venerdì 27 maggio 2016

FILOSOFIA: ARTHUR SCHOPENAUER E IL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE

Nato a Danzica il 22 febbraio 1788, Schopenauer fu il più agguerrito avversario di Hegel, la cui opera definì una "buffonata filosofica". Ebbe un notevole impulso sulla cultura dell'Ottocento e successiva, tra i tanti ispirò Kafka e Thomas Mann. Morì a Francoforte il 21 settembre 1860.

Per Schopenauer il mondo è una nostra rappresentazione, infatti nessuno può uscire da sé stesso e vedere le cose che sono davvero. Questa idea fu ispirata in lui dalla filosofia vedanta, un sistema filosofico ortodosso dell'induismo.
La rappresentazione ha due metà essenziali, il soggetto e l'oggetto:
* Il soggetto della rappresentazione è ciò che tutto conosce, senza essere conosciuto da alcuno. Esso è il sostegno del mondo, la condizione universale di ogni fenomeno, di ogni oggetto, tutto esiste in sua funzione. Il soggetto è fuori dello spazio e del tempo.
* L'oggetto della rappresentazione è ciò che è conosciuto, è condizionato dalle forme a priori dello spazio e del tempo mediante cui si ha la pluralità: ogni cosa esiste nello spazio e nel tempo.
Soggetto ed oggetto sono inseparabili, ciascuno dei due non esiste e non ha senso senza l'altro.

Per Schopenauer spazio e tempo sono forme a priori della rappresentazione, cioè ogni nostra percezione è tradotta nello spazio e nel tempo. L'intelletto entra in azione su queste percezioni e le ordina in un cosmo conoscitivo attraverso la categoria della casualità. Schopenauer ridusse così le dodici categorie teorizzate da Kant ad una sola, quella della casualità. Tramite la categoria della casualità, gli oggetti determinati spazialmente e temporalmente sono posti alcuni come causa ed altri come effetto.

Essendo il mondo intero una rappresentazione, non c'è per Schopenauer una grande differenza tra la realtà e il sogno. << La vita e i sogni sono pagine dello stesso libro >>, l'unica differenza è che nei sogni c'è meno coerenza e meno continuità.

L'essenza del mondo è per Schopenauer volontà insaziabile. La volontà insaziabile è conflitto e lacerazione, quindi dolore. Se il fine viene raggiunto, la volontà viene meno e si precipita nella noia. Essendo poi il fine illusorio e la felicità fasulla, nasce subito una nuova volontà e si ritorna nel dolore. La vita è quindi una continua oscillazione tra dolore e noia. 
Per uscire da questa oscillazione, l'uomo ha solo due strade da seguire: l'arte e l'ascesi. L'arte infatti permette all'uomo di non vedere più gli oggetti in funzione della loro utilità, quindi permette di non vedere più la loro rappresentazione ma la loro essenza. L'ascesi è invece la condizione dell'uomo che rende la sua volontà una non volontà, prende coscienza con orrore del mondo pieno di dolore e smette di volere, smettendo così di soffrire.

Francesco Abate



martedì 24 maggio 2016

STORIA: LO STERMINIO DEI KULAKI IN URSS



Nella Russia zarista e poi comunista, erano chiamati kulaki i contadini benestanti che possedevano piccoli appezzamenti di terra ed avevano altri contadini alle loro dipendenze.

Il regime sovietico puntava all'abolizione della proprietà privata, quindi i kulaki rappresentavano un ostacolo da superare, eppure Lenin nel 1921 con la NEP (Nuova Politica Economica) confermò loro quella libertà economica e quei diritti che gli erano stati concessi molti anni prima dallo zar al fine di modernizzare l'agricoltura.

La situazione per i kulaki peggiorò drasticamente con l'avvento di Stalin. La crisi agricola del 1927 portò il nuovo leader sovietico a ripristinare le requisizioni delle eccedenze, provvedimento che colpì tutti i contadini ed in particolar modo proprio i kulaki. Stalin aveva inoltre in programma di forzare l'industrializzazione del paese e di collettivizzare l'agricoltura, per questo procedette alla formazione dei colchos (fattorie collettive) e dei sovchoz (fattorie statali) ed obbligò tutti i contadini ad entrarvi. Il provvedimento di collettivizzazione andava a colpire duramente i kulaki, che di colpo si videro privati di tutta la libertà concessagli dallo zar e dalla NEP di Lenin, tanto che molti si opposero anche arrivando a sgozzare il proprio bestiame o a compiere atti di terrorismo. La reazione di Stalin fu spietata, furono definiti kulaki tutti i contadini che si opponevano alla collettivizzazione e tra il 1930 e il 1933 furono arrestati e deportati in Siberia e nelle fredde tundre russe. Le cifre della deportazione e dello sterminio oggi sono oggetto di dibattito, le stime ufficiali parlano di tre milioni di morti, ma c'è chi ne conta quindici. Molti dei contadini deportati erano analfabeti, non scrivevano perciò memorie e di certo la Russia non si è mai preoccupata di portare una contabilità precisa della strage (anzi, per decenni l'ha nascosta, favorita dall'indifferenza dell'opinione pubblica mondiale), per questo è estremamente difficile avere un dato certo sulla mole di morti.
Lo svuotamento e l'abbandono delle campagne causati dalle politiche di Stalin portarono inoltre ad una carestia che da sola causò altri sei milioni di morti.

Francesco Abate

mercoledì 18 maggio 2016

LETTERATURA: RECENSIONE DI "CENT'ANNI DI SOLITUDINE" DI GABRIEL GARCIA MARQUEZ

Benché non sia l'unico grande romanzo di Gabriel Garcia Marquez, Cent'anni di solitudine è di certo il più celebre, il più apprezzato da lettori e critica ed è quello che più di tutti ha consacrato Marquez come uno dei più grandi scrittori contemporanei.

Pubblicato nel 1967, Cent'anni di solitudine è una saga familiare. Narra le vicende della famiglia Buendìa attraverso sei generazioni, vicende strettamente legate a quelle del villaggio di Macondo, fondato proprio da José Arcadio Buendìa. 
Macondo (villaggio frutto della fantasia dell'autore) è un luogo sospeso nel tempo e nello spazio. Eccezion fatta per un breve intervallo, il villaggio è completamente isolato dal mondo. Inizialmente sono gli zingari a portare dal mondo le novità scientifiche, rappresentate da magneti, dal ghiaccio e da altri oggetti come il cannocchiale. La compagnia bananiera poi penetra nel villaggio e vi porta la sua modernità, ma si isola dai suoi abitanti e raramente vi entra in contatto, non riuscendo perciò a penetrare le loro vite ed a mutarne radicalmente usi e costumi. La modernità chiusa in una sfera all'interno del villaggio viene poi spazzata via da qualcosa di simile alla Provvidenza, il destino contro cui gli uomini nulla possono, il villaggio torna in un isolamento addirittura più estremo e finisce in rovina.
La saga della famiglia Buendìa segue un andamento del tutto identico a quello del suo villaggio. Sulle prime nemmeno conosce i fatti del mondo e scopre le nuove tecnologie solo attraverso lo zingaro Melquiades, lentamente però fattori esterni alla casa (come gli scontri politici) invadono la loro vita e la scombussolano, alla fine però torna l'isolamento e tutto finisce in rovina.

Tema centrale dell'opera di Garcia Marquez è la solitudine, generata dall'incapacità di amare e di entrare in empatia con gli altri. Una delle protagoniste, la matriarca Ursula, riconoscerà tale incapacità nel figlio Aureliano e ad essa attribuirà la solitudine in cui egli stesso si è rifugiato in vecchiaia. Sempre da Ursula arriva poi uno sguardo sull'evolversi del tempo, ella infatti nota come gli eventi si ripetano in continuazione e il tempo segua un andamento circolare. In effetti nel corso di sei generazioni i destini dei vari protagonisti sembrano essere sempre gli stessi, addirittura il nome finisce per sancire il carattere del personaggio e per decretare quale sarà la sua fine.

Ciò che rende affascinante il romanzo è la fusione tra reale ed irreale. In mezzo alla vita di una famiglia ed un villaggio, lo scrittore inserisce profezie di vita e di morte, oltretutto molti personaggi sono in grado di dialogare con uno o più membri defunti della famiglia. Pilar Ternera, donna sempre presente nelle vicende della famiglia e legata ai Buendìa da rapporti molto stretti, è una chiaroveggente. Nonostante i tanti riferimenti a fatti irreali ed alle superstizioni tipiche delle popolazioni sudamericane, non mancano riferimenti alle rivolte che per decenni insanguinarono il continente ed alle repressioni violente attuate dai governi.

Cent'anni di solitudine è un romanzo molto particolare, a tratti irreale, ma non mancano in essi riferimenti alla vita stessa dell'autore. Il nonno materno di Garcia Marquez, a cui fu affidato da bambino, fu un colonnello liberale, così come lo diventa Aureliano Buendìa nel romanzo. Quando il patriarca della famiglia Buendìa, José Arcadio, porta i figli a vedere per la prima volta il ghiaccio, c'è un chiaro riferimento ad un avvenimento dell'infanzia dell'autore, portato dal nonno negli stabilimenti della multinazionale United Fruit proprio a vedere il ghiaccio. Anche nei nomi ci sono riferimenti autobiografici, la moglie di José Arcadio Buendìa ha come cognome Iguaran, che è il secondo cognome della nonna materna di Garcia Marquez. Anche la capacità di parlare coi morti può essere ispirato alla nonna materna dell'autore, che vestiva sempre a lutto e si diceva confidente dei morti. La madre di Garcia Marquez inoltre era chiaroveggente, nel romanzo c'è il personaggio di Pilar Ternera che ha la stessa dote.  

La grandezza di Gabriel Garcia Marquez, che nel 1982 ricevette il premio Nobel per la letteratura, sta nel fatto di aver scritto un romanzo tanto particolare, tanto ricco di elementi diversi tra loro, tanto denso di tematiche importanti, a tratti anche molto triste, senza mai renderlo pesante. Il linguaggio non è per nulla complesso, ma usato in maniera tale da mischiare in modo intimo i luoghi e le vicende agli stati d'animo dei personaggi, creando perciò nel lettore una visione chiara dell'animo di chi in quel momento è al centro della narrazione.

Francesco Abate


martedì 10 maggio 2016

IL PREZZO DELLA VITA AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

Ho il piacere di annunciarvi che il mio ultimo romanzo, "Il Prezzo della Vita", sarà esposto e in vendita al Salone Internazionale del Libro di Torino (12-16 maggio 2016) presso lo stand della Regione Puglia - Padiglione 3 - P102/R101, dove sarà presente la CSA Editrice.

Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno letto, stanno leggendo o leggeranno il mio romanzo. Lo scrittore può gioire quando i pensieri e le idee che ha messo su carta sfiorano la mente di altre persone e generano un'opinione, senza questo muto processo l'attività di chi scrive non avrebbe senso.

Francesco Abate


domenica 1 maggio 2016

STORIA: IL PRIMO MAGGIO E LA FESTA DEI LAVORATORI

La scelta di far cadere la Festa dei Lavoratori il giorno 1 maggio fu preso il 20 luglio 1889 dalla Seconda Internazionale riunita a Parigi. L'organo, che fungeva da coordinamento di tutti i partiti socialisti e i sindacati d'Europa, scelse tale data in memoria dello sciopero generale organizzato il primo maggio di tre anni prima negli USA e che a Chicago fu represso nel sangue. L'intenzione della Seconda Internazionale era quella di organizzare in una data prestabilita grandi manifestazioni simultanee nelle città del mondo al fine di chiedere la giornata lavorativa di otto ore.
La data del primo maggio si rivelò quindi una scelta più che adatta, infatti lo sciopero generale degli USA svoltosi nel 1886 era stato organizzato proprio per chiedere la riduzione a otto ore della giornata lavorativa. A Chicago il 4 maggio vennero a sostegno dei lavoratori gli anarchici che si radunarono in piazza Haymarket. Uno degli anarchici buttò una bomba tra le fila della polizia, uccidendo un agente e scatenando la violenta repressione poliziesca che costò la vita a molti civili ed anche ad otto poliziotti caduti sotto il fuoco amico. Il processo che seguì le violenze di piazza Haymarket portò alla condanna di otto anarchici, questi verranno impiccati e solo successivamente saranno riconosciuti innocenti.
Le manifestazioni negli USA, benché sporche di sangue, portarono alla vittoria dei lavoratori che ottennero le otto ore lavorative giornaliere. La data quindi conteneva il fine comune, la dura battaglia e la vittoria, era perciò più che adatta ai piani delle forze socialiste mondiali.

Dalle manifestazioni del 1889, l'1 maggio divenne ufficialmente la Festa dei Lavoratori ed in tutto il mondo è ancora oggi festeggiata.
Spesso i governi dittatoriali, in special modo quelli anti-comunisti, hanno osteggiato ed abolito la festa del primo maggio. In Italia il governo fascista spostò la Festa dei Lavoratori al 21 aprile e solo dopo la fine della seconda guerra mondiale gli italiani tornarono a festeggiarla l'1 maggio.

In Italia l'1 maggio è anche legato ad un ricordo funesto. Il primo maggio 1947 a Portella della Ginestra, paesino in provincia di Palermo, i banditi di Salvatore Giuliano spararono sulla folla di circa duemila persone riunita proprio per celebrare la Festa dei Lavoratori. Sotto i colpi dei banditi morirono undici persone e cinquanta rimasero ferite. 
Quello di Portella della Ginestra è ancora oggi considerato il primo mistero dell'Italia repubblicana. L'esecutore materiale è noto, fu il bandito Salvatore Giuliano, ma non sono mai stati scoperti né i mandanti della strage né il movente. Nel corso degli anni il nome di Salvatore Giuliano è stato accostato ai servizi segreti USA ed alla DC, secondo alcune teorie il bandito era pagato per colpire i comunisti ed ostacolarne l'ascesa in Sicilia. Tali teorie però non sono mai state dimostrate e su Portella della Ginestra rimane ancora un fitto alone di mistero.

Francesco Abate

P.S. - Auguro un buon primo maggio a tutti, sia a chi un lavoro ce l'ha che a chi non riesce a trovarlo. Accompagno l'augurio con una raccomandazione a tutti: restiamo uniti, perché quelli che ci sfruttano sanno fare lavoro di squadra e dividendoci cercano di indebolirci.