venerdì 29 maggio 2015

PITTURA: CARLO CRIVELLI

Pittore italiano (Venezia, circa 1430 – Ascoli, circa 1493). Scarse sono le notizie biografiche sulla sua formazione, ma dall’analisi delle sue prime opere certe (tra cui la “Madonna col Bambino e i simboli della Passione”) appaiono i suoi legami con la cultura padovana, con riferimenti precisi al Mantegna e allo Squarcione. Lasciò Venezia all’inizio degli anni Sessanta, si stabilì prima a Zara, poi nelle Marche, dove eseguì la maggior parte dei suoi lavori.

I suoi dipinti sono dipinti in uno stile che unisce i dettami della nuova scienza rinascimentale della prospettiva e della nitida modellazione dei volumi a un gusto tardo-gotico per il particolare inconsueto, per il minuzioso decorativismo, per la delicata e preziosa gamma dei colori e per la partitura a polittico (composizione suddivisa in più elementi, destinata all’altare di una chiesa). Lo stile rimane uniforme lungo tutta la vita del Crivelli, nelle ultime composizioni si nota solo maggiormente l’influenza ferrarese con una linea più incisiva. Nelle ultimissime opere del Crivelli si vede un’involuzione, un’eccessiva ricerca del virtuosismo tecnico.

Opere importanti di Crivelli sono: “Madonna col Bambino e i simboli della Passione” (1475, Verona, Museo di Castelvecchio), il polittico della chiesa parrocchiale di Massa Fermana (1468), polittico della chiesa parrocchiale di Porto San Giorgio (1470, ora smembrato in vari musei), polittici delle chiese di San Francesco a Montefiore dell’Aso e nella cattedrale di Ascoli Piceno (1472-73), “L’Annunciazione” (1468, Londra, National Gallery).

Il fratello minore Vittore eseguì numerosi dipinti fortemente influenzati dallo stile del fratello.

Francesco Abate

giovedì 28 maggio 2015

STORIA: CONFRONTO TRA IL FRONTE DELL’UOMO QUALUNQUE E IL MOVIMENTO 5 STELLE

L’esplosione dei movimenti popolari nella politica di varie nazioni, fenomeno divenuto evidente con il boom del Movimento 5 Stelle in Italia e con Podemos in Spagna, non è una novità storica. Tenendoci solo in Italia, già nel 1946 vi fu un esperimento paragonabile a quello odierno dei “pentastellati”, la nascita de Il Fronte dell’Uomo Qualunque.

Il Fronte fu fondato dallo scrittore, giornalista e drammaturgo italiano Guglielmo Giannini e fu il prodotto dell’evoluzione del settimanale L’Uomo Qualunque, fondato dallo stesso Giannini poco meno di due anni prima. Qui già è possibile individuare una prima similitudine tra il Fronte e il Movimento di Grillo, infatti anche il M5S è il prodotto delle esperienze e delle opinioni maturate durante l’attività del blog del comico genovese Beppe Grillo. In entrambi i movimenti troviamo quindi un uomo di cultura che, attraverso un mezzo di comunicazione, raccoglie il malcontento della società nei confronti di una politica distante e fonda un movimento politico.

Ovviamente diversi sono i periodi storici e diversi i contesti, però è possibile anche qui trovare un collegamento. Giannini infatti emerse in un momento in cui la politica era in macerie e la distanza della stessa dalla gente comune era abissale, si usciva infatti da venti anni di dittatura fascista che avevano portato la guerra e la devastazione in Italia. Anche Grillo si è trovato ad operare in un contesto simile, infatti la politica degli anni 2000 era in macerie a causa di Tangentopoli e del palese fallimento della Seconda Repubblica, affogata tra corruzione e inettitudine della classe dirigente, si era in pieno berlusconismo e all’alba del renzismo. In entrambi i casi quindi il popolo percepiva una distanza abissale tra sé e una politica che appariva chiusa in sé stessa e sorda alle voci provenienti dal basso.

Il Fronte di Giannini ottenne un grande successo alle elezioni del 2 giugno 1946, mandando ben trenta deputati all’Assemblea costituente. Anche le successive elezioni amministrative videro un’ottima affermazione del Fronte, specie al sud, ma tutto fu distrutto dalle divisioni che sorsero in seno al partito nel momento in cui si dovette affrontare il nodo delle alleanze. Alle elezioni del 1948 il Fronte entrò infatti nel Blocco Nazionale, una coalizione di centrodestra, ma la mossa causò malcontento e delusioni che lentamente portarono al disfacimento del partito. Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto a sua volta un clamoroso successo alle elezioni politiche, successo sicuramente più roboante rispetto a quello del fronte, ma c’è da considerare che con internet e i social network la copertura mediatica era sicuramente diversa rispetto al 1946/48. Come il Fronte, anche il movimento di Grillo ha conosciuto divisioni al momento di stabilire le politiche e le alleanze, cosa che ha portato ad una perdita di consensi registrata in occasione delle elezioni europee. Così come il Fronte del 1946, il Movimento 5 Stelle vanta un programma apprezzato dai lettori del blog (scritto da loro nel corso di varie consultazioni), ma non tutti i parlamentari del movimento lo hanno poi condiviso del tutto (venendo espulsi) e nei casi di decisioni non programmate da prendere in poco tempo sono emerse non poche divisioni. Anche il nodo alleanze ha creato diversi grattacapi al Movimento. Se in Italia i grillini procedono da soli, coerentemente a quanto dichiarato in partenza, in Europa il leader Beppe Grillo ed i suoi sostenitori hanno subito avvertito l’esigenza di allearsi con gruppi di altri paesi così da rafforzare il proprio peso politico all’interno delle istituzioni. Il problema è stato però che Grillo, insieme ad una buona parte del suo gruppo dirigente, subito si è orientato verso l’UKIP del britannico Nigel Farage, mentre il “popolo” del blog e una consistente parte degli eurodeputati propendevano per i Verdi europei. Alla fine, come da statuto del blog, si è ricorso al voto sul blog per stabilire le alleanze, ma con una decisione poco democratica Grillo non ha inserito i Verdi europei tra le scelte, spianando così la strada per la vittoria dei sostenitori dell’UKIP e aprendo un dibattito sull’eccessiva invadenza della sua figura.

Bisogna tenere conto del fatto che nei movimenti come il Fronte dell’Uomo Qualunque o il Movimento 5 Stelle le divisioni sono fisiologiche, infatti si va a raccogliere un vasto bacino di sostenitori cavalcando la rabbia popolare, prescindendo da discorsi ideologici, finendo così per unirsi tutti al fine di cambiare le cose, senza però avere un’idea comune sulla strada da seguire. Il Movimento 5 Stelle è riuscito a sopravvivere agli scossoni causati dalle numerose divisioni, forte di un consenso più ampio e di una forza comunicativa maggiore data dall’utilizzo delle nuove tecnologie, il Fronte dell’Uomo Qualunque invece è franato di fronte ai primi dissensi e Giannini finì col candidarsi nella DC.

Se tra i due leader dei rispettivi movimenti, Giannini e Grillo, c’è la grande differenza che il primo si candidò in prima persona mentre il secondo si limita a coordinare, una similitudine è riscontrabile tra il destino di Giannini e un tentativo di Grillo fatto prima della nascita ufficiale del Movimento 5 Stelle. Giannini finì infatti con il candidarsi nella DC, intenzionato evidentemente a cambiare il sistema entrandovi dentro, senza l’effettivo appoggio del Fronte ma con la spinta dei qualunquisti; Beppe Grillo nel 2009 si candidò alle primarie del PD, intenzionato appunto a cambiare le cose da dentro con l’appoggio ideologico dei tanti sostenitori del suo blog (il Movimento non esisteva ancora, però erano già presenti e forti sul territorio molte liste civiche 5 Stelle), ma la sua domanda di iscrizione al partito fu respinta e l’anno dopo nacque il Movimento 5 Stelle.

Francesco Abate

martedì 26 maggio 2015

LETTERATURA: STUDIO DE “UNA PICCOLA NUBE” DI JAMES JOYCE

Questo racconto fu scritto da James Joyce tra febbraio e marzo del 1906 e fu subito incluso in quello che è uno dei più famosi lavori dello scrittore irlandese, Gente di Dublino.

Il racconto narra dell’incontro a Dublino tra due vecchi amici, Gallagher e Chandler. Il primo ha lasciato anni prima la città per trasferirsi a Londra, dando il via ad una luminosa carriera, il secondo invece vive una vita media a Dublino. Gallagher viaggia, vive una vita interessante, ha visto tante cose in diverse parti del mondo e si gode una vita luminosa. Incontrando il vecchio amico, Chandler sente il peso della paralisi in cui è impantanata la sua vita. La paralisi è il tema dominante del racconto, così come di tutto Gente di Dublino. L’incontro tra i due, che appunto sono vecchi amici, ha effetti terribili sul morale di Chandler che sente quanto immobile e vuota sia la sua vita. Tornato a casa, egli percepisce anche la sua famiglia come una catena che lo tiene paralizzato, tenta infatti di leggere una poesia (sua vecchia passione) ma subito il pianto convulso del figlio piccolo glielo impedisce.

Nel racconto, come in tutta l’opera, Dublino è il centro della paralisi. Gallagher andando via è riuscito a costruirsi una vita dinamica e interessante, avendo successo nel lavoro e riuscendo a godersi i suoi vizi. Chandler invece è rimasto a Dublino, successo non ne ha avuto, ha finito per mettere su famiglia e deve rinunciare anche all’esercizio hobbistico delle stesse a causa dei vincoli familiari (come si vede chiaramente nell’episodio finale del pianto del figlioletto). Interessante è anche il confronto tra i due protagonisti proprio sulla famiglia, quando Chandler (un po’ geloso del successo dell’amico) predice all’amico che metterà su famiglia e Gallagher risponde che non prenderà moglie se non in tarda età. Entrambi vedono la famiglia come un elemento favorevole alla paralisi, infatti Chandler sbandiera l’ipotesi all’amico come una minaccia, l’altro la respinge perché vuole godersi la vita. Poi l’episodio finale chiarisce senza ombra di dubbio come Chandler, e forse lo stesso Joyce, veda la famiglia come una catena.

L’episodio finale, quello che mostra come Chandler sia incatenato alla propria vita paralizzata, è ancor più efficace perché in antitesi ai pensieri che Chandler stesso sviluppa mentre cammina verso il luogo dell’appuntamento con l’amico. Chandler infatti pensa, ricordando il successo di Gallagher, di ricominciare a scrivere poesie e sogna di avere un grande successo, alla fine però i suoi sogni franano sulla sua famiglia non appena ritorna a casa.

Francesco Abate

venerdì 22 maggio 2015

LETTERATURA: STUDIO DELLA "NOVELLA DELL'AVVENTURIERO" DI ARTHUR SCHNITZLER

La "Novella dell'avventuriero" fu l’ultimo scritto di Schitzler, pubblicato dopo la sua morte avvenuta nel 1931. La novella è incompleta, dopo la predizione di Geronte la trama può essere dedotta solo leggendo lo schizzo che l’autore aveva fatto per poi sviluppare l’opera.

Questa novella è ambientata nel nord Italia del ‘500. Anselmo Rigardi, giovane membro di una nobile famiglia ormai decaduta, perde entrambi i genitori a causa della peste che colpisce la città di Bergamo. Rimasto solo, decide di avventurarsi in un viaggio per vivere avventure. In questo suo peregrinare si imbatte in Geronte, un uomo capace di predire il momento esatto della morte di chiunque si trovi davanti. Costui, irritato dal fatto che Anselmo abbia passato la notte con la figlia, gli predice la data in cui morirà. Anselmo va via e rimane coinvolto nelle dispute che viveva il suo paese, uccide il principe ereditario e per questo si trova al comando dell’esercito che dovrà combattere un altro pretendente, alla fine vince e viene proclamato re. Intanto viene a sapere che Lucrezia ha avuto un bambino da lui e Geronte, suo prigioniero, gli rivela che la sua profezia era falsa dato che al momento in cui la formulò per lui provava odio e non era in grado prevedere la morte di chi amava o odiava. Anselmo, però, credendo di essere prossimo alla morte aveva ingerito del veleno, quindi muore nel giorno previsto da Geronte. 

L’ambientazione della novella appare comunque più vicina al mondo dei sogni che non a quello della realtà. In tutto il racconto, o almeno nella parte completata, la descrizione degli spazi e dei tempi in cui si svolge la vicenda avviene in modo molto impreciso, si può intuire che è giorno o che è notte, o se ci si trova in ambiente chiuso o aperto, ma è praticamente impossibile stabilire con precisione qual è il luogo o il tempo in cui avviene la vicenda narrata. È come avviene nei sogni, in cui la percezione degli spazi e del tempo non è precisa, infatti noi sogniamo un ambiente chiuso o aperto, ma difficilmente nel sogno le immagini ed i contorni sono ben definiti, lo stesso accade per il tempo. Nel sogno tutto è concentrato sulla vicenda centrale e sugli stati d’animo, il resto è una cornice ed ha poca importanza. Così avviene in questa novella, tutto ciò che accade è descritto con precisione, tutto ciò che prova Anselmo è descritto con precisione, i luoghi ed i tempi invece sono appena accennati.

I temi trattati dalla novella sono:
1)      Desiderio di libertà = infatti Anselmo si sente libero da ogni vincolo quando perde i genitori e ciò prevale perfino per il dolore causatogli dalla perdita;
2)  Mancanza di speranza = infatti nonostante Anselmo decida di non attendere la morte per pestilenza, finisce comunque per morire giovane; inoltre lui beve il veleno perché non sopporta l’angoscia datagli dalla predizione di Geronte, però muore comunque nella data prevista dalla predizione che inoltre era falsa;
3)   Precarietà dei sentimenti amorosi = Anselmo aveva una fidanzata che, però, morì annegata; passa la notte con Anita ma poi fugge da lei perché la percepisce come un ostacolo; si innamora di Lucrezia, da cui ha anche un figlio, ma questa lo caccia per non dar dispiacere al padre e poi questo amore lo porta alla morte;
4) Solitudine = Anselmo è solo finché vuole esserlo, ma anche quando poi cerca contatti resta sempre solo nella sua avventura.

Francesco Abate

giovedì 21 maggio 2015

FILOSOFIA: LO STATO ASSOLUTISTICO E IL LEVIATANO DI THOMAS HOBBES

Alla base della costruzione di Hobbes della società ci sono due presupposti:
1)      Pur essendo relativi tutti i beni, vi è tuttavia fra di essi un primo ed originario bene, che è la vita e la conservazione della medesima (così come un primo male, che è la morte);

2)      In secondo luogo egli nega che esistano una giustizia ed una ingiustizia naturali, dato che non ci sono “valori assoluti”. Giustizia e ingiustizia sono frutto di “convenzioni” stabilite da noi stessi, sono quindi conoscibili in maniera perfetta e a priori, insieme a tutto ciò che da esse scaturisce.

“Egoismo” (il primo presupposto) e “convenzionalismo” (il secondo) sono i cardini della nuova scienza politica.

Hobbes contesta il pensiero aristotelico, che vedeva l’uomo come “animale politico” fatto per vivere in una società strutturata. Per Hobbes ciascun uomo è profondamente diverso dagli altri uomini e quindi da esso staccato, è un “atomo di egoismo”.

Ciascun uomo non è affatto legato agli altri uomini da un consenso spontaneo come quello degli animali, che si basa su di un “appetito naturale”, per le seguenti ragioni:
1)      Fra gli uomini ci sono motivi di contesa che non ci sono fra gli animali;
2)      Il bene dei singoli animali non differisce dal bene comune, nell’uomo invece il bene privato differisce da quello pubblico;
3)      Gli animali non scorgono difetti nella loro società, gli uomini invece si e per questo cercano di introdurre sempre novità che sono alla base di discordie e guerre;
4)      Gli animali non hanno la parola, che nell’uomo è spesso “tromba di guerra e di sedizione”;
5)      Gli animali, a differenza degli uomini, non si biasimano tra loro;
6)      Negli animali, a differenza che nell’uomo, il consenso è naturale.
Lo Stato dunque non è naturale, ma artificiale.

Secondo Hobbes la condizione in cui gli uomini naturalmente si trovano è quella di una guerra tutti contro tutti. Ciascuno infatti tende ad appropriarsi di ciò che gli serve e la natura non pone limite a ciò che si può possedere, quindi ognuno ha diritto su tutto. In tale situazione è costante per l’uomo il pericolo di perdere il bene primario, cioè la vita, ed egli vive nel costante terrore di perderla violentemente.
L’uomo esce da questa condizione facendo leva sugli istinti, cioè il desiderio di evitare la guerra continua e quello di avere il necessario alla propria sopravvivenza, e sulla ragione, non intesa come valore in sé, ma come strumento per realizzare i desideri di fondo. Così nascono le “leggi di natura”, che non sono altro che razionalizzazione dell’egoismo, che permettono di realizzare il desiderio dell’autoconservazione. Una legge di natura è un precetto o una regola generale scoperta dalla ragione, che vieta ad un uomo di fare ciò che è lesivo della sua vita o che gli toglie i mezzi per preservarla, e di omettere ciò con cui egli pensa possa essere meglio preservarla.

Nel Leviatano Hobbes elenca 19 leggi:
1)      Sforzarsi di cercare la pace;
2)      Rinunciare al diritto su tutto, ogni uomo si accontenti di avere la libertà che è disposto a concedere agli altri uomini. (per Hobbes questa è la legge del Vangelo)
3)      Adempiere ai patti fatti. (così nascono giustizia ed ingiustizia)
4)      Restituire i benefici ricevuti, così che non si pentano di averli fatti.
5)      Ciascun uomo deve adattarsi agli altri. (nascono così socievolezza e il suo contrario)
6)      Si perdonino coloro che, pentendosi, lo desiderano.
7)      Nelle vendette (o nelle punizioni) non si guardi la male passato ricevuto, ma al bene futuro.
8)      Non dichiarare odio o disprezzo per gli altri.
9)      Ogni uomo riconosca gli altri uguali a sé per natura.
10)   Nessuno pretenda di vedersi riservato un diritto che non sarebbe contento fosse riservato a qualcun altro.
11)   Colui a cui è affidato il compito di giudicare tra due uomini, deve comportarsi in maniera equa tra i due.
Le altre otto prescrivono l’uso comune delle cose indivisibili, l’affidamento alla sorte della fruizione dei beni indivisibili, il salvacondotto per i mediatori di pace, l’arbitrato, le condizioni di idoneità a giudicare equamente e la validità della testimonianza.
Queste leggi però non bastano, infatti i patti non servono a niente senza una spada che ne imponga l’osservanza, quindi serve un potere che imponga il rispetto delle stesse. Tra i cittadini si stipula il patto sociale, ma deve esserci un sovrano (o un’assemblea) che è al di fuori del patto, entrandoci infatti genererebbe contrasti nella gestione del potere. Egli è depositario dei diritti dei cittadini, è l’unico a mantenere tutti i diritti, mentre è depositario delle rinunce dei cittadini, è al di sopra della giustizia, tutti i poteri sono concentrati nelle sue mani ed anche la Chiesa deve essergli soggetta, lui è anche arbitro in materia di religione, dogma e interpretazione delle Sacre Scritture.
Hobbes affida allo stato il nome “Leviatano” (letteralmente significa “coccodrillo”, è un mostro invincibile descritto nel libro di Giobbe, capp. 40-41). Lo designa anche come “dio mortale”, perché a lui dobbiamo la pace e la nostra sopravvivenza (al di sopra dello stato vi è solo il Dio immortale). Lo Stato che ha concepito è per metà mostro e per metà dio mortale.

Francesco Abate

martedì 19 maggio 2015

LETTERATURA: STUDIO DEI PERSONAGGI DEL ROMANZO ANNA KARENINA DI LEV TOLSTOJ

Anna Karénina è un romanzo che racconta diverse storie intrecciate tra loro.

Anna Karénina è la donna sposata che cede alla passione per il conte Vrònskij. Lei abbandona il matrimonio perfetto per la società, si inimica la società retta dalle sue convenzioni e segue il suo cuore. Ad Anna però succede che la lontananza dalla società, il suo isolamento, la rendono dipendente dall’amore del suo amante, finendo così per essere terrorizzata dall’idea di perderlo al punto da diventare paranoica, ed arrivare infine al suicidio per disperazione e per punire l’amante che non l’amava più (secondo lei). La vicenda di Anna mostra quanto sia errato abbandonarsi alla passione del momento, si finisce addirittura per vivere peggio di chi è intrappolato nelle fredde convenzioni.


Levin è il personaggio che rappresenta di più Tolstòj (è evidente già dalla similitudine dei nomi di battesimo). È un uomo semplice, di nascita nobile che però si dedica con impegno alla gestione della sua azienda (dopo la parentesi dissoluta, anche l’autore lo fece), che quasi odia o comunque non ritiene legittima la sua condizione agiata e che dapprima è non credente per poi finire convertito da un’illuminazione. Levin è anche il personaggio che trova il vero amore, un sentimento magico che nasce nel tempo e resiste a diverse vicissitudini e ad anni di lontananza. È il più anticonformista dei personaggi del romanzo. Attraverso i suoi occhi l’autore esprime anche una dura critica agli intellettuali ed alle istituzioni politiche dell’epoca.

Stepàn Arkàd’ic è un nobile dissoluto che vive sperperando le fortune sue e della moglie, a cui non fa mancare nemmeno tradimenti con serve e ballerine. È tutto sommato un uomo buono, però della sua vita non vuole fare niente, vive <<senza scopo>> così come Tolstòj nella prima parte della sua vita. La moglie Dolly non lo ama più per davvero, però lo tollera nel nome della famiglia, anche se c’è un momento in cui invidia la scelta di Anna Karénina di abbandonare una famiglia fondata su convenzioni e amore fasullo per una passione reale.

Il marito di Anna, Aleksej Aleksandrovic, è un uomo tutto votato alla carriera, del resto non gli interessa niente. Scoperto il tradimento della moglie, il suo unico problema è evitare che desti scandalo, e nemmeno odierà la moglie quando questa non rispetterà la sua volontà. Ci vuole l’azione subdola della contessa Lidja Ivanovna perché lui cominci a imporsi, senza nemmeno un reale rancore, nei confronti della moglie traditrice.

Il conte Vronskij, amante di Anna, la ama sinceramente. Comincia a pentirsi però della sua scelta nel momento in cui lei diventa paranoica, così diventa freddo, ma non l’abbandona. Non esita ad abbandonare la carriera per seguire la passione amorosa, ma la sua scelta finisce per distruggerlo nell’animo, infatti dopo la morte di Anna si impegna nella guerra di Crimea sperando di trovare lì la morte. È un uomo che tutto sommato ama la vita militare e i benefici che essa comporta, solo che il suo essere senza scopo lo porta ad una scelta sbagliata che gli fa perdere tutto.

Il romanzo presenta anche ricche descrizioni della vita nella Russia di fine ‘800 e dei cambiamenti che la società stava vivendo. Mostra anche come molti nobili fossero impreparati ai cambiamenti socio-economici in corso, come si impoverissero a causa dei loro vizi a vantaggio di furbi mercanti o di ambiziosi contadini.

Francesco Abate

sabato 16 maggio 2015

STORIA: LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE IN RUSSIA

Dalla rivoluzione di febbraio era uscito un governo presieduto da L’vov e che, in barba ad operai e contadini che avevano fatto la rivoluzione, faceva gli interessi di latifondisti e grandi immobiliaristi. I soviet erano divisi, al loro interno la posizione dominante l’avevano i menscevichi e i social rivoluzionari, mentre i bolscevichi erano in minoranza. Operai e contadini avrebbero voluto l’uscita immediata della Russia dalla prima guerra mondiale e la riforma agraria, invece il governo, i cui finanzieri non volevano entrare in conflitto con Francia e Inghilterra, dichiarò la continuazione della guerra finché la Germania non sarebbe caduta e ammonì i contadini affinché desistessero dal continuare l’occupazione delle terre. Dalla Svizzera Lenin, in una lettera, tornò a auspicare l’armamento del proletariato.

Aprile 1917 = dalla Svizzera, Lenin arrivò a Pietrogrado (fino al 1914 la città si chiamò Pietroburgo, poi Pietrogrado, poi nel 1924 divenne Leningrado e nel 1991 tornò ad essere Pietroburgo), favorito dai tedeschi e attraverso Germania e Svezia. Allora enunciò le Tesi di aprile in cui chiudeva all’ipotesi di continuare la guerra e disse che contadini poveri e proletariato avrebbero dovuto prendere il potere.

Maggio 1917 = il governo provvisorio dichiarò la continuazione della guerra a scopo difensivo. Nel nuovo gabinetto di coalizione entrò a far parte Kerenskij come ministro della guerra e lui stesso ebbe una posizione dominante nel governo di L’vov.

Kerenskij cercò di galvanizzare l’esercito perché combattesse per sconfiggere gli imperi centrali, il ministro dell’agricoltura Cernov, un social rivoluzionario, difese il latifondo dall’assalto dei contadini e il ministro del lavoro Skobelev cominciò una politica di contenimento dei salari.

La guarnigione di Pietrogrado, contraria alla continuazione della guerra, tentò di insorgere e chiese al locale soviet di assumere il potere. Alla rivolta, dopo averla inizialmente sconsigliata, parteciparono i bolscevichi, ma finì con una facile repressione attuata dal governo. Lenin, accusato di essere un agente tedesco, dovette fuggire in Finlandia; Trotzkij (un menscevico, che però era molto vicino a Lenin) fu arrestato. L’vov decise di estendere la repressione nelle campagne, ma gli altri membri del governo non furono d’accordo e dovette dimettersi. Dopo le dimissioni di L’vov, il governo fu affidato a Kerenskij. Kerenskij nominò Kornilov, unico generale zarista ad aver sempre manifestato idee repubblicane, comandante supremo.

25 agosto 1917 = Kornilov, durante una riunione della Consulta di stato, chiese poteri amplissimi tra cui la militarizzazione degli addetti a produzioni chiave, inoltre quando i tedeschi arrivarono a Riga, chiese la proclamazione dello stadio d’assedio a Pietrogrado (che equivaleva a mettere anche il governo nelle sue mani). Quando Kerenskij rifiutò le richieste e destituì il generale, perché non disposto a mettere il suo governo nelle sue mani. Kornilov marciò sulla capitale. I bolscevichi organizzarono la resistenza ed ebbero un ruolo di primo piano nella lotta a Kornilov e, una volta sconfitto il generale, acquistarono un notevole ascendente nei Soviet, quindi si posero come forza alternativa al governo di Kerenskij.

20 ottobre 1917 = Lenin tornò a Pietrogrado.

23 ottobre 1917 = durante una riunione del comitato centrale del partito bolscevico, Lenin pose la questione del potere. Lenin vedeva la rivolta operaia di Torino e l’ammutinamento della flotta tedesca come l’inizio della rivoluzione mondiale, quindi premeva per l’insurrezione armata dei proletari. Al contrario Kamenev non credeva nell’imminenza della rivoluzione mondiale, quindi era propenso a battersi democraticamente per il rafforzamento dei Soviet e per la formazione dell’assemblea costituente.

Novembre 1917 = nella notte tra il 6 e il 7 formazioni armate dei bolscevichi occuparono i centri nevralgici di Pietrogrado. Solo il palazzo d’inverno riuscì a resistere fino all’8 novembre, poi fu preso e i ministri furono arrestati (tranne Kerenskij che era fuggito). Lo stesso giorno il II congresso pan russo decretò l’assunzione del potere e formò un governo rivoluzionario di soli bolscevichi il cui presidente sarebbe stato Lenin; Stalin fu commissario per le nazionalità e Trotzkij commissario agli affari esteri. La rivoluzione fu chiamata rivoluzione d’ottobre perché all’epoca i russi seguivano ancora il calendario giuliano, quindi l’8 novembre per loro era il 26 ottobre.

Il primo atto del nuovo governo bolscevico fu la pace senza annessioni e senza indennità.

Il governo emanò anche il decreto sulla terra = abolì la grande proprietà fondiaria, mettendo a disposizione dei comitati agricoli le tenute dei latifondisti, le terre del demanio e della chiesa. Proibì il lavoro salariato nelle campagne.
Il governo decretò anche il controllo operaio sulla produzione, conservazione e compravendita di tutti i prodotti e materie prime. Decretò anche l’eguaglianza di tutti i popoli della Russia e riconobbe il loro diritto all’autodeterminazione. Sulle prime Lenin non avrebbe voluto le elezioni per la formazione dell’assemblea costituente, che dichiarò non utile in una forma di democrazia “superiore al governo della borghesia”, ma dovette cedere e le elezioni diedero una maggioranza notevole a socialrivoluzionari e menscevichi, mentre ai bolscevichi andò circa il 25%.

Lenin continuò ad auspicare che gli altri paesi sviluppati seguissero il modello russo.

Il 18 gennaio 1918 la costituente si riunì a Pietrogrado, in un palazzo presidiato dalle truppe rivoluzionarie. La prima votazione fu un chiaro pronunciamento antibolscevico, con l’elezione alla presidenza di un social rivoluzionario moderato: furono approvati tre decreti concernenti la riforma agraria, la pace e la proclamazione della repubblica. Mentre si discuteva il primo decreto, un marinaio armato salì fino al seggio del presidente e invitò l’assemblea a sciogliersi perché << la guardia era stanca >>. Il giorno dopo un decreto del comitato esecutivo dei Soviet dichiarò sciolta la costituente. Del popolo nessuno si ribellò, infatti le aspettative di contadini ed operai erano già state soddisfatte, inoltre il popolo russo non aveva una tradizione parlamentare e non aveva coscienza delle libertà civili, quindi non capì la gravità di quanto era appena accaduto. 


Francesco Abate




mercoledì 13 maggio 2015

FILOSOFIA: IL SOCIALISMO UTOPISTICO

Lenin definì il Marxismo come successore legittimo delle cose migliori create dall’umanità nel XIX secolo: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo francese. Il socialismo francese è quello che, a torto o a ragione, fu definito “Socialismo utopistico”.


CLAUDE-HENRI DE SAINT-SIMON (1760-1825)

La storia è retta da una legge di progresso. Tale progresso non è però lineare, ma è un’alternarsi di periodi organici e periodi critici. I periodi organici (o epoche organiche) sono quelli che si fondano su principi solidi (idee, valori, tecnica, ecc.) che si formano e operano al loro interno. Quando però lo sviluppo della società invalida i principi che reggono un periodo organico, si entra in un periodo critico (o epoca critica). Così come il monoteismo mise in crisi l’età del politeismo, così la Rivoluzione francese e il progresso della scienza hanno segnato la fine del Medioevo.

Il progresso scientifico ha quindi distrutto le teorie teologiche e le idee metafisiche che stavano a fondamento del Medioevo, il mondo ora potrà essere riorganizzato solo sulla base della scienza positiva. In questa nuova epoca il potere spirituale sarà nelle mani degli uomini di scienza <<i quali possono predire il più gran numero di cose>>, mentre il potere temporale apparterrà agli industriali che occuperanno il più gran numero di individui. Tutto ciò implica che l’affermazione dell’industrialismo rende impossibile il potere teocratico-feudale del Medioevo, dove gli ecclesiastici avevano il potere spirituale e gli uomini di guerra quello temporale. Scienza e tecnologia sono oggi in grado di risolvere i problemi umani e sociali.

Gli uomini possono essere felici solo soddisfacendo i loro bisogno fisici e spirituali, a ciò servono le scienze, le belle arti e i mestieri, mentre fuori di questo ci sono solo i parassiti e i dominatori.

Per illustrare la necessità che il potere politico passi nelle mani dei tecnici e degli scienziati, Saint-Simon racconta una “parabola”: se la Francia perdesse i tremila individui che ricoprono cariche politiche, religiose e amministrative più importanti, lo Stato non subirebbe alcun danno e tali persone sarebbero facilmente rimpiazzabili; ma se la Francia perdesse i suoi tremila migliori scienziati, artigiani e artisti, cadrebbe subito in uno stato di inferiorità rispetto alle nazioni di cui è ora rivale e continuerebbe a restare subalterna nei loro confronti finché non avrà riparato la perdita. Il pensiero positivo, principio ordinatore della nuova società, eliminerà i tre principali inconvenienti del sistema politico vigente: arbitrio, incapacità e intrigo.

Il progresso verso la nuova età organica dominata dalla filosofia positiva è inevitabile. L’avvento della futura società sarà come un ritorno al Cristianesimo primitivo, in cui la scienza permetterà il raggiungimento della fratellanza universale che Dio ha dato agli uomini come regola di condotta.
Il Sansimonismo ebbe un notevole impatto in Francia e non solo. I canali di Suez e Panama furono idee dei Sansimonisti, così come le programmazioni economiche e agrarie. Per Saint-Simon il criterio con cui avrebbe dovuto operare lo Stato era il seguente: da ciascuno secondo le sue capacità (regola della produzione), a ciascuno secondo le sue opere (regola della ripartizione).


CHARLES FOURIER (1772-1837)

Nella storia esiste un grosso piano della Provvidenza da cui non possono essere esclusi l’uomo, il suo lavoro e la maniera in cui costituisce la società. La Provvidenza ha messo in tutta l’umanità le stesse passioni che non sono altre dei sistemi di attrazione. La legge di Newton può essere estesa anche all’uomo, le passioni attraggono tra loro gli uomini così come la forza gravitazionale i pianeti. Per tali ragioni le passioni devono essere soddisfatte, non represse. L’organizzazione sociale, per rispettare il piano di Dio, deve rendere il lavoro attraente, assecondare la naturale tendenza al piacere al fine di ottenere il massimo rendimento.

Le tre grandi epoche storiche (quella dei Selvaggi, quella dei Barbari e quella dei Civilizzati) hanno sempre ostacolato l’armonioso sviluppo delle passioni umane. Anche la civilizzazione, tanto amata dagli Illuministi, in realtà è il trionfo della menzogna (ne è dimostrazione il commercio, dove le merci aumentano di prezzo ma non di valore). La “civiltà”, dove ognuno persegue il proprio interesse infischiandosene di quelli altrui, porta l’umanità alla miseria nonostante aumenti la circolazione di beni.

Non solo l’economia è perversa, anche la morale lo è. Nello stato attuale l’uomo è in guerra con sé stesso e le sue passioni urtano tra loro. La scienza che si chiama morale pretende di reprimere tali passioni, ma in realtà il fine dovrebbe essere quello di arrivare al meccanismo spontaneo delle passioni, senza reprimerne alcuna. La morale attuale blocca le passioni e genera ipocrisia.

Le passioni dell’uomo vanno assecondate al fine di ottenere il massimo rendimento. L’organizzazione adatta per Fourier è la falange. Gruppi di 1600 persone vivono in un falansterio, non una caserma ma un albergo. Ogni persona nel falansterio può sfogare le sue inclinazioni come meglio crede, non ci sono lavori domestici e non c’è vita familiare, i bambini vengono educati dalla comunità. Uomini e donne sono equiparati e nel falansterio c’è assoluta libertà sessuale. Il lavoro non è fatica, ognuno fa quel che vuole. Per evitare la monotonia del lavoro, ogni persona deve imparare una quarantina di attività, così può cambiare durante la giornata. I lavori sporchi, come pulire la cloaca, vengono assegnati ai bambini che, per loro natura, si divertono a sguazzare nell’immondizia. Alcuni discepoli di Fourier provarono ad attuare i falansteri in Europa e in America, gli esperimenti però fallirono mostrando che si trattava di un’utopia.


PIERRE-JOSEPH PROUDHON (1809-1865)

Proudhon è simultaneamente contro la proprietà privata e contro il comunismo.

Giudica la proprietà privata un furto, perché il capitalista la ottiene non corrispondendo all’operaio il reale valore del suo lavoro. Questa condizione crea la principale contraddizione tra capitale e lavoro, contraddizione che porta il capitalista ad appropriarsi dell’intera esistenza dell’operaio e non solo del suo lavoro. Proudhon non è però contrario alla proprietà privata in quanto tale, ma solo alla proprietà che assicura un reddito senza lavoro. La proprietà può avere una giustificazione solo come condizione di libertà, ma quando essa è organizzata in modo da rendere liberi i pochi (capitalisti) a scapito della schiavitù dei molti (operai), allora è un furto. Solo il lavoro è produttivo, l’operaio può appropriarsi del frutto del proprio lavoro, questo però è possesso e non proprietà privata capitalista.

L’ordinamento socio-economico borghese va cambiato, ma Proudhon scarta l’ipotesi comunista. Il comunismo asserve la persona alla società, è una religione intollerante orientata verso la dittatura. Nel comunismo lo Stato non diventa solo proprietario dei beni materiali, ma anche dei cittadini, forma uno Stato-caserma in cui la vita degli uomini è completamente soggetta allo Sato. Egli preferisce <<far bruciare la Proprietà a fuoco lento, piuttosto che darle nuova forza facendo una notte di san Bartolomeo dei proprietari>>.

Anche l’ipotesi individualista non è adeguata, è infatti illusorio lo sviluppo senza limiti della libertà dei singoli.

Proudhon propone un nuovo ordinamento sociale fondato sulla giustizia. Per lui la giustizia non è quella dataci da un Dio, la giustizia della rivelazione, ma è quella della rivoluzione che è immanente nella coscienza e nella storia umana. Tale giustizia è il rispetto della dignità umana, in qualsiasi situazione essa sia compromessa, e a qualsiasi rischio ci esponga la sua difesa.

È necessario per riorganizzare l’economia che i lavoratori diventino proprietari dei mezzi di produzione e che abbiano la possibilità di autogestire il processo produttivo. Così il tessuto economico della società si costituisce come una pluralità di centri produttori che si equilibrano a vicenda.


Francesco Abate

LETTERATURA: RECENSIONE DI "CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA" DI GABRIEL GARCIA MARQUEZ

Cronaca di una morte annunciata è un libro a metà strada tra il romanzo e la cronaca giornalistica. Marquez descrive infatti un evento realmente accaduto, l’uccisione di Santiago Nasar da parte dei fratelli Vicario. Lo scrittore ricostruisce i fatti con il rigore del giornalista, non dobbiamo dimenticare che lui ha lavorato per numerosi giornali, ma descrive fatti e personaggi con l’abilità del romanziere. Marquez non si limita a ricostruire un fatto per consegnarlo alla memoria storica, come appunto farebbe un giornalista o uno storico, ma lo mostra in modo tale da far emergere delle riflessioni importanti.


Santiago Nasar è vittima di un delitto d’onore, i fratelli Vicario infatti lo uccidono perché colpevole di aver sedotto la sorella Angela (almeno così lei dice alla gente, ma il fatto non è mai dimostrato e lo stesso Marquez sembra dubbioso). La ricostruzione del delitto è fatta con rigore giornalistico, ma con la stoffa del romanziere lo scrittore getta luce su situazioni secondarie che fanno riflettere ancor più del romanzo in sé.

I fratelli Vicario dicono a tutto il paese che sono intenzionati ad uccidere Nasar, davvero lo sapevano tutti tranne il diretto interessato e pochi altri. Questa scarsa discrezione è forse segno del desiderio nascosto degli assassini di essere fermati, sentivano di essere obbligati a colpire, ma avrebbero tanto voluto che qualcuno li fermasse. Eppure nessuno li ferma, per una serie di circostanze (di cui alcune fortuite) Santiago Nasar viene lasciato al suo destino. Addirittura la madre, credendolo in casa, in un maldestro tentativo di salvarlo gli chiude la porta in faccia, bloccandogli la fuga e lasciandolo alla furia dei suoi assassini. Chi potrebbe aiutarlo sottovaluta, chi prova ad aiutarlo finisce per fallire o per peggiorare la situazione. È come se il destino avesse voluto che Santiago Nasar venisse ucciso dai fratelli Vicario.

L’intento dell’autore è proprio quello di mostrare come a volte gli eventi possano degenerare a causa di piccolezze, minimi errori di valutazione o semplice disinteresse. Se i fratelli Vicario avessero vinto il loro orgoglio di fratelli, se Nasar fosse stato un po’ più attento, se la mamma avesse visto che non era in casa e tanti altri “se” apparentemente insignificanti, l’omicidio non sarebbe mai avvenuto. Qualcuno, leggendo il romanzo, potrebbe tirare in ballo il destino, ma io credo che nel raccontare tanti retroscena delle storie narrategli dai protagonisti, l’autore voglia proprio dimostrare che non c’è destino e non c’è fatalità, è semplicemente una serie di circostanze e di debolezze che, sommate tra loro, danno il tragico risultato. Non c’è entità che comanda o destino scritto, sono gli uomini che con il loro egoismo, la loro sbadataggine e i loro impulsi causano gli eventi.


Lo stile narrativo con cui scrive Marquez è semplice e diretto, privo di ampollosità, proprio a rendere il romanzo vicino alla ricostruzione giornalistica di un fatto di cronaca. L’autore vive e racconta la vicenda in prima persona, anche se solo in modo marginale, e il grosso delle notizie le ottiene dalle testimonianze ottenute nella sua ricostruzione.


Il romanzo è anche uno spaccato sociale caraibico, illustra infatti vita, usanze e anche vizi della città di Manaure. In mezzo ad un omicidio, fatto di estrema gravità, non manca l’episodio del vescovo che si guarda bene dallo scendere in mezzo alla gente, del poliziotto che pur informato di un imminente omicidio interviene in modo decisamente troppo blando, di tanta gente abbandonata a sé stessa che vive la propria vita rischiando di esserne travolta.

Francesco Abate

lunedì 11 maggio 2015

LETTERATURA: RECENSIONE DEL “SIDDHARTHA” DI HERMAN HESSE

Siddharta, pubblicato nel 1922 dallo scrittore tedesco Herman Hesse, può considerarsi un’opera dello spirito, infatti indaga la ricerca spirituale che ogni essere umano compie nella propria vita e la illustra analizzando il cammino di Siddhartha, protagonista della storia. L’interessamento alle tematiche spirituali di Hesse ha origini profonde, egli infatti fu figlio di un missionario protestante e della figlia di un missionario cultore di orientalistica, fu avviato a sua volta agli studi teologici, però non li concluse.

Siddhartha è il figlio di un bramino, è educato secondo le tradizioni della sua gente, ma queste non sembrano appagare la sua sete di conoscenza, egli non si sente appagato dai precetti che osserva. Si stacca perciò dalla sua gente e intraprende un cammino che lo porta prima tra i samana (asceti che praticano meditazione, digiuno ed elemosina), poi alla perdizione ed infine, quando tutto sembra perduto, all’incontro con un semplice barcaiolo. Il giovane Siddhartha si distacca dalle tradizione della sua gente, poi da quelle dei samana ed infine fugge anche dalla dottrina del Buddha perché comprende che non può essere la dottrina a portare all’Illuminazione, un uomo deve trovare il proprio Io e non può riuscirci seguendo i precetti di qualcun altro perché è impossibile illustrare il cammino che porta all’Illuminazione. Giunto a tale conclusione, Siddhartha decide di abbandonare la vita di ascetismo che aveva abbracciato e riscopre i piaceri del mondo, il sesso, la ricchezza e i vizi. Sulle prime riesce ad assaporare le “cose umane” rimanendone però distaccato, poi però ne finisce assorbito e si perde. Di colpo, dopo molti anni, Siddharha capisce di essere perduto e prende una drastica decisione, proprio mentre sta per attuarla però ritrova la sua rinascita e l’incontro con una persona vista anni prima lo porta ad abbandonare la ricerca.

Dal 1922, anno della pubblicazione, ad oggi, Siddhartha è un romanzo di riferimento per i giovani. Pur essendo scritto in maniera semplice e scorrevole, esso affronta lo spinoso tema della ricerca dell’Io e quindi della conoscenza della propria spiritualità. Partendo dai precetti presenti da secoli nelle culture indù e buddhiste, il protagonista vive alla ricerca di sé stesso e delle verità sul mondo. Capisce prima che non troverà quel che cerca nelle dottrine, perché le parole non possono enunciare concetti tanto profondi e complessi ed anche il pensiero non può comprenderli appieno, poi scopre che non è la negazione del mondo a portare alle verità assolute anzi, la conoscenza profonda dei lati negativi dell’animo umano diventa decisiva per il cammino verso l’illuminazione del protagonista. La conclusione finale del romanzo è che il mondo è il tutto, per comprenderlo e per giungere all’illuminazione è importante abbandonare il concetto di tempo, capire che le cose non sono prima qualcosa e poi qualcos’altro, ma sono tutto in ogni momento, e capendo tale verità bisogna arrivare ad amare tutte le cose. A questa conclusione si ci può arrivare solo smettendo di cercare la verità, vivendo ascoltando la voce che ognuno ha dentro di sé ed osservando tutto ciò che ci circonda (chi cerca infatti perde di vista ciò che non cerca, finendo per avere solo una visione parziale delle cose).
Non stupisce che il romanzo sia divenuto una lettura fondamentale per i giovani di diverse generazioni. Un tema molto complesso come la ricerca spirituale è infatti affrontato con semplicità, cosa che ovviamente manca ai saggi dei filosofi e dei teologi, rendendo quindi il romanzo sempre scorrevole e facile da leggere. La diffusione dell’opera è stata poi di certo aiutata anche dal fascino che le culture orientali esercitano su noi occidentali da diversi decenni. Ad affascinare è sicuramente stata anche la scelta dell’autore di rinnegare la dottrina come caposaldo della ricerca spirituale, cosa che nell’Europa cristiana suona un po’ come un sacrilegio, ed affidare il ruolo di protagonista all’uomo che per scoprirsi e per scoprire il mondo deve vivere, osservare e capire. Sparisce anche la negazione di ciò che è materiale e l’assunto che tutto quello che è tangibile è negativo, spariscono anzi i concetti di bene e male così come definiti nella cultura occidentale.



CITAZIONI
<< Singolare fu in verità la mia vita – pensava – singolari deviazioni ha preso. Ragazzo, non ho avuto a che fare se non con dèi e sacrifici. Giovane, non ho avuto a che fare se non con ascesi, meditazione e concentrazione, sempre in cerca del Brahman, sempre intento a venerare l’eterno nell’Atman. Ma quando fui un giovanotto mi riunii ai penitenti, vissi nella foresta, soffersi il caldo e il gelo, appresi a sopportare la fame, insegnai al mio corpo come morire. Meravigliosa mi giunse allora la rivelazione attraverso la dottrina del grande Buddha, e sentii la conoscenza dell’unità del mondo circolare in me come il mio stesso sangue. Ma anche da Buddha e dalla grande conoscenza mi dovetti staccare. Me ne andai, e appresi da Kamala la gioia d’amore, appresi da Kamaswami il commercio, accumulai denaro, dissipai denaro, appresi ad amare il mio stomaco, a lusingare i miei sensi. Molti anni dovetti impiegare per perdere lo spirito, disapprendere il pensiero, dimenticare l’unità. Non è forse come se lentamente e per lunghe deviazioni io mi fossi rifatto, d’uomo, bambino, di saggio che ero, un uomo puerile? Eppure è stata assai buona questa via, e l’usignolo non è ancor morto nel mio petto. Ma che via fu questa! Son dovuto passare attraverso tanta sciocchezza, tanto vizio, tanto errore, tanto disgusto e delusione e dolore, solo per ridiventare bambino e poter ricominciare da capo. Ma è stato giusto, il mio cuore lo approva, gli occhi miei ne ridono. >>



Francesco Abate

venerdì 8 maggio 2015

CULTURA IN CIRCOLO

Da lunedì 11 maggio inizieranno le pubblicazioni sul blog Cultura in Circolo. Lo scopo di questo blog è quello di presentare la cultura sotto tutti i suoi molteplici aspetti. Si parlerà quindi di musica, arte, letteratura e di tutto ciò che, direttamente o indirettamente, può avere a che fare con la cultura.

Questo è un blog, non una testata specializzata, e chi scrive non è un esperto del settore, ma solo un appassionato, quindi tutti i vari post presenteranno l’argomento dal punto di vista dell’autore ed hanno il solo scopo di invitare alla riflessione ed all’approfondimento, non di istruire. Il blog sarà molto più ricco, e molto più efficace, se arricchito dai commenti di voi lettori. Saranno ben accetti tanto i commenti positivi quanto quelli negativi, l’importante è che non si offenda nessuno. Ognuno, l’autore compreso, sarà libero di presentare il proprio punto di vista, è però importante che le discussioni siano costruttive e non distruttive.

Detto questo, vi invito a leggere i post dall’11 maggio e mi auguro che il blog sia di vostro gradimento.


Francesco Abate