domenica 25 agosto 2019

COMMENTO AL CANTO X DELLA "DIVINA COMMEDIA - PARADISO"

Guardando nel suo Figlio con l'Amore
che l'uno e l'altro eternalmente spira,
lo primo e ineffabile Valore,
quanto per mente e per loco si gira
con tant' ordine fe', ch'esser non puote
sanza gustar di lui chi ciò rimira.
Il canto X del Paradiso si apre con una considerazione di Dante circa la perfezione del movimento degli astri. Dio (lo primo e ineffabile Valore), guardando nel Figlio, e con lo Spirito Santo (l'Amore) che procede dall'uno e dall'altro, creò tutto ciò che si muove per virtù delle intelligenze angeliche (per mente) e nello spazio in un ordine così perfetto da destare l'infinita ammirazione di chi lo contempla. Fatta questa considerazione, invita il lettore a concentrare la propria attenzione al cielo, in quel punto dove il moto diurno dei pianeti si incontra con quello annuale, incontro che avviene agli equinozi; gli chiede di cominciare a ragionare sull'opera di Dio, colui il quale non distoglie mai l'occhio dall'universo, quindi non solo è creatore ma anche conservatore dell'ordine. La scelta di indicare i punti d'incrocio degli equinozi come punto di attenzione non è casuale, l'astronomia dell'epoca infatti dagli equinozi faceva cominciare il cammino del sole nello zodiaco, quindi è un po' come se ci invitasse a osservare il moto dell'astro principale del cielo dal suo inizio; dobbiamo cominciare a conoscere dal principio. L'autore chiede al lettore di osservare come l'eclittica, la linea lungo quale si muove il sole e che attraversa l'intero zodiaco, sia posta in modo obliquo, in modo tale che la Terra possa essere soddisfatta sia dal sole che dagli influssi dei pianeti; se l'eclittica si muovesse dritta in linea con l'orizzonte, molti dei benefici degli astri non arriverebbero al nostro pianeta, e l'ordine delle cose sarebbe gravemente sconvolto anche se essa fosse più o meno inclinata rispetto all'orizzonte di quanto effettivamente sia. Dal punto di vista astronomico, è facile immaginare quali sarebbero le conseguenze di una disposizione diversa dell'eclittica; se essa fosse dritta e congiunta all'equatore, il sole illuminerebbe sempre alcune zone e mai delle altre, quindi avremmo un'eterna estate in alcune zone e un eterno inverno in altre, con conseguenze facilmente immaginabili; la diversa inclinazione invece causerebbe grossi sconvolgimenti ai venti, alle nubi, alla luce e alle tenebre, con anch'essa conseguenze drastiche. Ovviamente Dante non prende in considerazione solo il punto di vista scientifico, anche le influenze che gli astri hanno sulle vicende umane risulterebbero alterate da una diversa disposizione dell'eclittica; per questa ragione egli vede la straordinarietà dell'opera di Dio. Il poeta conclude la sua spiegazione incitando il lettore a meditare su queste cose e approfondirne la conoscenza partendo da queste basi; lui ha lasciato il cibo sul banco, ora sta al lettore cibarsene per conto proprio. Lui, conclude, non può più concentrarsi su questo tema perché preso dalla sua missione di comprendere e raccontare il Paradiso ("Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco, / dietro pensando a ciò che si preliba, / s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. / Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba; / ché a sé torce tutta la mia cura / quella materia ond' io son fatto scriba").
D'improvviso Dante si accorge di essere nel cielo del Sole, l'astro più importante della natura, che diffonde il suo benefico calore sulla Terra e viene anche usato dagli uomini per misurare il tempo. L'astro, congiunto nel punto dell'equinozio di primavera con la costellazione dell'Ariete, gira percorrendo una spirale tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno, percorso in cui i giorni si allungano e il sole nasce più presto. Il poeta non si era accorto dell'ascesa, se ne rende conto come quando ci si trova improvvisamente immersi in un pensiero; è Beatrice che lo guida da un cielo all'alto con tanta rapidità da non essere misurabile col tempo umano ("E' Beatrice quella che sì scorge / di bene in meglio sì subitamente, / che l'atto suo per tempo non si sporge"). 
Il poeta vede le anime dentro al sole e si meraviglia del loro splendore, riesce infatti a distinguerle non perché di colore diverso, ma perché più luminose ("Quant'esser convenìa da sé lucente / quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi, / non per color, ma per lume parvente!"). Per quanto possa far ricorso al proprio ingegno e alla propria arte, sa che non riuscirebbe mai a descrivere adeguatamente ciò che vede, così come una tale scena non può essere nemmeno immaginata: è necessario che il lettore gli creda e desideri vederla di persona. Non c'è da meravigliarsi che la nostra mente non sia in grado di comprendere certe cose, osserva, infatti manca a suo sostegno l'esperienza sensoriale, dato che non c'è nel mondo una luce più intensa di quella solare. Lì nel Sole ci sono le anime degli spiriti sapienti, che Dio gratifica mostrandogli come è generato il Figlio e come procede lo Spirito Santo ("Tal era quivi la quarta famiglia / de l'alto Padre, che sempre la sazia, / mostrando come spira e come figlia"). Beatrice gli dice di ringraziare il Sole degli angeli, cioè Dio, che lo ha elevato in quel cielo non per un suo merito, ma per grazia. Mai, dice l'autore, il cuore di un uomo mortale fu così lieto di rivolgersi devoto a Dio come il suo in quel momento; Dante rivolge al Signore tutto il suo amore, finendo perfino per dimenticare Beatrice, la quale non se ne dispiace anzi, ne ride così da aumentare lo splendore dei suoi occhi, spingendo la mente del suo protetto a dividersi tra la devozione a Dio e il godimento di quella luce ("Non le dispiacque, ma sì se ne rise, / che lo splendor de li occhi suoi ridenti / mia mente unita in più cose divise"). Le anime circondano Dante, formando una corona di cui lui e Beatrice sono il centro, e la dolcezza del loro canto è perfino superiore all'intensità della loro luce; la corona che si forma è simile a quella che nelle notti molto umide vediamo intorno alla Luna (la figlia di Latona). Il Paradiso è pieno di meravigliosi gioielli che da lì non si possono portar via e il canto di quelle anime, osserva Dante, è uno di questi; chi non riesce a innalzarsi sulle ali della spiritualità fino a simili concezioni, cercando di immaginare il coro attraverso le parole del poeta è paragonabile a chi aspetta notizie da un muto. Le anime, cantando, girano intorno a Dante e Beatrice tre volte con un movimento paragonabile a quello delle stelle vicine ai poli, poi sembrano fermarsi come quelle donne che, durante la danza, prendono solo un attimo di pausa in attesa di cogliere il ritmo delle note successive ("Poi, sì cantando, quelli ardenti soli / sì fuor girati intorno a noi tre volte, / come stelle vicine a' fermi poli, / donne mi parver, non da ballo sciolte, / ma che s'arrestin tacite, ascoltando / fin che le nove note hanno ricolte"). 
Una delle anime improvvisamente comincia a parlare. Inizialmente nota che il raggio della grazia di Dio, che nell'anima accende l'amore di Dio e si accresce quanto più la persona ama Lui, risplende tanto in Dante da condurlo nei cieli del Paradiso, dove risale chiunque c'è salito una volta; in queste parole, che sono una constatazione, c'è anche un augurio per il poeta, quello appunto di tornare all'eterna beatitudine. Lo spirito aggiunge che qualora gli negasse la risposta alla sua curiosità circa la loro identità, agirebbe contro natura, come l'acqua che non scende dal monte verso il mare ("E dentro a l'un senti' cominciar: <<Quando / lo raio de la grazia, onde s'accende / verace amore e che poi cresce amando, / multiplicato in te tanto resplende, / che ti conduce su per quella scala / u' senza risalir nessun discende / qual ti negasse il vin de la sua fiala / per la tua sete, in libertà non fora / se non com' acqua ch'al mar non si cala / Tu vuo' saper di quai piante s'infiora / questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia / la bella donna ch'al ciel t'avvalora"). Dice di essere stato uno degli agnelli del gregge di san Domenico, un pastore che conduce sul cammino che arricchisce di beni spirituali, a patto di non farsi distrarre da quelli materiali; alla sua destra c'è il suo fratello e maestro Alberto di Colonia (Alberto Magno) e lui è Tommaso d'Aquino (autore, dopo sant'Agostino, del lavoro più sistematico e ampio intorno alla teologia). Tommaso invita il poeta a seguire le sue descrizioni, così conoscerà tutte le anime che sono lì intorno: l'altra luce fiammeggiante è prodotta da Graziano da Chiusi, che è stato ammesso in Paradiso per aver ordinato sia il diritto civile che quello ecclesiastico; l'altro fu Pietro Lombardo, che donò il suo tesoro alla Santa Chiesa (riferimento al prologo del suo Magister sententiarum, in cui scrisse di voler dare al Signore il suo modesto contributo di conoscenze) così come la vedovella nel Vangelo di Luca, lodata da Gesù perché aveva donato tutto ciò che aveva, anche se questo consisteva in due sole monete; la quinta luce, che è tra tutte la più intensa, esprime tanto amore (riferimento al Cantico dei cantici, quinto dei sette libri didattici della Bibbia) che ancora oggi la gente disputa circa il suo destino (il personaggio in questione è re Salomone: i teologi disputavano se fosse salvo o dannato perché, benché fosse un personaggio virtuoso e giusto nella Bibbia, macchiò la sua vita con l'idolatria e la lussuria), e dentro la sua mente ci fu così tanto sapere che ancora non è nato un saggio suo pari; subito dopo c'è la luce di colui che da vivo vide più dentro le gerarchie angeliche rispetto agli altri (riferimento a Dionigi l'Areopagita e al suo De coelesti hierarchia, in cui trattò la divisione degli angeli in tre gerarchie ciascuna di tre ordini); nell'altra piccola luce c'è quell'avvocato dei tempi cristiani della cui opera si avvalse sant'Agostino (riferimento probabilmente a Paolo Orosio, prete spagnolo autore dell'Historiarum adversus Paganos libri, scritto per desiderio di sant'Agostino e da quest'ultimo usato per la polemica contro i pagani); l'ottavo spirito è quello di Severino Boezio, che rivela l'inganno del mondo sensibile a chi sa comprendere la sua lezione (incarcerato e condannato a morte, scrisse il De consolatione philosophiae, in cui spiegò come la filosofia portasse conforto nella sventura; Dante lo citò spesso e ne trasse la soluzione del periodo più difficile della sua esistenza, quello dell'esilio); oltre si vedono splendere lo spirito ardente di Isidoro di Siviglia, del Venerabile Beda e di Riccardo di San Vittore, il quale per la via ascetica e mistica perseguita negli scritti e nella vita fu più un angelo che un uomo; l'ultimo, che sta subito prima di Tommaso, fu Sigieri di Brabante, tanto perseguitato per la sua dottrina da fargli sentire che la morte aveva impiegato troppo per arrivare.
Finito il discorso di san Tommaso, le anime riprendono la loro danza e il loro canto con una dolcezza che può essere colta solo lì in Paradiso. La ripresa del loro movimento Dante la paragona al meccanismo della sveglia che al mattino (l'ora del mattutino) sveglia la sposa (la Chiesa) affinché possa dichiarare il suo amore allo sposo (Dio): una ruota gira e tira a sé l'altra, producendo il movimento che causa il dolce suono che riempie di carità lo spirito pieno d'amore ("Indi, come orologio che ne chiami / ne l'ora de la sposa di Dio surge / a mattinar lo sposo perché l'ami, / che l'una parte e l'altra tira e urge, / tin tin sonando con sì dolce nota, / che 'l ben disposto spirito d'amor turge; / così vid'io la gloriosa rota / muoversi e render voce a voce in tempra / ed in dolcezza ch'esser non pò nota / se non colà dove gioir s'insempra").

Francesco Abate     

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