lunedì 23 novembre 2020

RECENSIONE DEL ROMANZO "GLI SDRAIATI" DI MICHELE SERRA

 

Gli sdraiati è un romanzo dello scrittore e giornalista italiano Michele Serra.
Pubblicato nel 2013, l'opera affronta il tema del contrasto generazionale nella nostra epoca iper-tecnologica.

Il romanzo è un lungo monologo interiore del protagonista, che osserva il figlio e constata l'impossibilità di comunicare con lui, un ragazzo che non parla mai di sé, a cui interessa solo passare il tempo tra smartphone e uscite con gli amici, che non manifesta passione per niente.
Nel tentativo di "raddrizzarlo", il protagonista convince il figlio a risalire a piedi il Colle della Nasca, cosa che fece lui in gioventù e rappresentò un momento molto significativo della sua crescita.

I protagonisti del romanzo sono due: l'io narrante e suo figlio Stefano.
L'io narrante è un cinquantenne borghese di sinistra che, memore dei valori con cui è cresciuto, non riesce ad accettare i comportamenti del figlio, il quale gli sembra apatico (uno "sdraiato") e privo di qualsiasi interesse, intrappolato nella tecnologia e al di fuori anche delle più elementari norme di convivenza civile.
Stefano lo vediamo sempre attraverso gli occhi del narratore ed altro non è che una proiezione della gioventù attuale. Vive una vita con orari sballati, completamente distaccato dal mondo che lo circonda e dalla sua stessa famiglia, privo di qualsiasi interesse che non sia legato alle apparecchiature tecnologiche o alla cura della propria immagine. Un ragazzo in apparenza vuoto e narcisista.

Gli sdraiati tratta un po' tutti i temi legati alle differenze generazionali tra i giovani d'oggi e i loro padri. 
Viviamo in una società iper-tecnologica e i giovani vivono sempre più immersi nel mondo della socializzazione virtuale, molto attenti a seguire le mode e a curare il proprio corpo, ma almeno in apparenza completamente privi di qualsiasi interesse più profondo.
L'autore con questa storia ci mostra quanto sia difficile per un padre interagire oggi con un figlio, non riuscendo in alcun modo a coglierne gli interessi, ma allo stesso tempo mette in guardia da parecchi luoghi comuni. Il viaggio finale che il protagonista fa col figlio gli insegna infatti che quest'ultimo è meno impreparato di quanto pensasse alla scalata, che simboleggia la vita, e gli fa vedere come Stefano non sia completamente insensibile al mondo, semplicemente lo guarda in modo diverso. Da questo punto di vista, ci dice l'autore, la distanza tra i padri e i figli oggi non è tanto differente da quella di un tempo: c'è un mondo nuovo, quello dei giovani, che i padri non riescono a capire, ma non è necessariamente peggiore del vecchio.
Benché il messaggio finale del romanzo sia positivo, l'autore non perde l'occasione per analizzare dei problemi che sono endemici nel nostro tempo. C'è il "relativismo etico", la perdita cioè di valori positivi assoluti, che mette gli educatori in una posizione estremamente fragile, perché cosa puoi insegnare se non c'è una verità assoluta? C'è poi la riflessione sulla società consumistica che incentiva l'eccessiva cura del corpo e il disinteresse verso il mondo esterno, questo al fine di creare consumatori perfetti il cui unico scopo nella vita è acquistare oggetti alla moda: un'immagine perfetta del nostro tempo, fatto di influencer e aspiranti tali.

Confesso di aver acquistato questo libro per caso: me lo sono trovato davanti nei pressi della cassa in libreria e mi ha incuriosito il titolo. Mi sono approcciato alla sua lettura con il timore di aver buttato via i soldi, invece è stata una lettura piacevole e per niente banale.
All'inizio il romanzo fa storcere un po' il naso, sembrando ricco di luoghi comuni, però alla fine è lo stesso protagonista a capire di aver sbagliato nel dare certi giudizi che è ingiusto estendere a un'intera generazione.
Si tratta di un romanzo breve e di semplice lettura, che ci proietta nelle difficoltà di un padre nel comprendere una generazione diversa dalla propria non solo negli ideali e nei valori, ma anche nelle modalità di comunicazione. Ci troviamo quindi di fronte alla difficoltà di essere educatori oggi. Il testo ha inoltre un gran valore perché evidenzia le storture della società odierna, ma ci lascia anche con la speranza che non tutti i giovani d'oggi siano degli sdraiati, degli apatici, e che in loro vi siano ancora dei valori e un positivo attaccamento alla vita.
Va dato merito all'autore di aver affrontato temi così spinosi in modo leggero e a tratti anche simpatico, con un libro che si legge in un pomeriggio e non diventa mai pesante.

Francesco Abate

giovedì 12 novembre 2020

LA VIOLENZA NEL ROMANZO "I PROTETTORI DI LIBRI"

 

I Protettori di Libri è un romanzo che parla di guerra, dittatura e rivoluzione, quindi al suo interno non poteva mancare una buona dose di violenza.

Oggi siamo immersi in una cultura dove la violenza è spesso spogliata della sua gravità, per tante ragioni essa viene giustificata o addirittura presentata come buona, finendo per farci perdere l'idea esatta del suo valore negativo. Il cinema, la tv, anche molti libri e videogiochi per ragazzi, disegnano un protagonista che diventa eroe risolvendo un problema, o rimediando a un'ingiustizia, usando la violenza. 
A tutti è capitato di vedere un poliziesco dove il protagonista, certo della colpevolezza dell'interrogato, non esita a usare "maniere forti" per estorcergli una confessione: in quel contesto il crimine e l'uso della violenza diventano agli occhi dello spettatore un'arma lecita perché usata contro un cattivo. Non dobbiamo meravigliarci se un poliziotto esaltato, convinto per ragioni discutibili di essere in presenza di un delinquente, si sente in diritto di abusare del proprio potere e usare la violenza. I tanti casi di polizia violenta sono figli di questa cultura, perché nascono dalla convinzione che quell'abuso di potere in quel contesto sia qualcosa di accettabile.
Faccio un altro esempio, forse un po' più spinoso. Lessi tempo fa per caso di un'intervista in cui un popolare calciatore raccontava le scenate di gelosia di un'ex fidanzata, sostenendo di essere stato più volte inseguito e addirittura schiaffeggiato in pubblico. L'episodio veniva riportato con leggerezza, perché spesso sentendo di un uomo infedele che prende uno schiaffo dalla compagna ci limitiamo a sorridere e a commentare che l'ha meritato. Eppure immaginiamo fosse capitato l'inverso, con la ragazza picchiata dal ragazzo per la stessa ragione. Molti giustamente si sarebbero indignati e avrebbero colto la gravità della cosa, ma molti altri avrebbero riso comunque convinti che lei l'avesse meritato. Nel primo caso c'è un'evidente sottovalutazione della gravità dell'atto violento, causata dall'assenza di gravi conseguenze, ma tale sottovalutazione può ripetersi (e si ripete spesso, purtroppo) anche in situazioni più drammatiche come quelle in cui sfociano casi simili al secondo. 
Se non ci abituiamo a censurare sempre gli atti violenti, a prescindere dalle caratteristiche del colpevole e della vittima, se quindi non ci facciamo entrare in testa che la violenza è sempre riprovevole e mai giustificabile, non smetteremo di essere circondati da persone che giustificano e commettono atti violenti. Non importa chi picchia chi, chi ammazza chi, o la ragione per cui l'ha fatto: importa soltanto che l'atto violento è stato commesso, e sempre chi lo commette è colpevole e chi lo subisce è vittima. Non devono essere ammesse eccezioni, perché l'eccezione è il forellino che si allargherà fino a formare la voragine. Perché tali eccezioni smettano di essere ammesse, è necessario che la cultura cambi, quindi è compito dell'arte spogliare la violenza del suo fascino e presentarla in tutta la sua bruttezza.

Non ho esposto questa idea per caso. Con l'idea che ho della violenza e del ruolo della cultura come suo veicolo, nello scrivere I Protettori di Libri mi sono ritrovato in un campo minato. Dovevo descrivere la violenza, perché era necessaria ai fini del messaggio e della trama, ma dovevo allo stesso tempo evitare di darle un ruolo positivo, o anche solo un fascino.
Nel mio romanzo i personaggi positivi non sono violenti, ricorrono alla violenza solo per salvare la propria vita o l'esito della propria missione. I Protettori di Libri sono dei rivoluzionari, ma non sparano e non lanciano bombe, si limitano a conservare la medicina che può debellare il virus della dittatura: i libri. Anche i due protagonisti del romanzo, Giovanna e Francesco, usano la violenza solo per difendere le proprie vite. Ci sono invece i personaggi negativi che usano la violenza o per piacere personale, come il sadico Taipan, o per sentirsi grandi, come Peppe 'a ciucciuvettola: si tratta di personaggi che nel loro essere e nei loro comportamenti manifestano ciò di cui sono fermamente convinto, cioè che il violento è indegno di essere giudicato un essere umano.

***

Riusciranno i Protettori di Libri a portare a termine la loro rivoluzione non violenta? Quali pericoli costringeranno Giovanna e Francesco a usare le maniere forti? Riusciranno Taipan e Peppe 'a ciucciuvettola a far trionfare la propria mostruosità?
Potete scoprirlo acquistando il romanzo I Protettori di Libri su uno dei link che trovate andando in questa pagina. Il romanzo è disponibile sia in formato cartaceo che elettronico.
Dopo averlo letto, non dimenticate di lasciare un commento sul blog, su Facebook o su Twitter.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

domenica 8 novembre 2020

RECENSIONE DEL ROMANZO "L'AMMAZZATOIO" DI EMILE ZOLA

 

L'ammazzatoio di Emile Zola è un romanzo che iniziò a essere pubblicato a puntate sul giornale Le bien publique nel 1876, salvo poi essere bloccato per le proteste dei lettori. Dopo la pubblicazione su un secondo giornale, La Republique des letres, ebbe un enorme successo. Fu definitivamente pubblicato come libro nel 1877.
L'opera si colloca nel ciclo I Rougon-Macquart (di cui fa parte anche Nanà).

Protagonista della storia è Gervasia, una donna che vive in condizioni misere col compagno Lantier e i suoi due figli. Si trova a vivere nei bassifondi di Parigi perché, ancora ragazzina, fuggì con l'attuale compagno. A dispetto delle speranze e della romantica fuga d'amore, Gervasia vive una vita d'inferno: subisce i continui tradimenti del marito e spesso viene anche picchiata.
Gervasia ama Lantier nonostante tutto, eppure lui di punto in bianco fugge con un'altra ragazza, lasciandola sola e in miseria con due figli da mantenere.
Sebbene decida di dedicarsi solo al lavoro e alla crescita dei figli, si innamora di Coupeau, un brav'uomo che non beve (a differenza di Lantier) e che è davvero innamorato di lei. Si sposano e vanno a vivere insieme, nonostante la gelosia della sorella e del cognato di Coupeau. 
La nuova vita con Coupeau procede alla grande, tanto che Gervasia riesce a mettere dei soldi da parte e aprire una bottega, ma un incidente sul lavoro fa precipitare l'uomo nell'alcolismo, dando inizio a una nuova discesa inesorabile nella miseria economica e morale.

L'ammazzatoio è un romanzo che presenta diversi temi, ma quello principale è senza dubbio l'alcolismo. Gli uomini di Gervasia, Coupeau soprattutto, abusano di alcol e finiscono per imbruttirsi moralmente e rovinarsi economicamente. Coupeau è un uomo buono e laborioso, eppure l'alcol lo trasforma in un nullafacente che scialacqua il denaro guadagnato dalla moglie, lo fa diventare violento e prepotente con lei.
L'alcol non rovina soltanto chi in esso annega, ma causa dolori forse più intensi anche a chi gli sta intorno. Lo vediamo con la vicenda di Gervasia, ma in modo ancora più drammatico Zola ce lo mostra con la famiglia Bijard, i vicini di casa. Il signor Bijard è un'alcolista che, ubriaco, non risparmia mai alla moglie una pesante razione di botte; a seguito di uno dei soliti pestaggi, la povera donna muore. Morta la sig.ra Bijard, il marito inizia a sfogare la sua furia sulla figlia Laila di otto anni, finendo per far morire anche lei di percosse e di stenti.
La vicenda dei Bijard, insieme a quella di Gervasia stessa, introduce anche un altro tema fondamentale nel romanzo: la violenza domestica, principalmente quella sulle donne. Gervasia viene picchiata da Lantier e da Coupeau, i quali esercitano con durezza il ruolo di padroni nonostante sia lei a guadagnare i soldi che loro sperperano; a sua volta picchia quando deve difendersi, ma principalmente è costretta a subire.
Il destino da martire delle donne è rappresentato non solo dalle botte subite, ma anche dall'atteggiamento delle vittime nei confronti delle violenze domestiche: le subiscono con amarezza, rabbia e rassegnazione, senza mai tentare davvero la fuga da uno stato di cose tanto crudele e ingiusto. Per le donne l'unica vera liberazione dalla vita miserevole a cui sono destinate è la morte: solo morendo Gervasia si sottrae alla miseria e al degrado in cui l'alcolismo del marito l'aveva trascinata, e il becchino che la chiude nella bara si presenta come "il consolatore delle donne".
Altro tema dell'opera è il contrasto tra il benessere e la miseria. A poca distanza e all'interno della stessa città, cioè Parigi, ci sono una parte sfarzosa e bella e più nascosti i quartieri dei miserabili, dove vive la gente povera abbandonata a sé stessa e alla mercé dei vizi.
Pur non essendo uno dei temi principali dell'opera, L'ammazzatoio pone anche la questione della svalutazione del lavoro operaio a causa della tecnologia. Goujet, un amico di Gervasia, le fa vedere le macchine che ci sono nell'azienda in cui lavora e manifesta il timore che queste facciano perdere valore al lavoro dell'operaio umano; la previsione di Goujet si rivela, infatti gli operai subiscono un abbassamento dei salari.

La protagonista assoluta del romanzo è Gervasia, una giovane e bella donna che vive nei sobborghi di Parigi. Si tratta di una ragazza semplice, che vuole una vita tranquilla in cui crescere i figli con la certezza di dagli da mangiare e vestirli decentemente. Il suo progetto semplice viene però rovinato dagli uomini: prima dall'approfittatore Lantier, poi dall'alcolista Coupeau. Lei è parsimoniosa e lavoratrice, capace di mettere da parte i soldi guadagnati duramente, ma lentamente cade in rovina dietro agli uomini della sua vita e, sempre a causa loro, subisce una tremenda trasformazione morale. La donna laboriosa e parsimoniosa, avvilita dai danni subiti dagli uomini, degenera in una scialacquatrice esibizionista, un'alcolista, e finisce addirittura per prostituirsi a causa della fame. Anche il suo fisico si trasforma e segue l'anima di pari passo: all'inizio è giovane, con una lieve zoppia che non ne sminuisce per niente la bellezza, poi lentamente ingrassa in maniera abnorme e la sua andatura diventa palesemente claudicante, trasformandola in una figura grottesca. Muore in un sottoscala dove fino a poco prima aveva dormito un mendicante, sola e dimenticata da tutti.
Coupeau è il marito di Gervasia. All'inizio è un brav'uomo, l'ama davvero e la sposa nonostante lei abbia già due figli. Si rivela un compagno amorevole e laborioso, ma dopo l'incidente cambia drasticamente, diventa pigro e scivola nell'alcol. L'alcolismo lentamente lo trasforma, facendolo diventare scialacquatore e cattivo nei confronti della moglie. Anche fisicamente subisce i danni dell'alcol, infatti comincia ad avere problemi mentali e muore in manicomio, preda di spaventose allucinazioni.
Lantier è il primo compagno di Gervasia, un'opportunista che seduce le donne per succhiarne gli averi, poi le abbandona dopo averle ridotte in miseria. Lascia Gervasia sola con i suoi due figli, salvo poi ricomparire quando lei ha la bottega che fa buoni affari. Contribuisce alla rovina economica di Gervasia non senza prima averla sedotta, poi passa alla preda successiva.
Goujet è forse l'unico personaggio maschile positivo del romanzo. E' un uomo buono e laborioso, ama Gervasia e la corteggia perfino quando questa è diventata un'alcolista e fisicamente si è imbruttita. Può essere identificato come simbolo di una classe operaia virtuosa e lontana dai vizi della miseria, che viene però nascosta e perfino derisa da quella numericamentoe predominante, che invece è sciatta e preda dei peggiori impulsi.
Una citazione la meritano anche i signori Lorilleaux, il cognato e la sorella di Coupeau. Essi disapprovano le nozze dell'uomo con Gervasia perché perderanno il suo contributo economico, visto che lui alloggia presso casa loro, e per questo prendono lei in odio. Quando la donna risale la china e si sistema bene, diventano gelosi e non perdono occasione per diffondere pettegolezzi contro di lei. Quando alla fine lei va in rovina, godono nel vederla nel fango e ne sparlano in tutto il quartiere.

Il romanzo si chiama L'ammazzatoio perché pone come centro del peggiore dei mali, l'alcolismo, una bettola che si chiama "L'ammazzatoio di papà Coulombe". Un ruolo importantissimo svolge secondo me l'alambicco usato in questo locale; è tanto importante da farmelo considerare alla stregua di un personaggio.
Zola presenta l'alambicco come un diavolo tentatore, una sirena che col suo suono allo stesso tempo ripugna e seduce, respinge e attira, finendo per confondere la vittima col succo del suo lavoro e precipitarla nella rovina. Emblematica è la scena in cui Gervasia, seduta al tavolo con Coupeau, guarda l'alambicco con sentimenti contrastanti, temendolo e desiderandolo, odiandolo e amandolo; la scena precede l'inizio della definitiva caduta della donna nell'inferno degli alcolizzati.

L'ammazzatoio è un romanzo che presenta l'umanità nella sua immagine peggiore, deturpata dall'alcol e infangata dalla miseria. Così come in Nanà, Zola ci racconta una storia di rivalsa sociale che finisce male, in cui la protagonista riesce a rialzarsi dal fango solo per un attimo e poi ci affonda del tutto.
Si tratta di un'opera che affronta temi molto delicati ma anche molto attuali. Le epoche sono cambiate, ma alcol e droga mietono ancora tante vittime dopo averle private della dignità e deturpate nello spirito, così come le mura domestiche sono ancora troppo spesso sede di crudeltà e ingiustizie contro donne e bambini, e anche il tema della svalutazione del lavoro non è per niente superato.
A differenza di quello che la cultura di massa oggi ci fa credere, Zola ci insegna che volere non sempre è potere. Ci sono categorie sociali che non hanno alcuna possibilità di farcela: sono tartarughine indifese in viaggio verso il mare, ignare dei gabbiani che in picchiata calano inesorabili verso di loro. Anche oggi ci sono tante Gervasia, non solo donne, che vengono devastate da approfittatori, prepotenti, invidiosi, e private della speranza cadono nella trappola dei vizi, finendo per rovinarsi definitivamente. Zola prima ci ricorda che esistono, poi ci indica che sono a pochi passi da noi; se aguzziamo la vista riusciamo di certo a vederle.
Consiglio la lettura di questo romanzo per assimilare la lezione di Zola e per imparare che non dobbiamo condannare chi scivola nel fango, perché spesso è solo una vittima. Canta Branduardi in Domenica e lunedì: "Non è da tutti catturare la vita / non disprezzate chi non ce la fa".

Francesco Abate