti dice che Dante cerca solo quella libertà tanto cara a chi per lei ha scelto di perdere la vita, riferendosi poi direttamente al suicidio in Utica del guardiano del secondo regno, il quale si spogliò di quel corpo che brillerà nel giorno del Giudizio Universale. Il discorso lo conclude ribadendo che non hanno violato alcuna regola divina, infatti Dante è vivo e lui non appartiene all'Inferno, ma a quel Limbo dove anche l'anima di Marzia, la moglie di Catone, è relegata: proprio in nome dell'amore per lei gli chiede di non opporsi a loro, promettendogli che porterà sue notizie all'amata. La risposta di Catone non tarda, ed è un misto della bontà dei suoi sentimenti e della sua rettitudine morale. Prima ricorda con dolcezza la moglie, che tanto amava da concederle ogni grazia, poi però ricorda che dal momento in cui Cristo lo liberò dal Limbo e sancì la sua separazione dalle anime lì rinchiuse, lei non gli interessa più. Il guardiano però non si oppone ai due pellegrini, essendo loro spinti dalle preghiere di un'anima del Paradiso, non c'è bisogno che lo preghino per continuare il viaggio. La risposta dell'Uticense ne esalta ancor di più l'animo nobile che ebbe in vita: non è estraneo ai sentimenti, ma li sottomette alla legge morale che per lui è sopra ogni cosa. L'ultima parte del suo discorso sembra quasi una lezione data sia a Virgilio che ai lettori dell'opera, egli acconsente al viaggio non perché lusingato dalle belle parole del poeta mantovano, ma semplicemente perché così deve essere: il suo vantaggio viene dopo la giustizia. Data la sua risposta, Catone indica a Virgilio un rituale di purificazione che Dante deve eseguire prima di presentarsi al cospetto del primo degli angeli che incontrerà a custodia della montagna: deve cingersi di un giunco senza nodi e lavarsi il viso dalla sporcizia di cui si è sporcato all'Inferno. Là dove le onde si infrangono sull'isola nasce un giunco dritto e flessibile, l'unica pianta che riesce a resistere all'impatto del mare. Il giunco simboleggia chiaramente l'umiltà, infatti grazie alla sua flessibilità riesce a resistere agli urti delle onde, mentre piante cariche di foglie e con fusti rigidi non riescono a sopravvivere. Perciò Dante deve cingersi di questo giunco, deve presentarsi al cospetto dell'angelo con un voto di umiltà. Catone infine dice ai due di non tornare indietro una volta concluso il rituale, seguendo la luce del sole troveranno una salita meno ripida (seguendo la grazia di Dio, si accede più facilmente alla beatitudine). 
Catone va via, Dante guarda la sua guida che lo invita a seguirlo lungo la discesa. La luce del sole inizia a rischiarare il cielo e il poeta vede in lontananza l'acqua increspata del mare. I due camminano come pellegrini che, dopo aver perduto la strada, la ritrovano e accelerano il passo. Arrivano in un luogo dove la luce del sole non riesce a far evaporare la rugiada, Virgilio stende le mani sull'erba bagnata e con quell'acqua lava le guance rigate dalle lacrime di Dante. Il pianto del poeta si spiega probabilmente con la sacralità del rito, egli è consapevole dell'importanza del momento in cui viene purificato ed è riconoscente al suo maestro. Arrivano poi nella zona deserta dove nessuno riuscì mai a navigare, Virgilio strappa un giunco e cinge Dante il quale assiste con meraviglia a un miracolo: il giunco tagliato ricresce all'istante. Il miracolo cui assiste il poeta è una metafora che ci indica come l'umiltà non sia una virtù passiva, ma una forza.

Già nel primo canto del Purgatorio è evidente la grande differenza dei versi rispetto alla prima cantica. Il linguaggio usato da Dante è meno aspro, il ritmo del canto sembra suggerire una maggiore tranquillità, le immagini sono rasserenanti e rendono l'atmosfera piacevole. Già è poi mutata l'essenza dei simboli, infatti essi non rappresentano più le miserie umane, ma servono a spiegare nel dettaglio i dogmi del Cristianesimo. Nel Purgatorio si attenua la componente umana e i sentimenti negativi come l'ira e il desiderio di vendetta spariscono, diventa molto più evidente la componente dogmatica dell'opera. Nel Paradiso la differenza sarà ancor più accentuata, infatti le rime raggiungeranno la loro massima virtù e l'opera diventerà un trattato di teologia in versi.

Francesco Abate

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