domenica 12 maggio 2019

COMMENTO AL CANTO XXVIII DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch'a li occhi temperava il novo giorno,
sanza più aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d'ogne parte auliva.
Il canto XXVIII inizia con Dante che, giunto nel Paradiso terrestre, è pieno del desiderio di esplorare questa foresta verdeggiante (viva) e tanto folta di alberi (spessa) da attenuare la luce del sole. Si allontana dal margine su cui si trova e si muove lentamente per il giardino, così da non perdersi niente, e nota come l'ambiente sia molto ricco di profumi. La descrizione di questo magnifico giardino verdeggiante e profumato è in aperta contrapposizione con quella della selva oscura da cui il viaggio del poeta è partito. Nel canto I dell'Inferno Dante ci ha descritto una selva selvaggia e aspra e forte, invece qui troviamo una foresta spessa e viva; la selva inoltre era oscura, qui invece c'è la piacevole presenza della luce del sole attenuata dalle foglie degli alberi. Il poeta era immerso nella natura all'inizio di questo viaggio e lo è anche ora, quella del canto I era però la natura terribile della perdizione, questa invece è la natura fantastica e piacevole della purificazione. Terminato il primo periodo, l'autore si dilunga con una descrizione ricca della fantastica natura che regna nel giardino: un lieve venticello soffia costantemente alla stessa velocità e piega leggermente le fronde degli alberi verso occidente ("le fronde, tremolando, ... tutte quante piegavano a la parte u' la prim'ombra gitta il santo monte"); le fronde degli alberi, essendo il vento leggero, si piegano così poco da non disturbare gli uccelli che si poggiano per cantare la letizia delle prime ore del mattino, accompagnati dal suono delle foglie accarezzate dal vento. La scena ricorda a Dante la pineta di Classe (Chiassi) quando soffia il vento ("tal qual di ramo in ramo si raccoglie / per la pineta in su 'l lito di Chiassi, / quand' Eolo scilocco fuor discioglie"). Il poeta è già entrato tanto nel giardino da non vedere più il punto d'ingresso, quando deve arrestare il suo cammino per via di un piccolo fiume le cui piccole onde piegano l'erba spuntata sulla riva. Tanto è limpida l'acqua di questo fiume da far apparire torbidi i corsi d'acqua più puri del mondo; la limpidezza di queste acque è tanta da risaltare nonostante scorrano sotto l'ombra della vegetazione ("Tutte l'acque che son di qua più monde, / parrieno avere in sé mistura alcuna / verso di quella, che nulla nasconde, / avvegna che si mova bruna bruna / sotto l'ombra perpetua, che mai / raggiar non lascia sole ivi né luna"). Si ferma il poeta a guardare la grande varietà di alberi in fiore sull'altra riva del fiume, uno spettacolo che gli rimanda alla mente le primavere fiorentine: l'espressione "i freschi mai", usata per descrivere la scena, ricorda i maggi fiorentini, in cui si usava appendere rami fioriti alle porte e alle finestre. La contemplazione di Dante si interrompe quando nota, sempre sull'altra riva del fiume, una donna che cammina da sola e, cantando, raccoglie dei fiori che sceglie lungo la via che ne è piena ("e là m'apparve, sì com'elli appare / subitamente cosa che disvia / per maraviglia tutto altro pensare, / una donna soletta che si gia / e cantando e scegliendo fior da fiore / ond' era pinta tutta la sua via"). La donna in questione scopriremo nel canto XXXIII che è Matelda e allora ne parleremo più approfonditamente, adesso qui è da segnalare il modo in cui è descritta, col suo atteggiamento sembra essere parte integrante nel paesaggio, un'espressione della grazia così come tutto l'ambiente della foresta; l'azione della scelta dei fiori in mezzo a un prato fiorito è un'allegoria, ella elegge le migliori opere virtuose per farsene corona. Al di là dell'effettivo ruolo che la donna ha nella Commedia, circa il suo valore simbolico la critica non è concorde: per alcuni rappresenta la perfezione della vita attiva e l'utilizzo virtuoso delle qualità intellettuali, per altri invece la felicità terrena e l'innocenza, altri ancora vedono in lei il ministero sacerdotale, o la sapienza del Vecchio Testamento, o la grazia preveniente e cooperante. 
Dante si rivolge a Matelda chiamandola bella donna che si riscalda ai raggi dell'amore, cosa che può dedurre perché crede che all'immagine del viso corrisponda quella del cuore, e le chiede di avvicinarsi al fiume così che lui possa capire cosa sta cantando; poi dice che lei gli ricorda la giovane e bella Proserpina, che fu rapita da Plutone e portata via dalla madre, evento in seguito al quale Cerere privò la Terra della primavera (la bella stagione tornò poi sei mesi l'anno per intercessione di Giove il quale, per salvare il pianeta dall'eterno inverno, dispose che Proserpina trascorresse sei mesi col marito Plutone e sei con la madre). Matelda ascolta la preghiera di Dante e la esaudisce avvicinandosi verso di lui quasi ballando, facendo passi piccoli e senza mai alzare i piedi da terra, sembrando una vergine che abbassa gli occhi per pudore, fino ad arrivare così vicino da fargli comprendere il proprio canto ("Come si volge, con le piante strette / a terra e intra sé, donna che balli, / e piede innanzi piede a pena mette, / volsesi in su i vermigli e in su i gialli / fioretti verso me, non altrimenti / che vergine che li occhi onesti avvalli, / e fece i prieghi miei esser contenti, / sì appressando sé, che 'l dolce suono / veniva a me co' suoi intendimenti"). Arrivata dove le acque del fiume bagnano l'erba, la donna alza gli occhi verso Dante il quale, vedendoli, ipotizza che tanto non splendevano d'amore quelli di Venere quando si innamorò di Adone per colpa di un errore del figlio Cupido (la frase "fuor di tutto suo costume" si riferisce alla passione insolita che si impossessò della dea). La donna ride sull'altra riva e nelle mani tiene fiori di tanti colori, i quali nel Paradiso terrestre nascono senza bisogno di essere seminati. Il fiume li separa di soli tre passi, eppure Dante lo odia più di quanto Leandro odiava l'Ellesponto che lo separava dall'amata Ero, perché non lo lascia libero di avvicinarsi alla donna. 
Terminata la scena dell'avvicinamento di Dante e Matelda, adesso separati solo dal piccolo fiume, tra i due inizia un dialogo. Comincia a parlare lei, rivolgendosi non solo a Dante, ma anche a Stazio e Virgilio. Dice loro che, essendo appena arrivati, ignorano le leggi del luogo e per questo sono meravigliati e dubbiosi, ma il salmo Delectasti può cancellare ogni loro dubbio; invita poi il poeta fiorentino, colui che sta davanti e l'ha pregata di avvicinarsi, a chiederle ciò che vuole, visto che lei è venuta a rispondergli quel tanto che basti. Dante non si fa pregare e subito manifesta una sua perplessità: Stazio gli aveva infatti detto che al di sopra della porta del Purgatorio non c'è nessun fenomeno atmosferico ad alterare la natura, eppure lui nella foresta sente il vento e vede l'acqua scorrere. Matelda dice che risponderà e eliminerà la nebbia che gli oscura la mente, poi con una lunga spiegazione chiarisce l'equivoco. Il sommo Bene, che non ha alcun fine al di fuori di sé stesso ("che solo esso a sé piace"), creò l'uomo buono e disposto al bene, dandogli poi questo giardino come anticipo della pace eterna. A causa del peccato, l'uomo dimorò poco nel Paradiso terrestre e cambiò il riso e il dolce gioco in pianto e affanno. Perché i perturbamenti dell'atmosfera prodotti sotto al monte dalle esalazioni dell'acqua e della terra, che cercano di andare verso il calore, non creassero problemi agli esseri umani, Dio alzò il monte del Purgatorio così in alto da renderlo immune agli agenti atmosferici sin dalla porta del Purgatorio. Siccome tutta l'aria si muove in cerchio a causa del moto del Primo Mobile, a meno che non vi sia un ostacolo a fermarla, nel Paradiso terrestre, che è immerso nell'aria pura (totale assenza di ostacoli), questo movimento causa il vento che scuote le fronde e tale scuotimento permette alle piante di liberare nell'aria i loro semi, che si spargono per tutta la Terra e in ogni zona germinano quelle specie che trovano caratteristiche del suolo e dell'ambiente adatte alle proprie esigenze (per questo non ci si deve meravigliare quando, nel mondo dei vivi, si vede una pianta nascere senza che nessuno l'abbia seminata). Matelda spiega poi che nel giardino c'è ogni tipo di seme e frutto, anche varietà che tra i vivi non sono note. Per quanto riguarda il fiume, non nasce da una sorgente di acqua che può mutarsi in vapore o in ghiaccio, come un normale fiume che a causa dei mutamenti di stato delle acque può acquistare o perdere impeto; esso nasce da una sorgente immutabile (salda) e inesauribile (certa) e dipende dal volere divino: riacquista tanta acqua quanta ne versa nei due fiumi in cui si divide. Dalla parte in cui sono loro l'acqua discende con il potere di togliere a chi la beve il ricordo dei peccati commessi in vita, dall'altra parte scende un altro fiume che fissa per l'eternità i ricordi delle buone azioni compiute. Il fiume presso cui sono loro è il Letè, quello dall'altro lato è l'Eunoè e non funziona se prima non si sono bevute le acque del Letè, è perciò necessario prima dimenticarsi dei peccati commessi per poter poi ricordare il bene fatto. Essendo acque che permettono all'uomo di ristabilire l'ordine turbato e riavvicinarsi a Dio, esse hanno un sapore che non ha eguali. Circa le radici dei nomi dei fiumi, il Lete nella mitologia greca era il fiume della dimenticanza posto nell'oltretomba, invece il nome Eunoè è un'invenzione di Dante e può essere tradotto come "buona mente".
Dopo aver spiegato a Dante l'origine del vento e dei fiumi nel Paradiso terrestre, Matelda gli fa la grazia di aggiungere un'altra informazione che non gli aveva promesso, ma che è sicura lui gradirà. Gli dice che i poeti che scrissero dell'età dell'oro sul monte Parnaso forse immaginarono questo luogo, il Paradiso terrestre; aggiunge poi che in questo posto vissero i progenitori di tutti gli umani, Adamo ed Eva, è sempre primavera e nasce ogni frutto, inoltre l'acqua è come il nettare degli dèi. Dante si volta verso Virgilio e Stazio, i quali accolgono con un sorriso compiaciuto l'ultima rivelazione di Matelda, la quale ha confermato come per effetto della grazia divina loro, che il mito del Paradiso terrestre non l'avevano conosciuto perché non avevano potuto leggere la Bibbia, avevano intravisto quel segno della bontà divina. Il canto si conclude col poeta che volge di nuovo lo sguardo verso la donna.

Francesco Abate     

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