domenica 9 settembre 2018

COMMENTO AL CANTO IV DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda,
l'anima bene ad essa si raccoglie,
par ch'a nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede
ch'un' anima sovr'altra in noi s'accenda.
E però, quando s'ode cosa o vede
che tegna forte a sé l'anima volta,
vassene il tempo e l'uom non se n'avvede;
ch'altra potenza è quella che l'ascolta,
e altra è quella c'ha l'anima intera:
questa è quasi legata e quella è sciolta.
Tutto preso dalle parole di Manfredi, Dante non si accorge più del passare del tempo. Nei suoi versi il poeta, per descriverci questa mancata percezione, riporta e smentisce il pensiero dei neoplatonici secondo cui l'essere umano ha più anime. Il poeta dice infatti che per una ragione particolare una delle facoltà dell'animo umano (che sono: vegetativa, sensitiva e razionale) può essere così presa da annullare le altre due, ma non c'è affatto la manifestazione di un'altra anima, come viene sostenuto dai neoplatonici. Lui è in questo stato, preso dalle parole di Manfredi, e perde completamente la percezione del tempo che passa. Si rende conto che il sole è salito di ben cinquanta gradi, quindi sono passate tre ore e venti minuti dall'alba (il sole sale di quindi gradi ogni ora). Non appena la schiera delle anime gli indica il sentiero e si allontana, Virgilio si incammina lungo un sentiero più stretto del varco della siepe che il contadino richiude con una piccola forca di pruni per difendere l'uva, seguito da Dante. Il poeta, che a causa dell'esilio ha percorso alcune delle alture più scoscese d'Italia, ci fa capire quanto arduo sia il percorso dicendo che per l'uomo sarebbe bene poter volare per percorrere quel sentiero, invece lui lo scala e segue il maestro che lo guida. I due salgono per una viuzza stretta scavata nella roccia, poi si trovano allo scoperto. La via è ardua, come quella della penitenza che porta alla virtù: quest dura salita è quindi tutta una metafora. Dante chiede al maestro che via seguiranno e questi gli raccomanda di non sbagliare alcun passo e di seguirlo finché non apparirà una nuova guida. Il poeta vede come l'altezza del monte sia tale da renderne invisibile la sommità, mentre la pendenza supera i quarantacinque gradi. Stanco, chiede al maestro di guardarlo, convinto che resterà indietro e solo se questi non si fermerà un poco. Virgilio lo esorta a tirarsi su un ripiano del pendio, così i due si mettono seduti e Dante può guardare la salita percorsa, quella vista che dà gioia allo scalatore ("A seder ci ponemmo ivi ambedui / volti a levante ond' eravam saliti, / che suole a riguardar giovare altrui"). Seduto, il poeta prima guarda in basso, poi volge lo sguardo verso il sole e nota che si trova alla sua sinistra. Virgilio si accorge che il suo allievo ha colto questa stranezza e gli dice di immaginare come Gerusalemme sia esattamente agli antipodi della montagna del Purgatorio: quando nell'altro emisfero il sole viaggia verso nord, in questo si muove verso sud ("Ben s'avvide il poeta ch'io stava / stupido tutto al carro de la luce, / ove tra noi e Aquilone intrava. / Ond'elli a me: << Se Castore e Polluce / fossero in compagnia di quello specchio / che su e giù del suo lume conduce, / tu vedresti il Zodiaco rubecchio / ancora a l'Orse più stretto rotare, / se non uscisse fuor del cammin vecchio. / Come ciò sia, se 'l vuò' poter pensare, / dentro raccolto, imagina Siòn / con questo monte in su la terra stare / sì, ch'amedue hanno un solo orizzòn / e diversi emisperi; onde la strada / che mal non seppe carreggiar Fetòn, / vedrai come a costui convien che vada / da l'un, quando a colui da l'altro fianco, / se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada >>"). Dante mostra di aver capito, aggiungendo che l'equatore è tanto distante dal Purgatorio (circa 32° a sud del Tropico del Capricorno) quanto da Gerusalemme (32° a nord del Tropico del Cancro), poi chiede al maestro di dirgli quanto dovranno ancora salire, infatti la montagna è così alta che non ne vede la fine. Il maestro gli spiega che questa montagna è durissima da scalare per chi parte dal basso, ma più si va su e meno diventa faticosa da risalire, e arriverà un momento in cui salire sarà leggero come navigare seguendo la corrente: in quel momento sarà alla fine della scalata e potrà liberarsi dai suoi affanni. Quello che accadrà dopo non può dirglielo perché non lo sa. 
Virgilio ha appena terminato di esortare Dante a riprendere la sua fatica fisica e morale, quando una voce, quasi a volerlo contrastare, gli dice che forse prima dovrebbero starsene seduti e riposare. I due si girano in direzione della voce e scorgono una gran pietra di cui non s'erano accorti, dietro la quale ci sono delle persone sedute. Una di loro, che sembra stanca, siede e tiene le ginocchia tra le braccia, tenendo il viso tra le ginocchia. Visto quest'uomo, Dante dice al suo maestro, con tono palesemente ironico, di guardare uno che sembra fratello della pigrizia. L'anima risponde a tono, invitando lui a scalare la montagna, visto che è valente, ma lo fa senza nemmeno girare il viso, come se anche il leggero movimento della testa gli costasse troppa fatica ("<< O dolce segnor mio >> diss'io, << adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia. >> / Allor si volse a noi, e puose mente, / movendo 'l viso pur su per la coscia, / e disse: << Or va tu su, che se' valente! >>"). Dante riconosce dalla voce e dalla pigrizia Belacqua, un fabbricatore di liuti e chitarre fiorentino famoso per la sua pigrizia. Nonostante sia ancora stanco della scalata gli si avvicina di più. Belacqua alza la testa e gli chiede se ha visto che il sole segue il cammino inverso rispetto al mondo dei vivi. C'è da notare che nella sua domanda non c'è la voglia di apprendere che troviamo nei discorsi tra Dante e Virgilio, è da vedere un po' come le considerazioni che si fanno sul clima quando si incontra qualcuno e non si sa cosa dire. Il poeta, ricordando la sua pigrizia, sorride a quelle brevi frasi e alla sua manifesta voglia di non muoversi, mostra di averlo riconosciuto, dice di non temere più adesso per la sua sorte (sa che non è dannato) e gli chiede se stia aspettando che qualcuno lo accompagni o se sia stato ripreso dalla sua antica pigrizia. Belacqua gli spiega che non avrebbe senso per lui salire, infatti l'angelo che presidia la porta del Purgatorio non lo lascerebbe entrare perché ai negligenti che si pentirono solo al termine della vita spetta stare nell'antipurgatorio tanto tempo quanto ne vissero nell'impenitenza; solo le preghiere per la sua anima potrebbero abbreviare la sua attesa. Il loro dialogo è interrotto da Virgilio, il quale esorta Dante a riprendere il cammino perché la notte sta già per coprire il Marocco.

Questo canto, se si eccettua la parentesi di Belacqua e la sua spiegazione circa la penitenza dei negligenti, è contraddistinto dalle indicazioni astronomiche. In questi versi il poeta ci descrive il movimento del sole nell'emisfero dov'è il monte del Purgatorio, così facendo spiega con precisione la forma della Terra. Il canto inizia con le considerazioni sul movimento del sole nell'emisfero del Purgatorio, con diverse indicazioni astronomiche, e termina con qualcosa di simile quando Virgilio dice che "cuopre la notte già col piè Morrocco". 
Altro elemento che rende importante questo canto è la spiegazione del cammino lungo la montagna. Virgilio spiega a Dante che la salita sarà sempre meno ripida man mano che si sale, finché non diventerà simile al navigare lungo la corrente. Non si tratta di un semplice incoraggiamento, viene accennato come la penitenza patita dalle anime sarà più lieve man mano che esse saliranno e che patiranno di più coloro che partono dall'antipurgatorio. Virgilio anticipa anche che, giunto al Paradiso Terrestre, non potrà più essere la guida di Dante. 

Francesco Abate

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