domenica 10 marzo 2019

COMMENTO AL CANTO XXI DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

La sete natural che mai non sazia
se non con l'acqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia,
mi travagliava, e pungeami la fretta
per la 'mpacciata via dietro al mio duca,
e condoleami a la giusta vendetta.
Il ventunesimo canto del Purgatorio si apre così come si è concluso il ventesimo, con Dante desideroso di saperne di più circa il terremoto che ha scosso la montagna ma impossibilitato dalla fretta e dalla strada accidentata a fare domande; la sua curiosità non è quella che si può saziare con la ragione umana, ma solo con l'intervento della grazia divina, quindi con l'acqua della vita che Gesù offrì alla donna samaritana in un celebre passo del Vangelo di Giovanni. Improvvisamente, così come nel Vangelo di Luca si narra che Gesù risorto apparì ai discepoli sulla via di Emmaus, un'anima che sta alle loro spalle e di cui loro non si sono accorti, troppo impegnati a guardarsi i piedi per non calpestare le anime, gli rivolge la parola ("Ed ecco, sì come ne scrive Luca / che Cristo apparve a' due ch'erano in via, / già surto fuor de la sepulcral buca, / ci apparve un'ombra, e dietro a noi venia, /dal piè guardando la turba che giace; / né ci addemmo di lei, sì parlò pria"). Per introdurre la nuova anima, Dante ne paragona l'apparizione a quella del Cristo risorto, continuando così lungo il filo conduttore del bisogno della grazia per la liberazione dai dubbi che lo attanagliano. L'anima saluta i due pellegrini che solo ora si accorgono di lei. Virgilio risponde al saluto augurandogli che Dio gli conceda la salita al Paradiso, poi si lascia andare a una triste considerazione e ricorda come a lui sia negata per l'eternità questa speranza ("... << Nel beato concilio / ti ponga in pace la verace corte, / che me rilega ne l'etterno essilio >>"). Sentendo le parole di Virgilio, l'anima si stupisce e si chiede come possano due non ammessi a godere della beatitudine eterna essere giunti fin lassù. Subito il poeta mantovano chiarisce l'equivoco indicando le P sulla fronte di Dante, le quali denotano che è degno di stare nel Purgatorio; spiega poi che il suo protetto è ancora vivo, non vede nel mondo dell'oltretomba tanto bene da poter procedere da solo e per questo lui è stato tratto dall'Inferno per accompagnarlo fin dove gli sarà concesso ("e mosterolli oltre quanto 'l potrà menar mia scola "). Per dire che il poeta fiorentino è ancora vivo, Virgilio si richiama al mito latino delle Parche: Lachesi sta ancora filando la quantità di lana che Cloto pone e avvolge sulla rocca ("Ma perché lei che dì e notte fila / non li avea tratta ancora la conocchia / che Cloto impone a ciascuno e compila"). Spiegato come stanno le cose all'anima, la guida le chiede la ragione del terremoto e dell'urlo che prima hanno spaventato Dante. Virgilio può leggere nella mente del suo protetto, quindi è consapevole della sua curiosità e approfitta del nuovo incontro per soddisfarla.
L'anima spiega che la montagna non è soggetta a nessun evento disordinato o non prestabilito da Dio, non ci sono eventi atmosferici o altre alterazioni tipiche delle montagne presenti nel mondo dei vivi; essa trema quando un'anima ha completato la propria purificazione e ascende all'Eden, e quando questo accade le anime lanciano un urlo. In pratica viene spiegato che, così come il paesaggio dell'Inferno serve ad accrescere la pena di chi in esso viene relegato, la montagna del Purgatorio partecipa alla gioia della redenzione di un'anima e viene assecondata da tutte le altre anime che ospita. L'anima spiega poi che l'unica prova che si ha quando si è liberi dal peccato è la propria volontà, la quale si rafforza lentamente durante l'espiazione grazie all'azione divina. Dichiara infine di essere rimasto in questa cornice cinquecento anni e di essere ora pronto per una miglior soglia, cioè il Paradiso, per questo c'è stato il terremoto e le anime hanno ringraziato il Signore. Il discorso del neo redento termina con un augurio, egli infatti auspica che Dio invii presto anche le altre anime del Purgatorio in Paradiso. 
Le parole appena udite soddisfano Dante come chi si beve dopo aver patito a lungo la sete. Virgilio, sentendo che il suo protetto è soddisfatto, chiede all'anima chi fu in vita e perché tanto tempo è stata a purificarsi nella quinta cornice. L'anima risponde che visse al tempo in cui l'imperatore Tito distrusse, con l'aiuto di Dio, la città di Gerusalemme e vendicò la crocifissione di Gesù; tanto furono apprezzati i suoi versi da essere portato da Tolosa a Roma, dove ricevette l'incoronazione poetica; si chiamò Stazio e scrisse di Tebe e di Achille (Tebaide e Achilleide), ma la seconda opera non riuscì a completarla a causa della morte. Una volta presentatosi, Stazio dichiara di essere stato ispirato dall'Eneide, che altri mille ha ispirato e fu per lui madre e nutrice, e senza quel poema non sarebbe riuscito a comporre niente ("Al mio ardor fuor seme le faville, / che mi scaldar, de la divina fiamma / onde sono allumati più di mille; / de l'Eneida dico, la qual mamma / fummi, e fummi nutrice, poetando: / senz'essa non fermai perso di dramma"). Tanta è l'ammirazione di Stazio che, dichiara, avrebbe accettato di passare un anno in più nel Purgatorio solo per aver potuto vivere quando visse Virgilio. Dante, resosi conto che Stazio non ha riconosciuto nella sua guida il suo idolo, si volge verso Virgilio il quale, solo con lo sguardo, gli impone di tacere. La situazione suscita però un sorriso ammiccante nel poeta fiorentino; Stazio se ne accorge e gli chiede conto di quest'atteggiamento. A questo punto il poeta è diviso tra la voglia di spiegare tutto, per evitare che l'anima si offenda, e quella di non disobbedire al maestro. Il poeta mantovano risolve la situazione esortandolo a spiegare tutto, così Dante spiega che gli veniva da ridere perché la sua guida è il Virgilio che tanto ha elogiato con le sue parole ("Questi che guida in alto li occhi mei, / è quel Virgilio dal qual tu togliesti / forza a cantar de li uomini e d'i dei"). Stazio, sentendo di essere di fronte al proprio idolo, s'inchina per abbracciargli i piedi, ma Virgilio stesso gli dice di non farlo, ricordandogli che sono entrambe delle ombre, quindi nessuno dei due deve inchinarsi all'altro. Il poeta latino gli dice che può adesso comprendere quanto lo ammiri, visto che al suo cospetto ha dimenticato la natura puramente spirituale di entrambi e si è comportato come fossero ancora vivi.

Per quanto riguarda il discorso riguardo la volontà delle anime, per comprenderlo pienamente bisogna ritornare un attimo a san Tommaso d'Aquino e alla sua Summa Theologiae. Per san Tommaso l'uomo ha una volontà assoluta e una relativa. Stazio quando parla della redenzione delle anime fa riferimento alla volontà relativa: questa, che in vita l'uomo rivolge al peccato, nel Purgatorio è rivolta da Dio all'espiazione e contrasta con la volontà assoluta, che invece vuole salire subito al cielo. Stando a quanto dice Stazio, l'anima capisce di poter ascendere all'Eden quando la sua volontà smette di farle volere l'espiazione, prevale perciò quella assoluta di salire al Cielo.

Francesco Abate  

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