giovedì 29 settembre 2016

STORIA: SHIMON PERES, L'UOMO DI GUERRA PREMIATO PER LA PACE

Ieri, all'età di 93 anni, è morto Shimon Peres, ex presidente dello Stato di Israele. 
Di lui tutti ricordano il premio Nobel per la pace assegnatogli nel 1994 insieme a Yasser Arafat per gli accordi di Oslo, che nel mondo accesero la speranza di una pace nella martoriata terra di Palestina. Il ricordo del Nobel ha portato i media a dipingere Peres come uomo di pace, eppure definirlo tale è azzardato, soprattutto considerando il suo passato ed anche le sue scelte politiche successive al Nobel.

Shimon Peres nacque il 2 agosto 1923 a Vishnievo, un paesino oggi in Polonia ma allora in Bielorussia. All'età di 11 anni emigrò in Palestina, seguendo il viaggio che il padre aveva fatto qualche anno prima.
La sua carriera politica iniziò presto, dopo un po' di anni nel kibbutz Geva venne scelto nel kibbutz Alumot per organizzare il movimento laburista Hanoar Haoved. A soli 20 anni Peres divenne segretario del movimento e proprio in qualità di segretario di Hanoar Haoved partecipò nel 1946 al Congresso Mondiale Sionista dove incontrò David Ben-Gurion, il primo firmatario della Dichiarazione d'indipendenza israeliana e prima persona a ricoprire il ruolo di Primo Ministro d'Israele.
Nel 1947 venne arruolato nel nucleo che poi costituirà le Forze di Difesa Israeliane e fu nominato responsabile per il personale e per l'acquisto di armi. L'anno dopo fu capo della marina nel corso della guerra d'indipendenza israeliana. Finita la guerra, fu nominato direttore della delegazione israeliana negli USA.
Negli anni '50 ricopre il primo incarico governativo di peso, è infatti ministro della Difesa. Proprio in qualità di ministro è protagonista della crisi di Suez che si ebbe quando Israele, Francia e Gran Bretagna occuparono il Canale di Suez per contenderne la gestione all'Egitto. La crisi si risolse solo perché l'URSS (che temeva l'allargamento del conflitto) minacciò di intervenire contro gli invasori mentre gli USA non assicurarono alcun intervento e fecero appello ad una soluzione pacifica del conflitto. 
Nel 1959 fece il suo ingresso in Parlamento con il Partito Mapai. Fu però costretto ad abbandonare il partito quando risultò tra i coinvolti nello scandalo dell'affare Lavan. Ebrei egiziani erano stati arruolati per compiere attentati contro civili in Egitto e poi far ricadere la colpa sui Fratelli Mussulmani, così da spingere la Gran Bretagna a mantenere nel paese nordafricano le sue truppe di occupazione (per 51 anni Israele ha negato responsabilità, ma nel 2005 i partecipanti che erano sopravvissuti sono stati premiati proprio dal Governo).
Nel 1974 si candidò per la prima volta al ruolo di Primo Ministro, ma fu battuto dal suo compagno di partito (che nel 1968 era diventato Partito Laburista Israeliano) Yitzhak Rabin. Tre anni dopo però Rabin fu costretto a dimettersi a causa di un conto estero tenuto dalla moglie, così Peres ascese alla carica di Primo Ministro. Il successo per Peres durò poco, infatti alle elezioni successive il Partito Laburista fu sconfitto e lui perse la carica.
Dopo una parentesi come vicepresidente dell'Internazionale Socialista e una nuova sconfitta elettorale, nel 1984 Peres riuscì a riconquistare il ruolo di Primo Ministro. Per ottenere la carica però il leader laburista dovette formare una coalizione che includeva anche il Likud, il partito nazionalista di centrodestra.
Nel 1994, in qualità di ministro degli Esteri del governo Rabin (contro cui aveva perso le primarie del Partito Laburista) firmò gli accordi di Oslo con il leader palestinese Yasser Arafat. Tali accordi prevedevano il ritiro delle forze israeliane da alcune aree della Striscia di Gaza e della Cisgiordania più il riconoscimento di un governo palestinese, l'ANP (Autorità Nazionale Palestinese). Tali accordi valsero sia a Peres che ad Arafat il Nobel per la pace, ma si trattò sostanzialmente di un tentativo fallimentare. Come ampiamente prevedibile, il movimento estremista palestinese di Hamas non accettò l'accordo e continuò i suoi atti terroristici, infatti l'organizzazione non riconosceva il diritto a esistere di Israele che di fatto era uno Stato invasore. In un certo senso, guardando agli accordi con disillusione postuma, il tentativo di Peres fu un più tentativo di fermare la ribellione contro lo stato invasore al fine di preservarne la sopravvivenza che una reale pacificazione.
Dopo aver ottenuto il Nobel per la pace, l'11 aprile 1996 Peres, diventato Primo Ministro l'anno prima dopo l'uccisione di Rabin, autorizzò l'Operazione Grappoli d'Ira. Si trattò di un massiccio attacco terrestre, navale e aereo sul Libano contro gli Hezbollah, colpevoli di fare guerriglia contro lo Stato d'Israele. In 16 giorni Israele sganciò 35.000 bombe e il 18 aprile bombardò una base delle Nazioni Unite in cui si erano rifugiati 800 civili, uccidendo 102 persone e ferendone 120. Ufficialmente Israele dichiarò di non sapere che i civili si fossero rifugiati nella base, ma un'indagine delle Nazioni Unite li smentì. I militanti Hezbollah uccisi nei raid alla fine non furono ufficialmente nemmeno una ventina, le vittime civili furono cinque volte di più.
Dopo la salita al potere di Netanyahu, per Peres si aprì una fase di declino. Tale fase fu interrotta nel 2006 quando decise di unirsi a Sharon (quello del muro costruito nel 2002 che divide ancora oggi israeliani e palestinesi e che più volte è stato dichiarato illegale dalle Nazioni Unite) e fondare il partito centrista Kadima. Questa trasformazione gli valse, il 13 giugno 2007, l'elezione a presidente d'Israele, carica che ricoprì fino al 2014.

Simon Peres è stato senza dubbio una delle figure più importanti della politica israeliana ed internazionale. Per tutta la seconda metà del '900 è stato uno dei protagonisti delle vicende mediorientali e fino ad un paio di anni fa è stato un personaggio di primo piano nello Stato d'Israele. Il premio Nobel per la pace che ricevette nel '94 può però spingere ad una valutazione affrettata e buonista dell'operato di Peres, cosa che tra l'altro ci concediamo sempre quando si parla di un personaggio ormai passato a miglior vita. La sua storia ci parla di qualcosa di diverso dall'uomo di pace, ci parla di un politico che per rafforzare il suo paese non esitò ad organizzare attentati contro civili in un altro paese, di un uomo che con degli accordi di pace ha provato a rendere più sicura la sua nazione facendo accettare un compromesso ingiusto ad un paese invaso, di un Primo Ministro che fece bombardare un villaggio pieno di civili per colpire un pugno di nemici. C'è chi poi lo giustifica parlando di "un falco che diventò colomba", cioè un uomo di guerra che poi lottò per la pace, ma al di là della discutibile volontà pacificatrice dietro gli accordi di Oslo, non dobbiamo dimenticare che nemmeno due anni dopo aver ricevuto il Nobel fece bombardare i civili in Libano e che nel 2006, pur di ritornare sulla cresta dell'onda, si alleò con un uomo che di pace sapeva ben poco, Ariel Sharon.

Francesco Abate

venerdì 23 settembre 2016

LETTERATURA: RECENSIONE DE "IL CAVALIERE INESISTENTE" DI ITALO CALVINO

Pubblicato nel 1959, Il cavaliere inesistente fa parte della trilogia "I nostri Antenati" insieme a Il barone rampante e Il visconte dimezzato
Il romanzo è ambientato nella Francia medievale, al tempo di Carlo Magno e del suo scontro con i mori. 

Personaggio principale dell'opera è Agilulfo, un cavaliere perfetto in ogni pensiero e azione, con un solo difetto: non c'è. Egli è solo un'armatura vuota, sa di esserci ma non c'è, è solo coscienza di sé ma è incorporeo. Questo non non essere persona, ma solo un'insieme di idee e codici cavallereschi, lo rende un cavaliere perfetto, così come perfetta e priva di qualsiasi difetto è la sua armatura. La sua perfezione viene però messa in dubbio quando viene insinuato che egli non ha diritto ai suoi titoli dato che la fanciulla che salvò non era vergine (per il salvataggio di una non-vergine non gli sarebbe spettata la nomina a cavaliere). Agilulfo affronta un lungo viaggio per provare di essere degno dei titoli che egli possiede, anche perché lui è solo quei titoli e perdendoli perderebbe sé stesso. Nel finale un grave equivoco lo convince di non essere in diritto di essere cavaliere, portandolo all'estrema decisione di sparire per sempre.
Scudiero di Agilulfo è Gurdulù. Si tratta di un pazzo, a differenza di Agilulfo c'è ma non ne è cosciente, tanto che a volte crede di essere un animale, altre volte l'aria, ma mai è consapevole di essere sé stesso. I Franchi lo incontrano mentre crede d'essere prima un'anatra, poi una rana, e Carlo Magno per dispetto lo nomina scudiero dell'impeccabile Agilulfo che, ligio al dovere, non disobbedisce all'ordine del sovrano e lo tiene con sé.
C'è poi Bradamante, la bellissima fanciulla-cavaliere. Compare nel romanzo quando salva il giovane Rambaldo da un'imboscata. Ama Agilulfo nonostante egli non ci sia, di lui infatti ama la perfezione, in lui vede il perfetto cavaliere libero dai vizi e dal disordine degli altri guerrieri. Perso Agilulfo, trova però l'amore di Rambaldo.
Rambaldo è un giovane che si unisce all'esercito di Carlo Magno per vendicare il padre, che fu ucciso dall'argalif Isoarre. La sua vendetta si consuma in modo un po' grottesco, infatti l'argalif è ucciso da una lancia, ma Rambaldo si sente appagato perché gli ha impedito di indossare gli occhiali da vista, impedendogli di schivare l'attacco. Caduto in un'imboscata, è salvato da Bradamante e subito se ne innamora, ma non riesce a far breccia nel suo cuore se non dopo essersi congiunto carnalmente a lei grazie ad un equivoco. Ammira Agilulfo e si rivolge a lui per diventare un perfetto cavaliere, da lui non viene mai davvero amato, però quando il cavaliere inesistente sparisce lascia a lui la sua armatura, riconoscendo in un certo senso che il cavaliere più vicino ai nobili ideali cavallereschi è proprio lui. Rambaldo, forte dell'investitura ricevuta da Agilulfo, diventa un cavaliere coraggioso ed eroico.
Torrismondo è in un certo senso l'antagonista di Agilulfo. Vittima di un equivoco, solleva dubbi sulla validità del titolo di cavaliere di quest'ultimo, spingendolo ad un avventuroso viaggio ed alla scelta finale di sparire. Solo dopo la scomparsa di Agilulfo scopre la verità sul suo passato, quindi anche di aver messo in dubbio ingiustamente il titolo dell'eroe, ma non può rimediare. Convinto di essere figlio di un cavaliere del Santo Gral, che violò la madre, egli prova un'ammirazione verso quell'ordine di uomini pii, salvo poi scoprire che si tratta di persone avide che uccidono innocenti giustificandosi con la volontà del Gral e finire a combattere contro di loro per salvare un villaggio. Alla fine verrà nominato conte del villaggio che ha salvato, ma la gente del posto, ormai indipendente e capace di difendersi, lo accetta lì solo a patto che sia un loro pari. Vivrà in pace con quella gente, sposo della donna che per anni aveva creduto sua madre.

Il cavaliere inesistente è un romanzo il cui tema centrale è l'essere. Agilulfo non è, non esiste come persona, è solo un insieme di ideali e di codici, non ha vizi e non ha debolezze. Questo suo non essere, che sembra essere la sua arma vincente perché lo rende invincibile, è in realtà anche il suo tallone d'Achille perché quando crolla ciò che egli rappresenta, egli si dissolve. Anche Gurdulù non è, a differenza di Agilulfo però c'è, solo che si immedesima in tutto ed è come se si fondesse nel mondo circostante, perdendo la propria individualità.

L'opera è ambientata nel Sacro Romano Impero all'epoca dello scontro tra Carlo Magno e i mori. Nel campo dell'esercito di Carlo Magno incontriamo alcuni degli eroi descritti dall'Ariosto ne L'Orlando Furioso (opera particolarmente amata da Calvino, a cui dedicò anche una sua personale riscrittura), solo che qui sono privi dell'epica poesia che li veste nel poema e sono grotteschi, tendono a dire fandonie per coprirsi di gloria e preferiscono i banchetti e le taverne alle battaglie ed all'eroismo. La stessa Bradamante, la bellissima fanciulla-cavaliere, è presentata da Calvino in modo molto originale, infatti compare nell'opera salvando Rambaldo da un'imboscata, subito dopo però il giovane la segue e incantato la osserva orinare in un fiume, oltretutto nel romanzo viene detto senza mezzi termini che ha amato molti uomini (e per questo i compagni d'arme la prendono in giro). 
Ci sono poi i cavalieri del Gral, considerati da tutti molto pii, si rivelano in realtà come un gruppo di personaggi strambi che non esitano a saccheggiare un villaggio inerme che non era stato in grado di rifocillarli con i soliti tributi in cibo e bevande. Attraverso la descrizione di questi cavalieri, che vengono visti attraverso gli occhi di Torrismondo, Calvino evidenzia ancor di più il distacco netto tra la reputazione di cui godevano i cavalieri e la loro reale essenza, conosciuti come pii e senza macchia, non erano altro che uomini preda di avidità e vizi. 

Nonostante l'importanza dei temi trattati, il romanzo è scritto in un linguaggio molto semplice. Nonostante Calvino tenda ogni tanto ad impreziosire il linguaggio con espressioni che richiamano all'epoca cavalleresca, tanto per rendere l'atmosfera in cui si svolge la vicenda, la storia è scorrevole ed a tratti strappa anche un sorriso.

Francesco Abate

martedì 20 settembre 2016

FILOSOFIA: L'ARTE DI OTTENERE RAGIONE DI SCHOPENAUER

L'Arte di ottenere ragione è uno scritto del filosofo tedesco Arthur Schopenauer, pubblicato solo dopo la sua morte.

In quest'opera il filosofo esprime innanzitutto il suo concetto di dialettica, che per lui è "l'arte di disputare", cioè l'arte di avere ragione di fronte ad un pubblico con ogni mezzo, lecito od illecito. Nella dialettica non c'è spazio per la ricerca della verità, chi ha effettivamente ragione e chi effettivamente torto non possiamo saperlo durante la disputa, unico scopo e mostrare di avere ragione. La dialettica per Schopenauer ha origine dalla nostra vanità e dalla nostra prepotenza. Scrive il filosofo: "Dunque la dialettica non deve avventurarsi nella verità: alla stessa stregua del maestro di scherma, che non considera chi abbia effettivamente ragione nella contesa che ha dato origine al duello: colpire e parare, questo è quello che conta".
La dialettica sta nel mezzo tra logica e sofistica. In quanto arte è riconducibile ad un sistema di regole e tecniche, in quanto disposizione naturale è una tendenza originaria che si può rafforzare con l'esercizio.
Nonostante il significato puramente battagliero che ha per il filosofo la dialettica, egli conclude il trattato dicendo che quando lo scontro avviene tra due individui dello stesso intelletto essa può servire anche a sviluppare nuovi punti di vista ed a rettificare i loro pensieri. 

Nel trattato Schopenauer, oltre a definire la dialettica, presenta una serie di tecniche utili ad ottenere ragione nel momento in cui l'interlocutore ci abbia invece dimostrato che abbiamo torto. 
Innanzitutto ci sono due modi per confutare la tesi dell'avversario:
1) ad rem, cioè mostrando che la tesi non concorda con la natura delle cose;
2) ad hominem, cioè individuando discordanze tra la tesi espressa dall'avversario e altre sue affermazioni.
Le vie per confutare sono due:
1) confutazione diretta: attaccare le tesi e distruggerne o i fondamenti o le conseguenze;
2) confutazione indiretta: attaccare la conclusione a cui giunge l'avversario o dimostrandone la falsità o evidenziando casi contrari.
Dopo i modi e le vie di confutazione, Schopenauer elenca 38 stratagemmi utili per l'ottenimento della ragione. Come detto prima, la verità o la falsità delle tesi non contano nulla, quindi gli stratagemmi possono essere tanto piccole furbizie quanto vere e proprie slealtà. Si va dal dare all'affermazione dell'avversario significati forzati all'attacco dell'avversario stesso con offese personali.

Francesco Abate

mercoledì 14 settembre 2016

STORIA: LA PRIMAVERA DI PRAGA E LA REPRESSIONE SOVIETICA

Viene chiamata Primavera di Praga la rivoluzione politico-culturale che avvenne in Cecoslovacchia tra il 1967 e il 1969. 
Tutto nacque dagli elementi in opposizione al capo di Stato Novotny, uomo della vecchia nomenklatura comunista già nel 1967. L'evoluzione della mentalità della gente infatti aveva generato un'avversione nei confronti dei metodi di governo dei paesi posti sotto l'influenza sovietica, tale evoluzione fu raccolta da una parte del PCC (Partito Comunista Cecoslovacco) che iniziò a concepire un socialismo diverso.
I principi che portarono alla Primavera di Praga non contrastavano il socialismo e nemmeno mettevano in discussione i rapporti tra Cecoslovacchia e URSS, semplicemente si voleva realizzare un socialismo dal volto umano, cioè al centro della politica non ci dovevano essere né l'accumulo di capitale né il Partito, ma semplicemente l'uomo. Gli atti più concreti in cui si concretizzò questa nuova concezione politica una volta insediatosi Dubcek al governo furono il riconoscimento della possibilità che si formassero altri partiti e la rinuncia ad un controllo rigido della società.
L'URSS ovviamente osteggiò da subito l'opera del nuovo governo cecoslovacco, temendo che la situazione si estendesse ad altri paesi del Patto di Varsavia limitando la sua influenza. Subito i sovietici iniziarono con pesanti ingerenze nella politica interna cecoslovacca, ordinando a Dubcek di "normalizzare" la situazione. 
L'azione politica sovietica provocò la reazione del popolo cecoslovacco. Il 27 giugno 1968 fu pubblicato nell'ambito dell'Accademia delle Scienze il "Manifesto delle Duemila parole", un documento finalizzato a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle ingerenze sovietiche nella politica interna cecoslovacca.
Il 20 agosto 1968 però l'URSS decise di passare ai fatti. A differenza che in Ungheria nel 1956, stavolta i sovietici non cercarono nemmeno di crearsi un pretesto, poco prima di mezzanotte invasero il paese con i carri armati. L'azione sovietica avvenne durante una riunione del PCC, prese completamente di sopresa Dubcek che anni dopo ha ammesso di aver sottovalutato il pericolo sovietico e ha dichiarato: "le esperienze drastiche dei giorni e dei mesi che seguirono mi fecero capire che avevo a che fare con dei gangster". Fatta l'invasione, l'URSS si preoccupò di cambiare i quadri di potere. Dubcek fu prima nominato ambasciatore in Turchia, venendo così allontanato dal paese, poi cacciato dal partito ed escluso per sempre dalla politica. Al guido del paese fu insediato un nuovo governo formato da uomini di fiducia del Cremlino. Ovviamente l'URSS, mentre si impadroniva politicamente della Cecoslovacchia, si impegnò anche in un'intensa azione di polizia e di spionaggio al fine di frenare qualsiasi resistenza. Ai firmatari del "Manifesto delle Duemila parole" fu imposta una scelta: ritrattare la propria firma o rinunciare alla propria carriera. Molti si arresero e ritrattarono, ma non mancarono casi di eroismo come quello dell'atleta Vera Caslavska, atleta di grande talento (11 medaglie olimpiche in 11 anni, 10 medaglie ai campionati mondiali e 13 a quelli europei) che preferì vivere come donna delle pulizie piuttosto che ritrattare la propria firma. La stessa Caslavska, in una delle sue apparizioni olimpiche post-invasione sovietica, al suono dell'inno sovietico si voltò di spalle incurante del rischio di squalifica.
Il popolo cecoslovacco, vedendosi derubato della sovranità proprio mentre stava gustando una rivoluzione culturale senza precedenti, mostrò tutta la propria disperazione. Vi furono atti eclatanti, alcuni giovani si riunirono nella piazza principale di Praga e si diedero fuoco.

La Primavera di Praga è forse ancora oggi l'esempio più fulgido del contrasto tra le evoluzioni del pensiero ed i regimi politici totalitari. Un popolo nel 1968 lavorava per portare nella politica quei cambiamenti che ormai erano avvenuti nella mentalità delle persone, ma tale rinnovamento era inconcepibile per il vecchio e prepotente regime sovietico che represse tutto con la forza, non potendo controbattere con la forza del pensiero e dell'esempio politico.

Francesco Abate



giovedì 8 settembre 2016

ESTRATTO N°6 DE "IL PREZZO DELLA VITA"

Antonio era a casa. Dormiva accanto alla moglie, con cui da poco aveva finito di fare sesso, aiutato dalla sensazione di potenza che gli aveva dato il discorso fatto a colui che gli voleva rubare la donna. Ora Filomena dormiva, lui invece giaceva a pancia in su e fissava il vuoto, pensando all'incontro con Jessica. Quella ragazza era bella e lui aveva voglia di farci sesso, nonostante fosse minorenne; ciò non lo stupiva, non sarebbe stata la prima volta. Era sconvolto dalla facilità con cui lei si era aperta, involontariamente lui era stato capace di trovare la chiave per abbattere le sue fragili difese, ma ciò che lo sconvolgeva di più era come lei, senza dirgli nulla, avesse saputo scardinare le sue difese, quelle che teneva alte contro il mondo. Forse per la prima volta in vita sua aveva confessato di non aver mai trovato un vero amico, e dal tono della voce, che questa volta non aveva saputo tenere freddo e distaccato, aveva anche mostrato la ferita che tale mancanza aveva lasciato nel suo cuore. Sentiva quasi il bisogno di tenersi vicino Jessica; c'era qualcosa in lei che non solo la rendeva attraente fisicamente, ma che lo attirava e gli faceva venire voglia di aprire il suo cuore.

Francesco Abate - Il Prezzo della Vita - CSA Editrice

Il libro può essere ordinato sul sito www.csaeditrice.it, il sito della casa editrice, in tutte le librerie ed anche in quelle online.

Potete seguire l'attività dell'autore su questo blog, sulla pagina Facebook "Francesco Abate, lo scrittore battipagliese" e su Twitter "@FrancescoAbate3".

Grazie mille e buona lettura.

Francesco Abate

Francesco Abate nasce a Salerno il 26 agosto 1984, ma da sempre vive nella città di Battipaglia. Sin da piccolo manifesta interesse prima per la lettura, poi per la scrittura. Comincia ad abbozzare i primi romanzi già ai tempi del liceo, ma la prima pubblicazione arriva solo nel 2009 con "Matrimonio e Piacere". Autore anche di poesie. Il Prezzo della Vita è la sua prima pubblicazione per la CSA Editrice.

sabato 3 settembre 2016

LETTERATURA: RECENSIONE DE "L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE" DI MILAN KUNDERA

L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere è di certa l'opera più famosa dello scrittore cecoslovacco Milan Kundera.

Si tratta essenzialmente di un romanzo filosofico. Sono molto presenti l'elemento storico e quello amoroso, hanno però la funzione di condurre l'autore ad una riflessione su politica, esistenza e sentimenti, rendendo così centrale la riflessione filosofica. L'intera vicenda narrata nel romanzo è solo un pretesto per una serie di riflessioni, tanto che spesso queste ultime prendono il sopravvento e le peripezie dei protagonisti vengono trascurate per diverse pagine. Proprio per approfondire queste riflessioni, che spesso nascono dai personaggi per poi prendere una strada indipendente, l'autore interviene più volte ed in maniera molto pesante sul romanzo.

Un'altra particolarità dell'opera è l'intreccio molto forte. Già a metà romanzo sappiamo come andrà a finire la vicenda principale, cioè l'amore tra Tomas e Tereza. Per le finalità dell'opera infatti la trama è assolutamente secondaria, le vicende dei personaggi servono solo per offrire uno spunto di riflessione, sono esempi attraverso cui Kundera cerca di rendere più chiari i concetti che esprime. 

Le vicende narrate si svolgono principalmente in Boemia, nel periodo dell'invasione sovietica immediatamente successiva alla repressione della Primavera di Praga. Ovviamente Kundera nel romanzo non manca di evidenziare lo stato d'animo delle persone costrette a vivere in un immenso lager, continuamente spiate e con la polizia sovietica sempre alle costole, e il dramma di chi era continuamente costretto a scegliere tra il quieto vivere del traditore o la vita d'inferno del dissidente.
La storia, che come detto nel romanzo ha valore assolutamente secondario, narra dell'amore tormentato di Tomas e Tereza. Si amano, ma lui la tradisce continuamente e lei ne soffre. Lui perde la professione (è uno stimatissimo chirurgo) a causa di una lettera inviata ad un giornale anti-sovietico (e dal giornale stessa completamente modificata) e dopo aver lavorato da lavavetri si trasferisce in campagna con Tereza, che lì pensa sarà felice e non più tradita dal marito.

I personaggi principali del romanzo sono quattro:
1) Tomas = chirurgo famosissimo e molto stimato. Vive da libertino, poi ha un incontro assolutamente fortuito con Tereza e se ne innamora. Nonostante ami davvero Tereza e viva con lei, la tradisce di continuo e non pone mai fine alle sue scappatelle. Egli infatti nei rapporti con le amanti non cerca né amore né piacere, cose che trova in Tereza, ma vuole cogliere l'unicità delle varie partner, cioè vuole vivere quel momento di intimità in cui esse si mostrano davvero per quel che sono, mostrano ciò che le differenzia da tutti gli altri esseri umani. Non è particolarmente attratto dalla politica e nemmeno sente il desiderio di vivere da dissidente del regime sovietico. Emigra a Ginevra con Tereza, poi proprio per amore della donna torna a Praga. Si trova a subire la repressione dell'invasore a causa di una vecchia lettera inviata ad un giornale. I sovietici gli propongono anche di ritrattare ciò che scrisse, ma si rifiuta di farlo. 
2) Tereza = incontra per caso Tomas e proprio quella serie di casualità le fa capire che è il vero amore. Il suo amore è anche una fuga dalla madre che, vedendola come il frutto di un amore infelice, la mortifica di continuo. Ama Tomas, soffre i suoi continui tradimenti però soffre anche nel farlo sentire in colpa e nel limitarlo. Non dubita dell'amore di Tomas, però i tradimenti le fanno male perché vede il suo corpo equiparato a quello di centinaia di altre donne, subendo perciò una mortificazione che è continuazione di quelle che le riservava la madre. Anche nell'invasione sovietica vede un'estensione delle sofferenze fattele patire dalla madre, infatti la sua Boemia è diventata un grande lager. Va a Ginevra con Tomas, poi torna a Praga e lui la segue, così si sente in colpa anche per aver involontariamente ostacolato la carriera del suo compagno. Alla fine si convince che troverà la felicità in campagna e ci va con Tomas, che ormai ha perso il lavoro.
3) Karenin = il cane di Tomas e Tereza. Nonostante gli siano dedicate poche pagine, Kundera lo usa per la sua riflessione sull'amore. Addirittura ad un certo punto della storia Tereza arriva a pensare che il vero amore sia quello che prova per il cane e non quello che sente per Tomas.
4) Sabina = un'artista, una delle amanti di Tomas, ha un ruolo importante perché la sua vicenda porta l'autore a formulare la sua teoria del Kitsch. Lei da piccola ha subito il padre molto puritano, per reazione ha sviluppato un amore per il tradimento. Tradisce di continuo, è amante di Franz ma quando questo vuole "ufficializzare" la loro unione lei lo abbandona. Non arde per un ideale o per un sentimento, lei semplicemente li tradisce appena li vede concretizzarsi nella sua vita.
5) Franz = amante di Sabina, è l'idealista del romanzo. Fisicamente molto forte, moralmente è assai debole. Ha una moglie che non ama, però si costringe a stare con lei perché in lei vede l'incarnazione della madre. Decide poi di lasciare la moglie e rivelarle di Sabina, quando lo fa scopre che la prima non è quella che lui pensava e viene lasciato da Sabina, verso cui continua a provare una sorta di venerazione. Trascinato dai suoi ideali, si trova faccia a faccia con tutta la loro falsità.

Diverse sono le riflessioni presentate dall'autore in questo romanzo.
Temi centrali sono l'amore e l'esistenza umana. Tomas ama Tereza che per lui è una catena di casualità, Tereza invece vede in Tomas come un prescelto visto che il giorno del primo incontro capta una serie di segni che ritiene inequivocabili. Sabina l'amore lo tradisce, ritenendolo sbagliato in quanto sentimento. Franz ha una moglie che non ama ma rispetta, poi finisce per stare con una ragazza molto più giovane. L'amore è perciò mostrato da diverse inquadrature, stimolando così la riflessione del lettore.
Molto interessante è la teoria del Kitsch, che l'autore "ruba" a Sabina. Lei infatti tradisce perché vede del brutto (il Kitsch, appunto) in tutto ciò che nega dubbio e conflitto. Per lei è Kitsch la realtà gioiosa e priva di scontri presentata dai film sovietici, è Kitsch anche il regime che impone una dottrina e nega che i dogmi siano messi in discussione. Il brutto è in tutto ciò che non nasce dalla riflessione individuale, dalla discussione di qualcosa che può sembrare giusto, dal conflitto e magari anche dallo scontro. Perciò lei prova repulsione sia per gli ideali (che nascono dalla cieca fiducia in qualcosa) che per i sentimenti.
Attraverso gli occhi dei personaggi è possibile anche riflettere sui turbamenti che causa il totalitarismo sulle persone. Nella Boemia occupata dai sovietici infatti le persone sono continuamente costrette a scegliere se rovinarsi per difendere la libertà del proprio paese o se tenere il quieto vivere e piegarsi all'invasore. In entrambi i casi, però, vivono con la consapevolezza di essere continuamente spiati, intercettati, c'è chi reagisce comportandosi come fosse a teatro perché in fondo avere un pubblico intorno gli piace, ma c'è chi ne soffre e si sente soffocato. Tereza è accusata da un agente sovietico in borghese di essere una prostituta, incastrata forse da un finto amante, invece Tomas perde il lavoro che aveva sempre sentito come la sua missione. C'è poi anche la riflessione sull'efficacia e l'opportunità degli atti contro un regime, quando a Tomas viene proposto di firmare una richiesta di amnistia per gli intellettuali cecoslovacchi arrestati si chiede che senso abbia visto che si sa che non servirà a niente, salvo poi concludere che serve per mostrare che una resistenza c'è.
Un altro spunto di riflessione si può avere riguardo il rapporto tra Tomas e la professione di chirurgo. Egli sente l'essere chirurgo come una missione, soffre molto quando gli viene impedito di esercitare, alla fine però capisce che proprio l'essersi liberato della missione lo ha portato alla felicità.

L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere non è un romanzo facile da leggere, tratta di temi molto complessi e l'autore cerca di trattarli nella loro interezza. Vale però la pena leggerlo, sia perché è scritto molto bene sia perché lascia qualcosa dentro, spinge a farsi tante domande e quindi causa una crescita interiore.

Francesco Abate