mercoledì 11 dicembre 2019

STORIA: IL FUMO DENSO DEL TERRORISMO

Il 12 dicembre è una delle date più tristi della storia dell'Italia repubblicana, ricorre infatti l'anniversario della strage di piazza Fontana. Si tratta di uno degli attentati che più scosse l'opinione pubblica, perché non colpì politici ma gente comune, ed è ancora oggi una macchia indelebile sulla storia del nostro paese, visto che a distanza di 50 anni resta una strage senza colpevoli.

Venerdì 12 dicembre 1969, alle ore 16:37, un ordigno contenente 7 kg di tritolo esplose nella sede della Banca Centrale dell'Agricoltura a Milano, in piazza Fontana. L'esplosione, avvenuta in orario di apertura al pubblico, uccise 17 persone e ne ferì più di 80. Raccontò alla televisione un impiegato: "...ho visto cadaveri da tutte le parti. Sulla destra c'era un signore senza le gambe che chiedeva aiuto" (Fonte: La notte della Repubblica - Sergio Zavoli).
Subito gli inquirenti iniziarono a seguire la pista anarchica, ricordiamo che era il periodo degli anni di piombo e fioccavano gruppi di estrema sinistra che usavano il terrorismo come strumento di lotta (ve n'erano anche di estrema destra, ma agli inquirenti sul momento non sembrò importante). Fu privilegiata la pista anarchica, ma nell'opinione pubblica si levò qualche voce di dissenso, tra cui quella del grande giornalista Indro Montanelli, il quale osservò come gli anarchici fossero soliti colpire obiettivi politici ben precisi, mentre la strage di piazza Fontana aveva colpito gente a caso. 
Nei quattro giorni successivi all'attentato vennero fermati solo a Milano 84 esponenti anarchici o di estrema sinistra.
Le accuse caddero subito su Giuseppe Pinelli, figura di spicco degli ambienti anarchici milanesi; gli interrogatori a Pinelli procedettero regolarmente per diverse ore, finché una notte l'interrogato volò giù dalla finestra della questura al quarto piano (e la moglie lo venne a sapere dai giornalisti). Nella stanza degli interrogatori con Pinelli erano presenti quattro poliziotti e un capitano dei carabinieri, nei confronti dei quali fu aperto un procedimento per omicidio volontario, mentre il commissario Luigi Calabresi fu accusato di omicidio colposo perché non presente al momento del fatto. I poliziotti e il carabiniere furono poi prosciolti perché "il fatto non sussiste"; la sorte peggiore toccò al commissario Calabresi che, ritenuto colpevole di omicidio volontario dai gruppi di sinistra extraparlamentare, fu ucciso tre anni dopo con cinque colpi di pistola. Ad oggi, la verità sulla morte di Pinelli non è nota. La tesi ufficiale dei presenti fu che si trattò di un suicidio, ma a distanza di anni Pietro Valpreda, amico di Pinelli e suo compagno "di lotta", nonché un altro accusato per la strage, in un'intervista rilasciata alla trasmissione La notte della Repubblica si dichiarò convinto che fosse stato ucciso, sollevando anche dei dubbi sull'arresto e le accuse mosse a Pinelli, segnalando come all'accusato fosse stata concessa una libertà normalmente non concessa neanche a un sospettato di reati minori (fu libro di muoversi in questura e telefonare a piacimento, inoltre in centrale ci arrivò seguendo le auto col proprio motorino e non in stato di arresto).
La pista anarchica portò all'arresto di Pietro Valpreda, anarchico amico di Giuseppe Pinelli; era arrivato a Milano la mattina presto del 12 dicembre 1969 e fu riconosciuto da un tassista in un confronto davanti ai giudici. L'accusa cadde subito, anche perché la testimonianza del tassista fu incerta e, benché ciò fu omesso negli atti ufficiali, a detta di Valpreda fu anche ritrattata dallo stesso testimone nel corso del confronto. 
Dopo un anno e mezzo di indagini, nuovi sviluppi portarono gli inquirenti a seguire la pista nera. Le indagini svolte a Treviso, dove erano risultati venduti i timer delle bombe, portarono ai nomi di Franco Freda e Giovanni Ventura (Ordine Nuovo il primo, MSI il secondo). Le dichiarazioni di Ventura portarono anche al nome di Guido Giannettini, uomo sul libro paga dei servizi segreti.
Dal momento in cui si iniziò a seguire la pista dell'estremismo fascista, iniziarono le ingerenze e i depistaggi del SID (servizi segreti). Il primo episodio riguardò Marco Pozzan, uomo di fiducia di Freda, che fu intercettato dai servizi segreti durante la latitanza e, benché fosse interessato da un mandato di cattura per concorso nella strage, fu fornito di passaporto falso e fatto espatriare. A Giovanni Ventura invece il SID fornì gli strumenti per evadere dal carcere di Monza, dove era detenuto. Anche Giannettini venne salvato dai servizi segreti non appena fu accusato di concorso in strage: il SID lo spedì in Francia e continuò a stipendiarlo. Ovviamente poi, oltre ai favori fatti agli accusati, il SID ostacolò le indagini riparandosi dietro al segreto di Stato ogni volta che un suo esponente si trovava davanti ai magistrati. 
Tanto fu massiccio il ricorso al segreto di Stato durante le indagini, che il Governo provvide con la legge n.801 del 24 ottobre 1977 a sancire che "In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell'ordinamento costituzionale".
Il processo andò avanti a fasi alterne, con anche diversi spostamenti della sede per motivi di ordine pubblico. 
Negli anni '90 le dichiarazioni di vari pentiti, tra cui spiccarono Carlo Digilo e Martino Siciliano, portarono all'accusa di diversi esponenti di Ordine Nuovo e si arrivò alla condanna all'ergastolo nei confronti di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni. La soddisfazione di aver dato un nome agli esecutori della strage durò solo tre anni, infatti in appello gli imputati furono assolti e i pentiti furono dichiarati inattendibili.
L'ultima beffa è arrivata il 3 maggio del 2005: il tribunale ha confermato la responsabilità di Ordine Nuovo e ha ritenuto valida la pista che porta alle responsabilità di Ventura e Freda, ma non è più possibile processarli perché sono stati già giudicati per lo stesso reato.

Sono passati 50 anni dalla strage di piazza Fontana e ancora oggi i colpevoli non hanno un nome. Non sappiamo perché hanno ucciso 17 persone, non sappiamo chi l'ha fatto e, quel che è peggio, non sappiamo perché i servizi segreti, i quali dovrebbero fare gli interessi dello Stato, hanno depistato le indagini. 
A distanza di tanti anni, appare condivisibile il pessimismo di Valpreda, che ai microfoni di Sergio Zavoli disse: "Io, per conto mio, sono convinto che alcune verità non si sapranno più. Credo che, anche aprendo tutti gli archivi dei servizi segreti, non possano emergere altre verità".

Francesco Abate

6 commenti:

  1. Ciao Francesco!
    Guarda scusami, pensavo di essermi già iscritta e invece google aveva sbagliato :-(
    Ho visto un bel documentario di Carlo Lucarelli su questa strage, una pagina nera della nostra storia.
    Buona giornata e un abbraccio!

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    1. Ciao Olivia.
      Non preoccuparti, a volte coi pc si fanno casini (e io sono un esperto!).
      Purtroppo questa strage è una ferita nell'anima del nostro paese che non si rimarginerà mai, soprattutto perché parte dello Stato ha impedito che si arrivasse alla verità.
      Buona serata e grazie per il follow.

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    2. Io non ne so molto di questa pagina di Storia, quindi grazie per aver approfondito un po'.
      Per i casini sul pc mi unisco a voi, anche io a volte ne combino parecchi!
      Ciao :-)

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    3. Ciao Lucrezia.
      Se ti va di approfondire questi temi con un testo semplice ma accurato, ti consiglio "La notte della Repubblica" di Sergio Zavoli. E' la versione cartacea della popolare trasmissione RAI degli anni '80 e fornisce una panoramica molto ampia, approfondita anche con le interviste ai diretti interessati. Essendo una trasmissione degli anni '80, mancano gli sviluppi più recenti, ma quelli li trovi facilmente su internet; la lettura ti aiuterebbe a immergerti in quegli anni e capire il clima politico-sociale del paese.

      Ciao.

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  2. Gli anni di Piombo sono stati pesantissimi, hanno segnato il nostro paese e ancora se ne parla pochissimo anche nelle scuole dove invece questo argomento andrebbe trattato.
    Ti abbraccio e se non ci "leggiamo prima" ti auguro buone feste.

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    1. Purtroppo i tempi scolastici sono sempre più risicati, inoltre sugli anni di piombo pesano ancora i giudizi politici ed è ancora difficile farne una lettura accurata e imparziale.
      Ti auguro anch'io buone feste.

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