venerdì 4 ottobre 2019

STORIA: LE ORIGINI DELLA QUESTIONE PALESTINESE

La Palestina è una delle zone più calde del Medio Oriente. Si susseguono di continuo in quelle zone gli attentati terroristici arabi e le azioni militari israeliane, trascinando un conflitto che miete nel silenzio centinaia di migliaia di morti e che resta una bomba innescata nel cuore di una zona già instabile.
Con questo post voglio analizzare gli avvenimenti che diedero inizio a tali scontri, abbracciando un periodo storico che va dalla fine dell'Ottocento all'immediato secondo dopoguerra.

Tutto si può dire che iniziò nel 1897, quando al Congresso sionista di Basilea, dominato dalla figura di Theodor Hertzl, fu auspicato il ritorno degli ebrei dalla diaspora, cioè dalla dispersione dell'intero popolo iniziata durante il regno di Babilonia. Il Congresso sancì perciò la volontà di far sì che gli ebrei tornassero a occupare la Palestina che, grazie agli accordi Sykes-Picot del 3 gennaio 1916, era diventata una regione sotto il controllo della Gran Bretagna dopo la caduta dell'Impero ottomano.
Il dottor Chaim Weizman, influente propagandista che vantava una certa influenza su alcuni membri del governo inglese, spinse il ministro degli Esteri lord Balfour a dichiarare che Sua Maestà vedeva di buon occhio l'istituzione di un focolare ebraico in Palestina e a promettere di impegnarsi perché fosse favorita la realizzazione del progetto. 
La dichiarazione Balfour fu rilasciata il 2 novembre 1917 e fu l'innesco di una bomba che sarebbe deflagrata diversi anni dopo. Vi fu infatti la nascita di costanti flussi migratori di ebrei verso la Palestina, flussi che si intensificarono con l'avvento di Hitler e delle persecuzioni naziste. Circa i motivi che spinsero il ministro a una dichiarazione tanto impegnativa quanto improvvida, ci sono diverse ipotesi: una sorta di senso di colpa verso un popolo da sempre perseguitato in occidente; l'interesse ad avere un avamposto occidentale in una zona delicata (e allora sotto l'influenza di Gran Bretagna e Francia); la prospettiva di conquistare le simpatie delle comunità ebraiche statunitensi e russe, che erano molto influenti nei rispettivi paesi.  
Al di là delle ragioni che spinsero Balfour a incoraggiare il progetto sionista, la grande migrazione verso la Palestina cominciò subito a causare problemi. Gli ebrei che arrivavano in Palestina cominciarono subito a contendere terra e acqua agli arabi, talvolta acquistandole, ma altre volte espropriandole con la forza. In poco tempo i sionisti si organizzarono e formarono il Mapai, un organismo di rappresentanza politica nel paese, il sindacato Histadrut e una specie di esercito regolare chiamato Hagana. 
La reazione della popolazione palestinese ovviamente non poté essere tenera, visto che l'immigrazione sionista cominciava a prendere i contorni di un'invasione. Vi fu dapprima una guerriglia armata contro i sionisti e gli inglesi portata avanti da 'Izz al-Din al-Qassam, un siriano emigrato in Palestina, che fu ucciso nell'ottobre del 1935 e non ottenne nulla. Quando poi, durante il governo di Hitler in Germania, i flussi migratori si intensificarono, si arrivò alla rivolta guidata dal muftì di Gerusalemme (1936); fu un'azione fatta di guerriglia e scioperi contro i governanti inglesi, ma fu repressa dalla Gran Bretagna con l'uso dell'esercito.
La Gran Bretagna, dopo anni di atteggiamenti titubanti sulla questione, nel 1939 ammise che la situazione era ingestibile e con il Libro Bianco pose fine alle migrazioni degli ebrei in Palestina. Il Libro Bianco arrivò però troppo tardi, infatti i sionisti in Palestina erano tanti e molto organizzati anche sul piano militare, avviarono azioni di terrorismo contro gli inglesi arrivando nel novembre del 1944 a uccidere il plenipotenziario inglese nel paese, lord Moyne.

Abbandonati dagli inglesi, i sionisti trovarono però un nuovo e potente alleato negli Stati Uniti.
Nel 1942 l'organizzazione sionista americana adottò un piano che prevedeva la creazione di uno stato ebraico formato da tutti i territori della Palestina allora soggetti al mandato della Gran Bretagna. Il piano fu accolto tiepidamente dal presidente Roosevelt, il quale non si impegnò direttamente nella sua attuazione, ma il suo successore Truman si espresse a favore di una spartizione dei territori nonostante il parere contrario del Dipartimento di Stato.
La situazione tornò a farsi incandescente quando nel 1948 la Gran Bretagna, indebolita dalle fatiche della guerra, annunciò l'abbandono del mandato sulla Palestina.
All'ONU fu affidato il compito di trovare una situazione che pacificasse il paese; a tale scopo l'organizzazione formò l'Unscop e dalla sua composizione eliminò le grandi potenze, così da assicurarsi una maggiore serenità di giudizio. I lavori dell'Unscop furono favoriti dai sionisti, mentre i paesi arabi commisero il grave errore politico di boicottarli, rinunciando di fatto a esercitare la propria influenza sulla discussione.
I lavori dell'Unscop si svolsero in un clima tremendamente caldo. Si formarono in Palestina delle organizzazioni paramilitari sioniste che si macchiarono di sanguinosi attentati, come il massacro di 300 civili nel villaggio palestinese di Deir Yassin, e che scatenarono la reazione altrettanto violenta della guerriglia palestinese. Sempre in quel periodo, la Gran Bretagna aprì il fuoco sulla nave Exodus, che cercava di far sbarcare 4500 ebrei in Palestina; l'evento, che si verificò pochi anni dopo la scoperta dei lager nazisti, impressionò molto l'opinione pubblica e finì per rendere la stessa maggiormente favorevole nei confronti delle volontà sioniste.
Il susseguirsi degli eventi, unito alla miopia politica araba, portò l'Unscop a proporre una spartizione dei territori profondamente iniqua: ai 600.000 israeliani veniva dato possesso del 56,47% del paese, a 1.200.000 palestinesi toccava solo il 42,88%, Gerusalemme veniva posta sotto statuto internazionale. L'ONU accolse la proposta dell'Unscop e la approvò.
La spartizione iniqua di un territorio che gli arabi sentivano loro portò, non appena la Gran Bretagna ebbe abbandonato il paese, allo scoppio della prima guerra arabo-israeliana. I paesi arabi (Egitto, Siria, Libano, Iraq e Giordania) entrarono in Palestina per aiutare i propri fratelli palestinesi, ma furono ancora una volta vittime delle loro divisioni e della loro disorganizzazione: la Giordania stava tenendo sottobanco dei colloqui diplomatici col nemico per avere più territori, la Siria inviò solo 2500 uomini e l'Egitto non inviò equipaggiamenti. Israele invece aveva un esercito ben organizzato e ben equipaggiato, riuscì così ad avere la meglio nel conflitto, che durò da maggio 1948 a gennaio 1949. 
La sconfitta in questa guerra per i palestinesi fu la nakba (disastro), con un numero di profughi compreso tra 500.000 (fonti israeliane) e 1.000.000 (fonti palestinesi).
Ottenuto il diritto a esistere anche con le armi, Israele non esitò a occupare più territori di quanto previsti dal progetto dell'Unscop. Tel Aviv fu eletta capitale temporanea del nuovo stato.
Nel settembre 1948 i terroristi israeliani del Lehi uccisero a Gerusalemme il plenipotenziario dell'Onu Folke Bernadotte, reo di voler presentare un piano di pace non favorevole a Israele. 

La nascita dello Stato di Israele precipitò i territori palestinesi in uno stato di guerra perenne. Da allora si moltiplicarono le organizzazioni terroristiche arabe, di cui la più famosa è Al-Fatah, fondata da Yasser Arafat, e le colonizzazioni forzate israeliane. 
Quella miopia o malafede britannica, quella voglia di appoggiare un alleato potente e di averlo in una zona calda degli USA, ha scatenato tutti gli eventi di sangue che hanno macchiato la zona dal 1948 a oggi. 
Le intifada, il muro di Sharon, tutto nasce da lì.

Francesco Abate  

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