martedì 30 giugno 2020

"I PROTETTORI DI LIBRI" RECENSITO SUL BLOG "LA GIOSTRA DEI LIBRI"


Oggi sono felice di segnalarvi una recensione del romanzo I Protettori di Libri pubblicata sul blog "La giostra dei libri". 
Ringrazio Penny, alias Sugar Free, per aver dedicato spazio alla mia opera e per la bella recensione. A tutti voi consiglio di seguire il suo blog, in cui troverete tanti spunti per letture interessanti.

Ne approfitto per ricordarvi che sulla pagina dedicata al mio romanzo troverete i link a tutte le segnalazioni e le recensioni, inoltre troverete le pagine dove potrete acquistarlo.

Vi ringrazio e vi auguro buona lettura.

Francesco Abate 

lunedì 22 giugno 2020

COMMENTO AL CANTO "AD ANGELO MAI QUAND'EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE DELLA REPUBBLICA"


Italo ardito, a che giammai non posi
di svegliar dalle tombe
i nostri padri? ed a parlar gli meni
a questo secol morto, al quale incombe
tanta nebbia di tedio?
Il canto Ad Angelo Mai quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica fu composto da Leopardi a Recanati nel gennaio del 1820.
A ispirarne la composizione fu la notizia del ritrovamento di un frammento del De re publica di Cicerone da parte del cardinale Angelo Mai, col quale Leopardi era in frequente contatto epistolare. Se la notizia del ritrovamento entusiasmò particolarmente il poeta, lo stesso non accadde con la lettura del testo: in una lettera sconsigliò a suo padre Monaldo di acquistarlo perché era stampato su carta di infima qualità e non aggiungeva nulla a quello che Cicerone aveva scritto in altri trattati. 
La celebrazione della scoperta è comunque per Leopardi solo un pretesto che viene esaurito nelle prime quattro strofe di quello che in realtà è un canto patriottico e intriso del pessimismo leopardiano.

Il canto è composto da dodici strofe di quindici versi. A differenza dei due precedenti, qui tutte le strofe hanno la stessa struttura e lo stesso schema delle rime.

Nelle prime quattro strofe Leopardi si dedica alla celebrazione del ritrovamento. Si rivolge ad Angelo Mai chiamandolo "Italo ardito".
Il poeta in questo ritrovamento e in altri simili vede l'opera divina, la quale fa riecheggiare il potente grido degli avi ogni volta che gli italiani sembrano dimenticare sé stessi e il loro glorioso passato.
L'autore si meraviglia che i gloriosi eroi del passato ancora si interessino dell'Italia; ciò vuol dire che per essa nutrono ancora delle speranze, mentre lui ormai sente di non averne più. Segnala inoltre come i grandi del passato siano stati succeduti da "immonda plebe".

La seconda parte, cioè le ultime otto strofe, abbandonano le considerazioni circa gli interventi degli avi e cominciano a passare in rassegna i più grandi uomini italiani del passato, sviluppando attraverso ognuno di loro un tema caro al poeta.
Nella V strofa si rivolge a Dante e Petrarca. Del primo piange la sfortuna (lo definisce "non domito nemico della fortuna") e constata come ebbe più amico l'Inferno che la Terra; del secondo invece invidia il dolore, perché lo liberò dall'oppressione della noia e del nulla ("... O te beato, / a cui fu vita il pianto! A noi le fasce / cinse il fastidio; a noi presso la culla / immoto siede, e su la tomba, il nulla").
Nella VI e VII strofa elogia Cristoforo Colombo e le sue grandi scoperte, segnalando però come queste abbiano rimpicciolito il mondo invece di ingrandirlo. Per Leopardi l'immaginazione è la prima fonte di felicità; conoscendo completamente il mondo si perde la possibilità di fantasticare sull'ignoto, quindi si diventa più lontani dalla felicità ("... Ahi ahi, ma conosciuto il mondo / non cresce, anzi si scema, e assai più vasto / l'etra sonante e l'alma terra e il mare / al fanciullin, che non al saggio, appare").
A dare nuovo impulso all'immaginazione venne Ludovico Ariosto ("cantor vago dell'arme e degli amori" - riferimento all'incipit de L'Orlando furioso), a cui si rivolge nell'VIII strofa, ma adesso le sue leggende e il loro fascino sono perdute.
Nella IX e X strofa si tocca forse il momento più toccante del canto. Leopardi si rivolge a Tasso, nel cui stato d'animo identifica il proprio. Piange il misero destino del poeta sorrentino, osteggiato da cortigiani invidiosi e innamorato della sorella del duca d'Este (l'amore in realtà fu una leggenda che si diffuse dopo la sua incarcerazione, le cospirazioni dei cortigiani contro di lui probabilmente solo frutto della sua immaginazione); per lui la morte fu una liberazione, anche se gli negò di conoscere la gloria che giustamente gli avrebbero procurata i suoi versi, ma "Morte domanda chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda". Gli ultimi due versi della IX strofa mostrano chiaramente come Leopardi identifichi il suo male in quello di Tasso. I versi dedicati al poeta sorrentino sono molto sentiti perché nel periodo in cui li scrive Leopardi sente molto intensamente il proprio malessere psicologico: in una lettera del 6 marzo 1820 si definisce "stecchito e inaridito come una canna secca" e segnala come "nessuna passione trova più l'entrata di questa povera anima". 
Le strofe XI e XII si rivolgono a Vittorio Alfieri, che nei suoi trattati contro la tirannia celebrò la libertà e la lotta contro gli oppressori, e fino alla fine dei suoi giorni fu sicuro della resurrezione dell'Italia divisa e martoriata; Leopardi afferma come la morte fu per lui una salvezza, gli impedì infatti di vedere come la situazione sarebbe ulteriormente peggiorata.
Nella parte conclusiva della XII strofa, il canto torna a riferirsi ad Angelo Mei, a cui il poeta chiede di proseguire nella sua opera, a risvegliare i morti poiché dormono i vivi, così da spingere i contemporanei a compiere atti illustri o a vergognarsi ("... O scopritor famoso, segui; risveglia i morti, / poi che dormono i vivi; arma le spente / lingue de' prischi eroi; tanto che in fine / questo secol di fango o vita agogni / e sorga ad atti illustri, o si vergogni").

Francesco Abate

giovedì 18 giugno 2020

RECENSIONE DEL ROMANZO "JANE EYRE" DI CHARLOTTE BRONTE


Jane Eyre è il romanzo più importante della scrittrice inglese Charlotte Bronte e può essere considerato uno dei migliori dell'Ottocento.
Si tratta di un'opera che critica e rompe le regole morali del tempo, presentando un personaggio femminile che fino alla fine non si piega alle convenzioni della società.

La protagonista del romanzo è Jane Eyre, bambina orfana di entrambi i genitori che viene allevata dalla zia Sarah Gibson Reed. In casa zia e cugini sono tutt'altro che amorevoli con lei perché non è né ricca né bella, così è costretta a subire gli atti di bullismo del cugino John per poi vedersi punita dalla zia quando reagisce. Nonostante l'ostilità che la circonda, Jane ha un carattere forte e si ribella alle ingiustizie subite.
La vita per lei sembra sul punto di prendere una svolta positiva quando la zia decide di liberarsene e la manda in un istituto per orfane finanziato da un sacerdote, il signor Brocklehurst. Lei è felice di andar via da casa per studiare, ma nell'istituto Lowood le ragazze sono trattate come animali: servono loro cibo rancido e mal cucinato, non hanno vestiti adatti a proteggersi dal freddo e neanche fuoco a sufficienza. Le terribili condizioni di Lowood scatenano un'epidemia di tifo che porta alla morte di diverse allieve; la strage spinge alla nomina di un curatore che adegua le spese migliora sensibilmente le condizioni igienico-sanitarie dell'istituto.
A Lowood Jane si distingue come allieva e finisce per diventare un'insegnante. Il suo carattere la spinge però a desiderare di vedere il mondo fuori Lowood e inizia a cercare lavoro come governante. Viene chiamata a Thornfield Hall per occuparsi della piccola Adele, figlia del padrone di casa, il signor Rochester.
Col passare del tempo Jane comincia a sentirsi attratta dal signor Rochester, il quale ricambia il sentimento ma nasconde un terribile segreto.
Non vi dico altro perché la storia è avvincente e vi rovinerei il piacere della lettura se vi rivelassi troppi particolari.

Nonostante sia stato scritto più di 150 anni fa, Jane Eyre presenta un personaggio femminile che ancora oggi appassiona e si fa amare.
Jane Eyre è una ragazza non bella, ma intelligente e con un gran senso della giustizia. Vive un'infanzia terribile, ma riesce a riscattarsi; il suo riscatto però non passa mai da un adattamento, infatti non cede mai a un compromesso e la sua vittoria finale consiste nell'appagamento dei suoi sentimenti ottenuto senza snaturare sé stessa. Lei ama il signor Rochester ma da lui viene tradita, perché le cela il suo terribile segreto; nonostante ciò non lo odia e non cerca vendetta, però non accetta di amarlo in condizioni che vanno contro le proprie regole morali. Jane vuole un rapporto d'amore dove i coniugi siano alla pari, non vuole essere mantenuta e tantomeno accetterebbe di essere una semplice amante, e per non cedere a compromessi è disposta perfino a rinunciare all'amore della sua vita. La forza di Jane è il suo essere una sintesi perfetta di giustizia e sentimento: lotta per avere ciò che vuole alle condizioni che ritiene giuste, questo però non la rende un giudice inflessibile ed è sempre pronta a perdonare le debolezze altrui. 
Due personaggi che vanno analizzati insieme sono il signor Brocklehurst e la giovane Helen Burns, rispettivamente il finanziatore di Lowood e la migliore amica di Jane nell'istituto. Li analizzo insieme perché sono due modi diversi di intendere la fede. Il sacerdote è un ipocrita che fa la carità alle orfane per poi tenerle in condizioni di incredibile miseria, quindi non fa il bene per un'effettiva bontà d'animo ma solo per apparire buono, inoltre pretende che esse siano modeste nel vestire, mentre le donne della sua famiglia vestono in modo lussuoso. Helen invece vive la fede con grande profondità, non reagisce alle ingiustizie subite a Lowood perché crede nella beatitudine del Paradiso e nella caducità di tutto quello che è terreno, perfino sul letto di morte esprime una serenità angelica mentre l'amica Jane piange sconvolta dal dolore. Se il signor Brocklehurst è la fede esteriore e ipocrita, Helen Burns è la fede vera e profonda. Attraverso il romanzo vengono criticate entrambe: nel primo caso si predica il bene per poi fare del male, nel secondo caso si accetta il male con troppa passività e non si prova a fuggire dalle avversità. Jane Eyre ammira e ama Helen Burns, ma non ne condivide l'atteggiamento troppo mite.
La signora Reed, zia di Jane, odia la protagonista con tutte le sue forze e non smetterà neanche sul letto di morte. Il suo odio nasce dal rancore nei confronti del defunto marito, il quale decise di adottare Jane rimasta orfana, e l'acceca a tal punto da renderla incredibilmente ingiusta e crudele. La vicenda della sua morte permette all'autrice di mostrare una verità che non dovremmo dimenticare mai, cioè che "la giustizia senza sentimento è troppo dura per lo stomaco umano"; Jane ha sofferto tanto per colpa della signora Reed e non può perdonarla, ma nemmeno cede al desiderio di vendetta perché ormai è in pace con quel passato.
Le figlie della signora Reed, Eliza e Georgiana, sono tra loro gli esatti opposti. La prima è rigida e austera, la seconda estremamente frivola, entrambe però non si amano e non provano amore nemmeno per la madre. Eliza è ragione priva di sentimento, diventa suora cattolica eppure non ama nemmeno la propria famiglia; Georgiana è invece un concentrato di sentimento privo di sostanza, ama gli slanci patetici ma di vero amore non ne prova, finendo per sistemarsi con un matrimonio di convenienza.
Bessie è una governante di casa Reed ed è l'unica a voler bene a Jane durante la sua terribile infanzia. Si tratta di un personaggio importante perché fa scoprire alla piccola l'amore e la dolcezza che le vengono negate dalla famiglia.
Il signor Rochester è il datore di lavoro di Jane a Thornfield Hall. Ha un brutto carattere, ma si innamora sinceramente di Jane. Lui vorrebbe viziarla, ma lei glielo impedisce perché non vuole essere mantenuta. Nonostante l'ami davvero, la tradisce nascondendole il terribile segreto che nasconde nella sua residenza e che finisce per invalidare il loro matrimonio. Il peccato che tiene nascosto finisce per rovinarlo, ma in quella rovina trova la felicità perché Jane riesce a non odiarlo. Le circostanze permettono loro di stare insieme in un rapporto di totale parità, proprio come lei avrebbe voluto. 
Ultimo personaggio importantissimo è St.John, che salva la vita a Jane e diventa inconsapevolmente lo strumento attraverso il quale la vicenda si conclude. Desidera ardentemente fare il missionario in India, ma non lo spinge la carità, bensì la consapevolezza che in una situazione così estrema saprebbe far fruttare le sue qualità meglio di quanto potrebbe come semplice sacerdote di un piccolo villaggio. Convinto che le qualità di Jane possano renderla adatta alla causa, le propone di sposarlo così da poterlo seguire in India e aiutarlo; non la ama, semplicemente sente che lei ha le qualità adatte per essergli utile e, sposandola, la terrebbe in una condizione di sudditanza. Incassato il rifiuto di Jane, che non accetta di sposarlo perché ha intuito la ragione della proposta, va da solo.

Jane Eyre è un romanzo che mostra le ipocrisie della società e come queste possano stritolare nella morsa dell'ingiustizia una persona buona e valida. Jane lotta contro la vita, contro usi distorti della fede e contro concetti distorti dell'amore, e alla fine vince perché riesce a non scendere a compromessi. Per tale ragione Jane Eyre è un personaggio femminile che ancora oggi affascina tantissimo; non siamo in presenza della solita donna capace di riemergere da una condizione disagiata grazie alla sua bellezza, la cui riemersione consiste però nell'ingresso all'interno della società e delle sue regole: qui le regole vengono infrante davvero e la protagonista riesce a mantenersi originale fino alla fine.

Credo che Jane Eyre sia un romanzo da leggere almeno una volta nella vita.
Presenta un personaggio femminile affascinante e straordinariamente moderno, parla della rottura delle regole e allo stesso tempo ci mostra il mondo cattivo da cui tante anime indifese vengono stritolate. Il tutto viene impreziosito dalla capacità di Charlotte Bronte di descrivere tutto con grande semplicità; la trama è affascinante e complessa, i paesaggi e i personaggi sono descritti con precisione e finezza, così come riflessioni e stati d'animo, eppure la lettura è molto leggera e non diventa mai stancante.
Ci sono poi all'interno di questo romanzo passaggi bellissimi che fanno venir voglia di impararli a memoria. Ve ne segnalo uno che ho trovato straordinario, parla di come alcune persone sappiano concentrarsi solo sui piccoli difetti perdendosi così i grandi pregi: "Imperfezione della natura umana! Vi sono delle macchie sulla faccia dei pianeti più luminosi: e degli occhi come quelli della signorina Scatcherd possono vedere soltanto questi difetti minuscoli, e sono ciechi a tutto lo splendore dell'astro!"

Francesco Abate  

domenica 7 giugno 2020

IL RUOLO DELLA NATURA NE "I PROTETTORI DI LIBRI"


Questo mese non vi lascerò un estratto del romanzo I Protettori di Libri, ma vi parlerò del ruolo che la natura ricopre in esso.
La protagonista della storia è Giovanna, una poliziotta in preda a un'indefinita malinconia e resa cieca dalle restrizioni imposte dalla dittatura che governa l'Italia. La sua anima accecata ha però un accenno di risveglio quando si ritrova immersa nella natura che circonda la casa del misterioso ribelle Francesco, incontrato durante una perlustrazione. Sarà la scossa che la natura dà alla sua anima a spingerla in un inaspettato e drastico cambio di vita.
Attraverso la bellezza che ci offre, e che possiamo percepire con tutti i nostri sensi (profumi, colori, suoni, sapori, tocchi), la natura è l'antidoto all'intorpidimento dell'anima causato dalla vita vuota e inutilmente frenetica in cui siamo immersi. Per sottolineare questo suo immenso potere, ho voluto mostrare come lo spirito malato della giovane Giovanna trovi nella natura e nella sua magnificenza la cura più immediata e più efficace. 
Il ruolo centrale della natura non sminuisce quello della cultura, che è la vera protagonista del romanzo; la conoscenza è lo strumento che ci permette di comprendere i moti interni al nostro animo e di cogliere meglio la magnificenza che ci circonda, quindi rende più incisiva l'azione della natura.
Sempre più spesso l'uomo si circonda di grigiore e fugge dalla natura, distruggendo la propria vita e inaridendo la propria anima; solo il ritorno alla comunione col cosmo e la fuga dal nostro mondo artificiale ci permetterà di guarire le malattie della nostra anima e ci permetterà di giungere alla vera felicità.

La descrizione della natura che si trova nel romanzo è frutto della mia esperienza personale. Si trovano nominate le ortensie, che sono i miei fiori preferiti, e l'episodio di Giovanna che sale sull'olivo l'ho scritto pensando a tutte le volte in cui salgo io sugli olivi per potarli o per raccogliere le olive che stanno più in alto.
Io sento dentro di me il potere della natura e ne ho avuto una prova concreta durante la chiusura dovuta al coronavirus; con le campagne disabitate e il tempo dilatato dall'assenza di impegni, mi sono goduto lunghissime mattinate all'ombra degli olivi, accompagnato dal fruscio delle foglie mosse dal vento e dal canto degli uccelli. Non avete idea della pace che ho avuto in dono e della grande ispirazione, perché la natura è anche la migliore musa per gli artisti.


***


Qual è la drastica scelta di vita compiuta da Giovanna? Quali conseguenze porterà? Come cambierà la sua vita dopo l'irruzione della natura e della cultura? Diventerà una persona migliore? Sposerà una giusta causa? Cosa la costringerà a salire su un olivo?
Scoprirlo è semplice, basta acquistare I Protettori di Libri su uno dei link che trovate andando a questa pagina. Il romanzo è disponibile sia in formato cartaceo che elettronico.
Dopo averlo letto, non dimenticate di lasciare un commento sul blog, su Facebook o su Twitter.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

giovedì 4 giugno 2020

COMMENTO AL CANTO "SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE CHE SI PREPARAVA A FIRENZE"

Perché le nostre genti
pace sotto le bianche ali raccolga,
non fien da' lacci sciolte
dell'antico sopor l'itale menti
s'ai patrii esempi della prisca etade
questa terra fatal non si rivolga.
Composto a Recanati tra il settembre e l'ottobre del 1818, il canto Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze fu ispirato da un manifesto pubblicato nel luglio dello stesso anno in cui si annunciava la costruzione di un monumento al sommo poeta a Firenze. Il monumento fu poi inaugurato il 24 marzo del 1830 in piazza Santa Croce.

La poesia è composta da dodici strofe; le prime undici presentano diciassette versi, l'ultima invece ne ha solo tredici. Anche qui, come in All'Italia, c'è una differenza tra le strofe pari e quelle dispari, in questo caso però sono meno marcate e la struttura ritmica è più regolare, rendendo questo canto più simile a quelli petrarcheschi.

Leopardi usa la figura di Dante Alighieri non per una celebrazione della poesia, ma per la composizione di un canto patriottico.
I versi che aprono il canto sono una critica all'ignavia degli italiani (l'antico sopor d'itale menti), poi la prima strofa si chiude con un invito all'Italia: Leopardi la sprona a guardarsi indietro e disperarsi, a guardare i grandi uomini del passato visto che nel presente non ce ne sono (O Italia, a cor ti stia / far ai passati onor; che d'altrettali / oggi vedove son le tue contrade, / né v'è chi d'onorar ti si convegna).

Nella seconda strofa il poeta parafrasa il manifesto con cui venne annunciata la costruzione del monumento; riprende l'esempio del cittadino straniero che, giunto in visita a Firenze, cerca una statua del suo cittadino più illustre e, non trovandola, rimprovera aspramente la città intera. Era effettivamente una vergogna che il più grande letterato fiorentino non avesse neanche una pietra commemorativa nella città in cui era nato e che aveva amato.
Leopardi loda coloro che hanno pensato di ovviare a una tale vergogna e per loro è sicuro che ogni petto italiano si accenderà d'amore.

Nonostante il soggetto al centro della poesia sia il monumento di Dante, questo come ho già detto è un canto patriottico.
Dante fu un uomo politico attivo oltre che letterato e anche nella sua opera più importante, la Divina Commedia, denunciò a più riprese la corruzione che stava portando l'Italia alla rovina. Leopardi sfrutta il forte patriottismo che fu di Dante per rivolgersi a lui e mostrargli lo scempio che vive il paese che amava, ben peggiore di quello che poté vedere di persona.
Ciò che Leopardi sottolinea maggiormente in questo componimento è il dramma dei giovani italiani mandati a morire in Russia per volontà dell'imperatore francese Napoleone. Il poeta descrive questa triste situazione ed è certo che dall'aldilà Dante ne sia disgustato, altrimenti non sarebbe la stessa persona che fu in vita ("Padre, se non ti sdegni, / mutato sei da quel che fosti in terra. / Morian per le rutene / squallide piagge, ahi d'altra morte degni, / gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo / e gli uomini e le belve immensa guerra"). 
Non solo ne descrive la morte in terra straniera, ma Leopardi immagina i soldati italiani in agonia piangere per un estremo sacrificio donato a colui che ha schiavizzato la loro patria ("O patria nostra. Ecco da te rimoti, / quando più bella a noi l'età sorride, / a tutto il mondo ignoti, / moriam per quella gente che t'uccide").   

Il canto Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze è importante anche perché introduce il tema del conforto della disperazione.
Leopardi definisce infinita la sciagura degli italiani che muoiono in Russia, eppure li esorta a rassegnarsi e a fare di questa disperazione il loro conforto ("Anime care, bench'infinita sia vostra sciagura, datevi pace; e questo vi conforti che conforto nessuno avrete in questa o nell'età futura"). In pratica secondo il poeta l'unico conforto di quei disperati deve essere la disperazione stessa.
Questo tema Leopardi lo approfondisce nel 1821 nello Zibaldone. Scrive che l'uomo non può vivere senza speranza. La disperazione stessa non può esistere senza la speranza; l'abbandono delle speranze si accompagna o alla speranza di non soffrire più, perché non si spera più in niente (non ci sono perciò aspirazioni che possono essere frustrate), o a quella di godere della disperazione stessa e dei sentimenti forti che è in grado di suscitare. 
Per Leopardi quindi la disperazione può donare un conforto così come la speranza stessa.

Francesco Abate