sabato 20 luglio 2019

COMMENTO AL CANTO V DELLA "DIVINA COMMEDIA - PARADISO"

<< S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
di là dal modo che 'n terra si vede,
sì che de li occhi tuoi vinco il valore,
non ti maravigliar; ché ciò procede
da perfetto veder che, come apprende,
così nel bene appreso move il piede.
Il canto V del Paradiso inizia con Beatrice che spiega a Dante come mai emani tanto splendore da risultare insostenibile la sua vista per gli occhi umani del poeta; lei ha perfetta conoscenza della verità, in quanto anima beata, e ogni volta che la vede arde d'amore con un'intensità che i sensi umani non possono cogliere nella loro imperfezione. Mentre per la maggior parte dei critici il perfetto veder è riferito a Beatrice stessa, la quale spiegherebbe così che la visione della verità suprema porta poi la volontà a conseguirla, per altri è invece riferito a Dante, il quale vedrebbe più fulgida la sua guida e da questa visione sarebbe portato a seguire la via del bene supremo. La donna continua dicendo di vedere già come risplende nell'intelletto del poeta l'eterna luce di Dio, quella che, una volta vista, accende per sempre il desiderio di sé; e se un altra cosa terrena accende l'amore dell'uomo, non è che un bene limitato in cui c'è solo la traccia di Dio, anche se l'uomo spesso lo ritiene un bene assoluto ("Io veggio ben sì come già risplende / ne l'intelletto tuo l'eterna luce, / che, vista, sola e sempre amore accende; / e s'altra cosa vostro amor seduce, / non è se non di quella alcun vestigio, / mal conosciuto, che quivi traluce"). 
Fatta questa premessa, Beatrice risponde alla domanda con cui Dante ha chiuso il canto IV, quella circa la commutabilità dei voti religiosi. Inizia spiegando che il dono più grande che Dio ha fatto all'uomo è il libero arbitrio, che permette a tutte le creature dotate di intelletto di scegliere cosa fare e cosa non fare; l'alto valore del voto è dato dal fatto che l'uomo, con un atto libero, si priva del dono più grande ricevuto dal Creatore, la sua stessa volontà (non può più scegliere di fare o non fare qualcosa, si vincola per sempre a farla o meno). Nello spiegare il valore del voto, Beatrice accenna a una delle caratteristiche principali che lo stesso deve avere per essere valido: ciò che viene sacrificato dev'essere qualcosa che onori Dio e da Lui sia accettato; senza l'accettazione da parte di Dio, il voto perde validità ("Or ti parrà, se tu quinci argomenti, / l'alto valor del voto, s'è sì fatto / che Dio consenta quando tu consenti"). Alla luce del ragionamento fatto sul valore del voto, la donna chiede cosa possa mai essere di pari valore; se un uomo pensa di riparare usando diversamente la propria libera volontà, sarebbe paragonabile a chi fa la carità coi soldi ottenuti da un furto, vorrebbe infatti fare qualcosa di buono partendo da un'azione malvagia. Chiarito quindi che non c'è nulla che valga quanto un voto religioso, perché nulla vale quanto la libera volontà, Beatrice si appresta a chiarire come mai la Chiesa invece possa concedere l'annullamento o la dispensa dai voti, agendo apparentemente in contraddizione con la verità che lei ha appena rivelato. Perché lui possa capire la soluzione di questo apparente paradosso, è necessario che sieda ancora un po' al banchetto del sapere, infatti per comprendere l'argomento intero è necessario che prima "digerisca" alcune spiegazioni preliminari ("Tu se' omai del maggior punto certo; / ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, / che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto, / convienti ancor sedere un poco a mensa, / però che 'l cibo rigido c'hai preso, / richiede ancora aiuto a tua dispensa"). Prima di cominciare la nuova spiegazione, Beatrice sprona Dante ad aprire la mente e memorizzare ciò che sta per dirgli, perché senza ricordare ciò che si apprende è impossibile capire. Spiega poi che il voto è formato dalla materia, cioè da quel che si intende sacrificare, e dalla forma, cioè il patto con Dio. Il patto non può in alcun modo essere cancellato e dev'essere per forza rispettato (per questo agli Ebrei era comunque imposto di fare sacrifici, anche se il voto poteva essere permutato). La materia del voto può essere cambiata, ma l'uomo non deve osare farlo di propria iniziativa, senza l'approvazione della Chiesa (sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla), e ogni permuta è sbagliata se la nuova offerta non è di valore superiore alla vecchia ("e ogne permutanza credi stolta, / se la cosa dimessa in la sorpresa / come 'l quattro nel sei non è raccolta"); il cambio perciò non è possibile quando ciò che si è offerto nel voto ha valore superiore a tutte le altre cose, come accade nel caso del voto di castità.
Terminata la spiegazione circa il valore del voto e la sua possibile commutazione, Beatrice esorta gli uomini a non essere stolti e non prendere i voti alla leggera; li invita a non fare come Jefte, il quale promise a Dio di sacrificare la prima cosa uscente dalla sua casa e, quando gli venne incontro la figlia per salutarlo, la uccise, contravvenendo alla legge di Dio, mentre avrebbe fatto meglio ad ammettere la stoltezza del suo voto (l'episodio è narrato nel libro dei Giudici, il quale fa parte dell'Antico Testamento); fa anche l'esempio di Agamennone, che sacrificò sua figlia Ifigenia a Diana ("Non prendan li mortali il voto a ciancia: / siate fedeli, e a ciò far non bieci, / come Ieptè a la sua prima mancia; / cui più si convenia dicer "Mal feci", / che, servando, far peggio; e così stolto / ritrovar puoi il gran duca de' Greci, / onde pianse Ifigènia il suo bel volto, / e fe' pianger di sé i folli e i savi / ch'udir parlar di così fatto colto"). Esorta ancora i Cristiani a ponderare bene i voti e a non credere che ognuno possa garantire la purezza dell'anima; hanno la Bibbia e la Chiesa, i quali devono bastare loro per ottenere la salvezza, e se le passioni li guidano verso una cattiva strada, devono essere uomini e non pecore, quindi devono mantenersi sulla retta via; li invita infine a non fare come l'agnello che lascia il latte materno per mettersi a saltellare a suo piacere.
Terminata la spiegazione e l'esortazione, Beatrice alza lo sguardo verso il cielo superiore. Il suo silenzio e la trasfigurazione che subisce spingono Dante a non fare più domande. In un tempo rapidissimo, come la freccia che colpisce il bersaglio quando la corda dell'arco ancora vibra, si trovano nel secondo cielo, quello di Mercurio. Non appena giunti nel nuovo cielo, aumenta la letizia di Beatrice al punto da far apparire Mercurio più lucente; e se l'astro compie questa trasformazione, emanando gioia, figurarsi quella che emana Dante il quale, essendo umano, è molto più sensibile alle impressioni ("E se la stella si cambiò e rise, / qual mi fec'io che pur da mia natura / trasmutabile son per tutte guise!"). Le anime del secondo cielo si avvicinano a Dante e Beatrice come i pesci si avvicinano al pelo dell'acqua credendo di vedere il loro cibo, esse indicano nei due nuovi arrivati coloro che accresceranno il loro spirito di carità. Di tutte le anime si vede il corpo avvolto da una forte luce da loro stesse emanata. A questo punto l'autore si rivolge al lettore, dicendogli di immaginare quale angoscia proverebbe se lui interrompesse qui la narrazione, lasciandolo in preda alla voglia di sapere di più, la quale avrebbe la stessa intensità della sua al cospetto di queste nuove anime. Uno degli spiriti si rivolge a lui, sottolineandone la fortuna di poter accedere al Paradiso senza essere ancora morto, e lo esorta a chiedergli tutto ciò che vuole dopo avergli spiegato che brillano della luce che illumina tutto il cielo ("<< O bene nato a cui veder li troni / del triunfo eternal concede grazia / prima che la milizia s'abbandoni, / del lume che per tutto il ciel si spazia / noi semo accesi; e però, se disii / di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia >>"). Anche Beatrice lo esorta a chiedere e a credere a ciò che sentirà come se fosse lo stesso Dio a dirlo. Dante a questo punto dice di vedere come l'anima emana dagli occhi il lume di carità, che risplende tanto di più quanto maggiore è la letizia, poi gli chiede chi sia e perché dimori nel cielo del pianeta che è velato dai raggi del sole (essendo Mercurio il pianeta più vicino al sole, spesso la sua vista è impossibilitata dalla luce solare). 
Il canto si conclude in modo simile al precedente, con l'autore che ci descrive come l'anima si fa più lucente una volta udita la domanda, tanto che la figura del corpo diventa invisibile agli occhi del poeta, così come il sole diventa impossibile da osservare a causa della propria luminosità quando si dissolvono i vapori dell'atmosfera che lo offuscano. La risposta la conosceremo nel canto successivo ("Questo diss'io diritto a la lumera / che pria m'avea parlato; ond'ella fessi / lucente più assai di quel ch'ell'era. / Sì come il sol, che si cela elli stessi / per troppa luce, come 'l caldo ha rose / le temperanze di vapori spessi, / per più letizia sì mi si nascose / dentro al suo raggio la figura santa; / e così chiusa chiusa mi rispose / nel modo che 'l seguente canto canta").

Francesco Abate
  

2 commenti:

  1. Buongiorno Francesco.
    Bello il tuo blog, il solo titolo ha già attirato tutta la mia intenzione.
    Sono anni che non riprendo in mano la Commedia e ammetto di non ricordare bene il Canto V del Paradiso, ma la tua analisi è stata davvero profonda e interessante.
    Come mai questa passione?
    A presto, e un abbraccio.

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  2. Buonasera.
    Grazie per i complimenti, mi fa piacere vedere apprezzati l'impegno e la passione con cui affronto gli argomenti del blog.
    La passione per la Divina Commedia mi è nata in tempi recenti. A scuola i professori me la fecero odiare e io, come tanti giovanissimi, mi appassionai all'Inferno ma odiai le altre due cantiche. Superati i trent'anni, fortunatamente ho deciso di dare un'altra possibilità all'opera, anche perché chi come me si diletta a scrivere non può non conoscere bene poeti come Dante e Leopardi (giusto per citarne due); rileggendola, non solo me ne sono innamorato, ma ho anche capito quanto sia importante al giorno d'oggi leggerla. Prima scrissi una recensione in cui condivisi le mie sensazioni, poi decisi di lanciarmi nei commenti, perché capendo l'opera diventa più facile leggerla e apprezzarla.
    Sono felice che i miei commenti siano apprezzati e spero servano a far riscoprire quest'opera magnifica.

    Grazie mille e a presto.

    Francesco

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