domenica 15 settembre 2019

COMMENTO AL CANTO XII DELLA "DIVINA COMMEDIA - PARADISO"

Sì tosto come l'ultima parola
la benedetta fiamma per dir tolse,
a rotar cominciò la santa mola;
e nel suo giro tutto non si volse
prima ch'un'altra di cerchio la chiuse,
e moto a moto e canto a canto colse;
canto che tanto vince nostre muse,
nostre serene, in quelle dolci tube,
quanto primo splendor quel ch'e' refuse.
Non appena san Tommaso termina il suo discorso, la ghirlanda di anime riprende la sua danza e, prima ancora di riuscire a compiere un giro intero, viene accerchiata da un altro circolo di anime che danzano e cantano allo stesso ritmo (a moto a moto e a canto a canto). Tanto soave è il canto di questi beati da essere superiore a quello delle muse e delle sirene (per altri critici, nostre serene sta semplicemente a indicare le donne amate) descritte dai poeti; il Paradiso supera ogni capacità espressiva umana, così come la luce diretta è più intensa del suo riflesso in uno specchio. La visione delle due ghirlande di anime, una interna e una esterna, ricorda al poeta la formazione di due arcobaleni tra le nubi, due archi di colori formati da Iride, ancella di Giunone, che con la loro doppiezza ricordano l'eco, cioè il parlar di quella vaga ch'amor consunse come sol vapori. Nei versi in cui accenna all'eco, Dante fa riferimento al mito della ninfa Eco, la quale si consumò d'amore per Narciso e fu trasformata dagli dèi in una roccia in grado di rifrangere le parole altrui; abile è il gioco del poeta che prima ci descrive l'arcobaleno facendo riferimento alla figura mitologica di Iride e poi, comparando il mostrarsi di un doppio arcobaleno all'eco di una voce, si allaccia a un'altra figura mitologica. La visione degli arcobaleni ricorda alla gente il patto che Dio fece con Noè subito dopo il diluvio universale, quando promise che non avrebbe mai più allagato il mondo. Le due ghirlande di anime, una interna e una esterna, rassomiglianti ai due arcobaleni, si muovono all'unisono ("Come si volgon per tenera nube / due archi paralleli e concolori, / quando Iunone a sua ancella iube, / nascendo di quel d'entro di quel di fori, / a guisa del parlar di quella vaga / ch'amor consunse come sol vapori; / e fanno qui la gente esser presaga, / per lo patto che Dio con Noè puose, / del mondo che già mai più non s'allaga; / così di quelle sempiterne rose / volgiensi circa noi le due ghirlande, / e sì l'estrema a l'intima rispuose").
I due cerchi di anime interrompono insieme la danza, con una sincronia paragonabile a quella degli occhi che si chiudono e si riaprono all'unisono, e un'anima di quelle appena arrivate parla, così che Dante si gira verso la sua luce così come l'ago della bussola si gira per puntare verso la stella polare. A parlare è san Bonaventura, che in vita fu frate francescano. Egli dice che l'amore divino, che ha reso la sua anima così splendente, lo spinge a parlare di san Domenico, poiché del suo san Francesco già si è parlato così bene; è giusto infatti che la loro gloria splenda insieme, perché insieme combatterono per la Chiesa. Racconta san Bonaventura che l'esercito di Cristo, che tanto costò riarmare (riferimento al sacrificio di Gesù), si muoveva incerto dietro le insegne, perciò l'imperatore che sempre regna (Dio) decise di fornirgli due campioni (san Francesco e san Domenico), non perché il popolo lo meritasse, ma semplicemente per grazia; in virtù dell'esempio dei due campioni il popolo si ravvide ("L'essercito di Cristo, che sì caro / costò a riarmar, dietro a la 'nsegna / si movea tardo, sospeccioso e raro, / quando lo 'mperador che sempre regna / provide a la milizia, ch'era in forse, / per sola grazia, non per esser degna; / e come è detto, a sua sposa soccorse / con due campioni, al cui fare, al cui dire / lo popol disviato si raccorse"). 
Fatta la premessa sui due campioni della Chiesa, molto simile a quella fatta da san Tommaso nel canto precedente, san Bonaventura parla della nascita di san Domenico. In quella parte d'Europa dove soffia lo zefiro e fa nascere le nuove fronde che la rinverdiscono, poco lontano dalle coste bagnate dall'Oceano, dietro alle quali nel solstizio d'estate il sole tramonta, sorge la fortunata città di Calaruega, la quale è protetta dallo stemma in cui il leone sta da un lato sotto al castello e da un lato sopra (in che soggiace il leone e soggioga). Lo stemma in questione è quello di Alfonso VIII, che governava all'epoca sulla Castiglia, e viene descritto così nei particolari perché accentua il carattere guerriero della regione e si unisce ai riferimenti di guerra fatti fino a ora dal santo, delineando con maggior nitidezza la figura di san Domenico come un santo combattente. Tra le mura di Calaruega nacque quell'amante della fede cristiana, eccezionale combattente della santità, che fu benigno agli amici e rigido con i nemici; non appena fu creato, la sua anima fu riempita di virtù da Dio al punto da donare una profezia a sua madre che lo portava in grembo. La leggenda narra che la madre di san Domenico sognò di dare alla luce un cane bianco e nero che portava in bocca una fiaccola ardente, con la quale dava fuoco al mondo. 
San Bonaventura passa ora al racconto della vita di san Domenico. Alla fonte battesimale si compirono le nozze tra san Domenico e la fede; promisero di donarsi vicendevolmente la salvezza e la sua madrina sognò il mirabile frutto che sarebbe nato da lui e dai suoi eredi, i domenicani (si narra che la madrina sognò il fanciullo con una stella in fronte). Perché nel nome apparisse ciò che lui era destinato a essere, i genitori furono ispirati dal cielo a chiamarlo Domenico (il possessivo di Dominus, quindi "del Signore"), e san Bonaventura parla di lui come di colui che fu eletto da Cristo per essere uno dei più ardenti operai della vigna ("E perché fosse qual era in costrutto, / quinci si mosse spirito a nomarlo / del possessivo di cui era tutto: / Domenico fu detto: e io ne parlo / sì come de l'agricola che Cristo / elesse a l'orto suo per aiutarlo"). Sembrò subito inviato e discepolo di Cristo, infatti il primo amore che il lui si manifestò fu per l'umiltà, il primo consiglio dato da Cristo. Spesso la sua nutrice lo trovò sveglio a pregare a terra, come se dicesse di essere venuto per questo. Suo padre a ragione si chiamò Felice, perché dovette essere felice di avere un figlio così, e lo stesso valse per sua madre Giovanna, nome che significa "Grazia di Dio". Divenne molto dotto, ma non lo fece per i beni terreni, per cui ci si affanna dietro i manuali di diritto canonico dell'Ostiense (Enrico di Susa) e del Taddeo (Taddeo Pepoli), bensì per amore della scienza divina (verace manna); si mise a costruire una difesa per quella vigna che subito secca se il vignaiolo non la cura. Al papa, la cui corruzione non è da attribuire alla carica, ma alla persona che non resta fedele al magistero, non chiese dispense dal dare parte delle rendite, non la prima carica vacante, non le decime del patrimonio che appartengono ai poveri; chiese di poter combattere per la fede, il seme da cui nacquero i ventiquattro beati lì presenti, contro le eresie. Con gli argomenti dottrinali e con intenzione precisa, e con l'autorità di papa Innocenzo III, partì per la sua missione con la forza di un torrente che scende dall'alto della montagna; con il suo vigore colpì gli sterpi eretici con maggior forza laddove opponevano più resistenza (il riferimento è alla setta degli Albigesi in Provenza). Da lui nacquero poi altri ruscelli, i vari ordini a lui collegati, che irrigano il campo della Chiesa e nutrono i suoi alberelli (i fedeli).
Terminato il racconto della vita di san Domenico, san Bonaventura fa un discorso sulla corruzione del suo ordine, quello dei francescani. Se questa che ha appena descritto fu una ruota del carro della Santa Chiesa, grazie alla quale questa vinse la sua guerra civile (gli eretici erano cristiani, quindi appartenenti allo stesso regno), Dante dovrebbe già conoscere l'eccellenza dell'altra ruota, di cui gli ha parlato prima san Tommaso (le due ruote sono san Domenico e san Francesco). Ma il solco che tracciò la parte superiore della ruota è ora trascurato, tanto che c'è muffa dove prima era la gromma; in pratica l'esempio di san Francesco viene spesso dimenticato, così c'è la corruzione dove prima c'era la santità (la gromma è il deposito che il buon vino lascia nelle botti, che è utile per favorirne la conservazione). L'ordine francescano (la sua famiglia), che inizialmente ha seguito le orme del santo, ora ha deviato talmente tanto il cammino che chi sta davanti spinge chi sta dietro, e presto si raccoglieranno i frutti di questa corruzione (la mala coltura), quando il loglio (pianta infestante e velenosa) si lamenterà per non essere stato messo nel granaio ("La sua famiglia, che si mosse dritta / coi piedi a le sue orme, è tanto volta, / che quel dinanzi a quel di retro gitta; / e tosto si vedrà de la ricolta / de la mala coltura, quando il loglio / si lagnerà che l'arca li sia tolta"). Chi osserva a uno a uno i frati dell'ordine (chi cercasse a foglio a foglio) troverebbe ancora qualcuno che è ciò che dovrebbe essere, ma ciò non vale per Ubertino da Casale né per Matteo Bentivegna d'Acquasparta, perché uno estremizza la regola (la coarta), l'altro non la rispetta. 
Fatto il discorso, l'anima si presenta e indica poi gli altri che sono con lui. Lui è Bonaventura da Bagnoregio, che nelle cariche ricoperte antepose sempre i beni spirituali a quelli terreni. Ci sono nella seconda corona Accarino della Rocca e Agostino d'Assisi, che furono tra i primi seguaci di san Francesco e divennero amici di Dio cingendosi col capestro (la rozza corda di cui si cingevano i francescani). Ci sono poi Ugo da San Vittore, Pietro Mangiadore e Pietro di Giuliano da Lisbona, che sulla Terra risplende nei dodici libretti che ha scritto; ci sono il profeta Natan (vissuto ai tempi di re David), il metropolita Giovanni Crisostomo, Anselmo d'Aosta e quell'Elio Donato che scrisse un trattato sulla grammatica (la prim' arte). C'è Rabano Mauro, e accanto a Bonaventura c'è l'abate calabrese Gioacchino da Fiore, dotato del dono della profezia. Spiega infine che è stato il discorso di san Tommaso a spingere le anime lì e lui a lodare san Domenico.

Il canto XII segue una struttura parallela al canto che lo precede. Nel canto XI abbiamo sentito un domenicano lodare san Francesco e criticare il proprio ordine, in questo c'è un francescano che tesse le lodi di san Domenico e giudica con altrettanta severità i propri confratelli. Questo reciproco scambio è da vedere prima di tutto come il riconoscimento di un'alleanza, entrambi gli ordini combattono per lo stesso sovrano (Dio) e per questo tra loro non ci sono rivalità, nemmeno fanno paragoni tra loro. La scelta di gestire così i due canti io credo sia stata anche motivata dalla necessità di non far apparire presuntuosi i beati: se un domenicano avesse lodato il suo patriarca e così un francescano, sarebbe apparso quasi come se ognuno volesse tirare acqua al proprio mulino. Con questa scelta invece il poeta toglie ogni sospetto di presunzione o vanità, ognuno esalta l'altro e vede il male nel proprio, così come è giusto in un regno dove l'umiltà è la prima regola.
Da sottolineare sono anche le differenze circa le descrizioni dei due santi. San Francesco ha sposato la povertà e nella descrizione di san Tommaso ne viene esaltata l'umiltà; san Domenico invece si è unito con la fede e nei versi che ho descritto prevalgono le metafore che lo presentano alla stregua di un guerriero, ciò a sottolineare la sua lotta contro le eresie.

Francesco Abate 

2 commenti:

  1. Mi ricordo questi due canti, l'undicesimo e il dodicesimo, perché praticamente funzionavano a specchio.
    Dei tre ordini devo dirti che personalmente quello che apprezzo di più è l'ordine francescano perché meglio rappresenta il messaggio di Cristo.
    Ti abbraccio.

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  2. In effetti anch'io del Paradiso, prima di rileggerli, ricordavo questi due canti e poco altro.
    L'ordine francescano è sicuramente più vicino alla gente comune, perché si è distinto nella predicazione di umiltà e povertà, ed è inoltre molto attuale vista l'eccessiva ricchezza che circola nelle istituzioni ecclesiastiche; quello domenicano è stato più dogmatico e impegnato contro le eresie.
    Grazie per la lettura e il commento.

    Un abbraccio.

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