mercoledì 22 agosto 2018

RECENSIONE DI "SE UNA NOTTE D'INVERNO UN VIAGGIATORE" DI ITALO CALVINO

Di tanti libri che ho letto e che ho recensito, Se una notte d'inverno un viaggiatore mi ha fatto un effetto particolare. Il romanzo l'ho letto con piacere e in poco tempo, come tutte le opere di Calvino scorre via che è un piacere riuscendo però a non essere mai banale, l'ho amato fin dalla prima pagina e l'ho apprezzato fino alla fine. Dopo averlo terminato, è accaduto qualcosa che mai mi sarei aspettato, è infatti nata in me una specie di paura, sentivo di non essere all'altezza di recensirlo e per questo ho rimandato la stesura di questo articolo per diversi giorni. Ogni volta che mi approcciavo all'organizzazione o all'elaborazione della recensione, mi bloccava il timore di aver perso qualcosa per strada, di non aver colto quello che davvero l'autore voleva dire. L'idea di rinunciare alla scrittura di quest'articolo non mi ha però neanche sfiorato, il romanzo è straordinario e merita di essere considerato e discusso.
Leggendo Se una notte d'inverno un viaggiatore, mi sono imbattuto in un Calvino diverso rispetto a quello che ho conosciuto in passato. Con Il cavaliere inesistente, Il barone rampante Il visconte dimezzato ho avuto a che fare con il Calvino favolista; con Il sentiero dei nidi di ragno mi sono goduto il suo modo particolare di raccontare una pagina drammatica della storia del nostro paese. Questo romanzo è totalmente differente e mi basta raccontarvi brevemente la trama per farvelo capire. Un lettore senza nome, che l'autore chiama semplicemente Lettore, inizia la lettura di un romanzo che, però, si interrompe dopo poche pagine. Nel tentativo di recuperare la copia completa del suo romanzo, il Lettore si trova dapprima a conoscere una sua omologa femminile, Ludmilla (che in seguito diventa Lettrice), poi finisce coinvolto in un complotto internazionale fatto di censure e falsificazioni di libri. La vicenda così contorta del Lettore è scandita dalla sua lettura di romanzi sempre diversi da quello che stava cercando e questi, per motivi vari, si interrompono sempre dopo poche pagine.
Leggendo le poche righe in cui ho riassunto la trama, risulta chiaro come le chiavi per comprendere il senso di quest'opera siano i romanzi incompleti in cui si imbatte di volta in volta il Lettore. Calvino non ne sceglie dieci per un motivo in particolare, sceglie quelli che gli diverte scrivere e che sente di saper scrivere. Nell'opera non c'è tutto ciò che può essere scritto, ma tutto ciò che Calvino sentiva di poter scrivere e non aveva mai scritto, esclude infatti l'autobiografia, che non gli interessa, e i tipi di narrativa in cui si era già cimentato. Nel dicembre 1979 Calvino, per rispondere alla recensione fatta dal critico Angelo Guglielmi, scrisse a proposito del suo romanzo: << ... se ho scelto questi dieci tipi di romanzo è perché mi pareva avessero più significato per me, perché mi venivano meglio, perché mi divertivano di più a scriverli. Continuamente mi si presentavano altri tipi di romanzi che avrei potuto aggiungere alla lista, ma o non ero sicuro di riuscirci, o non presentavano per me un interesse formale abbastanza forte, o comunque lo schema del libro era abbastanza carico e non volevo allargarlo >>. 

In Se una notte d'inverno un viaggiatore troviamo dieci romanzi che iniziano e non finiscono, scritti da dieci autori diversi, in dieci stili diversi e con dieci significati diversi. Calvino gioca quindi a scrivere come se a farlo fosse un altra persona. Per spiegare la tipologia di questi spezzoni d'opere, mi conviene schematizzare così da non risultare confusionario o comunque poco chiaro.
Il primo, che dà il titolo al romanzo, parla di un viaggiatore che si ferma nell'anonima stazione di un'anonima città con una valigia da scambiare. Si tratta di un romanzo pregno di sospetti e sensazioni confuse.
Il secondo, Fuori dall'abitato di Malbork, mostra lo scontro fisico tra due giovani destinati a scambiarsi le abitazioni per un po' di tempo. Troviamo in queste pagine sensazioni corpose e sanguigne.
Il terzo, Sporgendosi dalla costa scoscesa, è un romanzo introspettivo e simbolico in cui il protagonista coglie in ogni cosa che gli succede i segni di un destino imminente.  
Il quarto, Senza temere il vento e la vertigine, è un'opera rivoluzionaria esistenziale in cui un soldato incontra una donna sessualmente dominante.
Il quinto, Guarda in basso dove l'ombra s'addensa, mostra un uomo che cerca di occultare un cadavere. E' un romanzo cinico-brutale.
Il sesto, In una rete di linee che si allacciano, mostra le manie ossessive di un uomo ossessionato dallo squillo del telefono.
Il settimo, In una rete di linee che si intersecano, può essere definito un romanzo logico e geometrico, in cui un uomo appassionato di specchi e caleidoscopi gioca con la realtà confondendola, così come i suoi amati strumenti mescolano la luce.
L'ottavo, Sul tappeto di foglie illuminato dalla luna, è un romanzo erotico-perverso in cui un giovane, attratto dalla figlia del proprio maestro, finisce sedotto dalla madre della ragazza.
Il nono, Intorno a una fossa vuota, Calvino lo definì un romanzo tellurico-primordiale e ci mostra un giovane che riscopre le sue origini, ritrovando però il fantasma di un antico nemico.
Il decimo, Quale storia laggiù attende la fine?, è un romanzo apocalittico-allegorico in cui un uomo, volendo cancellare dai propri pensieri tutte le cose del mondo che non gli interessano, finisce per cancellarle davvero e rende il mondo un piano spoglio.
Sono dieci modi diversi di scrivere, ma anche dieci tipi di letture diverse. Mettendo insieme i titoli, si forma il potenziale incipit di un undicesimo romanzo. Questa scelta non è un caso, per tutto lo svolgersi dell'opera il modo in cui si evolvono le vicende ci mostra che ogni libro nasce in presenza d'altri libri, in rapporto o in confronto con essi. I libri sono quindi tutti connessi tra loro e la magia finale ce lo dimostra, facendo nascere un undicesimo libro dai dieci passati tra le mani del Lettore.

Sopra ho analizzato la struttura molto particolare di Se una notte d'inverno un viaggiatore, non ho ancora però risposto a una domanda: per quale scopo il libro è stato scritto? Normalmente i buoni libri nascono con un fine e quelli di Calvino, semplici ma mai banali, ne sono un fulgido esempio. 
Se una notte d'inverno un viaggiatore è un romanzo sul piacere di leggere i romanzi. Nello scrivere i dieci incipit, Calvino non si sofferma sugli scrittori, ma sui lettori, infatti ogni romanzo incompiuto mostra il piacere di leggere un determinato genere letterario. Protagonista della vicenda centrale è il lettore stesso, un lettore generico e non identificato, che poi si scinde in un Lettore, potenzialmente occasionale, e una Lettrice, una donna non intellettuale, però conscia di quel che vuole trovare in un libro, che legge per passione e non per un fine preciso. 
Anche il finale del libro rivela quello che è lo scopo dell'autore, infatti troviamo il Lettore che in una biblioteca ne incontra altri sette, ognuno dei quali illustra il proprio modo di vivere la lettura. L'opera in pratica si conclude con uno sguardo d'insieme sui vari modi in cui si può leggere un libro.
Molto interessante e particolare è l'incipit del romanzo, che ha innanzitutto la funzione di farci capire subito che si parla di lettura e del piacere che dà, ma poi è scritto in modo molto simpatico e permette al lettore di identificarsi subito col protagonista della vicenda.

Essendo un appassionato di libri, faccio parte di molti gruppi dedicati a essi. Mi capita a volte di imbattermi nell'appassionato di turno che vuole indicare il modo migliore di leggere un libro. C'è chi ama la lettura solo se porta a un'utilità pratica, chi sceglie solo libri che in lui causino determinate reazioni, e così via. Calvino con questo romanzo ci dice semplicemente che ognuno legge a modo proprio, ognuno cerca qualcosa di diverso nel libro e ognuno vi trova cose diverse. Non c'è un modo giusto o un modo sbagliato, c'è semplicemente la passione per la lettura. Per questo motivo credo che Se una notte d'inverno un viaggiatore debba essere una lettura fondamentale per chi ama tuffarsi nel mondo delle parole scritte. L'autore è poi Italo Calvino, credo sia perciò superfluo dirvi che un argomento così complesso è trattato con il solito stile leggero, il libro si legge piacevolmente e le vicissitudini del Lettore suscitano anche una certa simpatia (in fondo noi lettori ci identifichiamo in lui).

Francesco Abate

sabato 11 agosto 2018

COMMENTO AL CANTO II DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Già era 'l sole a l'orizzonte giunto,
lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;
e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;
sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov' i' era, de la bella Aurora,
per troppa etate divenivan rance.
Il canto II della seconda cantica della Divina Commedia si apre con una bellissima descrizione dell'aurora, la quale ci permette di comprendere anche dove sia geograficamente situata la montagna del Purgatorio secondo la cosmologia dantesca. Il sole è giunto all'orizzonte, il suo cerchio meridiano sovrasta Gerusalemme, mentre la notte, che segue un cammino diametralmente opposto per la volta celeste, esce fuori dal fiume Gange insieme alla costellazione della Bilancia, la quale cessa di accompagnarla nell'equinozio d'autunno perché diventa più lunga della durata del giorno ("quando soverchia"). Da questi versi introduttivi è possibile concludere che quando a Gerusalemme il sole tramonta, sulla montagna del Purgatorio sorge: c'è quindi una differenza di dodici ore tra la città posta al centro dell'emisfero boreale e la montagna. L'aurora già cambia colore e passa al giallo oro. I poeti sono sulla riva del mare come i pellegrini, i quali con la mente sono in viaggio e col corpo restano fermi ad aspettare ("come gente che pensa a suo cammino, / che va col cuore e col corpo dimora"). D'un tratto Dante vede venire dal mare una luce rossastra simile a quella del pianeta Marte quando si trova a occidente nel momento dell'aurora. Questa luce si muove a una velocità che in volo nessun animale può raggiungere, il poeta distoglie lo sguardo un attimo per chiedere lumi a Virgilio e subito, tornato a guardarla, la vede più lucente. Man mano che la luce si avvicina, il poeta distingue solo un indefinita figura bianca. Virgilio tace e non risponde alla sua domanda finché non si distinguono nella figura bianca delle ali, a quel punto riconosce il nocchiero che guida l'imbarcazione e dice al discepolo di inginocchiarsi e assumere un atteggiamento di preghiera, infatti l'angelo "sdegna li argomenti umani", cioè li conduce in un viaggio dove la ragione degli uomini non serve, è necessaria solo la fede. L'angelo si avvicina e la sua figura si fa più chiara, anche se l'occhio può osservarlo fino a un certo punto perché troppo luminoso: giunge a riva con un'imbarcazione così leggera da non affondare minimamente nell'acqua del mare. Il nocchiero sta a poppa e sul suo viso sembrano esserci i segni che lo identificano come una creatura beata. Nella barca ci sono più di cento anime che cantano ad alta voce il salmo 113 ("In exitu Israel de Aegypto"). Questo salmo nell'antichità veniva cantato nel momento in cui si trasportava una salma nel luogo sacro, volendo simboleggiare il suo viaggio verso la Gerusalemme celeste. L'angelo fa alle anime il segno della croce, queste scendono sulla spiaggia e lui va via veloce com'è venuto. Sbarcate sulla spiaggia, le anime si guardano intorno come gli stranieri giunti in un luogo sconosciuto. La luce del giorno è ormai piena, le anime chiedono a Dante e Virgilio di indicare loro la via per la montagna, ma il poeta mantovano spiega che sono nuovi del posto come loro, che sono arrivati lì da poco per una via così difficile che farà sembrare un gioco la scalata della montagna ("... << Voi credete / forse che siamo esperti d'esto loco; / ma noi siam peregrin come voi siete. / Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, / per altra via, che fu sì aspra e forte, / che lo salire ormai ne parrà gioco >>"). Le anime intanto si accorgono che Dante è vivo perché lo vedono respirare, così impallidiscono e gli si accalcano intorno, dimenticando per un momento la meta del loro cammino. 
Una delle anime esce dalla calca e abbraccia il poeta con tanto calore da spingerlo a ricambiare il gesto, ma le sue mani gli tornano al petto perché è solo un'ombra, non un corpo. Così come prima le anime si meravigliavano del respiro di Dante e del fatto che fosse lì ancora in vita, così ora lui è sorpreso nel constatare l'inconsistenza della gente che lo circonda. L'anima si rende conto della sua sorpresa e si ritrae da quell'abbraccio impossibile, ma il poeta lo segue. Nel momento in cui l'anima parla, Dante capisce di chi si tratta e lo prega di restare un po' a parlare con lui. Si tratta di Casella, musicista fiorentino o pistoiese morto poco prima del 1300, il qualche fu amico di Dante e musicò alcune sue canzoni. Casella ricorda che gli volle bene in vita e dichiara di volergli bene ancora ora, si ferma, ma chiede perché l'amico sia su quella spiaggia. Il poeta gli risponde che fa questo viaggio per tornare di nuovo a essere vivo, poi gli chiede perché sia ancora lì e gli venga sottratto del tempo utile per espiare le proprie pene. Casella gli spiega che nessun torto gli viene fatto, l'angelo decide chi può imbarcarsi e quando, ma non secondo il proprio arbitrio, bensì secondo la volontà divina che è sempre giusta. Più volte gli ha negato il passaggio, ma da tre mesi egli ha accolto sulla barca numerose anime purificate dalle indulgenze del Giubileo e tra queste c'è anche lui. Adesso l'angelo è diretto verso le rive del Tevere, dove raccoglie le anime purificate dalla chiesa di Roma, per poi tornare su quella spiaggia, perché non scende mai verso l'Acheronte, non trasportando anime dannate ("... << Nessun m'è fatto oltraggio, / se quei, che leva quando e cui gli piace, / più volte m'ha negato esto passaggio; / ché di giusto voler lo suo si face: / veramente da tre megli elli ha tolto / chi ha voluto intrar, con tutta pace. / Ond'io, ch'era ora a la marina volto / dove l'acqua di Tevero s'insala, / benignamente fu' da lui ricolto. / A questa foce ha elli or dritta l'ala, / però che sempre quivi si ricoglie / qual verso Acheronte non si cala >>"). A questo punto Dante chiede all'amico, se le leggi divine non l'hanno privato del talento che ebbe in vita, di cantargli qualcosa così da consolarlo del terribile viaggio che ha sostenuto per arrivare fin lì. Casella non si lascia pregare e intona Amor che ne la mente mi ragiona, canzone commentata nel terzo trattato del Convivio dello stesso Dante Alighieri. Tanta è la dolcezza del canto che sgombra la mente di tutti, compreso Virgilio. Le anime sembrano aver dimenticato il loro cammino, il poeta mantovano e il suo discepolo si distraggono dal viaggio che ancora hanno da compiere. L'arrivo di Catone riporta tutti con la mente ai propri doveri, egli prima li rimprovera chiamandoli "spiriti lenti" poi li incita ad andare a liberarsi di quelle colpe che non gli consentono l'accesso al Paradiso. A questo punto tutti tornano al proprio cammino e si disperdono, come i colombi che, mentre sono raccolti a cibarsi di biada o loglio, si allontanano dal pericolo perdendo il loro andamento pettoruto. Come le anime, anche Dante e Virgilio riprendono il loro cammino. ("Come quando, cogliendo biada o loglio, / li colombi adunati alla pastura, / queti, sanza mostrar l'usato orgoglio, / se cosa appare ond'elli abbian paura, / subitamente lasciano star l'esca, / perch'assaliti son da maggior cura; / così vid'io quella masnada fresca / lasciar lo canto, e gire ver la costa, / com' om che va, né sa dove riesca; / né la nostra partita fu men tosta"). Descrivendo la folla che si disperde, il poeta li indica col termine "masnada", che allora però non aveva significato dispregiativo e quindi va inteso con il significato di "famiglia" o "gruppo". 

Francesco Abate