giovedì 20 febbraio 2020

COMMENTO AL CANTO XXIX DELLA "DIVINA COMMEDIA - PARADISO"

Quando ambedue i figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l'orizzonte insieme zona,
quant'è dal punto che 'l cenit inlibra,
infin che l'uno e l'altro da quel cinto,
cambiando l'emisperio, si dilibra,
tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque Beatrice, riguardando
fiso nel punto che m'aveva vinto.
Il canto XXIX inizia con Beatrice che in silenzio guarda nella luce di Dio, quella che aveva abbagliato Dante in precedenza (nel punto che m'aveva vinto). Per descrivere la brevità del momento in cui la donna tace e osserva, il poeta lo paragona a quello in cui il sole e la luna ("figli di Latona" è riferito ad Apollo e Diana) stanno a cavallo dell'orizzonte, equidistanti dallo zenit (cenit, dall'arabo), l'uno nella costellazione dell'Ariete e l'altra nella Bilancia (coperti del Montone e de la Libra), subito prima che l'uno sorga del tutto e l'altra tramonti definitivamente; per alcuni critici si tratta di meno di un minuto, per altri addirittura di un istante (interpretazione più plausibile, visto che si parla della perfetta equidistanza dallo zenit dei due astri), comunque parliamo di un tempo brevissimo.
Beatrice interrompe il silenzio dicendo che spiegherà delle cose a Dante senza chiedergli cosa voglia sapere, avendolo già visto in Dio, dove non esistono né il tempo né lo spazio (la 've s'appunta ogni ubi e ogni quando). Ciò detto, inizia un lungo discorso sull'opera della creazione: Dio creò non per assicurarsi un maggior bene, cosa impossibile essendo Lui il sommo bene, ma perché la sua bontà potesse determinare l'esistenza delle creature risplendendo in esse (perché suo splendore potesse, risplendendo, dir "Subsisto"); nella sua eternità, fuori da ogni tempo e ogni spazio (i quali nacquero con la creazione stessa), dischiuse il suo eterno amore in altri amori per propria volontà (come i piacque), non per necessità. Non bisogna credere, aggiunge, che prima della creazione Egli giacesse inoperoso, dato che il tempo non esisteva e per questo non ci fu un prima della creazione (concetto espresso da sant'Agostino nel De civitate Dei, il quale contestava la visione di un Dio inoperoso che crea come se fosse pentito del proprio ozio). Forma e materia, congiunte e pure, furono create prive di imperfezioni, come dall'arco a tre corde raggiarono le tre saette; in tre versi (vv. 22-24) sono espressi molti concetti: Beatrice sostiene che furono create prive di imperfezioni la forma (le intelligenze, quindi gli angeli) e la materia (il mondo sensibile); quindi gli angeli e il mondo sensibile furono creati insieme, andando con questa affermazione contro san Tommaso, il quale sosteneva che fossero stati creati prima gli angeli e poi il mondo sensibile; per quanto riguarda l'arco a tre corde, esso rappresenta la potenza, la sapienza e l'amore della Trinità, e scocca le tre saette che sono gli angeli, la materia pura del mondo sublunare e i cieli che sono nel mezzo. Beatrice continua dicendo che il triplice effetto della creazione (la nascita degli angeli, dei cieli e del mondo sensibile) fu istantaneo così come un raggio di luce illumina immediatamente un vetro, un cristallo o un corpo d'ambra. Create insieme furono le sostanze e il loro ordine (Concreato fu ordine e costrutto a le sustanze): in cima furono poste quelle sostanze create come atto puro (gli angeli), la pura potenza (il mondo sensibile) fu posta più in basso (tenne la parte ima), e nel mezzo Dio strinse la potenza e l'atto in modo che non si potessero più separare (furono creati i cieli); san Girolamo scrisse in un trattato che gli angeli erano stati creati molti secoli prima del mondo sensibile, ma la verità che lei sta spiegando si trova in molte parti delle Sacre Scritture (in molti lati da li scrittor de lo Spirito Santo) e lui se ne accorgerà leggendole con attenzione, inoltre anche la ragione può capire che è così, essendo inammissibile che le intelligenze (i motori) siano restate tanto tempo senza operare e giungere alla perfezione. Conclude questa prima parte del discorso dicendo a Dante che adesso sa dove, quando e come gli angeli furono creati; già tre fuochi del suo desiderio sono spenti, cioè ha già avuto risposta a tre domande.
Dopo aver parlato della creazione degli angeli, Beatrice spiega a Dante della loro ribellione. Non passò il tempo necessario a contare fino a venti, che parte degli angeli sconvolse la terra ('l soggetto de' vostri elementi) con la propria caduta; gli altri rimasero e cominciarono a girare intorno a Dio (quest' arte che tu discerni) con una tale gioia da non smettere mai. La causa della caduta fu la maledetta superbia di colui (Lucifero) che Dante ha visto schiacciato al centro della Terra dal perso di tutto l'universo. Gli angeli che vede lì furono umili (modesti) e riconobbero la bontà che li aveva creati capaci di capire misteri così profondi (furon modesti a riconoscer sé da la bontate che li avea fatti a tanto intender presti); le loro viste furono esaltate dalla grazia illuminante di Dio e dal loro merito, perché hanno volontà ferma e piena. Beatrice spiega di volere che Dante non abbia dubbi, gli conferma che la grazia si riceve per merito, a seconda della maggiore o minore disposizione ad accoglierla. Conclude poi dicendo che ormai lui può capire molte cose degli angeli (questo consistorio) senza altro aiuto, se ha ben compreso le sue parole. 
Siccome però sulla Terra nelle scuole di teologia si insegna che la natura angelica è tale da capire, ricordare e volere (l'angelica natura è tal, che 'ntende e si ricorda e vole), lei parlerà ancora affinché lui veda la pura verità, che sulla Terra si confonde con questi insegnamenti: queste sostanze (gli angeli) furono subito felici di guardare la faccia di Dio, in cui ogni cosa è svelata, e non volgono mai da questa lo sguardo, per questo motivo la loro visione non è mai interrotta da un nuovo oggetto e perciò non hanno bisogno di ricordare. Sulla Terra si sogna a occhi aperti quando si sostengono certe tesi; alcuni lo fanno in buona fede, altri ingannano sapendo di ingannare, e questi ultimi sono i più colpevoli. A questo punto Beatrice muove una critica: gli uomini non seguono nel filosofare tutti la stessa via, alcuni infatti si lasciano deviare dal desiderio di apparire ingegnosi, e questi comunque sdegnano meno il cielo rispetto a quelli che pospongono le Sacre Scritture alla filosofia o rispetto a quelli che ne stravolgono il significato ("E ancor questo qua sù si comporta / con men disdegno, che quando è posposta / la divina scrittura, o quando è torta"). Non si pensa al sangue che hanno versato Cristo e i martiri per diffondere le Scritture e non si pensa a quanto piaccia a Dio chi si accosta alla sua parola con umiltà; ognuno per fare bella figura (per apparer) lavora di fantasia a proprio capriccio, le nuove pseudo-verità sono diffuse dai predicatori e viene taciuto il vero contenuto del Vangelo. Qualcuno, continua Beatrice, dice che durante la crocifissione di Cristo la luna invertì il suo percorso e si mise davanti al sole, generando un'eclissi, ma mente perché la luce solare si oscurò da sola, infatti l'eclissi fu vista dagli spagnoli e dagli indiani, oltre che dai giudei (fu vista in tutto il mondo, mentre seguendo la teoria del "ritorno" della Luna, accolta tra gli altri da san Tommaso d'Aquino, si sarebbe dovuta vedere solo in alcune regioni). A Firenze non ci sono tanti Lapi e Bindi (due nomi molto comuni nella città all'epoca) quante sono le favole che ogni anno dai pulpiti si gridano ovunque, così che i fedeli meno istruiti (le pecorelle che non sanno) si riempiono la testa di parole vuote e inutili (tornan del pasco pasciute di vento), e non li scusa il non essere consapevoli della falsità di ciò che hanno udito (e non le scusa non veder lo danno). Beatrice continua ricordando che Cristo non disse agli apostoli di andare e predicare ciance, ma diede loro il vero fondamento del Vangelo, il quale suonò dalle loro guance e fu nelle loro battaglie per la fede sia lo scudo che la lancia. Adesso si predica con invenzioni spiritose (motti) e beffe (iscede), e non si vuole altro che gonfiare di orgoglio il predicatore (e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio, e più non si richiede). Ma se la gente vedesse l'uccello che si annida nel cappuccio di questi falsi predicatori (il demonio gioisce della loro predicazione che allontana la gente dalla verità di Cristo), capirebbe il valore nullo delle indulgenze che questi promettono e in cui loro confidano; per mezzo di questi predicatori è cresciuta sulla terra tanta stoltezza fa far correre la gente dietro ogni promessa senza che vi sia alcuna approvazione dell'autorità ecclesiastica (sanza prova d'alcun testimonio). L'accusa di Beatrice diventa poi più diretta: di queste indulgenze fasulle (moneta senza conio) si ingrassano l'ordine dei monaci Antoniani e altri monaci ancora più porci (l'accostamento nasce perché nell'iconografia cristiana sant'Antonio viene raffigurato con un maiale, inoltre i monaci Antoniani nel Medioevo allevavano un maiale per poi venderlo durante le celebrazioni dedicate al santo, così da finanziare le spese dell'ordine).
Finita la sua invettiva contro i falsi predicatori, Beatrice invita Dante a prestare di nuovo attenzione agli angeli (la dritta strada) affinché l'ultima parte della trattazione sia veloce (sì che la via col tempo si raccorci). L'ultima questione su cui si pronuncia è il numero degli angeli: questo aumenta di grado in grado (s'ingrada in numero) a tal punto da non essere esprimibile con le parole e non essere comprensibile coi concetti della mente umana, tanto che Dante, leggendo ciò che rivela Daniele nella Bibbia, si accorgerà che il loro numero non è rivelato, bensì è celato. La luce di Dio illumina (raia) la natura angelica ed è in essa ricevuta in tanti modi diversi quanti sono gli angeli in cui si riflette; siccome la forza dell'amore degli angeli è proporzionale alla grazia, essi amano con intensità diversa a seconda della visione che hanno di Dio (d'amar la dolcezza diversamente in essa ferve e tepe). Ormai Dante vede, conclude Beatrice, l'eccellenza e la grandezza di Dio (etterno valor), la cui luce si spezza in tanti specchi eppure mantiene inalterata la propria unità.

Francesco Abate     


6 commenti:

  1. Secondo me, credenti oppure no, bisogna riconoscere la maestosità dell'inventiva dantesca nel rendere comprensibile a tutti un mistero così grande come quello divino.
    Baci!

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    1. Pensa che io non sono credente, eppure mi appassiona tantissimo ricostruire la teologia dantesca. Anche per non approvare è necessario conoscere e questo Dante nella Commedia ce lo insegna.
      Baci.

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  2. "Altri ingannano sapendo di ingannare, e questi ultimi sono i più colpevoli."
    In un periodo di calunnie come questo, direi che Dante è sempre più che mai attuale.
    Un abbraccio.

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    1. Ingannare consapevolmente si può considerare un tradimento e Dante i traditori li colloca nel fondo dell'Inferno, perché usano il dono della ragione per fare il male. Attualissimo e condivisibile dal punto di vista etico a prescindere dalle credenze religiose.
      Baci.

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  3. Sempre bravo con questi tuoi commenti, mi appassionano ogni volta!
    Ciao!

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    1. Grazie mille. Fa sempre piacere vedere apprezzato il proprio lavoro.
      Baci.

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