domenica 24 febbraio 2019

PRESENTAZIONE DEL ROMANZO "IL PREZZO DELLA VITA"

Salve a tutti.

Ho il piacere di informarvi che martedì 5 marzo 2019 presenterò Il prezzo della vita alla Biblioteca comunale di Battipaglia (SA), nell'edificio delle ex scuole "Edmondo De Amicis" a piazza Amendola.
La presentazione inizierà alle 18 e si svolgerà nell'ambito dei Martedì letterari, serie di eventi organizzata dall'Associazione Rinascita Commercianti di Battipaglia.

Sul blog troverete le foto e i video dell'evento.

Vi aspetto numerosi.

Francesco Abate

giovedì 14 febbraio 2019

COMMENTO AL CANTO XIX DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Ne l'ora che non può 'l calor diurno
intepidar più 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno;
- quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in oriente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna -,
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba.
In quell'ora della notte in cui il calore del giorno intrappolato nell'atmosfera non riesce a vincere il freddo irradiato dalla luna e talvolta da Saturno (secondo gli antichi era un pianeta apportatore di freddo), quell'ora in cui i geomanti vedono sorgere a oriente prima dell'alba la loro Maggior Fortuna, a Dante appare in sogno una femmina balbuziente (balba), guercia, con i piedi storti, le mani monche e dal colore scialbo. I geomanti erano coloro che tracciavano sulla sabbia dei segni a caso e poi, in base alla figura risultante dal loro collegamento tramite linee, ne traevano un presagio. Siamo in quell'ora immediatamente precedente l'alba in cui per gli antichi i sogni assumevano un significato preciso, talvolta addirittura predicendo eventi futuri. Dante osserva questa femmina che in sé racchiude tutte le brutture possibili e il suo sguardo ha l'effetto del sole sulle membra raffreddate dalla notte; alla donna il volto si colora, la balbuzie sparisce e di colpo. Persa tutta la sua mostruosità, la femmina canta di essere la dolce sirena che disperde i marinai in mezzo al mare grazie al piacere che suscita il suo canto, lei ha distolto Ulisse dal suo viaggio avventuroso e al suo canto più ci si abitua più è impossibile rinunciare (<< Io son >>, cantava, << io son dolce serena, / che ' marinai in mezzo mar dismago; / tanto son di piacere a sentir piena! / Io volsi Ulisse del suo cammin vago / al canto mio; e qual meco s'ausa, / rado sen parte; sì tutto l'appago! >>). Non ha ancora finito di cantare che appare una donna santa e presta, la quale invoca Virgilio chiedendogli chi sia quel mostro, non perché ne ignori effettivamente l'identità, ma per esortare la guida di Dante a liberarlo dalle insidie della seduttrice. La guida, sentendo l'invocazione, si avvicina al suo protetto sempre tenendo gli occhi fissi in quelli della santa donna, come se fosse guidato a sua volta da lei. La santa donna nel frattempo squarcia le vesti della seduttrice e ne scopre il ventre nudo, lasciandone uscire la puzza di putredine, che è tanto intensa da svegliare il poeta dal sogno. Prima di proseguire oltre nella spiegazione del canto, è opportuno soffermarsi ad analizzare le due figure di questo sogno, cioè la femmina balba e la santa donna. Circa la natura e l'identità delle due immagini si discute da secoli. La prima interpretazione che fu data alla femmina balba fu quella della maga Circe, che sedusse Ulisse e lo distolse per lungo tempo dal suo cammino, o di una delle sirene che provarono a sedurlo col proprio canto, o ancora una fusione di entrambe. L'identificazione con Circe-sirena troverebbe conferma proprio nelle parole della femmina stessa, la quale dichiara di aver distolto Ulisse del suo cammin vago. Nel corso del XX secolo la figura è stata invece associata alla seduzione della poesia pagana, o ancora alla tentazione di un io narcisistico che si abbandona ai piaceri dei sensi e alla morte. Qualcuno nei difetti fisici della femmina balba ha visto anche un richiamo ai sette vizi capitali. Altri critici ancora, rapportando la figura del mostro-sirena a quella di Ulisse, l'hanno indicata quale rappresentante della ricerca del sapere solo mediante mezzi umani. Qualunque di queste interpretazioni si intenda seguire, essa comunque rappresenta una menzogna, è infatti tremenda e porta in sé la morte (rappresentata dalla puzza del ventre), ma a chi la guarda si presenta bella ed è in grado di sedurre con il suo canto. A salvare l'uomo dalla trappola di questo mostro ci pensa la ragione, rappresentata da Virgilio, chiamata a intervenire da una donna santa. Anche su questa figura positiva le interpretazioni sono state tante: per alcuni essa è santa Lucia che viene in soccorso del suo protetto, per altri è la Filosofia che salva dalla trappola dei sensi, per altri ancora rappresenta la temperanza che si oppone alla cupidigia. 
Dante si sveglia e sente Virgilio esortarlo ad alzarsi e cercare con lui il varco per salire alla cornice superiore. Il poeta si alza e si accorge che il sole è già alto tanto da illuminare l'intero monte. Si mette a seguire la sua guida guardando in basso, la sua mente è infatti piena di pensieri causati dal sogno fatto poco prima ("Seguendo lui, portava la mia fronte / come colui che l'ha di pensier carca, / che fa di sé un mezzo arco di ponte"). D'un tratto sente una voce celestiale come non se ne odono tra i vivi, la quale li invita a venire di lì per uscire dalla cornice. Lui e Virgilio si voltano e vedono un angelo tra due pareti del monte. La creatura celeste muove le ali così da cancellare la quarta P dalla fronte di Dante, poi dichiara beati coloro che piangono, perché saranno consolati. Gli accidiosi difettarono in amore e non piansero mai per gli affanni causati dallo spirito, per questo devono purificarsi nella cornice; al cospetto dell'angelo essi sono purificati dal peccato di accidia, quindi possono essere beati. 
Iniziano a scalare i primi gradini, Virgilio chiede a Dante come mai tiene la testa bassa e questi risponde di aver avuto una visione alla quale non riesce a non pensare. La guida gli spiega che ha visto la strega che si piange nelle cornici superiori (quindi la cupidigia che si espia nelle stesse) e come l'uomo può liberarsi di lei; lo esorta poi a farsi bastare quell'insegnamento, a calpestare i beni terreni e a volgere gli occhi a Dio. Per esortare il suo allievo a seguire Dio, Virgilio usa la metafora del falconiere, gli dice infatti di volgersi al logoro, che era il richiamo dei falconieri per i propri uccelli, e afferma infine che Dio lo regge con le rote magne, riferendosi ai movimenti delle sfere celesti. Le parole del poeta mantovano hanno l'effetto sperato e l'autore, per descrivere la propria reazione, continua la metafora del falconiere rappresentando sé stesso come il falco: così come l'uccello, udito il richiamo del logoro, ci si fionda convinto di trovar lì il pasto desiderato, Dante accelera il suo cammino e in men che non si dica arriva alla sommità della scala, giungendo là dove si riprende a camminare in cerchio, quindi nella cornice ("Quale il falcon, che prima a' piè si mira, / indi si volge al grido e si protende / per lo disio del pasto che là il tira, / tal mi fec'io; / e tal, quanto si fende / la roccia per dar via a chi va suso, / n'andai infin dove 'l cerchiar si prende"). 
Arrivato nella quinta cornice, vede gente che piange distesa a terra e col viso rivolto in basso. Sente dire alle anime in latino: << Stesa nella polvere è l'anima mia >> (Adhaesit pavimento anima mea è il venticinquesimo versetto del Salmo 118). Virgilio si rivolge alle anime e chiede loro dove possa continuare la salita per giungere alla sommità del mondo; gli viene risposto che, se sono lì liberi dall'obbligo di giacere al suolo, devono muoversi sempre in modo da avere il lato esterno della cornice a destra. Dante vede quale delle anime giacenti al suolo ha risposto, volge lo sguardo prima a lei e poi alla sua guida, finché questa con un cenno di assenso gli concede di rivolgersi a lei. Il poeta si avvicina a quell'anima e gli pone tre domande: chi era stato in vita, perché giace col viso a terra, se potrà giovargli in qualche modo una volta tornato tra i vivi. L'anima dice che gli dirà perché giacciono in quella posizione, ma prima gli rivela che fu successore di Pietro, il suo titolo nobiliare deriva dal torrente di Lavagna (una fiumana bella) che scorre tra Sestri Levante e Chiavari. Siamo in presenza di papa Adriano V, al secolo Ottobono Fieschi (i Fieschi furono conti di Lavagna). Il papa spiega che ebbe la carica per poco più di un mese, ma gli bastò a capire quanto pesa quell'incarico a chi vuole difenderne la dignità ("Un mese e poco pi prova' io come / pesa il gran manto a chi dal fango il guarda"). Si convertì tardi, ma non appena divenne papa capì quanto era stato bugiardo il suo amore per i beni terreni: non potendo ascendere a un grado superiore, vide tutto dall'alto e ne comprese la miseria. Fino alla sua conversione fu avaro e per questo è punito in questa cornice. A questo punto Adriano V spiega perché le anime degli avari siano punite in questo modo: i loro occhi non si volsero mai verso le cose celesti, così adesso sono piantati a terra e non possono guardare verso l'alto; così come l'avarizia spense in loro l'amore e la carità, la giustizia divina li tiene legati l'uno all'altro finché a Dio piacerà. 
Dante vuole rispondere all'anima e si inginocchia, ma questa subito gli chiede perché lo faccia. Risponde che si è inginocchiato per rispetto della più alta carica religiosa che ha davanti, ma Adriano V lo esorta ad alzarsi subito in piedi, essi sono entrambi servi dello stesso padrone, quindi hanno uguale dignità, lo rimanda poi al Vangelo, che spiega come nella vita ultraterrena non esista più alcuna distinzione di classe. Dettogli questo, il pontefice lo esorta ad andar via, perché la sua permanenza gli impedisce di piangere e di espiare così la propria pena. Gli dice infine di avere una nipote di nome Alagia (che Dante conobbe nel suo soggiorno in Lunigiana), la quale è di carattere buono, a meno che la corruzione dei parenti non la rovini, ed è l'unica che di lui si ricordi e gli dedichi preghiere ("Nepote ho io di là c'ha nome Alagia, / buona da sé, pur che la nostra casa / non faccia lei per essempio malvagia; / e questa sola di là m'è rimasta").

Francesco Abate

venerdì 8 febbraio 2019

RECENSIONE DEL ROMANZO "I MISERABILI" DI VICTOR HUGO

I miserabili è il romanzo più famoso e forse più importante dello scrittore francese Victor Hugo, autore considerato il padre del Romanticismo francese che con la sua figura ha dominato la vita politica e culturale di Francia per quasi tutto l'Ottocento.
Per capire appieno il significato di quest'opera straordinaria e complessa al tempo stesso, è di sicuro necessario partire da ciò che scrive lo stesso Hugo nelle sue pagine: "Il libro che il lettore ha sotto gli occhi in questo momento è, da un capo all'altro, nell'insieme e nei particolari, ..., il cammino dal male al bene, dall'ingiusto al giusto, dal falso al vero, dal buio alla luce, ..., dal nulla a Dio. Punto di partenza: la materia, punto d'arrivo: l'anima". Il punto centrale dell'opera è la rinascita del galeotto Jean Valjean il quale riesce a riemergere dalla sua condizione di miserabile e redimere la propria anima salvando da una condizione simile altre persone.

Il romanzo si apre con il racconto della vita e le opere del vescovo Myriel, uomo di chiesa molto pio che rifugge ogni lusso e ogni comodità mondana per stare il più vicino possibile ai poveri e ai disperati. Un giorno nell'abitazione del vescovo arriva l'ex galeotto Jean Valjean il quale, pur avendo terminato il periodo di detenzione, è respinto da tutti per via della sua condizione. Il vescovo lo ospita senza esitazioni e si comporta con lui senza alcun sospetto, senza mostrarsi in alcun modo prevenuto nei confronti di quello che la società ha ormai marchiato come delinquente. Jean Valjean cede però ai suoi istinti e fugge dopo averlo derubato; quando viene acciuffato e riportato indietro perché restituisca la refurtiva, il vescovo lo salva dichiarando di avergli donato ciò che in realtà l'ospite aveva rubato. Confuso e commosso da quel supremo atto di bontà con cui il vescovo l'ha salvato dal carcere, Jean Valjean cambia radicalmente vita.
Il nuovo corso della sua esistenza lo spinge a imbattersi in Fantine, costretta a prostituirsi per mandare soldi ai Thernardier perché allevino la sua figlioletta Euphrasie, inconsapevole di quanto la piccola sia sfruttata e maltrattata. L'ex galeotto aiuta Fantine, poi dedica le sue attenzioni alla piccola, salvandola dalla miseria a cui è destinata.
Crescendo, la piccola Euphrasie si innamora di Marius, un giovane di buona famiglia finito in miseria per colpa di un dissidio col nonno. 
Non voglio dirvi altro per non svelarvi i tanti colpi di scena che il romanzo riserva, chiudo questo breve riassunto della trama dicendo che Marius resta coinvolto nei moti del 5-6 giugno 1832 e, per mezzo suo, si trova nella mischia anche il povero Jean Valjean.

Come ci dice lo stesso Hugo nelle righe che ho citato prima, I miserabili ci mostra il cammino dell'uomo dalle tenebre del male alla luce del bene. Jean Valjean è un ex galeotto, in quanto tale è segnato per sempre e la società lo rifiuta, è per questo destinato a una vita da criminale. Il suo incontro col vescovo cambia però ogni cosa, la sua anima è investita dalla luce candida emanata da quella di Myriel e da quel momento inizia a rischiararsi sempre di più. Il vescovo non opera un miracolo, semplicemente getta dentro l'anima oscurata dalle tenebre quel poco di luce necessaria a mostrargli la strada da seguire per la redenzione: Myriel non è un santo, è una guida. Come la luce del sole illumina la luna e questa di riflesso illumina le notti terrestri, così lo splendore dell'anima di Myriel si riflette in quella di Jean Valjean e finisce per tirare fuori dall'oscurità anche altre persone. Fantine, costretta alla prostituzione da un'ingenuità giovanile e dalla cattiveria di una donna, pur sul finire della propria esistenza trova l'affetto e le cure che la società le ha sempre negato, anche se un imprevisto non le concede una morte serena. La figlia di Fantine, Euphrasie, sfruttata e maltrattata dai locandieri a cui fu affidata dalla povera donna, viene tratta in salvo, protetta dalle nuove insidie che si presentano nella sua vita e infine condotta a un matrimonio felice con l'uomo che ama. Marius, un giovane che preferisce vivere in miseria piuttosto che riappacificarsi col nonno che l'ha tenuto lontano dal padre naturale, viene salvato dalla morte e, sposandosi, torna in pace anche col nonno. La luce benevola partita dal vescovo rimbalza su Jean Valjean e lo rende splendente, questo splendore illumina a sua volta Fantine, Euphrasie e Marius.

La contagiosità del bene e la redenzione, pur essendo i temi centrali dell'opera, non sono gli unici trattati. Come ho già avuto modo di dire, I miserabili è un romanzo molto ricco di contenuti.
Trattandosi di un romanzo storico, getta una luce su un determinato periodo storico e sulle condizioni della gente. Hugo non ci racconta di tutto il popolo, ma di alcuni suoi membri, eppure questi rappresentano ognuno una parte consistente dello stesso. 
Jean Valjean ruba un pane per fame, si ritrova in galera e poi, una volta uscito, viene scacciato da tutti. Attraverso la sua storia, Hugo ci mostra come il carcere francese sia più dannoso che utile, infatti trasforma un'anima buona caduta in errore in un'anima nera impossibile da recuperare. La società attraverso il carcere conduce l'uomo alla dannazione invece di redimerlo, questa per Hugo è una gravissima ingiustizia. 
Fantine è una povera e ingenua ragazza che si innamora di un uomo ricco. Lei lo ama e si concede, mentre per lui è solo un gioco. Questa sua ingenuità la paga cara: si ritrova senza soldi e con una figlia, costretta prima a emigrare e poi addirittura a prostituirsi. Lei è buona, ma sono la cattiveria del suo amante prima e la malvagia sollecitudine di una donna poi a condannarla a una miseria fisica e morale non preventivabile in gioventù.
Euphrasie paga l'errore di sua madre e la malvagità dei locandieri a cui viene affidata, i Thernardier. Povera e maltrattata, è destinata a una vita stentata e squallida.
Il piccolo Gavroche ci mostra come non ci sia per i poveri monelli parigini alcuna speranza di scalata sociale. Si trova povero suo malgrado, sopravvive con piccoli furtarelli o aiutando delinquenti più grandi e pericolosi, si trova coinvolto in una sommossa di cui non può comprendere le ragioni politiche. Di animo è essenzialmente buono, ma la società non gli concede alcuna speranza e resta immerso nella sua miseria.
Alla luce delle singole vicende dei personaggi, possiamo dire che Hugo ci mostra i miserabili per insegnarci che, nella società così com'era strutturata allora, non avevano scampo. Il povero pagava a caro prezzo qualsiasi errore, veniva punito e mai perdonato, era segnato e gli era riservata una vita di dannazione morale oltre che fisica.
Alcuni personaggi del romanzo ci mostrano però come si possa anche essere refrattari al bene, cioè come si possa continuare a fare il male anche dopo aver ricevuto il bene. La pece si può illuminare quanto si vuole, resta sempre nera. E' il caso dei Thernardier, i quali maltrattano la figlia affidata loro dalla povera Fantine nonostante questa li paghi, e che poi cercano di truffare Jean Valjean che cerca di riprendersi la piccola. Nel corso della storia i Thernardier tornano più volte, essi rappresentano in un certo senso il male assoluto, più volte si pongono a ostacolo dell'opera pia di Jean Valjean senza però riuscire a fermarlo anzi, diventando nel finale veicolo della Provvidenza per assicurare all'ex carcerato la felicità.
Anche l'irreprensibile poliziotto Javert ha un suo significato. Egli mette l'ordine davanti a tutto, la legge per lui è giusta e infallibile. Quando in Jean Valjean egli vede la sua legge oscurata dalla luce della vera giustizia, il galeotto che compie il bene, crolla psicologicamente. Credo che Javert serva proprio a mostrarci la distanza che si crea spesso tra leggi dello stato e giustizia.

Pur non essendo un personaggio vero e proprio, un ruolo di primo piano in questo romanzo lo ricopre la Provvidenza. Più volte Jean Valjean è sul punto di crollare, più volte la Provvidenza gli tende una mano e lo aiuta a portare a compimento la propria opera. Addirittura alla fine essa trasforma il male in bene, rendendo i cattivi un veicolo per l'opera suprema dei buoni e trasformando la disperazione in felicità. 

I miserabili è a tutti gli effetti un romanzo storico, quindi la vicenda principale e i vari personaggi servono all'autore anche come spunto per descrivere e spiegare alcune vicende con le relative ripercussioni sociali. Hugo dedica ampie pagine all'analisi della sconfitta di Napoleone a Waterloo, ma ci trascina anche in riflessioni sul valore del monachesimo o su un'analisi dello sviluppo delle fogne e del loro valore simbolico. Leggendo le pagine dedicate alle fogne, ci imbattiamo anche in un insospettabile Hugo ecologista, egli infatti sottolinea come letame e liquami si potrebbero recuperare per concimare i terreni, risparmiando spesa pubblica ed evitando di inquinare i fiumi. Ovviamente anche nell'analizzare gli eventi storici più grandi, Hugo non toglie spazio alla Provvidenza, che per lui ha un ruolo centrale in tutto ciò che riguarda l'uomo.
Non mancano nel romanzo anche analisi politiche delle idee e delle vicende di quegli anni. Non dobbiamo dimenticare che Hugo fu uomo politico oltre che intellettuale, quindi sul piano ideologico quelle vicende le visse in prima persona.

Parlando di romanzo storico, ci viene sempre in mente I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Analogie tra questo romanzo e quello del Manzoni ce ne sono diverse. Entrambe le opere furono concepite molti anni prima della loro stesura, entrambe furono rivedute e corrette più volte. In tutti e due i romanzi la Provvidenza ha un ruolo centrale, in entrambi il personaggio femminile principale incarna quasi una virtù suprema (Lucia ne I promessi sposi, Euphrasie ne I miserabili) e in tutti e due il giovane protagonista maschile (Renzo in Manzoni e Marius in Hugo) si trova coinvolto in una sommossa. Abbiamo in entrambe le opere un uomo di chiesa estremamente buono che svolge un ruolo decisivo nella vicenda, così come in tutte e due c'è il delinquente che si redime (fra Cristoforo in Manzoni e Jean Valjean in Hugo). Non manca poi in tutte e due il cattivo che subisce una conversione (l'Innominato in Manzoni e Javert in Hugo), anche se le due situazioni li portano a decisioni molto diverse. Tutti e due i romanzi ci conducono a un certo punto in un monastero. Da buoni romanzi storici, è bene dirlo anche se è scontato, attraverso la vicenda ci aprono la finestra su un'epoca storica.

I miserabili è a mio parere una lettura fondamentale. Il romanzo di Hugo ha tutto ciò che serve per rendere magnifico un libro: una trama entusiasmante, personaggi ben caratterizzati, riflessioni profonde e significati sempre attuali su cui non dovremmo mai dimenticare di meditare. Si tratta di un'opera molto ricca che si fa leggere volentieri e porta a un profondo coinvolgimento del lettore.
Unica pecca, secondo il mio modesto parere, è che l'analisi dei fatti storici, che è indispensabile in un romanzo di questo genere, a volte tende a essere troppo approfondita e spezza troppo la storia principale, rendendo in alcuni passaggi la lettura non troppo piacevole. Hugo come Manzoni è preciso nella presentazione e nell'analisi di quelle epoche che narra, ma sono comunque pagine che allontanano dalla storia principale e per questo possono risultare un po' fastidiose. Si tratta però di una piccola pecca (per me, magari per altri è un pregio) che non scalfisce la magnificenza del romanzo.

Francesco Abate