domenica 7 gennaio 2018

COMMENTO AL CANTO XI DELLA "DIVINA COMMEDIA - INFERNO"

Il canto inizia coi due poeti intenti a scendere verso il settimo cerchio. Si trovano su un'alta rupe formata dalle pietre rotte di cui è piena la città di Dite. Mentre le mura che la separano dal resto dell'Inferno sono solide e integre, l'interno della città è pieno di pietre distrutte, è una città in rovina. Tale distruzione è dovuta al fortissimo terremoto che precedette la venuta di Cristo nel Limbo (Virgilio lo spiegherà nel canto XII). Sotto di loro vi è già una nuova schiera di dannati, ma la terribile puzza che arriva dal settimo cerchio costringe Dante e Virgilio a fermarsi ed a ripararsi dietro ad una tomba su cui è scritto: "Anastasio papa guardo, / lo qual trasse Fotin de la via dritta". Nella tomba in questione vi è dunque l'anima di papa Anastasio II, collocato dall'autore del poema nel cerchio degli eretici. Anastasio II fu pontefice nel periodo in cui rifiorì l'eresia monofisita, la quale sosteneva che in Gesù Cristo vi fosse solo la natura umana e non quella divina. Nel tentativo di ricucire lo strappo con la chiesa d'oriente, Anastasio II accolse a Roma il diacono Fotino. Tale azione però fu compiuta all'insaputa dei vescovi e dei chierici romani e destò molti sospetti, Fotino infatti era molto vicino ad Acacio, vescovo di Costantinopoli e sostenitore del monofisismo. I sospetti generati dalla condotta di Anastasio II ebbero una tale eco da affibbiargli per tutto il medioevo la fama di eretico, così si spiega la decisione di Dante di collocarlo nel sesto cerchio dell'Inferno. Di Anastasio II vi è comunque solo la citazione che ho riportato sopra, il poeta non dice altro.
Riparati dietro la tomba di Anastasio II, i due poeti sostano nell'attesa di abituarsi alla puzza che sale dal cerchio inferiore. Lo stesso Virgilio ritiene opportuna questa sosta. Dante propone di capitalizzare il tempo dedicato a quel riposo forzato, la sua guida in verità ci aveva già pensato, infatti gli spiega la topografia dell'Inferno. Dentro la città di Dite gli restano da visitare "tre cerchietti / di grado in grado, come que' che lassi", cioè vi sono altri tre cerchi dal diametro sempre minore man mano che si scende, come quelli che il poeta ha già visitato. Virgilio poi, onde evitare di doverglielo spiegare dopo, gli spiega anche la logica secondo la quale sono assegnate le anime nei due cerchi sottostanti. Ogni violazione ha come fine quello di commettere un'ingiustizia che si realizza o con la violenza o con l'inganno ("frode"). L'inganno è un peccato proprio dell'essere umano, nonostante ciò dispiace a Dio più della violenza perché si realizza attraverso un uso distorto della ragione, è quindi un peccato più grave. Secondo questa logica, nel primo cerchio sotto di loro (il settimo dell'Inferno) sono puniti i violenti. Il settimo cerchio è diviso in tre gironi, perché "si fa forza a tre persone", cioè si può usare la forza contro il prossimo, contro sé stessi o contro Dio. Nel primo girone sono puniti i violenti verso il prossimo: "Morte per forza e ferute dogliose / nel prossimo si danno, e nel suo avere / ruine, incendi e tollette dannose; / onde omicide e ciascun che ma fiere, / guastatori e predon, tutti tormenta / lo giron primo per diverse schiere". Nel secondo girone sono invece puniti i violenti contro sé stessi, cioè coloro che si sono suicidati o che hanno dissipato i loro averi. Nel terzo invece trovano l'eterna pena coloro che hanno usato violenza contro Dio, cioè i bestemmiatori, e anche i sodomiti e i caorsini (nel medioevo venivano indicati con questo termine, derivante dalla terribile fama dei banchieri della città francese di Cahors, gli usurai), che Dante indica citando i nomi delle città di Sodoma e Caorsa. Virgilio poi continua passando al peccato di frode: "La frode, ond'ogne coscienza è morsa, / può l'omo usare in colui che 'n lui fida / e in quel che fidanza non imborsa". La guida spiega a Dante che la frode è un peccato commesso sempre con premeditazione, si può ingannare sia chi ha fiducia che chi non ne ha. Coloro che hanno ingannato chi di loro non si fidava ("ipocresia, lusinghe e chi affattura, / falsità, ladroneccio e simonia, / ruffian, baratti e simile lordura"), sono puniti nell'ottavo cerchio. Per quanto riguarda coloro che ingannarono chi di loro si fidava, essi hanno commesso un peccato ben più grave perché hanno spezzato dei legami d'amore generati dalla natura, quindi sono puniti nel cerchio posto più in basso, che termina tra le fauci di Lucifero. Nel nono cerchio, l'ultimo dell'Inferno, sono puniti coloro che tradirono i parenti, la patria, gli amici, i benefattori e Dio. 
Ascoltata la spiegazione di Virgilio, Dante è assalito da un dubbio, chiede infatti perché i dannati collocati fuori alle mura (lussuriosi, iracondi, golosi, ecc.) non siano puniti all'interno della città di Dite come i violenti e i fraudolenti ("Ma dimmi: quei de la palude pingue, / che mena il vento, e che batte la pioggia, / e che s'incontran con sì aspre lingue, / perché non dentro da la città roggia / sono ei puniti, se Dio li ha in ira?"). Virgilio non fornisce una risposta diretta a questo quesito, si limita a richiamare alla mente di Dante l'Etica aristotelica e la divisione dei peccati in incontinenza, malizia e matta bestialitade. I peccatori posti al di fuori della città di Dite sono gli incontinenti, cioè coloro che cedettero ad una passione finendo nel peccato. A differenza dei violenti e dei fraudolenti, che compiono l'azione peccaminosa consapevolmente e con un fine preciso, l'incontinente è travolto dalla passione e cede ad un moto naturale del suo animo. In pratica l'incontinenza è un peccato che offende meno Dio perché è compiuto quasi inconsapevolmente, è come se il peccatore venisse indotto all'errore, a differenza della violenza e della frode. A questo punto Dante chiede perché gli usurai sono puniti come violenti verso Dio. Virgilio fa un nuovo richiamo alla filosofia, spiega che la natura discende da Dio e l'uomo dovrebbe vivere solo della natura e del lavoro che da essa deriva (arte). L'usuraio non segue questo precetto, esso vive del ricavato dei prestiti e vende più volte la stessa merce, quindi agisce contro la natura e contro Dio (da cui la natura stessa discende), ponendosi sullo stesso livello di chi bestemmia. 
Terminata l'ultima spiegazione, Virgilio esorta Dante a riprendere il cammino e a scendere verso il settimo cerchio: "Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace; / ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta, / e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace, / e 'l balzo via là oltra si dismonta".

Francesco Abate

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