O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d'ascoltar, seguìti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché, forse
perdendo me, rimarreste smarriti.
Il canto II del Paradiso si apre con una raccomandazione dell'autore ai suoi lettori. Si rivolge principalmente a quelli che hanno scarse conoscenze di teologia e lo fa ricorrendo a una metafora; raccomanda a quelli che lo hanno seguito, ma che viaggiano su una piccola barca, di tornare indietro perché, qualora dovessero perdere la loro guida in questo viaggio complesso, resterebbero dispersi in mezzo al mare. Spiega poi che sta iniziando a navigare in un mare mai esplorato prima, infatti mai la produzione poetica volgare si era occupata così approfonditamente di argomenti teologici. Lui procede grazie a Minerva che soffia i venti, quindi grazie alla sapienza, grazie ad Apollo che lo conduce, quindi grazie alla poesia, e grazie alle nove Muse che gli indicano gli astri ("mi dimostran l'Orse"), perciò grazie a tutte le arti. Si rivolge poi a quelli che si sono dedicati allo studio delle scienze divine, delle quali si vive ma non si è mai sazi; essi possono seguire la sua scia in mare e ciò che vedranno li riempirà di ammirazione più di quanto fece agli Argonauti la vista di Giasone che coltivava la terra come un semplice contadino ("metter potete ben per l'alto sale / vostro navigio, servando mio solco / dinanzi a l'acqua che ritorna equale. / Que' gloriosi che passaro al Colco / non s'ammiraron, come voi farete, / quando Iason vider fatto bifolco"). In questa breve apostrofe ai lettori, Dante si comporta in conformità con la sua missione, che è quella di mostrare agli uomini le verità teologiche apprese nel suo viaggio ultraterreno per favorirne la redenzione; da buona guida si preoccupa infatti di dissuadere dal seguirlo coloro che non sono pronti al viaggio e che, in un cammino così impervio, rischiano di perdersi. Il pericolo per chi legge senza un adeguato bagaglio teologico è quello di non comprendere gli insegnamenti e uscire confuso dalla lettura, magari assimilando nozioni errate e ritrovandosi più ignorante di prima.
Dante e Beatrice continuano la loro veloce ascesa, spinti dalla sete dell'Empireo che nell'uomo fu creata insieme all'anima intellettiva. Beatrice guarda verso l'alto, mentre Dante guarda lei finché, nel rapido istante in cui una freccia è scoccata dalla balestra, vola e colpisce il bersaglio, una meravigliosa visione attira la sua attenzione e lei, che vede i pensieri del suo protetto, si volta e gli dice che deve essere grato a Dio perché l'ha congiunto con il primo cielo. Riguardo al paragone della freccia, l'autore nei versi ha scelto di descrivere l'azione al contrario: "e forse in tanto in quanto un quadrel posa / e vola e da la noce si dischiava". Nel descrivere il volo di una freccia, chiunque inizierebbe dallo scoccare per finire col bersaglio colpito, il poeta invece inverte l'azione, secondo alcuni critici per semplici esigenze di rima, per altri invece con l'intenzione di rendere maggiormente l'immediatezza dell'azione. Il concetto che interessa esprimere con chiarezza a Dante è che il passaggio dal Paradiso terrestre al primo cielo avviene in un istante.
A Dante sembra che li copra una nube luminosa, fitta, solida e senza macchie, come un diamante colpito dai raggi solari. Entrano nella Luna (l'etterna margarita), la quale rimane unita come l'acqua quando è penetrata dai raggi del sole. Quello che avviene è un miracolo, infatti lui, che è lì col suo corpo, quindi con dimensione e peso, riesce a penetrare in un altro che ha massa e dimensioni proprie. Se a Dio sono possibili queste meraviglie, deve aumentare nell'uomo il desiderio di vedere il mistero della natura umana che si unisce a quella divina nella figura di Gesù Cristo. Nel cielo si vedrà, scrive, per immediata evidenza, ciò che non è dimostrato razionalmente ma si crede per fede, come la prima verità naturale, cioè il principio di casualità ("Lì si vedrà ciò che tenem per fede, / non dimostrato, ma fia per sé noto / a guisa del ver primo che l'om crede"). Fatta questa considerazione, Dante si rivolge a Beatrice, alla quale manifesta la sua devozione a Dio e la sua gratitudine per averlo elevato dal mondo dei vivi, poi le chiede cosa sono le macchie lunari, che si vedono dalla Terra e sono associate a Caino. Beatrice sorride, gli spiega che è normale che la ragione umana fatichi a comprendere delle verità così lontane dal mondo sensibile, poi gli chiede di dirle lui cosa ne pensa ("Ella sorrise alquanto, e poi <<S'elli erra / l'opinion>>, mi disse, <<de' mortali, / dove chiave di senso non diserra, / certo non ti dovrien punger li strali / d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi / vedi che la ragione ha corte l'ali. / Ma dimmi quel che tu da te ne pensi>>"). Dante spiega la sua teoria, secondo cui le differenze di luminosità dei corpi celesti siano dovute alle loro differenti densità, quindi anche le macchie lunari sarebbero generate dalla diversa densità di alcune parti della superficie dell'astro.
Sentita l'argomentazione di Dante, Beatrice gli dice che è completamente sbagliata e glielo dimostra. L'ottava sfera, quella delle stelle fisse, è composta da numerose stelle di diversa luminosità; se fosse vera la teoria di Dante, in esse vi sarebbe una sola virtù distribuita in modo disomogeneo, ad alcune in misura maggiore e ad altre in misura minore. Questa prima constatazione già basterebbe a confutare l'idea del poeta, infatti egli credeva che nelle stelle fisse erano presenti più virtù le quali influenzavano in modi diversi le creature del mondo sensibile. Espressa la prima obiezione, Beatrice spiega che la differente luminosità degli astri ha più cause diverse e Dante, soffermandosi solo sulla differente densità, ha ignorato tutte le altre. Fatta questa considerazione, prende a esempio proprio le macchie lunari: se dipendessero solo dalla differente densità, si spiegherebbero o con delle zone dell'astro dove non c'è materia o con delle differenze di volume paragonabili alla disomogenea distribuzione del grasso nel corpo umano. La prima ipotesi è confutata dal fatto che quando vi sono le eclissi di sole i raggi non attraversano quelle zone, come dovrebbe succedere se non vi fosse materia. La seconda è invece confutata dal fatto che i raggi del sole, anche se riflessi da una profondità diversa, come in una depressione della superficie lunare, dovrebbero apparire all'occhio umano con la stessa intensità luminosa, come accade quando colpiscono uno specchio (vetro lo qual di retro a sé piombo nasconde). Beatrice anticipa poi una possibile obiezione di Dante circa la sua ultima affermazione, egli potrebbe infatti sostenere che un raggio riflesso da una diversa profondità arriverebbe a noi con una luminosità diversa, e lo invita a provare un esperimento: deve prendere tre specchi, porne due alla stessa distanza dal suo volto e un terzo tra i due, ma a una distanza maggiore; deve poi porre un lume alle sue spalle in modo da essere riflesso nei tre specchi; osserverà che lo specchio più lontano rifletterà il lume con minori dimensioni rispetto agli altri due, ma l'intensità della luce sarà la stessa.
Dopo aver confutato la teoria del poeta, Beatrice lo informa di voler rimodellare il suo intelletto, inondandolo di tanta luce da farlo apparire tremolante come una stella; l'intelletto di Dante sarà come la neve che, colpita dai raggi del sole, diventa acqua e perde il colore e la temperatura che aveva prima ("Or, come ai colpi de li caldi rai / de la neve riman nudo il suggetto / e dal colore e dal freddo primai; / così rimaso te ne l'intelletto / voglio informar di luce sì vivace, / che ti tremolerà nel suo aspetto"). Spiega che dentro l'Empireo (ciel de la divina pace) ruota la sfera del Primo Mobile (un corpo) la cui virtù regola il funzionamento di tutti gli altri cieli e dell'intero universo. Il cielo seguente, quello delle stelle fisse, riceve la virtù dal Primo Mobile e la divide tra le diverse stelle come corpi distinti. Gli altri cieli dispongono i pianeti a esercitare le proprie virtù secondo la propria natura e i gli influssi di Dio. Ciascun cielo riceve l'influsso da quello superiore e lo trasmette all'inferiore. Beatrice interrompe un attimo la sua spiegazione per richiamare l'attenzione di Dante, lo invita a seguire bene come procede il suo ragionamento così da poter in seguito giungere da solo alle conclusioni. Torna a spiegare, dice che il moto dei cieli è governato dalle intelligenze angeliche, mentre quello del cielo delle stelle fisse è governato dai cherubini. Come l'anima esercita le sue diverse potenzialità attraverso membra differenti, così l'intelligenza che muove l'ottavo cielo si moltiplica per le stelle pur mantenendo la propria unità. La virtù angelica si lega poi a un pianeta, la cui materia è incorruttibile, e ognuna forma un'unione differente. Avendo natura lieta, la virtù accende di luce l'astro, così come la letizia fa brillare la pupilla di una persona. Da questo derivano le diverse luminosità degli astri, conclude Beatrice: differenti sono le virtù delle intelligenze motrici e per questo differenti sono le luminosità.
Francesco Abate
P.S. - Vi ringrazio per l'attenzione dedicata a questo nuovo commento.
Colgo l'occasione per ricordarvi che è uscito il mio ultimo romanzo, I Protettori di Libri. Potete ordinarlo in libreria e presso i migliori rivenditori on-line.
Leggere aiuta a crescere e così è anche per lo scrivere: se leggerete il mio romanzo, avremo il piacere di crescere un po' insieme.
Grazie.
Buon pomeriggio Francesco, l'ho scoperta grazie al blog La giostra dei libri.
RispondiEliminaIncuriosita dal suo post sono venuta a farle visita.
Mi complimento con lei, la sua critica dantesca è molto ben fatta e accurata!
Mi unisco con piacere ai suoi lettori, se vuole passare a farmi visita le lascio l'indirizzo del mio blog:
https://librieaforismi.blogspot.com/
A presto,
Morgana
Grazie mille per i complimenti, ma dammi del tu (e mi permetto di fare anch'io lo stesso).
RispondiEliminaHo letto un po' il tuo blog e l'ho trovato interessante, sarò felice di seguirlo.
Buona serata,
Francesco
Mi hanno chiesto l'ultimo canto del Paradiso, all'orale.
RispondiEliminaPer fortuna è andata bene.
Bellissimo anche questo tuo post, posso sapere da dove viene questa passione per Dante?
Ciao!
Leggendo sul tuo blog come scrivi, non avevo dubbi sul fatto che avresti superato brillantemente l'esame di maturità, specialmente per quello che concerne la letteratura.
EliminaGrazie per il complimento. Da studente del liceo (non brillante) la professoressa di letteratura mi fece odiare il Purgatorio e il Paradiso della Commedia, quindi per anni ho conservato una cattiva opinione dell'opera. Fortunatamente con gli anni si matura e, passati quasi 15 anni dalla maturità, ho deciso di rileggerla per conto mio. Rileggendola, ne ho scoperto la potenza e la bellezza, me ne sono innamorato, e allo stesso tempo ho capito perché oggi più che mai è fondamentale leggerla e studiarla. Così, visto che mi diverte farlo, e visto che ritengo importante che i lettori di oggi si riapproprino di questo capolavoro, ho iniziato questi commenti.
In questo post (https://culturaincircolo.blogspot.com/2017/10/recensione-della-divina-commedia-di.html) spiego bene ciò che ti ho detto qui in poche parole.
In bocca al lupo per il futuro.
Ciao.