venerdì 24 gennaio 2020

COMMENTO AL CANTO XXVI DELLA "DIVINA COMMEDIA - PARADISO"

Mentr'io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
uscì un spiro che mi fece attento,
dicendo: <<Intanto che tu ti risense
de la vista che hai in me consunta,
ben è che ragionando la compense.
Il canto XXVI comincia con Dante che, rimasto accecato dalla vista della luce di san Giovanni, è turbato e intimorito. Il santo lo invita a compensare la propria cecità con gli occhi della ragione, quindi lo esorta a ragionare ancora come ha fatto prima con gli altri due santi, nell'attesa che riacquisti la vista (che tu ti risense de la vista). Gli chiede quale sia il fine della sua anima (di' ove s'appunta l'anima tua), poi lo tranquillizza dicendogli che la vista non è perduta per sempre e la riacquisterà grazie a Beatrice, che nello sguardo ha la stessa virtù che ebbe Anania (nella tradizione biblica Anania fece riacquistare la vista a san Paolo, che l'aveva persa sulla via di Damasco, con la sola imposizione delle mani). 
Dante risponde dicendo che presto o tardi arriverà la guarigione per quegli occhi che furono porte attraverso cui entrò in lui Beatrice e gli scatenò dentro il fuoco dell'amore, poi risponde a san Giovanni dicendogli che Dio (lo ben che fa contenta questa corte) è il principio e la fine di tutto quello che l'amore gli insegna (Alfa e O è di quanta scrittura mi legge Amore) con maggiore o minore ardore.
La voce di san Giovanni, che gli aveva tolto la paura dell'improvviso abbarbagliamento, gli dà una nuova occasione di parlare dicendogli che deve far passare i suoi concetti per un setaccio più fine, quindi li deve chiarire e deve essere più specifico, e poi chiedendogli chi ha indirizzato la sua anima a Dio (chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio). 
Il poeta alla nuova domanda risponde dicendo che l'amore verso Dio si è impresso in lui grazie ad argomenti di natura filosofica (Per filosofici argomenti) e all'autorità di Dio che si rivela attraverso la Bibbia (per autorità che quinci scende). Fatta l'introduzione, descrive gli argomenti filosofici usando la forma del sillogismo, con tre terzine rappresentanti la premessa maggiore, la premessa minore e la conclusione; non appena l'intelletto comprende il bene, non può che amarlo con un'intensità tanto più forte quanto maggiore è la bontà che contiene, per questo è giusto che l'intelletto umano tenda a quel bene supremo (Dio) di cui gli altri beni sono i raggi ("ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende, / così accende amore, e tanto maggio / quanto più di bontate in sé comprende. / Dunque a l'essenza ov' è tanto avvantaggio / che ciascun ben che fuor di lei si trova / altro non è ch'un lume di suo raggio, / più che in altra conven che si mova / la mente, amando, di ciascun che cerne / il vero in che si fonda questa prova"). Fatta la premessa generale, Dante parla della sua esperienza personale e cita i tre autori che gli hanno mostrato (ripete tre volte il verbo sternere, cioè "chiarire") la necessità di amare Dio: gliel'ha chiarito colui che ha dimostrato come Dio (il primo amore) sia il fine di tutto l'universo (di tutte le sustanze sempiterne); gliel'ha poi chiarito la voce stessa di Dio, verace autore della Bibbia, il quale a Mosè che chiedeva di mostrargli la Sua gloria si mostrò e gli disse che gli avrebbe fatto vedere tutto il bene (ogne valore); gliel'ha infine chiarito lo stesso san Giovanni, che nel prologo del suo Vangelo manifesta le cose arcane del cielo più di ogni altra scrittura ("Tal vero a l'intelletto mio sterne / colui che mi dimostra il primo amore / di tutte le sustanze sempiterne. / Sternel la voce del verace autore, / che dice a Moisè, di sé parlando: "Io ti farò vedere ogne valore". / Sternilmi tu ancora, incominciando / l'alto preconio che grida l'arcano / di qui là giù sovr'a ogn' altro bando"). La seconda parte della risposta di Dante, quella in cui spiega chi lo ha indirizzato al bene supremo, si divide in tre terzine: nella prima il poeta fa riferimento ad Aristotele, che definì Dio non soltanto come causa efficiente ma anche come causa finale dell'universo; nella seconda si riferisce al libro dell'Esodo in cui è narrato l'episodio di Mosè; nella terza si riferisce al prologo del Vangelo di Giovanni, in cui l'evangelista parla dell'essenza di Dio e del mistero dell'Incarnazione (secondo alcuni Dante si riferisce all'Apocalisse, ma questa tratta del giudizio di Dio e della lotta tra Cristo e Satana, quindi sembra poco attinente all'argomento del canto).
San Giovanni riassume il concetto espresso dal poeta, cioè che la sua anima tende a Dio grazie agli argomenti della ragione e a quelli teologici delle Sacre Scritture (per autoridadi a luo concorde), ma gli chiede di dire se sente altri impulsi (altre corde) che lo portano ad amare Dio, così da manifestare tutte le motivazioni che generano in lui questo amore (con quanti denti questo amor ti morde).
A Dante è subito chiaro cosa voglia sapere da lui (dove volea menar mia professione) san Giovanni, che definisce l'aguglia di Cristo perché nell'iconografia cristiana è associato all'aquila. Risponde che tutti gli impulsi che possono muovere il cuore lo hanno indirizzato a Dio: l'esistenza dell'universo che è anche la sua, la morte di Cristo patita per la salvezza della sua anima, quello in cui spera ogni fedele e in cui spera anche lui, insieme agli argomenti filosofici e teologici di cui ha parlato prima, lo hanno tirato fuori dall'amore delle cose terrene e l'hanno portato sulla riva del retto amore. Conclude dicendo che ama tutte le fronde che abbelliscono l'orto dell'ortolano eterno, quindi tutte le creature di Dio, con la stessa intensità con cui Lui le ama.
Non appena il poeta tace, risuona un canto intonato da Beatrice e gli altri beati, i quali ripetono "Santo, santo, santo!"; probabilmente l'autore qui si riferisce al canto di lode a Dio citato nell'Apocalisse di san Giovanni. 
A Dante poi succede come all'uomo che dorme il quale, nel momento in cui viene colpito da una luce violenta, si sveglia (si disonna) a causa della virtù visiva, la quale si rivolge al raggio che traspare attraverso le membrane dell'occhio (lo splendor che va di gonna in gonna), e prova ripugnanza (aborre) per quel che vede, tanto è confuso, finché non viene in suo soccorso la capacità estimativa a cancellare ogni confusione. Per gli Scolastici e gli Arabi, la capacità estimativa è una facoltà interna dell'uomo che gli permette di apprendere tutto ciò che è utile o nocivo alla vita; è in pratica quello che noi oggi chiamiamo "istinto". A sostituire nel caso del poeta la capacità estimativa sono gli occhi di Beatrice, i quali si potrebbero vedere a più di mille miglia di distanza tanto splendono, e gli permettono di vedere di nuovo chiaramente, tanto da accorgersi di una quarta luce che si era aggiunta ai tre apostoli. Alla sua domanda circa l'identità del nuovo arrivato, Beatrice risponde che dentro quella luce c'è la prima delle anime create da Dio, quindi Adamo, la quale contempla Dio con amore (vagheggia il suo fattor).
Dante a causa dello stupore china il capo mentre Beatrice parla, dopodiché rialza lo sguardo perché desidera fare delle domande ad Adamo. Questo suo movimento è paragonato dall'autore a quello delle fronde degli alberi, le quali si piegano sotto la spinta del vento per poi tornare a ergersi verso l'alto, riprendendo così la propria posizione naturale. Il poeta si rivolge a lui chiamandolo "pomo che maturo solo prodotto fosti", cioè uomo che fu creato già adulto, e padre di cui ciascuna sposa è sia figlia che nuora (perché discende da lui allo stesso modo del marito), poi devotamente lo supplica di parlargli e, per la fretta di udire le risposte, evita perfino di formulare le domande, che in quanto beato Adamo già conosce. 
La gioia del beato nel rispondere alla richiesta si manifesta attraverso la luce che lo copre, così come accade quando un animale è coperto da un panno e la sua agitazione si manifesta soltanto attraverso i sussulti del tessuto che lo copre ("Talvolta un animal coverto broglia, / sì che l'affetto conven che si paia / per lo seguir che face a lui la 'nvoglia; / e similmente l'anima primaia mi facea trasparer per la coverta / quant'ella a compiacermi venìa gaia"). Prima di tutto, Adamo conferma che, nonostante non gli abbia fatto domande specifiche, conosce ciò che Dante vuole sapere meglio di quanto lui stesso conosca ogni cosa di cui ha certezza, perché ne ha visione nello specchio veritiero in cui ogni cosa si riflette alla perfezione (Dio). Ciò detto, elenca le curiosità del poeta: vuole sapere quanto tempo è passato dal periodo in cui viveva nel Paradiso terrestre, per quanto tempo i suoi occhi hanno goduto del giardino (quindi per quanto tempo c'è stato), la vera causa della sua cacciata, infine quale lingua parlava e quale creò. Per prima cosa, spiega che la cacciata dall'Eden non avvenne perché gustò con Eva del frutto proibito, ma per via della superbia che lo spinse alla disobbedienza (non il gustar del legno fu per sé la cagion di tanto essilio, ma solamente il trapassar del segno). Nel Limbo, racconta, luogo dove Beatrice ha invocato Virgilio, passò 4302 anni (volumi) a desiderare l'ascesa in Paradiso (Dante ci dice nel canto IV dell'Inferno che l'anima di Adamo e dei patriarchi di Israele fu portata in Paradiso da Gesù Cristo, quindi dovette attendere l'Incarnazione); dice poi che sulla Terra vide il sole tornare 930 volte in tutti i segni zodiacali, perciò visse 930 anni. Per quanto riguarda la lingua, dice che quella da lui parlata che era già sparita prima che il popolo del sovrano Nembrot (i babilonesi) iniziasse la costruzione dell'opera che non sarebbe mai terminata, cioè la torre di Babele; non poteva durare in eterno la sua lingua perché all'uomo piace cambiare i prodotti dell'intelletto in base agli influssi celesti. Che l'uomo parli, spiega ancora Adamo, è dovuto alla natura, ma la lingua in cui lo fa è frutto dell'arbitrio umano. Racconta poi che prima della sua discesa nel Limbo il nome di Dio era I, poi fu chiamato El, e questo cambiamento ci fu perché all'uomo piace cambiare così come il ramo cambia le foglie. Chiude dicendo che alla sommità del monte che più di tutti si alza dal mare, perché il Paradiso terrestre si trova in cima al Purgatorio, restò con la sua vita prima pura e poi disonesta dalla prima ora (le sei del mattino) a quella che segue l'ora sesta (quindi la settima ora, le tredici) e in cui il sole cambia quadrante.

Molto importante per comprendere l'importanza del canto è approfondire la parte finale delle parole di Adamo.
Dobbiamo innanzitutto parlare della lingua di Adamo, domanda che Dante non fa a caso. Circa la lingua originaria dell'essere umano il dibattito è sempre stato molto acceso. Nel De vulgari eloquentia Dante riprese la tesi della Genesi, a sua volta ripresa da sant'Agostino nel De civitate dei, secondo cui la capacità di parlare è parte della natura umana e la lingua originale dell'essere umano era quella ebraica, poi la molteplicità di linguaggi è arrivata in un secondo momento come punizione divina per la superbia dell'uomo. Dopo la confusione babelica, per Dante le lingue sacre furono l'ebraico, il greco e il latino, in conformità col pensiero di Brunetto Latini e sant'Isidoro. Con queste parole di Adamo il poeta cambia nettamente posizione, affermando come la lingua di Adamo, quindi quella originale, fosse già morta prima della costruzione della torre di Babele, quindi sconfessando l'ipotesi dell'ebraico come lingua naturale dell'uomo.
Anche nel riportare il nome di Dio, Dante segue la sua nuova teoria circa il linguaggio umano. Il nome più comune della divinità nell'Antico Testamento è EL, termine dall'etimologia dubbia ma che certamente è un riferimento alla potenza (nella Bibbia è più usato il suo plurale, Elohim, che corrisponde a un'intensità di forza, ma più di tutti compare il tetragramma YHWH, che probabilmente significa <<colui che è>>); dicendo che EL non fu il primo nome di Dio, ma il secondo, Dante ribadisce il suo abbandono della teoria dell'ebraismo quale lingua naturale dell'uomo. Per quanto concerne la scelta del nome I, si tratta probabilmente della scelta di farlo corrispondere all'uno latino, così da ribadire l'unicità di Dio.
Anche la scelta delle ore di permanenza di Adamo nell'Eden c'è da fare una riflessione. Non è casuale che l'ultimo verso termini con l'ora sesta, infatti il poeta crea così una coincidenza tra la cacciata di Adamo a causa della caduta nel peccato e le ore della Passione di Cristo, grazie alla quale avvenne la salvezza dell'uomo.

Francesco Abate

6 commenti:

  1. Fra l'altro molti studiosi si impegnarono in età rinascimentale e barocca nella ricerca della lingua adamitica anche se questo li portò a sbagliare alcuni studi!
    Si vede che questo mistero doveva essere molto affascinante.
    Un abbraccio.

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    1. Scoprire la lingua adamitica sarebbe stato di certo un modo per sapere di più sull'essenza dell'uomo, sulla sua natura prima che fosse alterata dalla storia e dalla società. Dal punto di vista religioso, confermare scientificamente l'Ebraico come lingua originaria avrebbe sancito definitivamente la veridicità della Bibbia. La posta in gioco perciò era molto alta.
      Un bacio.

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  2. Caro Francesco, grazie a te sto rileggendo un'opera che amo moltissimo.
    Sai che anche qui in Inghilterra è molto apprezzata?
    Buona serata.

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    1. Sono felice di averti spinta alla rilettura, significa che il mio sforzo sta avendo un senso.
      Io ho trovato riferimenti alla Divina Commedia perfino in un cartone animato giapponese (Saint Seiya), segno che nel mondo è molto apprezzata. Forse siamo noi italiani quelli che l'apprezzano di meno, come facciamo con tante nostre eccellenze.
      Buona serata.

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  3. Francesco, io ho appena dato un esame importante. Mi riservo la lettura a quando sarò meno stanca!
    Baci

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    1. Spero che l'esame sia andato bene. A dire il vero ne sono quasi sicuro, visto che sei una ragazza sveglia, intelligente e preparata.
      Recupera le energie mentali, per leggere avrai tempo.
      Un bacio.

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