La concubina di Titone antico
già s'imbiancava al balco d'oriente,
fuor de le braccia del suo dolce amico;
di gemme la sua fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale
che con la coda percuote la gente;
e la notte, de' passi con che sale,
fatti avea due nel loco ov'eravamo,
e 'l terzo già chinava in giuso l'ale;
quand'io, che meco avea di quel d'Adamo,
vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
la 've tutti e cinque sedevamo.
Il canto è introdotto da questi versi in cui l'autore ci racconta come, vinto dal sonno, si addormenta nel luogo in cui si era fermato insieme a Virgilio, Sordello, Nino Visconti e Corrado Malaspina. I versi in questione sono molto belli, proiettano il lettore in una dimensione spazio-temporale e in uno stato d'animo propizio al sogno mistico che Dante si accinge a descrivere. L'aurora è definita "la concubina di Titone antico" perché nella mitologia latina Aurora si innamorò di Titone e spinse le divinità a concedergli l'immortalità, all'uomo non fu però donata l'eterna giovinezza e per questo è indicato come "antico". Già il chiarore dell'aurora sorge a oriente, è quindi il momento in cui, secondo la tradizione, i sogni diventano premonitori, quindi l'indicazione del tempo in cui si svolge il fatto non è assolutamente fine a sé stessa. A far da corona all'aurora ci sono le stelle dello Scorpione, il "freddo animale che con la coda percuote la gente". Intanto nel luogo opposto della Terra, dove "eravamo", cioè dove Dante era prima di iniziare il viaggio nell'oltretomba e dove i suoi compagni di viaggio erano prima di morire, la notte è iniziata da più di due ore ed è quasi passata la terza. Questi versi così raffinati hanno il preciso scopo di introdurre il sogno che Dante sta per fare, il lettore viene proiettato in una dimensione in cui prevale la parte mitologica, inoltre l'estrema cura estetica di questa parte del canto ci riporta agli anni giovanili dell'autore in cui, com'era consuetudine all'epoca, si dilettava in sonetti carichi di significati oscuri, ispirandosi principalmente alla poesia trobadorica. Arrivata l'ora dell'aurora Dante, che sente ancora il peso del suo corpo mortale, viene vinto dal sonno. Come già detto sopra, è l'ora in cui i sogni diventano premonitori. Il poeta sogna un'aquila dalle piume d'oro, pronta a calare da un momento all'altro. Gli sembra di essere nella Troade, sul monte Ida, dove Giove rapì Ganimede così da avere sempre un coppiere sul monte Olimpo (il luogo non è scelto a caso, fu sede di un rapimento di natura divina, esattamente ciò che sta per succedere a lui). Nel sogno, Dante ipotizza che l'aquila sia lì "per uso", cioè sia obbligata a prendere in quel luogo le sue prede o disdegni lei di prenderle altrove. L'aquila di colpo piomba su di lui come una folgore e lo afferra, per poi portarlo alla sfera del fuoco, dove diviene così intensa la sensazione di bruciare insieme all'animale che il sonno si interrompe.
Dante si sveglia di soprassalto e si guarda intorno spaesato, così come fece Achille quando si svegliò a Sciro dopo che la madre ce l'aveva portato di notte mentre dormiva. La faccia del poeta si fa smorta come quella di un uomo agghiacciato dallo spavento. Al suo fianco c'è Virgilio, il sole è già sorto da più di due ore e lo sguardo di Dante è rivolto verso il mare. La guida lo rassicura, gli dice di rinvigorirsi perché sono a buon punto, l'entrata del Purgatorio è già visibile poco distante; gli racconta poi che mentre dormiva, santa Lucia è venuta e ha chiesto di poterlo prendere per facilitargli un po' il cammino, poi l'ha preso e lo ha portato per un po' di strada, infine "li occhi suoi belli" (santa Lucia è considerata protettrice della vista) hanno indicato a lui l'entrata del Purgatorio. Il racconto di Virgilio chiarisce anche l'allegoria del sogno di Dante: l'aquila rappresenta santa Lucia che guida il pellegrino fino alla sua meta, quindi nel cielo c'è chi lo protegge e facilita il cammino difficile che sta compiendo.
Compreso il significato del sogno, Dante si rinvigorisce; Virgilio se ne accorge e riprende il cammino. L'autore a questo punto fa notare al lettore come la materia del canto diventi sempre più elevata, si sta infatti per entrare nel Purgatorio, e lo invita a non meravigliarsi se lui rinforzerà l'argomento con la sua arte. Si avvicinano e là dove sembrava essere interrotta la strada, vedono una porta sotto la quale ci sono tre gradini di colore diverso l'uno dall'altro e un angelo guardiano che resta in silenzio. L'angelo siede sulla soglia, tanto è luminoso il suo viso da risultare insopportabile per la vista del poeta, in mano ha una spada che riflette i raggi di luce verso lui e la sua guida, così da rendere impossibile guardarlo. Il silenzio è rotto dal guardiano che chiede ai pellegrini per quale ragione siano lì e dove sia la guida che li ha condotti, gli raccomanda poi di fare in modo che salire i gradini non gli arrechi un danno, quindi li invita a non sfidare le leggi divine. Virgilio spiega che a condurli lì è stata santa Lucia, l'angelo li invita allora a procedere e augura loro che Lucia guidi ancora in modo retto i loro passi. Si avvicinano ai gradini: il primo è bianco come il marmo e tanto pulito da riflettere l'immagine del poeta; il secondo è nero e presenta una spaccatura sia nel senso della lunghezza che in quello della larghezza; il terzo è di porfido rosso come il sangue che schizza da una vena aperta. Anche il colore dei gradini non è scelto a caso: il primo è bianco e lucido come uno specchio, rappresenta la chiarezza con cui bisogna guardare in sé stessi per leggere a fondo nella propria coscienza; il secondo è nero come il peccato e le spaccature rappresentano il dolore e il danno che i peccati arrecano all'anima; il terzo è rosso, rappresenta la carità di Dio e la voglia di ricongiungersi a Lui, che sono elementi indispensabili per la Redenzione. Sopra al terzo gradino poggiano i piedi dell'angelo seduto sulla soglia, la quale sembra fatta di diamante. Virgilio accompagna Dante sui gradini, poi gli dice di chiedere all'angelo che apra la porta ("... << Chiedi / umilemente che 'l serrame scioglia >> "). Il poeta si butta ai piedi dell'angelo, si batte tre volte il petto e chiede all'angelo di aprire. L'angelo con la punta della spada traccia sette P sulla sua fronte e gli raccomanda di curare queste ferite nel suo cammino dentro il Purgatorio. Da sotto il suo abito grigio (colore che rappresenta l'umiltà) l'angelo estrae due chiavi, una d'oro e l'altra d'argento, ed esaudisce il desiderio del poeta aprendo la porta. L'angelo spiega infine che se solo una delle due chiavi fallisce, la porta non si apre; una delle due è più cara, ma l'altra necessita di arte e d'ingegno perché è quella che scioglie il nodo del peccato; fu san Pietro a dargliele e a raccomandargli che è meglio sbagliare per eccesso di misericordia, quindi aprire la porta della Redenzione qualche volta di troppo, che non per eccesso di rigore, quindi tenerla chiusa più volte del dovuto, purché ovviamente il peccatore chieda umilmente misericordia. La simbologia delle chiavi è molto importante per comprendere l'idea dantesca della teologia. Le due chiavi rappresentano l'autorità che il confessore riceve da Dio (quella d'oro) e la capacità del confessore stesso di essere medico delle anime (quella d'argento): la prima è la più importante, ma senza un buon confessore è impossibile introdurre le anime alla Redenzione, quindi ci vuole da parte della guida spirituale la conoscenza delle Scritture (arte) e l'ingegno. Bellissima è anche la presa di posizione dell'autore circa i difetti o gli eccessi di misericordia, infatti per bocca dell'angelo sostiene che è meglio perdonare più del dovuto piuttosto che essere troppo zelanti nel condannare, prendendo così una posizione forte contro l'abuso di scomuniche (spesso emanate per ragioni più politiche che religiose). Dopo aver raccontato delle chiavi, l'angelo spalanca la porta del Purgatorio e invita i due a entrare, mettendoli però in guardia dall'abbandonarsi alla tentazione di guardarsi indietro, cosa che potrebbe farli finire di nuovo fuori (la penitenza necessita di perseveranza). I cardini della porta fanno lo stesso rumore che fece la rupe Tarpea nel momento in cui Cesare allontanò il tribuno Cecilio Metello per impadronirsi del pubblico erario. Il primo suono che raggiunge Dante è una voce che intona il Te Deum, un inno di ringraziamento, e il cui suono si alterna a quella che sembra essere la melodia di un organo.
Il canto IX è molto ricco di metafore e di passaggi dai versi molto poetici e lirici. Le tematiche trattate diventano sempre più importanti e questo canto ci mostra l'ingresso del Purgatorio, quindi ci fa vedere come il pentimento conduce alla grazia divina. Dante spiega i suoi argomenti e le sue idee con un'allegoria molto fine, non semplice da comprendere ma molto bella da leggere.
Francesco Abate
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