sabato 24 dicembre 2022

BUON NATALE... CON UNA POESIA

 

Auguro a tutti di passare un buon Natale e un felice anno nuovo.
Fino all'inizio del prossimo anno non pubblicherò nuovi post, perciò vi lascio con in regalo una poesia, pubblicata sull'agenda 2023 della casa editrice Ensemble.
Vi ricordo che sul blog trovate tutti i link per l'acquisto dei miei libri o semplicemente pagine in cui scoprire qualcosa in più su di me.
Ci rivediamo nel 2023!

SEDUTO NELL'IMMONDIZIA

Vedo la felicità che vola via,
rubata da uccelli stranieri che
me l'hanno strappata dalle mani.
Vedo la felicità che si sporca,
raccoglie perle nella discarica
per farsene una collana.
Vedo la felicità che si svende,
si lascia calpestare, sputare addosso,
e bruciano le mani con cui ersi il castello
nel cui oro l'avrei avvolta di onori;
me ne sto seduto nell'immondizia
a guardarla morire,
penso alla vita che avremmo avuto
e la vedo sfiorire.

Francesco Abate

mercoledì 14 dicembre 2022

ACARI DI GIAMPAOLO G. RUGO

 

Acari è il primo romanzo di Giampaolo G. Rugo, pubblicato nel 2021 dalla casa editrice Neo. Sebbene questo sia il suo primo libro, Rugo non è nuovo alla scrittura, avendo al suo attivo già diverse sceneggiature cinematografiche e teatrali.
Acari è un romanzo di racconti, una raccolta di tante storie apparentemente scollegate tra loro ma in realtà unite da un filo conduttore. Leggendolo, il lettore attraversa la vita di persone tanto comuni da poter essere chiunque e le segue in un arco temporale che va dagli anni Ottanta ai giorni nostri. La penna dello scrittore ci tratteggia la scoperta della morte da parte di un gruppo di ragazzi, adolescenti mai sazi di vita che della fine hanno un'idea appena accennata; vediamo poi le salite e le discese della vita di una bellissima ragazza, la più bella della scuola, che si rovina e poi prova a risorgere; assistiamo alle tribolazioni dell'invalido Gimbo, che grazie all'amico Mario riesce comunque a vivere delle belle esperienze e a prendere una decisione difficile. Tutto questo film si svolge a Roma, non quella delle bellezze che affascinano il mondo intero o quella dei quartieri degradati, ma la città della piccola e media borghesia che tranquilla ospita esistenze in apparenza insignificanti. Eppure, ci dice Rugo, quelle esistenze sono dense, cariche di energie che causano e producono allontanamenti e avvicinamenti, che costruiscono legami e li distruggono; dentro quei palazzi uguali e anonimi c'è la vita.
Essendo una storia di vite i temi che pone all'attenzione del lettore sono tanti, in apparenza molti possono sembrare frivoli ma non lo sono. Affrontiamo in queste pagine la finzione televisiva attraverso lo show che ogni anno ospita la donna più vecchia del mondo, una di quelle trasmissioni che confeziona una realtà rassicurante imbottendola di stereotipi così da accalappiare il pubblico. Attraverso la storia di un padre ex calciatore fallito scopriamo il dramma che si può nascondere dietro le aspettative troppo alte caricate sulle spalle di giovani che avrebbero bisogno solo di crescere e divertirsi. Vediamo poi il dolore e l'amore dei giovani e degli adulti, sentimenti così simili eppure tremendamente diversi. Tutta l'opera nel suo complesso sfida il lettore a riflettere sulla fugacità degli incontri e dei rapporti umani; questi racconti sono storie di incontri e di allontanamenti, di rapporti umani che sembrano dover durare per sempre e che invece si sgretolano sotto il peso del tempo e degli eventi. Attraverso la storia di Gimbo è sottolineata anche l'importanza delle piccole cose, dei momenti felici, perché solo chi è privato quasi di tutto può assaporare appieno la dolcezza di un sorriso ricevuto o di un contatto intimo.
In Acari ci sono tante cose, forse tanto di tutto, ma sia la scrittura che l'espediente dei racconti rende la storia interessante e scorrevole. L'autore non si dilunga in riflessioni proprie, si limita a mostrarci la vita e a farcela scoprire con gli occhi dei personaggi. Si tratta di un romanzo godibile, ma non di pagine senza contenuto e questo ai giorni nostri è molto raro.

Francesco Abate

domenica 4 dicembre 2022

PAKISTAN

 

Corre in bici Iqbal, 
bambino gioioso e vivace;
chiedeva penne e matite,
ebbe un proiettile nella schiena.
Pakistan è la quarta poesia della sezione dell'Inferno dei popoli, contenuta nel libro Inferno.
La poesia parla del dramma vissuto da milioni di bambini pakistani, venduti alla mafia dei tappeti e costretti a lavorare in regime di schiavitù, e lo fa attraverso la storia di Iqbal Masih, bambino che si ribellò al suo ruolo di schiavo e divenne simbolo della lotta contro il lavoro minorile e per il diritto all'infanzia. Come spesso accade nelle storie vere, non c'è il lieto fine: Iqbal fu ucciso a dodici anni in circostanze mai chiarite, ma forte è il sospetto che dietro alla sua morte ci fosse proprio la mafia pakistana dei tappeti.
Milioni di bambini in Pakistan vengono rapiti o venduti per poi essere condotti "dove il sole non nasce mai / dove la carezza è una frusta che schiocca / dove il bacio è un calcio in faccia."
Questa poesia canta perciò la miseria e l'ingiustizia che tiranneggiano il Pakistan, ma anche la voglia di combattere per un paese più giusto di cui è simbolo il povero piccolo Iqbal.



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Francesco Abate

domenica 27 novembre 2022

L'ELEGANZA DEL RICCIO DI MURIEL BARBERY

 

Renée e Paloma sono due anime in incognito, come i ricci si sono messe al riparo dietro uno stereotipo per difendersi da una realtà troppo mediocre.
La prima è la portiera di un elegante palazzo abitato dall'alta borghesia parigina, la seconda invece una ragazzina di dodici anni la cui mente geniale è mortificata da una famiglia superficiale e ottusa.
Attraverso le loro storie, raccontate dalle dirette interessate, Muriel Barbery ci mostra gli stereotipi della società attuale e come questi possano sotterrare personalità straordinarie.
Solo un uomo proveniente dall'altra parte del mondo, mister Ozu, libero dai preconcetti della società parigina, riesce a vedere il vero volto di quella portiera in apparenza tanto burbera e ottusa; lui scopre che dietro quella finzione si nasconde una donna molto colta, affamata di conoscenza e incline alla riflessione, un'attenta osservatrice della realtà da cui però fugge a causa di un grande dolore patito tanti anni prima. Mister Ozu libera Renée dalla finzione in cui si è intrappolata e, senza volerlo, finisce per salvare anche la vita di Paloma, che stanca del mondo e della famiglia aveva deciso di uccidersi nel giorno del suo compleanno.
Se le due protagoniste hanno deciso per ragioni diverse che il mondo è un posto da cui è meglio nascondersi, mister Ozu è un'immagine che viene da lontano e mostra loro che è possibile trovarvi anche del buono, che è sbagliato nascondersi e si può provare a vivere con le carte scoperte.

Sebbene il messaggio del romanzo sia importante e la narrazione sia densa di riflessioni profonde, la lettura scorre con una certa pesantezza e il romanzo solo nel finale cattura l'interesse e invita alla lettura. Diciamo che per parecchie pagine bisogna forzarsi ad andare avanti, solo alla fine la strada si fa in discesa e la lettura comincia a scorrere via piacevolmente.
Un'altra cosa che mi è piaciuta poco di questo romanzo è che combatte una battaglia contro le apparenze, mostrandoci il vero volto di una portiera che tutti credono ignorante e stupida, ma nella descrizione delle famiglie alto-borghesi cade in tentazione e dagli stereotipi attinge in abbondanza, senza una vera indagine psicologica degli altri personaggi. Certo l'autrice non ne avrà rilevato la necessità visto che il romanzo è impostato come la lunga riflessione di Renée e Paloma, ma forse nella parte finale avrebbe potuto sfruttare la nuova consapevolezza delle due protagoniste per guardare con occhio un poco più attento la realtà circostante; non facendolo, ha lasciato nel romanzo tre personaggi circondati da bambole di pezza.
Certo queste pecche sembrano aver dato fastidio solo a me, visto che il romanzo è stato un best-seller mondiale e ha addirittura ispirato il film Il Riccio nel 2008. Per quanto mi riguarda però non è un libro memorabile, anche se è una lettura che può piacere e che di sicuro non è tempo perso; un libro discreto, insomma, non un capolavoro.

Francesco Abate

mercoledì 16 novembre 2022

LA DEA MALALA

 

La dea Malala è la terza poesia contenuta nella sezione "L'Inferno dei singoli" del mio libro Inferno.

La poesia parla dell'attivista pakistana Malala Yousafzai, che a quindici anni fu gravemente ferita con degli spari alla testa dal regime dei talebani pakistani. Sin dall'età di tredici anni, Malala attraverso un blog sulla BBC ha documentato le violazioni dei diritti delle donne nel suo paese, inoltre si è sempre battuta per il diritto all'istruzione, che nei paesi dove si applica rigidamente la sharia è negato alle donne.
La sua storia per me è il simbolo dell'antagonismo che c'è tra i totalitarismi e la cultura, infatti la storia insegna che chiunque voglia detenere il potere assoluto per prima cosa manipola o nega l'istruzione; chi si istruisce bene sviluppa coscienza critica ed è difficile da imbrigliare con le favolette religiose o politiche.
Mentre noi diamo per scontata l'istruzione, spesso vantandoci della nostra ignoranza o comunque deridendo chi cerca di acculturarsi, in altre parti del mondo c'è chi sceglie di rischiare la vita pur di riceverla. Purtroppo è vero che solo quando qualcosa manca se ne riconosce il valore, noi sputiamo sopra qualcosa che altri vedono come la salvezza.

La storia di Malala mi colpì moltissimo quando nel 2012 le spararono, da allora provo per lei una grandissima ammirazione. Ne ammirai la maturità precoce e il coraggio, perché francamente dubito che a quindici anni sarei stato capace di mettere in gioco la mia vita per avere diritto all'istruzione, considerando soprattutto che a quell'età a scuola andavo malvolentieri.
Lei ha sempre compreso il valore che hanno le parole scritte in un libro, quindi leggendo sente "il rumore che fanno nel cuore / e vedi inchinarsi a loro il sole". Lei ha capito che i talebani avevano le armi e potevano uccidere, ma chi sa maneggiare le parole e l'arte è capace di creare: 
Cosa può fare un colpo di pistola?
Uccidere.
Cosa può fare una parola nell'aria?
Creare.
Avendo lei compreso il potere creativo che danno le parole, dichiaro che: 
"Di questo mondo arido sei una divinità,
uno sparo a cancellarti non servirà".



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Francesco Abate

domenica 13 novembre 2022

FIABE IRLANDESI DI WILLIAM BUTLER YEATS

 

Lo scrittore William Butler Yeats trascrisse numerose fiabe della tradizione irlandese in due raccolte: Fiabe e racconti popolari delle campagne irlandesi (1888) e Fiabe irlandesi (1892).
L'interesse per questi antichi frutti della cultura antica d'Irlanda fu giustificato dalla totale adesione dell'autore alla corrente del Rinascimento Celtico, che si proponeva la riscoperta della lingua e della cultura gaelica che stavano soccombendo col progredire della modernità rappresentata dagli odiati dominatori inglesi. 
In Inghilterra gli esseri fatati e le loro storie erano ormai spariti, distrutti dalla tradizione cristiana, invece in Irlanda, grazie anche all'opera di trascrizione portata avanti da tanti scrittori, questi racconti antichi sopravvivevano, rendendo la cultura irlandese un baluardo contro una modernità troppo piatta e conformista.
Nelle due raccolte l'autore non si limita solo a trascrivere storie tramandate da generazioni, si preoccupa di fare una precisa descrizione delle creature che popolavano questa particolare mitologia, permettendo al lettore di immergersi nell'Irlanda dei secoli passati, fatta di folletti e sirene.
Leggere le due raccolte di Yeats permette al lettore di conoscere una cultura antica, fondata su tradizioni pagane contaminate poi dall'avvento del cristianesimo. Si può anche osservare come alcune fiabe siano comuni a tutta la letteratura popolare nordeuropea, seppure con non poche variazioni. Ad esempio troviamo la fiaba di Biancaneve, ma in questa non c'è traccia dei sette nani e la matrigna non trama contro di lei per invidia, lo fa per una questione ereditaria, inoltre qui la protagonista ha dodici fratelli mutati in oche selvatiche e per salvarli non può né parlare né ridere.
L'Irlanda esercita su molti di noi un certo fascino e credo che la lettura di queste fiabe sia ideale per conoscere meglio le radici di questo paese.

Francesco Abate

martedì 1 novembre 2022

YAZIDI

 

Yazidi è la terza poesia contenuta nella sezione "L'Inferno dei popoli", la quarta della raccolta Inferno.
Gli Yazidi sono tribù di lingua e origine curda che hanno una religione propria. Chiamati "adoratori del Diavolo" dai musulmani, nel 2014 subirono nel nord dell'Iraq la furia omicida dell'Isis, che in pochi giorni uccise migliaia di persone e rapì numerose donne allo scopo di renderle schiave sessuali. Una di queste, Nadia Murad, riuscì a fuggire dopo tre mesi e nel 2018 fu insignita del premio Nobel per la pace insieme all'attivista congolese Denis Mukwege per l'impegno contro l'uso dello stupro come arma di guerra.
Gli Yazidi sono uno fra i tanti popoli perseguitati per via delle differenze religiose, piaga ancora molto diffusa nel nostro mondo che crediamo tanto civile. Sono però anche il simbolo di un popolo che resiste, perché nonostante le persecuzioni non rinnegano la loro fede e conservano dignità e tradizioni pur nelle tribolazioni.
La poesia si apre con una domanda:
Ci chiamate "adoratori del Diavolo"
e fate bruciare al sole le nostre pelli;
quale Dio potrà perdonarvi?



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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

martedì 25 ottobre 2022

MUTAMENTO POLITICO E RIVOLUZIONE DI NORBERTO BOBBIO

 

Mutamento politico e rivoluzione è un libro che riporta le registrazioni di 54 lezioni tenute dal professor Norberto Bobbio durante il suo ultimo anno di corso all'Università di Torino, nell'anno accademico 1978-1979.
Il libro può essere diviso in due parti: dalla lezione 1 alla 44 è trattata un'ampia parte storica, in cui il professore approfondisce i concetti di mutamento politico e rivoluzione partendo da Platone fino ad arrivare a Marx; dalla lezione 45 alla 53 il professore si dedica invece alla costruzione di una teoria generale della rivoluzione; infine, durante l'ultima lezione, il prof. Bobbio esprime il proprio personale punto di vista sulla questione che, essendo le lezioni tenute alla fine degli anni Settanta, a quei tempi era tragicamente attuale. 

Riguardo la parte storica, il professor Bobbio mostra come nell'antichità non esistesse il termine rivoluzione riferito alla politica o almeno non venisse mai usato col significato che gli viene attribuito al giorno d'oggi. 
A partire da Platone, tanti filosofi nell'antichità si dedicano allo studio della politica, su tutti Aristotele, ma questi parlano di mutamento e mai di rivoluzione
Per chiarirci l'idea circa il significato originario del termine rivoluzione, ci basta ricordare cosa significa in ambiti non politici. In astronomia parliamo di rivoluzione quando ci riferiamo al moto di un corpo celeste intorno ad un altro, come ad esempio il moto di rivoluzione che la Terra compie intorno al Sole. Quindi in origine il termine rivoluzione indicava il compimento di un ciclo fisso, la conclusione naturale di un movimento predeterminato, qualcosa di molto diverso dal significato attuale che il termine assume in ambito storico e politico.
La svolta arriva con la Rivoluzione francese, da quel momento si inizia a parlare di rivoluzione intendendo il sovvertimento improvviso e violento di un ordine costituito. Le lezioni storiche del professor Bobbio sono interessanti perché non solo mostrano l'inizio del nuovo uso di questo termine, ma mettono in evidenza anche quanto la Rivoluzione francese abbia impressionato le menti dell'epoca; non c'è un filosofo di quei tempi e di quelle posteriori che, trattando di politica, non la ponga in una posizione centrale nella propria riflessione. Molto interessante è anche osservare come alcuni grandi filosofi, pur giudicandone negativamente gli effetti, diano un giudizio almeno parzialmente favorevole alla Rivoluzione francese: Kant giudica tutte le rivoluzioni negative perché sovvertono l'ordine costituito, eppure ritiene che quella francese abbia segnato un progresso storico e per questo le concede un giudizio positivo.

Nonostante la parte storica sia molto importante per comprendere appieno il seguito, la seconda parte è più affascinante perché ci mostra la genesi di una teoria della rivoluzione.
Per classificare i mutamenti politici, osserva Bobbio, bisogna guardarli dal punto di vista del mutamento e da quello del movimento: dal punto di vista del mutamento possono essere totali o parziali, cioè portare a un cambiamento radicale nella costituzione del paese oppure solo ad uno parziale, mentre da quello del movimento possono essere violenti o non-violenti.
La rivoluzione è totale e violenta, poi c'è il colpo di stato che è parziale (cambia chi governa, non necessariamente la costituzione) e violento, ci sono le rivoluzioni improprie come quella industriale che sono totali e pacifiche, infine c'è la riforma che è parziale e pacifica. L'antitesi perfetta della rivoluzione, che è totale e violenta, è la riforma, che è parziale e pacifica.
La rivoluzione nasce da un'utopia, cioè dalla voglia di una classe di cittadini di cambiare in modo radicale, veloce e violento l'ossatura di una nazione. La storia insegna però che, dopo la rivoluzione, c'è la dittatura della classe che l'ha promossa (ad esempio il giacobinismo dopo la Rivoluzione francese o la dittatura bolscevica in Russia), poi il Terrore (nel caso della Russia ci fu Stalin), infine la restaurazione di un ordine simile o uguale a quello precedente (Napoleone in Francia, la caduta dell'URSS, ecc.). 
La storia ci insegna quindi che le rivoluzioni vanno a finire sempre male, per questo molti vedono un'alternativa più credibile nella sua antitesi, la riforma. La riforma si pone lo stesso obiettivo della rivoluzione, cerca però di conseguirlo nelle maglie delle regole costituzionali, per gradi e senza atti violenti. Al traguardo finale non giunge mai, perché è utopistico, ma prova ad avvicinarsi il più possibile. Lo stesso Bobbio nell'ultima lezione, sollecitato da studenti e colleghi, dopo un corso in cui ha mantenuto sempre un atteggiamento imparziale, ammette di propendere più per la riforma.

Per quanto mi riguarda e per quel che vale, sono pienamente d'accordo con le conclusioni del professor Bobbio. 
La rivoluzione, per quello che vuole conseguire e il modo in cui vuole conseguirlo, deve necessariamente essere violenta. Come la storia insegna, qualsiasi dottrina politica, religiosa o morale, per quanto virtuosa possa essere, non attecchisce nella società civile quando viene imposta con la forza. Noi tutti crediamo che la democrazia sia la migliore forma di governo, perché è egualitaria, eppure dove si è cercato di imporla con la forza si sono solo creati focolai di guerra perenne. Le dottrine morali, politiche, religiose, possono attecchire solo nel tempo con cambiamenti naturali della cultura, non si possono imporre o accelerare usando le armi o il carcere. Per queste ragioni qualsiasi rivoluzione, sebbene virtuosa negli intenti, è destinata a fallire. L'abbiamo visto in Francia, dove ha portato al Terrore e poi a Napoleone, in Russia, dove ci sono state le purghe staliniane, in Cina, dove un partito ha potere assoluto sui cittadini. Nessun cambiamento può essere imposto con la violenza senza generare una reazione contraria e ugualmente violenta.
La riforma è la soluzione più equa e percorribile. Essa avviene in tempi lunghi e arriva a compimento solo quando è recepita dalla società, perché non imposta ma approvata democraticamente. Deve essere bravo chi vuole compierla a proporla nel modo e nei tempi giusti, cosa che i politici di oggi non sanno più fare, ed è sempre la tappa di un cammino infinito verso una meta in continuo movimento; questo cammino è la politica e può essere compiuto solo attraverso le riforme.

Mutamento politico e rivoluzione è un grandissimo libro per tantissime ragioni. Tratta argomenti spinosi e molto sentiti (oggi è così, figuriamoci negli anni Settanta) col giusto distacco scientifico, in modo organizzato e approfondito.
La grandezza di questo libro sta innanzitutto nella sua accessibilità. Sebbene riporti un corso universitario e tratti di una materia per niente semplice, è risultato di semplice lettura per me che non sono laureato e che della filosofia conservo solo qualche sbiadito ricordo del liceo. La parte storica è un grande riassunto della filosofia intorno all'argomento ed è adatto anche per un appassionato non ferrato nella materia, parte infatti dalle basi ed è affrontato in modo molto chiaro e ben approfondito. La parte teorica è poi straordinariamente interessante sia per i contenuti che offre, sia perché mostra il modo di procedere della mente di un filosofo nella costruzione di una teoria. Il libro ha poi dalla sua parte il fatto di trattare un argomento di grandissimo interesse.
Mi è piaciuto molto leggere questo libro perché mi ha accresciuto culturalmente e mi ha dato basi più solide per riflettere sulla politica passata e presente. Ritengo poi che sia fondamentale da leggere perché mostra quanto dovrebbe essere complesso il processo di formazione di un'idea, può essere quindi un ottimo antidoto al pensiero spicciolo e superficiale di cui è schiava la nostra società attuale. Mi è piaciuto molto sentire anche il clima che si respirava in un'aula universitaria degli anni Settanta; le osservazioni degli studenti, che un po' rivelano anche il loro pensiero politico e filosofico, se lette con attenzione possono farci sentire la turbolenza di quegli anni.
Per me questo è un libro che andrebbe dato in lettura nelle scuole, perché è importante dare ai giovani, che a quell'età smaniano per conoscere e cambiare il mondo, i mezzi per interpretare al meglio la storia e l'attualità.  

Francesco Abate

domenica 9 ottobre 2022

DAPHNE E LA PIOVRA

 

Daphne e la piovra è la seconda poesia della sezione "L'Inferno dei singoli", contenuta nella raccolta di poesie Inferno.
A ispirare la poesia è la vicenda tragica della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa il 16 ottobre 2017 da una carica di tritolo piazzata nella sua automobile. Un delitto che ricorda molto quelli compiuti da Cosa Nostra contro i magistrati Falcone e Borsellino; l'ennesimo delitto compiuto da una piovra dai "tentacoli lerci e fetidi", in questo caso la corruzione, contro una donna colpevole di non aver mai taciuto la verità.
Daphne era infatti molto attiva e le sue inchieste coprivano principalmente episodi di corruzione che infestavano la sua isola, il suo coraggio non la faceva tacere nemmeno quando c'era da puntare il dito contro importanti esponenti del governo maltese. Daphne è stata anche la prima giornalista a pubblicare la notizia del coinvolgimento di due ministri maltesi nello scandalo dei Panama Papers. Forse proprio questo atto di libertà e coraggio le è costato la vita, ma anche con la morte è riuscita a non far tacere la verità, le indagini seguite all'attentato hanno infatti portato alla caduta del Governo Muscat. 

Daphne Caruana Galizia è la degnissima rappresentante della schiera purtroppo foltissima di giornalisti uccisi dal potere corrotto. Eppure chi con coraggio sceglie di diffondere la verità non muore mai invano, questo insegna la sua vicenda, e lei ha offerto la sua vita "per cantare ancora quella nota / che domina il pentagramma del mondo", cioè per rivelare ancora una volta la verità.
Questa poesia è il mio modesto, forse insulso, atto di ammirazione e riconoscenza per una donna che ha dato tutto per combattere una piaga che infesta il suo amato paese.

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Francesco Abate

domenica 2 ottobre 2022

FAUST DI JOHANN WOLFGANG GOETHE

 

Faust è un'opera in versi composta dallo scrittore e poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe nell'arco di sessant'anni, a partire dal 1772 fino al 1832.

Il poema riprende un personaggio della tradizione popolare tedesca e vi infonde l'anima dell'uomo moderno. Il Faust di Goethe non è solo uno scienziato che vende l'anima al Diavolo per la conoscenza, è uno spirito inquieto che tenta in ogni modo di superare i limiti imposti all'intelletto umano. 
Nel soddisfare i suoi desideri, Faust commette molti peccati, su tutti la corruzione e l'uccisione della dolce e casta Margherita. Nonostante ciò alla fine dei suoi giorni, quando Mefistofele lo fa morire perché convinto di aver vinto la sua anima, è la bontà divina a riconoscere i fini nobili che muovevano lo scienziato, che ha provato a superare i limiti della sua mente non per vanagloria ma per desiderio di bene. In quest'ottica Goethe lancia un messaggio preciso, ci indica infatti che la volontà di conoscenza è positiva e non va mai censurata.
Anche Mefistofele è nell'opera goethiana qualcosa in più di un semplice diavolo. Egli riconosce che il Diavolo non è granché e all'inizio dell'opera appare lusingato quando Dio gli concede udienza, la sua funzione è quindi quella di mostrare come il male sia meno soddisfacente di quanto appaia e che di fronte alla Grazia ogni intenzione oscura viene distrutta.

Nell'arco dei sessant'anni di stesura, Goethe ha pubblicato in tre riprese la sua opera. La prima parte, l'Urfaust, era molto più legata ai canoni dello Sturm und Drang, mentre nelle pubblicazioni successive l'autore ha inserito numerosi elementi classici che hanno conferito al Faust una straordinaria originalità.
Sebbene sia un'opera ambientata nella Germania del diciottesimo secolo, Goethe riesce a inserire dialoghi con filosofi antichi e con personaggi della mitologia greca, fino a far vivere al suo protagonista una travolgente passione con la più bella donna della storia, Elena di Troia.
Così come le scene e i personaggi, anche lo stile e i linguaggi usati dall'autore variano molto lungo lo svolgersi dell'opera. Si tratta decisamente di un poema inquieto come il suo autore, infatti tutta la vicenda è dominata dalle pene morali di Faust, che rappresentano fedelmente i tormenti che visse Goethe nell'arco della propria esistenza. Alla fine il personaggio non trova appagamento né nell'amore né nel potere, e solo con la salvezza dell'anima è definitivamente liberato dai tormenti patiti in vita.

Goethe è stato senza dubbio uno degli artisti più importanti della cultura europea. Il Faust è un'opera molto originale e che presenta un'interessante analisi dell'essere umano e della sua sete di crescita intellettiva e spirituale. Goethe mostra i tormenti di un'anima riflessiva, quelli che sono anche i suoi, e conclude che questi non sono da sottomettere a una cieca fede, bensì vanno tradotti in una crescita interiore.
L'opera essendo in versi non è di facile lettura, sebbene la traduzione di Guido Manacorda, la più importante di quelle italiane, scelga di trasformarne alcune parti in prosa per esigenze di stile. Vale però la pena di fare uno sforzo; sono tante le scene originali pensate dallo scrittore tedesco e in più l'opera permette di gettare uno sguardo su tutto quello che fu il Romanticismo europeo.

Francesco Abate

mercoledì 21 settembre 2022

SIRIA

 

Padre caro che dici d'amarmi
perché i tuoi baci sanno di fuoco?
Con questi versi si apre Siria, la seconda poesia dedicata all'Inferno dei popoli.
La poesia vuole essere una riflessione sulla sanguinosa guerra civile che devasta il paese dal marzo 2011, quando parte della popolazione si ribellò al duro governo del presidente Bashar Assad. Quella che nacque come una delle numerose rivolte nate sulla scia della cosiddetta "primavera araba" si scontrò con la feroce resistenza del presidente e della parte di popolazione a lui fedele. Come spesso accade nei conflitti in quelle aree, subito la Siria divenne lo scacchiere su cui giocare una terribile partita tra Russia, Cina e Iran da una parte (alleati di Assad) e Stati Uniti dall'altra. Mentre le superpotenze facevano il loro gioco, i siriani si trovavano bloccati tra due fuochi e morivano ammazzati tanto dal Governo quanto dai ribelli.
Dal marzo del 2011 ad oggi, quindi da più di 11 anni, i siriani vivono in un paese raso al suolo e sotto l'incubo delle bombe.

Nella poesia ho voluto vedere il conflitto dal punto di vista di un cittadino. Assad, il presidente, si comporta coi cittadini come un padre-padrone, li percuote per piegarli alla propria volontà invece di lasciarli liberi, e questo figlio chiede al proprio padre perché quelli che dovrebbero essere gesti d'affetto si rivelano tanto dolorosi. Se ci pensate, un presidente è messo al potere per fare il bene dei cittadini, come un padre dovrebbe fare per i propri figli, invece Assad li bombarda e non ha esitato ad usare su di loro anche armi chimiche.
La vittima di tanta crudeltà si chiede: 
Padre caro che dici d'amarmi 
perché i tuoi gioielli sfondano i timpani? 
Oggi infatti i governi spendono tanto nelle armi, che diventano di conseguenza i loro gioielli.



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Francesco Abate

domenica 18 settembre 2022

VI PRESENTO LA MIA NUOVA POESIA, LA FESTA DELLE LUCCIOLE

 

Ho il piacere di presentarvi la mia ultima poesia, La festa delle lucciole, pubblicata sul sito Spillwords.com.

Si tratta di una poesia breve che dipinge un animo tormentato e triste sullo sfondo gioioso dell'esplosione della vita e della primavera. 
Le lucciole rappresentano la gioia che saluta la vita, l'assapora, ma a questo tipo di banchetto non riesce ad accedere chi nell'anima porta il peso della malinconia. Chi ha l'anima zavorrata da un evento doloroso, o in generale da una generica insoddisfazione di sé, non riesce ad accostarsi con piacere alla vita e si sottrae alla festa delle lucciole.

Vi ricordo che potete trovare questa e altre poesie che ho pubblicato su questa pagina.
Se vi piacciono le mie poesie, vi consiglio la lettura della mia prima raccolta pubblicata, Inferno.

Buona lettura.

Francesco Abate

venerdì 9 settembre 2022

CUORE DI CANE DI MICHAIL BULGAKOV

 

Cuore di cane è un racconto che lo scrittore russo Michail Bulgakov scrisse nel 1925, ma a causa della censura operata dal KGB non vide la luce prima del 1967. Motivo della censura fu la descrizione cruda e spietata della società sovietica di quegli anni, in special modo del proletariato.

Il racconto parla del cane randagio Pallino che, ferito e sul punto di morire dal freddo, viene raccolto dal professor Preobrazenskij. Nella casa del luminare il cane viene curato e riprende rapidamente le forze, ma ben presto scopre che a spingere l'uomo a raccoglierlo non è stata la compassione, infatti ha intenzione di usarlo per un terribile esperimento. Preobrazenskij è famoso per restituire la gioventù, o almeno una parvenza d'essa, ai suoi pazienti, ma con Pallino prova a ridare la vita a un morto, infatti gli impianta l'ipofisi e le ghiandole seminali di un uomo deceduto da poco.
A seguito dell'esperimento, Pallino muta nell'aspetto e diventa umano, ma i suoi comportamenti restano influenzati dall'istinto animale, dando vita a un individuo rozzo e privo di controllo.

Cuore di cane è un racconto fantascientifico che si sofferma di più sulle questioni sociali ed etiche che non su quelle scientifiche.
Attraverso gli occhi di Pallino, prima cane e poi uomo, vediamo una società spaccata in due. Nonostante la rivoluzione, sopravvive ancora un'alta borghesia arrogante e sprecona, che guarda con disprezzo al proletariato e osteggia qualsiasi tentativo di equa spartizione dei beni. A contrapporsi alla classe ricca ci sono poi i proletari, persone ignoranti e imbottite di slogan rivoluzionari ma prive di reali contenuti ideologici.
Sebbene la rivoluzione abbia instaurato il comunismo, è ancora evidente nella Russia di Bulgakov come ci sia una classe ricca che resiste e tiene troppo per sé, mentre ai proletari restano da condividere i resti e vivere una vita tra fango e miseria. 
La descrizione della società sovietica fatta da Bulgakov spiega come mai il racconto fu censurato. La Russia di quegli anni mostrava già i primi segni di fallimento della rivoluzione comunista, infatti i privilegi non erano stati cancellati e soprattutto il proletariato continuava a sopravvivere nella miseria.

I personaggi principali del racconto sono due.
Il professor Preobrazenskij è il perfetto rappresentante dell'alta borghesia arrogante e avida. Vive in una casa molto grande in cui tiene anche il laboratorio e si concede con regolarità lauti banchetti. Vede i proletari come dei zoticoni, ladri ignoranti capaci solo di insozzare ogni cosa. Il professore è un luminare che restituisce agli anziani pazienti la giovinezza, o almeno una parvenza d'essa, ma con Pallino tenta l'impresa più ardua, quella di dare nuova vita a un morto, o almeno di creare una vita. Il suo esperimento fallisce, ma lui si pente di averlo fatto solo per via del carattere animalesco della creatura, mai viene preso da un dubbio o un rimorso di natura etica.
Pallino è il cane che viene raccolto dal professore e diventa suo malgrado vittima dell'esperimento. Da animale osserva con disprezzo la società che lo maltratta e lo spinge verso la morte. Da umano, si contrappone al suo creatore sposando le tesi rivoluzionarie, pur non capendole mai davvero, e mantiene un contegno in parte animalesco che lo rendono insopportabile a chi, come il professore, sente di avere una morale: si ubriaca, è volgare nel parlare e tocca in modo osceno le donne. Alla fine si può dire che Pallino rappresenti l'anarchia, infatti lui si approfitta della rivoluzione per sfogare liberamente i propri istinti, libero da qualsiasi legge morale.

Bulgakov è conosciuto principalmente per Il maestro e Margherita, straordinario romanzo, ma anche Cuore di cane merita attenzione.
Si tratta di un racconto all'apparenza leggero e scanzonato, è infatti narrato dal punto di vista del cane e questo lo rende simpatico sebbene mostri una realtà drammatica. Nonostante il tono, però, è un libro pieno di contenuti e spunti di riflessione, tanto da aver messo paura a chi la riflessione cercava di spegnerla, cioè alla dittatura sovietica.
Questo racconto è ben lontano dalla poesia contenuta ne Il maestro e Margherita, è più asciutto ed essenziale, eppure in poche pagine sa essere una critica spietata a una società e ad una rivoluzione che all'epoca ancora il mondo intero guardava con interesse. Cuore di cane è la conferma di quanto Bulgakov fosse indipendente.

Francesco Abate

domenica 4 settembre 2022

IL PIANTO DI ALESSIA

 

Il pianto di Alessia è la poesia che apre la sezione "L'Inferno dei singoli" nella mia raccolta Inferno.
Il componimento prende spunto dalla straziante vicenda di Alessia Cirillo, giovane donna transgender morta di tumore circa due anni fa. Morì senza il conforto dei familiari, che la abbandonarono perché incapaci di accettare la sua volontà di essere ciò che davvero era, cioè una donna. Tanto priva di amore era la sua famiglia da infierire anche dopo la morte: fece affiggere i manifesti funebri col suo nome al maschile, negandole quindi anche in quel momento estremo il riconoscimento che ogni essere umano dovrebbe ottenere senza sforzi.
Alessia Cirillo visse una vita difficile, privata dell'amore dei familiari e tradita solo in nome di squallidi pregiudizi ancora duri a morire. Chi doveva amarmi mi ha tradita, in questo verso della poesia si racchiude tutta la sua triste vicenda.

Quella di Alessia è una storia di dolore e di infamia, il dolore di una donna tradita dalle persone amate e l'infamia di chi pone il pregiudizio al di sopra dell'amore.
La storia a suo tempo mi colpì e sentii il bisogno di riportarla, è infatti un perfetto esempio di una vita colma di dolore. Credo che sia importante leggere la poesia e conoscere la vicenda anche per il suo valore sociale, perché i diritti delle persone con una sessualità ingiustamente considerata diversa (diversa da chi? da cosa? chi dice che ci siano davvero una normalità e delle eccezioni?) ancora oggi sono violati e l'odio contro di loro sfocia di continuo in tragici fatti di cronaca. Spero che immedesimandosi nel dolore che visse Alessia, capendo che chi la giudicava è un infame indegno di essere chiamato umano, diventi più chiaro quanto ingiusto sia negare dei diritti solo in virtù di squallidi pregiudizi. Il cattivo è chi giudica, non chi chiede di vivere una vita libera e felice.



Vi ricordo che potete acquistare Inferno in tutte le librerie o sui collegamenti che trovate in questa pagina.

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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

martedì 30 agosto 2022

IL GRANDE FRATELLO CI GUARDA, I SUOI OCCHI SIAMO NOI

 

Neanche si è sgonfiata la polemica sui video delle feste di Sanna Marin, che internet si riempie di nuove immagini scottanti. A cadere sotto i colpi della videocamera stavolta è stato il vicepresidente della Juventus, Pavel Nedved.
Una donna prima e un uomo ora sono stati ripresi durante momenti privati e questi filmati sono stati poi pubblicati senza il loro consenso, causando loro gravi problemi personali e, nel caso della Marin, politici.
Come spesso accade, anche in questo caso assistiamo ad un'incomprensibile inversione della colpa. A finire nel fuoco incrociato delle polemiche sono le vittime di un reato, la Marin e Nedved, mentre poco si dice contro chi ha diffuso quei filmati e quindi ha commesso l'illecito. Chiunque diffonda un video o una foto in cui compare una persona fisica compie un trattamento di dati personali; la diffusione di dati senza l'autorizzazione del soggetto a cui gli stessi fanno riferimento è una violazione delle norme a tutela della privacy. Non può essere invocata in questi casi la tutela della libera informazione perché né la Marin né Nedved hanno commesso reati o danneggiato in alcun modo la collettività, quindi ciò che hanno fatto a quelle feste era affar loro. Diverso fu il caso di Berlusconi alle cui feste erano presenti prostitute minorenni, lì si trattava di far emergere un comportamento illecito tenuto da un uomo delle istituzioni.
Al di là della questione della colpa, resta comunque da fare un'amara riflessione: il Grande Fratello ci guarda e i suoi occhi siamo noi. Viviamo una realtà in cui qualsiasi nostro comportamento può finire in rete, qualsiasi parola o gesto che compiamo potrebbe perseguitarci e intaccare la nostra vita. Lasciarsi andare, vivere qualche ora spensierata, fare qualche pazzia, ormai non è prudente nemmeno per un cittadino comune, perché chiunque potrebbe filmarlo e diffonderlo, creandogli problemi nella vita personale o in quella sociale. Questo fenomeno sfocia in casi estremi come ad esempio il revenge porn, in cui viene filmata una persona in atteggiamenti intimi per poi ricattarla o umiliarla. Qualunque cosa facciamo o diciamo può finire in pasto al pubblico, diventa perciò impossibile ogni spontaneità e di conseguenza viene uccisa la libertà.
George Orwell in 1984 descrive un mondo in cui ogni cittadino è costantemente spiato. La grande forza del regime di cui racconta lo scrittore britannico non è lo spionaggio costante delle case attraverso le tv, ma è l'aver reso potenziali spie tutti i cittadini; se non sai da chi difenderti, non puoi permetterti il lusso di comportarti liberamente, quindi non ti ribellerai. Oggi siamo tutti potenziali spie, tutti pronti coi nostri smartphone a fotografare o filmare, tutti potenziali ladri di momenti privati da rivendere per loschi fini o per ingenuità. Pensateci quando domani bacerete qualcuno al chiaro di luna, o canterete brilli per la strada: può essere che vi stiano filmando, e quel video tra un paio d'anni potrà rovinarvi un fidanzamento o farvi perdere il lavoro. 
Siamo tanti occhi curiosi. Tanti occhi senza cervello.

Francesco Abate

domenica 21 agosto 2022

INFINITE JEST DI DAVID FOSTER WALLACE

 

Infinite Jest è il romanzo più importante dello scrittore americano David Foster Wallace. Nel 2005 la rivista Time lo inserì nella lista dei cento migliori romanzi di lingua inglese scritti dal 1923.
La fama di questo libro ha contribuito a rendere iconica la figura di Wallace, tanto che nel 2015 fu realizzato su di lui il film The End of the Tour - Un viaggio con David Foster Wallace, nel quale vengono raccontati i cinque giorni in cui il giornalista David Lipsky realizzò con lui una video-intervista.

Parlare di trama riferendosi a Infinite Jest è improprio, è più giusto parlare di una serie di eventi che ruota intorno alla cartuccia smarrita di un film intitolata appunto "Infinite Jest".
Gli eventi che Wallace ci narra, tutti rigorosamente sparsi e senza un ordine apparente, si svolgono tra la Enfield Tennis Accademy, la casa di recupero per tossicodipendenti Ennet House, e più in generale nella Boston di un futuro non troppo lontano.

Il futuro che Wallace ci presenta nel romanzo è un mondo inquietante dominato dagli sponsor e dalla ricerca di intrattenimento vuoto, quindi da un continuo tentativo di fuggire dalla realtà. Gli anni non sono più indicati in numero progressivo, ma ognuno prende il nome di uno sponsor, così come "Anno del pannolone per adulti Depend".
La società viene vista principalmente attraverso gli occhi confusi degli studenti che frequentano l'ETA (Enfield Tennis Accademy) e i pazienti dell'Ennet House, quindi è già di per sé uno sguardo alterato e confuso, reso alla perfezione dallo stile del romanzo privo di una sequenza temporale definita o di una sequenza logica. I poveri studenti vivono una realtà soffocante in cui sono costantemente sotto pressione, spinti a una competitività senza limiti nel tennis e sottoposti ad allenamenti massacranti, inoltre la maggior parte di loro non ha rapporti o ne ha di malati con familiari e amici; devastati mentalmente dalla propria situazione, tutti cercano rifugio nelle sostanze stupefacenti.
Anche l'Infinite Jest, questo intrattenimento supremo, può essere considerato una droga: provoca un piacere fisico e finisce per estraniare dalla realtà i suoi spettatori, rendendoli catatonici. Tutti i tipi di intrattenimento che osserviamo nel mondo di Infinite Jest sono quindi estranianti, servono a far fuggire dalla realtà ma finiscono per distruggere la mente di chi li usa, appunto come le droghe. Non è sbagliato dire quindi che lo scopo principale del romanzo è mostrarci come l'uomo si senta sempre più estraneo al mondo in cui vive e cerchi di fuggirne anche a costo di autodistruggersi, questo perché viviamo un'esistenza sempre più vincolata a una società che obbedisce all'economia, sempre più slegata dalle esigenze fisiche e morali dell'individuo.

Più del tema molto attuale, di questo romanzo a colpire il lettore è soprattutto lo stile. Wallace rompe in tutti i modi la linearità della narrazione, sia smembrando la storia e presentandola pezzo per pezzo senza un ordine preciso, sia inserendo con abbondanza note al testo. Con questo espediente rende alla perfezione una realtà allucinata e quasi priva di senso, priva di scopo, ma allo stesso tempo rende il romanzo di difficile lettura.

Infinite Jest è forse uno dei romanzi più importanti della cultura contemporanea mondiale; lo è sicuramente se consideriamo solo quella americana.
Sebbene si tratti di un romanzo scritto chiaramente da un autore colto e straordinariamente dotato, capace di cambiare stile ogni volta che vuole e di costruire una narrazione disorientante, a mio parere ha il difetto di essere esagerato. L'autore ha voluto mischiare le carte e fare casino, scelta condivisibile visto il tema trattato e la realtà oggetto della narrazione, ma credo abbia esagerato, creando un romanzo pieno di contenuti ma praticamente illeggibile. Io stesso, lo confesso, dopo 200 pagine circa ho dovuto a malincuore alzare bandiera bianca. La lettura procede spezzettata e con pesantezza, si trascina, si perde dopo un po' ogni curiosità e ogni voglia di conoscere l'epilogo della vicenda, nonostante in linea di massima si capisca dove l'autore voglia andare a parare.
Le tendenze della letteratura moderna, specie quella americana, spingono verso questi libri caotici e un po' inconcludenti (il genere chiamato "realismo isterico"). Sicuramente a tanti piacciono queste opere e molte, compresa questa, sono valide e meritano attenzione, ma per me la letteratura resta prima di tutto un piacere; se il lettore legge e fa una fatica tremenda per capirci qualcosa, magari perde pure la voglia dopo un certo numero di pagine, lo scrittore ha sbagliato qualcosa.
Nonostante il mio giudizio negativo, ribadisco però che Infinite Jest ha i suoi contenuti e ne consiglio la lettura a chi ama questo genere di romanzi.

Francesco Abate

domenica 14 agosto 2022

PALESTINA

 

Palestina è la poesia che apre la sezione "L'Inferno dei popoli" nella mia raccolta Inferno.
La questione palestinese è ben nota e si può riassumere efficacemente nell'immagine che apre l'articolo, una mappa che mostra come dal 1947 Israele ha rubato sempre più territorio alla Palestina, ovviamente per farlo ha avuto bisogno di bombe e terrore. Se avete voglia di approfondire, potete leggere questo articolo del blog.

La poesia mostra la questione vista da un povero palestinese, che non può scappare ma vive nel terrore di Israele, e si chiede se sia meglio morire nel deserto o sotto i proiettili israeliani. L'uomo in questione ha sete, perché ai palestinesi è destinata la parte di territorio povera di risorse, e in costante pericolo di vita non riesce a godere dell'amore come farebbe normalmente uno di noi.
Il tapino si rivolge anche al suo Dio, ma la preghiera non serve a liberarlo dal dramma né a rinfrancarlo, così conclude che il mostro a sei punte (riferimento alla Stella di David) ha più voce di Allah. 



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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

lunedì 8 agosto 2022

VITE IN CAMBIO DI CARBONE: IL DISASTRO DI MARCINELLE

 

L'8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier, nella città belga di Marcinelle, scoppiò un incendio in cui persero la vita 262 uomini, di questi 136 erano italiani. A causare l'incendio forse fu un errore di comunicazione, con un ascensore tirato su mentre portava ancora del carico sporgente col quale recise un tubo dell'olio ad alta pressione e dei cavi elettrici; le scintille prodotte dai cavi a contatto con l'olio diedero vita all'incendio.
La strage, una delle più gravi nella storia delle miniere, portò in luce le condizioni disumane in cui vivevano i minatori italiani in Belgio. 
A seguito dell'incidente fu aperta un'inchiesta e furono create diverse commissioni d'inchiesta, ma nessuno ha realmente pagato per quanto accaduto e i dossier frutto delle indagini appaiono inconcludenti e pieni di contraddizioni.

La massiccia presenza di minatori italiani in Belgio era figlia del protocollo italo-belga firmato il 23 giugno 1946 da De Gasperi e Van Acker. Secondo i termini dell'accordo, l'Italia avrebbe fornito al Belgio 50.000 lavoratori sani e robusti ricevendo in cambio carbone a prezzi vantaggiosi. 
L'accordo nasceva dal bisogno belga di manodopera per l'estrazione del carbone e dalla necessità italiana di ridurre il numero dei disoccupati, nonché dal bisogno della preziosa fonte energetica che aveva il nostro paese per garantire la ripresa post-bellica.
Se però l'accordo garantiva vantaggi reciproci alle parti politiche, non si può dire lo stesso per i lavoratori coinvolti. Il Governo italiano pubblicizzò l'opportunità di lavoro apponendo su tutto il territorio nazionale dei manifesti rosa, i quali però tacevano le enormi criticità che gli italiani avrebbero trovato in Belgio. I lavoratori selezionati per l'espatrio, non sapevano di essere vincolati a lavorare almeno un anno in miniera, pena l'arresto, e che quindi non avrebbero avuto possibilità di ripensamento nonostante in molti non sapessero cosa fosse davvero il mestiere del minatore. L'organizzazione poi lasciava parecchio a desiderare, visto che gli italiani partivano da Milano senza conoscere la destinazione, la quale spesso veniva decisa al momento dell'arrivo. Gli uomini poi, dopo aver viaggiato verso la nuova avventura ignari di ciò che li attendeva, all'arrivo si ritrovavano alloggiati in baracche di lamiera usate come prigioni durante la Seconda Guerra Mondiale, delle trappole roventi d'estate e gelide d'inverno.
Intrappolati in baracche squallide e in un lavoro insalubre e pericoloso, per gli italiani non vi fu possibilità di integrazione. La società belga li tenne ai margini e solo dopo Marcinelle, solo dopo aver percepito appieno i disagi a cui erano costretti, cominciò pian piano a integrarli.

Nel 1967 la miniera fu definitivamente chiusa con l'intenzione di spianarla e costruirci un supermercato. Solo grazie alla raccolta firme promossa da sei ex minatori italiani e da un parroco fu possibile la costruzione del museo che ancora oggi sorge nell'area, a memoria della strage e di coloro che vi perirono.

Sebbene siano passati 66 anni dalla strage di Marcinelle, occorre conservarne la memoria per diverse ragioni.
Quei 262 morti ci insegnano che il sistema economico malato della nostra società ha avuto, e purtroppo continua ad avere, un importante costo in vite umane. Pur di garantirsi il guadagno, non si esita a risparmiare su formazione e sicurezza, aumentando le possibilità di incidenti fatali. I 136 morti italiani ci ricordano poi di un Governo che per garantirsi un vantaggio economico mandò al macello i cittadini che avrebbe dovuto tutelare, perché è impensabile che non fosse al corrente delle condizioni in cui venivano tenuti i minatori immigrati, e se pure le ignorava peccò di superficialità.
Quella triste vicenda dovrebbe farci aprire gli occhi sul nostro presente, come la storia sempre è capace di fare. Sebbene Marcinelle sia lontana nel tempo, non lo è tanto nelle condizioni sociali. Oggi gli immigrati in tanti paesi, compreso il nostro, vivono nelle baracche e vengono destinati a lavori pericolosi e degradanti, vengono sfruttati e sottopagati, come succedeva agli italiani in Belgio; oggi i lavoratori muoiono perché si risparmia sui costi di sicurezza e formazione, solo in Italia ci aggiriamo intorno ai 1000 morti all'anno. Una volta erano i minatori, oggi sono i muratori o i rider; una volta erano gli italiani e oggi sono gli africani, ma la sostanza non cambia: l'avidità di pochi umilia e uccide gli esseri umani.
Questo continuano a urlarci i minatori di Marcinelle.

Francesco Abate

lunedì 1 agosto 2022

PARLANO DI ME

Oggi sulla testata locale Battipaglia News è stato pubblicato un articolo che parla di me e del mio ultimo libro, Inferno.

Vi ricordo che potete trovare tutte le informazioni e i link di acquisto di Inferno su questa pagina.

Buona lettura.

Francesco Abate

venerdì 29 luglio 2022

INNO DELL'INFERNO

 

Inno dell'Inferno è la poesia che apre la mia raccolta, Inferno, anticipando la sezione L'Inferno dei popoli.
Si tratta di una sorta di prologo in cui presento in versi quelli che sono i contenuti dell'opera. Per farlo in questa poesia ho scritto un inno valido per tutti gli inferni, dando uno sguardo generale prima di affrontare i temi particolari.

La poesia è composta di quattro strofe.
La prima strofa si compone di quindici versi; in essi canto come il dolore trovi sempre nuovo nutrimento perché ciascun vincitore ha bisogno di un perdente ("L'uomo che vince / ha bisogno d'un perdente") e il perdente perfetto è sempre l'essere umano distrutto nel corpo e nello spirito ("e chi perde di più / dell'uomo dal cuore strappato / o del tempio devastato?").
Anche la seconda strofa è fatta di quindici versi. All'inizio ripropone lo stesso concetto della precedente, poi usa Lucifero come metafora per dire che i malvagi sono avidi e non si saziano mai. Nella metafora faccio riferimento alle tre teste di Lucifero, ispirandomi alla descrizione che ne fa Dante nel Canto XXXIV dell'Inferno, dicendo appunto che vuole cibo per tre teste e indicando per ciascuna una vittima simbolica: uomo, donna e bambino.
La terza strofa è composta da otto versi. In questa si fa riferimento al fatto che le bandiere e gli inni delle nazioni accennano sempre ad alti valori e ad un passato glorioso, quando la storia insegna invece che tutte affondano le proprie radici nel sangue e nello sfruttamento.
La quarta strofa, di soli tre versi, è un monito: gli assassini, in questo caso gli sfruttatori, possono pure fingere di puntare a chissà quali alti valori, ma nel concreto guardano solo a ciò che possono ricavare materialmente ("Guardate le stelle se vi fa star bene, / ma l'occhio dell'assassino / finisce sempre rivolto in basso").

Vi ricordo che potete acquistare Inferno in tutte le librerie o sui collegamenti che trovate in questa pagina.
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Grazie e buona lettura.

Francesco Abate   

lunedì 18 luglio 2022

CECITA' DI JOSE' SARAMAGO

 

Pubblicato nel 1995 col titolo originale Ensaio sobre a Cegueira (Saggio sulla cecità), Cecità è uno dei capolavori dello scrittore portoghese José Saramago.
Dal romanzo è stato tratto nel 2008 un film diretto da Fernando Meirelles con Julianne Moore.

La storia si svolge in un luogo indefinito, in un tempo contemporaneo ma non delineato con precisione.
Nel corso di una normale giornata, un automobilista diventa improvvisamente cieco. Non è però una cecità comune, la totale immersione nell'oscurità, perché chi ne viene colpito in realtà si trova immerso in un'immutabile e assoluto biancore.
Dopo l'automobilista, lentamente cominciano a perdere la vista tutti i cittadini. Il Governo, per arginare quella che crede un'epidemia, inizia l'internamento dei ciechi all'interno di strutture abbandonate. 
Un oculista divenuto cieco si ritrova internato in un ex manicomio con sua moglie, che finge di diventare cieca per seguirlo. La donna sarà l'unica a non perdere mai la vista e sarà testimone di tutte le conseguenze della misteriosa cecità.
Nel manicomio, man mano che aumentano gli arrivi, si perde completamente ogni decenza e ogni senso di solidarietà. Mancando un'autorità in grado di esercitare un controllo, un gruppo di ciechi prepotenti, favoriti dal possesso di una pistola, instaura una dittatura nel manicomio: ruba tutte le scorte di cibo e le distribuisce solo in cambio di pesanti tributi, tra cui anche il corpo delle donne.
La situazione sociale e umana degenera in modo incredibile, con l'accumulo a dismisura di sporcizia e la disumanizzazione di uomini sempre più indeboliti e affamati.

Cecità è forse uno dei romanzi più famosi di Saramago, di certo uno dei più citati durante la pandemia.
Per quanto concerne lo stile di scrittura, vi ritroviamo tutte le caratteristiche tipiche dello scrittore portoghese.
La scrittura è fitta, intensa, senza grandi interruzioni, ma la lettura non diventa mai pesante. Manca addirittura la punteggiatura propria dei discorsi diretti, i quali sono mantenuti dall'autore fusi in un tutt'uno con la narrazione.
I nomi propri dei personaggi non sono mai citati, a ciascuno l'autore si riferisce citandone una peculiarità ("la moglie del medico", "il guercio", ecc.). Questa scelta è probabilmente dettata dalla volontà di rendere la storia universale, di non confinarla nel recinto delle vicende personali di Tizio o Caio. Per la stessa ragione non ci viene mai indicato il luogo o il periodo in cui si svolge la vicenda, addirittura i ciechi perdono la capacità di distinguere il giorno e la notte.

Il tema principale trattato in questo romanzo è la riorganizzazione della società in assenza di regole. Leggendo l'evoluzione della storia, sembra che l'autore l'abbia scritta chiedendosi cosa accadrebbe nel mondo se sparisse l'ordine costituito. La risposta è purtroppo la più terribile: in regime d'anarchia esploderebbe la violenza dei più forti contro i più deboli. In manicomio un gruppo di ciechi, forte del possesso di un'arma, instaura una dittatura spietata sugli altri, imponendo il pagamento di tributi in oggetti di valore e poi pretendendo il possesso del corpo delle donne. Si osserva perciò come, in assenza di regole, il valore determinante diventi la capacità di fare del male e chi la detiene possa esercitare sui sottoposti una tirannia priva di qualsiasi freno. In questo regime violento, anche chi è onesto e non ama fare del male viene costretto a sporcarsi di sangue per difendersi; lo osserviamo con la moglie del medico che, suo malgrado, è costretta a uccidere il capo dei ciechi violenti per evitare un altro stupro collettivo.
Il comportamento dei ciechi prepotenti suscita anche delle riflessioni sulla fame nel mondo. Nell'ex manicomio il cibo non è tanto, ma è sufficiente per tutti. Quando il gruppo decide di affermare la propria supremazia, si appropria di tutte le scorte e fornisce cibo solo in cambio della sottomissione, preoccupandosi però di dare sempre il meno possibile e di far deperire l'eccesso, così da tenere sempre in condizione di bisogno gli altri ciechi. Sostituendo ai ciechi prepotenti le nazioni ricche, e ai ciechi sottomessi quelle povere, abbiamo l'immagine più realistica possibile del problema della fame nel mondo.
Molto suggestiva è un'immagine che scatena importanti riflessioni sulla religione. Mentre sosta in una chiesa dopo aver avuto un malore, la moglie del medico si accorge che tutte le immagini sacre sono state bendate o accecate. Sebbene si tratti di una descrizione di poche righe, una visione senza alcun seguito, è una fotografia potente che ci permette di riflettere sulla fede di un'umanità in crisi. I ciechi nella chiesa, immersi in una sofferenza umiliante e senza fine, percepiscono la divinità come cieca, disinteressata, e la rappresentano in tal modo. Un'altra interpretazione che penso si possa dare al passaggio è che l'immagine divina viene sempre percepita e rappresentata somigliante a chi la raffigura (Dio è raffigurato come uomo, i santi come uomini e donne, idem gli angeli), quindi in un mondo di ciechi Dio sarebbe immaginato e raffigurato privo della vista. 

José Saramago è uno dei miei scrittori preferiti e leggo sempre con piacere i suoi romanzi. Fino ad ora nessuno dei suoi romanzi mi aveva deluso e Cecità ha rispettato in pieno le mie aspettative.
La scrittura di Saramago è originale e solo in apparenza pesante, fatta di periodi molto densi e un ritmo privo di interruzioni, ma l'autore riesce a non diventare mai pesante e il romanzo si legge con piacere. 
Come in tutti i suoi libri, lo scrittore portoghese riesce ad affrontare temi importanti e a far riflettere il lettore sull'umanità e sui moti della mente umana. Con Cecità ci proietta in un mondo cattivo, sporco e senza regole, ci insegna che dell'inferno ciò che ferisce di più è la puzza, non le torture o il fuoco.
La grandezza di questo romanzo è che contiene tutto al suo interno: psicologia umana, politica, religione. Saramago rade al suolo la società e mostra gli uomini nudi, in balìa degli eventi, insegnandoci che siamo meno puliti di quanto crediamo. Privati delle nostre protezioni diventiamo tutti sporchi, tutti potenziali assassini e assassinati; soprattutto diventiamo tutti egoisti.

Francesco Abate