Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges è uno degli autori più importanti della letteratura mondiale. La sua grande capacità è quella di inserire dentro storie apparentemente semplici riflessioni filosofiche molto profonde. Lessi un paio d'anni fa una delle sue raccolte di racconti più famose, L'Aleph (https://culturaincircolo.blogspot.com/2016/07/letteratura-studio-dellaleph-di-borges.html), e a distanza di tanto tempo alcuni di quei brani ancora mi tornano in mente e mi chiedono di essere riletti per essere compresi a fondo.
Due sono i racconti che a distanza di tanto tempo hanno attirato su di sé la mia attenzione: Abenjacàn il Bojarì, ucciso nel suo labirinto e La scrittura del Dio.
I due racconti, sebbene inseriti consecutivamente nella raccolta, e sebbene trattino in un certo qual modo dell'universo intero partendo da una prigionia, sono tra loro molto differenti e per questo chiedono di essere analizzati singolarmente.
Abenjacàn il Bojarì è una storia ambientata in Inghilterra e narrata con le voci dei due protagonisti, Dunraven e Unwin, i quali non sono altro che due ragazzi impegnati in una passeggiata di piacere. Durante questa scampagnata, Dunraven racconta all'amico la storia di Abenjacàn, il quale uccise il suo visir e rubò un tesoro nel Sudan, poi fuggì in Inghilterra dove si nascose in un immenso labirinto color cremisi per fuggire l'ira del fantasma della sua vittima. Unwin, ascoltata l'intera storia, ci riflette e la ribalta completamente.
Questo racconto, il quale termina con la visione ribaltata della storia che abbiamo conosciuto da Dunraven, è in un certo senso l'immagine del ribaltamento di ogni cosa. Tale concetto è ribadito dall'introduzione della figura del Minotauro, il quale ci viene descritto dalla mitologia greca come mostro dal corpo umano e testa taurina, ma che probabilmente Dante Alighieri sapeva all'inverso, cioè con testa umana e corpo taurino (equivoco giustificato da alcune fonti che si limitavano a descrivere il mostro come "metà umano e metà taurino"). Tutto ruota intorno al labirinto, luogo simbolo dello smarrimento, dove è possibile sparire per sempre. Unwin nella sua visione diversa della realtà, nota come il labirinto costruito da Abenjacàn sia troppo vistoso, si vede fin dalla costa, e constata come non ci sia miglior labirinto della città e del mondo intero. Il nascondiglio per antonomasia diventa perciò luogo di palesamento, una freccia che indica il punto esatto dove trovare chi invece sostiene di volersi nascondere. Pur nella sua versione ribaltata, il labirinto resta però un luogo di mistero, dove tutto ciò che accade è impossibile da conoscere e per questo la realtà può uscirne alterata. Attraverso l'uso di questa costruzione, il protagonista può ribaltare completamente la realtà, trasformarsi da vittima a carnefice, da preda a predatore. Tutto però avviene laddove la realtà non è fissa e non è constatabile, quindi ogni sentenza resta una supposizione: tutto ciò che accade nel labirinto è oscuro, non perfettamente conoscibile, quindi delle realtà che ospita non ci sarà mai certezza. Alla fine, come detto prima, Unwin ribalta completamente la storia narrata da Dunraven e lui non obietta nulla, ma di fatto non possiamo sapere con certezza chi dei due abbia ragione. Possiamo ritenere più logica la riflessione di Unwin, ma non potremo mai dimostrare in modo incontrovertibile che egli abbia ragione.
Il labirinto creato da Borges in questo racconto è perciò un luogo che si mostra e attira a sé, non nasconde la propria esistenza e il proprio contenuto, però dentro di sé ospita la mancanza di conoscenza e l'incertezza. La realtà può essere percepita in modo differente a seconda della logica che si vuole seguire per interpretarla, così come in un labirinto si sceglie una strada diversa e si giunge in una sala differente, e non abbiamo i mezzi per poter stabilire quale sia la via giusta e quale sia quella sbagliata: ognuno segue la propria in base alle proprie inclinazioni, arrivando al proprio traguardo che nessuno potrà dire sbagliato. Detto in questi termini, è chiaro che il labirinto di Borges è una metafora dell'intero universo, il quale è palese e visibile intorno a noi, eppure non ci permette di conoscerlo appieno, così ognuno di noi nel tentativo di comprenderlo sceglie la propria strada e giunge alle proprie conclusioni, le quali però non sapremo mai se davvero esatte.
L'altro racconto che mi ha colpito è La scrittura del dio, il quale narra di Tzinacàn, sacerdote di Qaholom, tenuto chiuso in una prigione oscura. In questo stato di cattività e limitazione estrema, egli si abbandona alle riflessioni sul divino e sul messaggio che Qaholom ha lasciato scritto sul mantello del giaguaro. Non può evadere fisicamente dalla prigionia, lo fa quindi spiritualmente.
Il racconto è una lunga riflessione filosofico-teologica dove il protagonista giunge alla visione della totalità dell'universo e riesce a interpretare il messaggio del dio. In possesso di quelle parole, egli può diventare onnipotente, evadere dal carcere, uccidere il carceriere e regnare sulle terre di Montezuma. Nel momento in cui ha acquisito questa onnipotenza però, Tzinacàn non è più l'individuo Tzinacàn, bensì è un'impersonale parte dell'infinito, quindi non gli interessa niente né del carcere, né della vendetta, né del potere.
Il messaggio che Borges lancia attraverso questo racconto è molto forte: la ricerca dell'Assoluto è sempre fine a sé stessa, è da stupidi dedicarvisi per ottenere un vantaggio. Nel momento in cui si viene a conoscenza delle verità profonde dell'universo, si cessa di essere l'individuo che si era, si dimenticano tutti i bisogni materiali che normalmente tormentano la nostra anima, e si diventa perfetti in quanto parte dell'Assoluto.
In questo post mi sono limitato ad analizzare i due racconti de L'Aleph che più di tutti mi avevano colpito. Rileggendoli, ho potuto apprezzare nuovamente la grandezza di Borges, infatti temi tanto complessi vengono trattati con grande semplicità, le storie inoltre sono scritte in un linguaggio raffinato che si fa leggere con piacere.
Vi consiglio di dedicare qualche ora di lettura a questo scrittore, e a questo libro in particolare, vi sentirete come al cospetto di un saggio filosofo che, con semplicità e calma, attraverso storie e metafore, vi svelerà il linguaggio dell'universo.
Francesco Abate
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