lunedì 29 febbraio 2016

LETTERATURA: STUDIO DE "L'IDIOTA" DI FEDOR DOSTOEVSKIJ

Scritto in un periodo molto duro della vita dell'autore, L'Idiota è una delle opere più importanti della produzione di Dostoevskij. Il romanzo fu pubblicato durante l'esilio dello scrittore, fuggito dalla Russia per sfuggire ai creditori, prima nel 1868 su una rivista e l'anno dopo in forma di volume. La critica accolse in silenzio la pubblicazione dell'opera, dando molta più attenzione a Guerra e Pace di Tolstoj che venne pubblicato nello stesso anno. Del resto la contrapposizione tra le due opere è tutt'altro che inappropriata, infatti Tolstoj vede nella storia e nelle leggi la salvezza della Russia e dell'intera società, invece in Dostoevskij le leggi hanno un valore negativo e proprio in quest'opera ciò è evidente.

A dire il vero lo stesso Dostoevskij non fu felicissimo del romanzo, ma solo perché a suo modo di vedere il protagonista non esprimeva nemmeno un decimo di quello che avrebbe voluto fargli esprimere.
Proprio il protagonista, Lev Nikolaevic Myskin, è l'idiota ed il centro di tutto. La vicenda infatti narra del suo ritorno a San Pietroburgo dopo la gioventù trascorsa in Svizzera per curarsi da una grave forma di epilessia. Myskin è l'erede di una famiglia nobile, è un personaggio cresciuto fuori dal mondo, ha voglia di vivere e si getta nella società a capofitto. Si tratta di un personaggio straordinariamente buono, concepisce la vita come compassione verso il prossimo, cerca di tirare fuori dalle persone il loro dolore e di farlo proprio. Chiunque si accosta a lui ne percepisce la straordinarietà, però tutti ne sono contemporaneamente attratti e respinti, infatti i loro meccanismi difensivi nei confronti dei dolori della vita li portano a diffidare del principe ed a giudicarlo un idiota. Incurante dei giudizi della gente, il principe si circonda di chiunque, tanto di chi vuol tenerselo vicino quanto di chi lo avvicina per ingannarlo e fargli del male. Come un Cristo sceso sulla Terra, il principe non esita nemmeno a sacrificare sé stesso e non si difende dagli inganni che gli vengono tesi, pensa solo a far bene al prossimo. Purtroppo la sua bontà non servirà a nulla, la donna che egli vuole salvare dalla perdizione lo rifiuta e si getta nella sua perdizione mentre lui, per seguirla, perde l'unica donna che lo amava davvero e la porta alla rovina. Le vicende in cui il principe si immerge aggravano inoltre la sua malattia. Come Cristo egli sacrifica la vita per gli altri, ma a differenza di quel che crede la religione il suo sacrificio è assolutamente vano e nemmeno viene compreso. 
Nastas'ja Filipovna è la donna che il principe tenta di salvare dalla perdizione. Si tratta di una donna segnata dal suo triste passato: rimasta orfana da piccola, viene allevata e istruita da un amico di famiglia che però ne fa la sua amante non appena lei compie quindici anni. Nastas'ja si ribella all'approfittatore dopo cinque anni vissuti da sua amante, lui tenta di combinarle un matrimonio ma lei, sentendosi ormai una donna perduta, solleva pubblicamente lo scandalo e fugge con Rogozin, un uomo ossessionato dalla sua bellezza. Il principe vuole salvarla da Rogozin, intuisce infatti che lei è pazza e che l'ossessione dell'uomo finirebbe per farle del male. Lei promette più volte a Rogozin il matrimonio, poi da lui fugge e va dal principe, poi fa lo stesso a parti invertite. Nonostante questo comportamento, il principe tenta fino alla fine di salvarla. Lei riconosce la grandezza del principe e sa che lui non la ama, prova compassione per lei e vuole salvarla, ma rifiuta la salvezza e si getta completamente tra le braccia del cattivo, pagando la sua scelta a caro prezzo.
Aglaja Epancina è la figlia più giovane del generale Epancin, la cui moglie è parente alla lontana del principe. Il suo animo è piena di un'ingenuità quasi fanciullesca, comprende subito la grandezza del principe e se ne innamora sinceramente. Nonostante ami il principe, non ne apprezza i modi di fare e tenta in tutti i modi di ricondurlo entro i limiti della normalità, di farlo comportare "come si conviene". Tale atteggiamento di Aglaja è evidente in occasione di un banchetto organizzato in casa Epancin nel momento in cui sembra quasi ufficiale il fidanzamento tra lei e il principe. La sera prima la giovane catechizza il principe affinché non faccia brutte figure, poi arriva il ricevimento e il principe, trasportato dalla sua ingenuità, finisce per fare una figura pessima. Aglaja tenta poi di spingere il principe a scegliere tra lei e Nastas'ja. Intuisce infatti che l'altra donna è qualcosa di diverso da una rivale in amore, non capisce però quelli che sono i sentimenti reali del suo amato. Il principe però, nonostante la ami, cede alla compassione e sceglie Nastas'ja. La delusione in Aglaja sarà grandissima ed andrà in depressione. Sposerà poi un nobile polacco, salvo poi scoprire successivamente che non si tratta di un nobile e finire abbandonata anche da quest'ultimo.

Nel corso delle vicende è ben evidente la contrapposizione tra la grande bontà del principe Myskin e la Russia preda di usurai e persone avide. Per accentuare tale contrapposizione, Dostoevskij inserisce spesso vicende di cronaca nera causate dalla sete di denaro. Il principe è perciò la speranza dell'umanità, la via da seguire per uscire dalla corruzione, e questo rende la sua figura ancor più simile a quella di Cristo. Non manca però il pessimismo perché, come già scritto sopra, il sacrificio del principe si rivela vano e nemmeno viene compreso. All'inizio della vicenda il principe Myskin viene definito un idiota e questo alla fine non cambia, quindi a parte Nastas'ja e Aglaja nessuno percepisce davvero la reale grandezza dell'uomo. 

Francesco Abate

venerdì 26 febbraio 2016

FOTOGRAFIA: PABLO ERNESTO PIOVANO E LE FOTO ANTI-ROUNDUP

Pablo Ernesto Piovano è un fotoreporter argentino che nel 2014 ha deciso di documentare le condizioni di quei suoi connazionali che vivono nelle vicinanze di campi coltivati con l'uso di massicce dosi di erbicida Roundup. Il Roundup è un erbicida a base di glifosato (il principio attivo diserbante più usato al mondo e oggi classificato come potenzialmente cancerogeno) prodotto dalla Monsanto e usato in dosi massicce sulla soia OGM prodotta in Argentina.

Attraverso le sue foto, Piovano ha voluto denunciare una correlazione tra terribili malformazioni e il massiccio utilizzo dell'erbicida incriminato.

Piovano ha così creato un reportage dal titolo "El costo humano de los agrotòxicos" ("Il costo umano dei pesticidi"), esposto al Festival della fotografia etica di Lodi nel 2015. Piovano ha sostenuto che questo reportage è il suo contributo "affinché tutto questo finisca".

Il reportage riporta immagini crude che mostrano con crudezza le sofferenze dei soggetti fotografati. Protagonisti sono in buona parte i bambini, ripresi nella loro quotidiana sofferenza. Ciò che si prova guardando le foto scattate da Piovano è l'angoscia tipica di un'esistenza segnata dalla menomazione, dall'isolamento e spesso dalla consapevolezza di una morte precoce. Il fatto poi che buona parte dei soggetti siano bambini mostra come siano i più vulnerabili a soffrire degli effetti devastanti del pesticida.

Il reportage di Piovano ha ottenuto un discreto successo ed ha vinto premi come il Festival Internacional de la Imagen, in Messico, e si è piazzato al terzo posto del concorso POY Latam. 

Di sicuro non basterà il reportage a permettere il bando degli erbicidi né a bloccare il loro abuso, inoltre i produttori degli stessi ancora oggi negano che vi siano prove scientifiche sulla correlazione tra glifosato e problemi alla salute come tumori o malformazioni. Se il reportage di Piovano non servirà a risolvere il problema dei pesticidi, può comunque servire a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle sofferenze quotidiane che affliggono milioni di persone esposte loro malgrado a sostanze tossiche. Già questo potrebbe favorire un serio lavoro che porti a superare la concezione della salute come qualità sacrificabile in nome del profitto.

Francesco Abate

giovedì 18 febbraio 2016

LETTERATURA: STUDIO DI MADAME BOVARY DI FLAUBERT

Il soggetto dell’opera fu ispirato da un fatto di cronaca dell’epoca: il suicidio di una giovane donna, moglie dell’ufficiale sanitario di un villaggio normanno.

Nel romanzo la donna è Emma Bovary, la cui sensibilità romantica si scontra con la mediocrità del marito e della realtà circostante. Disgustata dalla realtà in cui vive, si tuffa in avventure amorose che però carica di significati fantastici e sublimi che esse non hanno, finendo ancor più delusa e portando la famiglia alla rovina e sé stessa al suicidio.

Il tono neutro della narrazione e il rifiuto delle facilità romantiche conferiscono all’opera un’estrema precisione. L’analisi psicologica dei personaggi è molto precisa e c’è una continua satira di costume contro il gretto mondo borghese e provinciale del Secondo Impero.


Tema centrale del romanzo di Flaubert è di certo la distanza tra il mondo reale e quello romantico. Emma Bovary vive degli ideali romantici, finendo così per scontrarsi duramente con la mediocre realtà della provincia normanna. Lei ha sempre sognato ciò che ha letto nei libri e quello insegue, disgustata invece da ciò che ha, un marito mediocre e poco ambizioso ed una vita in uno squallido borgo di provincia. Se l’atteggiamento di Emma Bovary si può interpretare come una critica alla società borghese della Francia post-rivoluzionaria, è pur vero che esso può essere inteso come una critica stessa agli ideali romantici. Emma, delusa dalla mediocre realtà, decide di inseguire quegli ideali che ha sempre sognato, finendo così per scollegarsi dalla realtà, per essere ingannata da opportunisti che il romanticismo lo sfruttano per appagare i loro istinti bestiali, finendo per rovinare sé stessa (fino a darsi la morte) e la propria famiglia. Il messaggio di Flaubert si potrebbe quasi interpretare come un invito a non fuggire nell’irrazionale rifiuto della realtà, egli infatti ci mostra attraverso le vicende di Emma Bovary come ciò possa causare solo danni. Bellissime sono le fasi in cui prima Rhodolphe, poi Leon, corteggiano Emma: nel corso dei dialoghi Flaubert sottolinea magistralmente la contrapposizione tra l’estasi amorosa irrazionale della donna (tutta presa ad adorare ed essere adorata) e l’opportunismo dei due uomini che la guardano, ragionano, scelgono cosa dire e cosa non dire (a differenza di Rhodolphe, Leon rimane un po’ succube, ma di certo è ben lontano dall’essere davvero innamorato, paga semplicemente la giovane età ed il bisogno dell’autore di non rendere uguali due figure completamente differenti, l’uomo benestante e navigato e il giovanotto poco esperto).

Anche i personaggi “minori” del romanzo offrono però importanti spunti di riflessione.

Charles Bovary è un uomo mediocre senza ambizioni e senza talenti. Studia medicina perché così vuole la madre, sposa la prima moglie sempre per assecondare il volere della madre, invece Emma è una sua scelta, fatta però senza tanta meditazione. È un medico discreto, né troppo scarso né troppo bravo, l’unico azzardo in cui si lancia (un’operazione delicata ad un ragazzo zoppo a causa di una malformazione) è pensato dal farmacista e finisce per essere un disastro. Subisce i tradimenti della moglie e lo sfascio della famiglia senza battere ciglio, non scopre nulla perché in fondo non ha il coraggio di scoprirlo. Solo dopo la morte della moglie, per caso, scopre i tradimenti subiti, ma incolpa il destino e non si abbandona né alla vendetta contro chi aveva approfittato della moglie né al perdono di colei che l’aveva tradito (infatti non la perdona, semplicemente non le riconosce colpa). Charles è l’esatto opposto della moglie Emma. Se lei è il rifiuto totale della realtà, lui è l’incarnazione della mediocrità che la realtà pervade. Non ha ideali, non ha ambizioni, non ha capacità, è anonimo come il borgo in cui trova casa e lavoro: egli non vive, semplicemente sopravvive. È un uomo la cui unica utilità e il cui unico scopo è stato il matrimonio, persa la moglie egli infatti non ha più ragioni per vivere e finisce per spegnersi poco tempo dopo.

La madre di Charles Bovary è un altro personaggio estremamente interessante. Ella è una donna fallita che riversa le sue ambizioni frustrate sul figlio, vuole che lui eccella perché lei non ha potuto eccellere, vuole il successo del figlio affinché questo oscuri il suo insuccesso. Ella si dedica al figlio non per amore, ma per un suo appagamento. Si tratta forse della figura più moderna, insieme a quella di Charles, del romanzo, infatti presenta una maternità distorta, fatte di cure date per un fine diverso dall’amore materno, e con le sue pressanti aspirazioni finisce per annullare la già debole personalità del figlio. Il suo modo di fare è però controproducente, infatti rende il figlio inadatto alla vita, ponendo così le basi del suo tracollo, e vedendolo spegnersi per colpa della moglie da cui non ha saputo difendersi ella vede franare tutte le speranze che in lui aveva riposto. Emblematico è il destino della donna, che muore poco tempo dopo la morte di suo figlio.

Il padre di Charles Bovary è un'altra figura inserita nel romanzo per mostrare l’imbruttimento dell’essere umano nella società moderna, egli ama godersi virtù che non si può permettere, vuole apparire raffinato finendo però per evidenziare i suoi mille difetti.

Importanti sono anche le figure del parroco e del farmacista. Il primo è espressione della fede che ormai non sa più giustificare sé stessa, infatti non riesce a rispondere in modo efficace alle critiche mosse alla religione dal farmacista che, a sua volta, è l’immagine della corruzione subita dalla scienza. Il farmacista non usa la scienza per sapere, ma la usa per avere riconoscimenti e successo, infatti egli si preoccupa più di scrivere sui giornali per pubblicizzarsi che di portare effettivamente avanti qualcosa, cerca di strafare spingendo il dottor Bovary ad un’operazione rischiosa che costringe un povero ragazzo ad usare una gamba di legno, ed alla fine si prodiga con tutte le sue forze per ottenere la Legion d’Onore, nonostante nel suo campo abbia fatto poco o nulla di innovativo. Se il parroco è la fede irrazionale e senza difese, il farmacista è la scienza piegata all’interesse, alla voglia di fama, ben lontana dalla conoscenza acquisita per amore della stessa (quella dei filosofi) o per il miglioramento dell’umanità (quella degli scienziati).

C’è poi il mercante senza scrupoli, che non si fa scrupoli nello sfruttare l’ingenuità dei coniugi Bovary e i loro problemi familiari per lucrare, arrivando fino a rovinarli pur di avere un guadagno. Egli rappresenta l’imbarbarimento causato dal denaro.

Rhodolphe e Leon sono i due “veri” romantici. Essi non condividono per nulla gli ideali di Emma, li usano solo per sedurre ingenue donne che in quelle cose credono. Sono due opportunisti, il primo più distaccato e navigato, che senza scrupoli abbandona la povera Emma con una lettera piena di bugie, il secondo più giovane e ingenuo, che fugge dal rapporto con Emma quando la sente troppo “presa”. Essi non maturano alcun senso di colpa, Rhodolphe finisce addirittura per disprezzare Charles per la mancata vendetta. Nemmeno si presentano ai funerali di Emma, loro che le avevano giurato eterno amore.


Come nelle principali opere di Flaubert, il linguaggio è molto ben curato, così come le descrizioni degli ambienti. Molto accurata è la descrizione psicologica dei personaggi, a volte esposta attraverso la loro percezione dell’ambiente circostante.

Francesco Abate

venerdì 12 febbraio 2016

LETTERATURA: STUDIO DE "LA FATTORIA DEGLI ANIMALI" DI GEORGE ORWELL

"La Fattoria degli Animali" è una favola politica scritta sotto forma di allegoria. Il romanzo narra di una fattoria in cui gli animali si ribellano e cacciano il proprietario, il signor Jones, per poi creare una società di animali guidata da animali.

Nella vicenda è chiaro il riferimento all'Unione Sovietica, rappresentata dalla fattoria in questione. La rivolta degli animali rappresenta la rivoluzione di ottobre, cioè la rivolta dei bolscevichi e del popolo russo contro lo zar. La rivolta degli animali è propiziata dal sogno del Maggiore, un vecchio maiale che nell'allegoria rappresenta Lenin e le sue teorie, che furono alla base della rivoluzione bolscevica in Russia. Dopo la cacciata del signor Jones, la fattoria è guidata dai maiali secondo il principio dell'uguaglianza di tutti gli animali. Col passare del tempo, però, i maiali stessi trasformano il proprio ruolo da guide della rivoluzione a leader, manifestano comportamenti sempre più dittatoriali e finiscono per trattare i loro compagni rivoluzionari peggio di come li trattava il signor Jones. Anche qui è chiaro il giudizio di Orwell sulla rivoluzione bolscevica, che partì col proposito di creare la dittatura del proletariato e finì per essere dittatura SUL proletariato, giudizio espresso tra l'altro anche dal filosofo comunista Karl Korsch.

Tutta la vicenda narrata dal romanzo è una trasposizione allegorica delle vicende russe, così ogni personaggio finisce per rappresentare personaggi o categorie di spicco della Russia pre e post-rivoluzionaria. I due personaggi principali, i maiali Napoleone e Palladineve, rappresentano Stalin e Trotzky. Nel romanzo Napoleone è il più cinico, quello più concentrato al mantenimento del potere conquistato con la rivolta, mentre Palladineve è quello più idealista. I due vanno in contrasto, alla fine il primo scaccia il secondo accusandolo di tradimento. La vicenda richiama chiaramente i contrasti tra Stalin e Trotzky, uno concentrato a mantenere saldo il potere del partito in Russia e l'altro intenzionato ad esportare la rivoluzione nel resto del mondo, con quest'ultimo che finì prima esiliato e poi ucciso da un sicario.
Anche la propaganda comunista è rappresentata nell'allegoria orwelliana. Nel romanzo compare Piffero, incaricato di stravolgere e cambiare in continuazione le notizie in modo tale da tenere sempre vivo il consenso degli animali. Grazie a lui i maiali riescono a non far percepire agli altri animali la deriva autoritaria del loro governo.
Napoleone è sempre scortato da cani feroci, che non esitano a sbranare animali colpevoli solo di aver dissentito al termine di processi farsa. Chiaro è il riferimento di Orwell al KGB ed alle purghe staliniane. Orwell fu il primo intellettuale europeo di sinistra a denunciare le purghe staliniane e lo fece in un clima che lui stesso definì di autocensura di tutto ciò che poteva essere sgradito all'alleato sovietico. Il romanzo fu infatti scritto durante la Seconda guerra mondiale, l'Inghilterra era alleata dell'URSS e molti editori rifiutarono la pubblicazione del romanzo (poi pubblicato nel '44) percependone il chiaro senso anti-bolscevico.
Tra i personaggi minori della vicenda c'è il corvo Moses, che nell'allegoria rappresenta la chiesa ortodossa, prima cacciata dalla rivoluzione e poi riammessa, seppur con ruolo marginale. L'aristocrazia russa è rappresentata invece dalla cavallina viziata Molly, che fugge dalla fattoria per non perdere i propri privilegi, così come gli aristocratici russi cercarono riparo in tutta Europa per non perdere i loro. Boxer, il cavallo fortissimo e instancabile, rappresenta Stakanov e tutta la classe lavoratrice russa, si lascia infatti sfruttare in ogni modo convinto di lavorare per una giusta causa, poi finisce tradito e abbandonato quando diventa inabile al lavoro. Ci sono poi le pecore, che cambiano opinione così come cambia la versione del regime, e rappresentano la massa acritica della popolazione russa. 
I confinanti della fattoria sono il signor Frederick e il signor Pilkington, rappresentano rispettivamente la Germania e la Gran Bretagna. Come la Russia nella storia si alternò tra patti con la Germania hitleriana e alleanze con Gran Bretagna, prima del calo della famosa "cortina di ferro" (che ancora non era avvenuto, essendo ancora in corso la Seconda guerra mondiale), così i maiali oscillano tra alleanze con Frederick e con Pilkington. 

Il finale della vicenda mostra con chiarezza l'idea che Orwell aveva sulla rivoluzione bolscevica. Il romanzo si chiude con l'immagine dei maiali che banchettano, seduti a tavola come umani e sembrano umani, pare che abbiano perso le loro sembianze animali. L'idea dell'autore è quindi che i bolscevichi, che si proposero al popolo russo come alternativa al capitalismo, erano diventati esattamente come i capitalisti: godevano di privilegi e ricchezze raccolti grazie allo sfruttamento del popolo. Con questo romanzo, e i contenuti in esso espressi, Orwell si unì a quella folta schiera di intellettuali comunisti (di cui ho citato prima Korsch) critici nei confronti di Lenin, dello stalinismo e della dittatura comunista in Russia.

Francesco Abate

martedì 9 febbraio 2016

FILOSOFIA: L'UOMO A UNA DIMENSIONE DI HERBERT MARCUSE

Herbert Marcuse fu uno dei principali esponenti della Scuola di Francoforte. L'opera che lo rese famoso fu "L'uomo a una dimensione", pubblicata nel 1964.

Per Marcuse l'uomo a una dimensione è l'uomo che vive in una società a una dimensione, una società senza opposizione che ha paralizzato la critica attraverso un controllo totale. Nella società tecnologica avanzata l'apparato produttivo diventa totalitario, cioè non determina soltanto le occupazioni e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. Attraverso la fatica e il lavoro essa manipola i bisogni e domina tutte le sfere dell'esistenza privata e pubblica, integra ogni opposizione e assorbe in sé ogni alternativa. La mente e il corpo dell'uomo sono tenuti in uno stato di mobilitazione permanente per la difesa di questo universo politico.

Marcuse pensava che il progresso tecnologico avesse generato le premesse per la liberazione della società dall'obbligo del lavoro, per la nascita del regno del libero gioco delle facoltà individuali che, liberamente espresse, avrebbero dato nuove forme alla scoperta del mondo. Il potere, conscio delle potenzialità create dalla tecnologia e della possibilità che il sistema crollasse, ha creato uno stato di necessità che rendesse possibile il mantenimento dello status quo.

La lotta per mutare questo universo deve seguire strade nuove, non va bene per Marcuse quella che seguì Marx. I mezzi tradizionali di protesta sono resi inefficaci dalle tendenze totalitarie della società unidimensionale. Per Marcuse la speranza è riposta nei reietti e negli stranieri, negli sfruttati e nei perseguitati, nei disabili e nei disoccupati. Essi sono al di fuori del processo democratico e sono la dimostrazione lampante della necessità che sia posta fine a condizioni intollerabili. La loro opposizione non è sviata dal sistema perché lo colpisce dal di fuori, è una forza elementare che viola le regole del gioco e mostra che il gioco stesso è truccato. Quando questi reietti scendono in piazza a protestare, a reclamare per i propri diritti, rifiutano di prendere parte al gioco è questo può essere l'inizio della fine di un periodo. Essi danno la vita per il Grande Rifiuto.

Francesco Abate