domenica 7 aprile 2019

COMMENTO AL CANTO XXIV DELLA "DIVINA COMMEDIA - PURGATORIO"

Ne 'l dir l'andar, ne l'andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento.
E l'ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte.
Il canto XXIV si apre con la continuazione del dialogo tra Dante e l'amico Forese Donati, con l'autore che constata come né il chiacchierare rallenti il loro cammino né il muoversi intacchi il vigore delle osservazioni dell'anima, ma si spostano velocemente come la nave spinta dal buon vento. Le anime intanto, consunte dalla pena della cornice (rimorte), guardano con stupore l'uomo che cammina tra loro pur essendo ancora in vita. D'un tratto, Dante constata come Stazio proceda nel cammino più lentamente di quanto avrebbe fatto se fosse stato solo, accompagna i poeti nel loro viaggio e questo lo rallenta, dopodiché chiede a Forese dove sia sua sorella Piccarda e se può indicargli tra quelle anime qualcuno degno di essere notato. L'amico risponde subito dicendo che la sorella, che non sa se fu più buona o più bella, trionfa tra le anime del Paradiso; spiega poi che non è vietato nella cornice indicare i nomi delle anime, dato che esse sono rese irriconoscibili dall'estrema magrezza che le sfigura. Fatta l'introduzione, Forese indica Bonaggiunta da Lucca, giudice e poeta lucchese; più in là fa notare a Dante un volto più screpolato e grinzoso degli altri ("...e quella faccia di là da lui più che l'altre trapunta..."), si tratta del pontefice Martino IV, il quale fu canonico della diocesi di Tours ("dal Torso fu"), ed ebbe fama di essere goloso delle anguille del lago di Bolsena, che faceva morire nel vino e cucinare in vari modi, per questo si purga con la fame e la sete ("ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: / dal Torso fu, e purga per digiuno / l'anguille di Bolsena e la vernaccia"). Forese indica molti altri nomi e Dante nota come ogni anima, una volta indicata, appaia contenta, mentre nessuno si rattrista; questo succede perché essere ricordate dà alle anime la speranza di ricevere preghiere in suffragio. Il poeta, scrutando le anime, vede Ubaldino degli Ubaldini, padre dell'arcivescovo Ruggeri, che muove le mascelle a vuoto a causa della fame ("vidi per fame a vòto usar li denti"); poi nota Bonifazio dei Fieschi, arcivescovo di Ravenna dal 1274 al 1294, che diede da mangiare alla sua mensa a molti cortigiani ("che pasturò col rocco molte genti"); infine osserva Marchese degli Orgogliosi, che fu podestà di Faenza, il quale in vita fu un grande bevitore e mai sentì appagata la propria sete. 
Terminato l'elenco delle anime dei golosi, Dante riporta la sua attenzione su Bonaggiunta da Lucca, che sembra il più interessato di tutti a parlare con lui e mormora qualcosa che al poeta sembra la parola "Gentucca". Sul significato di Gentucca i critici sono da sempre divisi: per alcuni è una parola che significa "gente da poco", riferita ai fiorentini che esilieranno Dante; per altri è il nome proprio di una gentildonna lucchese conosciuta dal poeta nel periodo dell'esilio, Gentucca Morla. Nello scrivere della parola mormorata da Bonaggiunta, l'autore ci dice di averla sentita "là, dov'el sentia la piaga de la giustizia che sì li pilucca", cioè gliela sentiva dove la giustizia divina lo tormentava, quindi nella gola. Incuriosito dal lucchese, Dante gli si rivolge direttamente e gli chiede di parlare apertamente in modo che lui possa capire. Bonaggiunta dice che ancora non porta il velo nero prescritto alle donne maritate la ragazza che darà ospitalità a Dante proprio a Lucca. Il poeta lucchese in pratica predice l'esilio dell'omologo fiorentino e la sua permanenza a Lucca, gli dice poi che se non gli crede, saranno i fatti a mostrargli la veridicità delle sue parole. Fatta la predizione dell'esilio, Bonaggiunta chiede se ha davanti colui che ha rinnovato lo stile della poesia a cominciare dal componimento "Donne ch'avete intelletto d'amore". La poesia a cui fa riferimento l'anima è la prima canzone di lode a Beatrice contenuta nella Vita Nuova e fu quella forse più cara al poeta, che la citò più volte nel De vulgari eloquentia e dichiarò di averla composta con assoluta spontaneità. Dante spiega di essere un poeta che scrive quando Amore gli detta le parole e cerca di riprodurre fedelmente ciò che gli viene suggerito. Sentita la risposta del poeta fiorentino, Bonaggiunta dice di vedere adesso la distanza che separò lui, Jacopo da Lentini ('l Notaro) e Guittone d'Arezzo, dalla poesia del Dolce stil novo; vede adesso come le poesie degli stilnovisti fossero più fedeli delle loro all'Amore (dittator) e questa è tutta la differenza che ci fu tra i loro stili. 
Bonaggiunta tace e le anime dei golosi, come a volte fanno le gru lungo il Nilo, che si raccolgono nell'aria e volano via più velocemente, si voltano e accelerano il passo, rese leggere dalla magrezza e dallo zelo ("Come li augei che vernan lungo 'l Nilo, / alcuna volta in aere fanno schiera, / poi volan più a fretta e vanno in filo, / così tutta la gente che lì era, / volgendo 'l viso, raffrettò suo passo, / e per magrezza e per voler leggera"). Forese si muove più lentamente, come l'uomo stanco di trottare che lascia andare avanti i compagni e passeggia finché non gli è passato l'affanno, e chiede a Dante quando lo rivedrà. Sente vicino il momento del distacco e già mostra di provare nostalgia. Il poeta risponde di non sapere quanto gli resti da vivere, ma è certo che non morirà prima di aver desiderato di giungere nuovamente alla riva del Purgatorio, poi si lascia andare a uno sfogo e dice che la sua città, Firenze, pare destinata alla rovina e si spoglia sempre più di ogni virtù ("<< Non so >>, rispuos'io lui, << quant'io mi viva; / ma già non fia 'l tornar mio tantosto, / ch'io non sia col voler prima a la riva; / però che 'l loco u' fui a viver posto, / di giorno in giorno più di ben si spolpa, / e a trista ruina par disposto. >>"). Forese a questo punto lo invita a proseguire il suo cammino, ma prima gli annuncia che la principale causa dell'impoverimento spirituale di Firenze, cioè suo fratello Corso Donati, capo dei Guelfi Neri, sarà presto trascinato da un cavallo fino all'Inferno e il suo corpo sarà straziato dalla bestia; non manca molto perché sia chiaro a Dante ciò che sta dicendo. Ciò detto, Forese si congeda dicendo che il tempo nel Purgatorio è prezioso e lui ne perde troppo seguendo l'amico, poi si allontana velocemente, come il più prode dei cavalieri che esce dalla schiera per combattere il primo duello ("<< Or va, >> diss'el; << che quei che più n'ha colpa, / vegg'io a coda d'una bestia tratto / inver' la valle ove mai non si scolpa. / La bestia ad ogni passo va più ratto, / crescendo sempre, fin ch'ella il percuote, / e lascia il corpo vilmente disfatto. / Non hanno molto a volger quelle ruote >>, / e drizzò li occhi al ciel, << che ti fia chiaro / ciò che 'l mio dir più dichiarar non puote. / Tu ti rimani omai; ché 'l tempo è caro / in questo regno, / sì ch'io perdo troppo / venendo teco sì a paro a paro. >>"). La profezia di Forese, sebbene espressa in modo simbolico, è abbastanza chiara: suo fratello Corso Donati morirà a breve (fu ucciso nel 1308, otto anni dopo lo svolgimento della vicenda narrata nella Commedia). La morte del fratello, che si narra cadde da cavallo e fu colpito alla gola con una lancia, viene arricchita da dettagli simbolici: in alcune città i traditori erano legati alla coda di un cavallo lanciato al galoppo, quindi Corso perisce come un traditore e come tale finisce all'Inferno; l'immagine della bestia che fa strazio del corpo abbandonato serve poi ad arricchire di drammaticità il trapasso. Forese non nomina mai direttamente il fratello, lasciando trasparire la sofferenza che in lui provoca tale previsione, la quale si sposa perfettamente col dolore che manifesta Dante per il degrado subito da Firenze e per le sue vicende personali.
Dante rimane solo con Stazio e Virgilio, che fuor del mondo sì gran marescalchi, cioè che furono guide del mondo intero. Segue ancora con gli occhi Forese che si allontana, così come con la mente segue le parole che gli ha appena detto, quando si trova davanti un altro albero. Sotto la pianta ci sono i golosi che alzano le mani e gridano qualcosa verso le fronde, come bambini che pregano senza ricevere risposta qualcuno che si diverte a tenere acceso il loro desiderio. Le anime, comprendendo che non avranno i frutti, si allontanano dalla pianta a cui, invece, si avvicinano i poeti, i quali sentono una voce che li invita a passare oltre senza avvicinarsi, e spiega che più su (nel Paradiso terrestre) c'è l'albero della conoscenza del bene e del male da cui questo deriva. Virgilio, Stazio e Dante si stringono per passare al lato della pianta. Mentre passano oltre, la voce gli ricorda gli esempi di gola punita: i Centauri che, ubriachi, provarono ad aggredire le donne durante le nozze di Piritoo e Ippodamia, finendo uccisi in molti per mano di Teseo; gli Ebrei che si mostrarono inclini a bere e furono esclusi da Gedeone dall'assalto contro i Madianiti, I poeti passano oltre stringendosi al lato interno della cornice, si ritrovano con la strada libera dalle anime e procedono meditando sugli esempi di gola punita appena uditi. Il loro cammino è interrotto da una voce che fa sobbalzare Dante il quale, voltatosi, vede una luce più forte di quella dei metalli e dei vetri nelle fornaci. L'angelo dice che se vogliono salire devono girare lì. Accecato dalla luce della creatura divina, il poeta si volta in cerca delle sue guide, intanto sente un vento paragonabile alla profumata brezza di maggio e il tocco della piuma dell'angelo sulla fronte (che gli cancella un'altra P), poi gli sente beatificare coloro i quali sono illuminati dalla grazia e non si abbandonano ai piaceri della gola ("E senti' dir: << Beati cui alluma / tanto di grazia, che l'amor del gusto / nel petto lor troppo disir non fuma, / esuriendo sempre quanto è giusto").

In questo canto del Purgatorio troviamo un po' tutto: c'è la politica, c'è il sentimento, ci sono valutazioni poetiche e c'è la teologia.
La politica è presente nelle considerazioni, seppur brevi, sulla corruzione morale di Firenze. La teologia invece pervade l'ultima parte del canto, con gli esempi di gola punita, la descrizione dell'albero e la beatitudine espressa dall'angelo. Le valutazioni poetiche sono quelle espresse da Bonaggiunta circa lo stilnovismo, che qui viene riconosciuto come linguaggio puro dell'Amore; viene in pratica sancita in questo canto la superiorità del Dolce stil novo rispetto agli altri generi poetici.
La parte più intensa del canto è però quella sentimentale. Il momento del congedo dei due amici, Dante e Forese, è molto toccante. Forese manifesta subito tristezza e nostalgia per l'abbandono imminente e inevitabile dell'amico, gli chiede quando potrà rivederlo ben sapendo di non poter avere risposta, è perciò una domanda che suona più come una constatazione malinconica. Dante, dal canto suo, manifesta un profondo scoramento dicendo che arriverà a desiderare la morte prima che questa giunga, ci lascia perciò intravedere la disperazione di chi è tenuto fuori dalla città che ama e da lontano la vede sempre più in rovina. Questo quadro poeticamente triste si chiude con la predizione di Forese, il quale vede l'imminente morte e dannazione del fratello, dipingendola con tinte molto forti e crude, mostrandoci l'evento in tutta la sua violenta tragicità.

Francesco Abate 
  

Nessun commento:

Posta un commento

La discussione è crescita. Se ti va, puoi lasciare un commento al post. Grazie.