Imagini chi bene intender cupe
quel ch'i' vidi (e ritegna l'image,
mentre ch'io dico, come ferma rupe)
quindici stelle che 'n diverse plage
lo cielo avvivan di tanto sereno,
che soperchia de l'aere ogne compagne
Il canto XIII inizia con l'autore che invita il lettore che vuole immaginare chiaramente la sua visione (chi bene intender cupe) a fissare l'immagine che lui descriverà come ferma rupe: deve immaginare le quindici stelle di prima grandezza, tanto luminose e visibili da vincere la luminosità dell'aria (secondo Tolomeo, c'erano quindici stelle di prima grandezza sparse tra le dodici costellazioni dello zodiaco); poi deve richiamare alla mente il Grande Carro (altro nome dell'Orsa Maggiore), a cui è sufficiente lo spazio nel nostro emisfero, infatti non tramonta mai; deve poi immaginare la punta dell'Orsa Minore, dove due stelle formano come la bocca di un corno la cui punta sta vicino all'asse attorno a cui ruota il Primo Mobile. Il lettore deve immaginare queste ventiquattro stelle (quindici di prima grandezza più sette dell'Orsa Minore e due dell'Orsa Minore) formare due corone nel cielo simili a quella che Bacco formò quando Arianna fu in punto di morte (il mito narra che Bacco mutò in una corona di stelle la ghirlanda che le cingeva la testa); deve poi immaginare le due costellazioni così formate girare in due sensi opposti (secondo altri critici nello stesso senso ma con velocità diverse), così avrà un'idea vaga della danza che circonda il poeta. L'autore conclude il periodo specificando che con l'immaginazione il lettore può solo avere un'idea vaga della danza dei beati, perché paragonarla a qualsiasi ballo terrestre sarebbe come paragonare il lento scorrere del fiume Chiana al velocissimo movimento del Primo Mobile ("e avrà quasi l'ombra de la vera / costellazione e de la doppia danza / che circulava il punto dov'io era; / poi ch'è tanto di là da nostra usanza, / quanto di là dal mover de la Chiana / si move il ciel che tutti li altri avanza"). Il circolo di beati non canta inni ad Apollo (Peana) o a Bacco, com'era usanza nell'età pagana, ma esalta i misteri dell'Unità e della Trinità.
I beati terminano tutti insieme la loro danza e si volgono verso Dante e Beatrice, felici di passare da un dovere a un altro. Il loro silenzio è rotto da san Tommaso, il beato che ha lodato san Francesco, che vuole risolvere adesso il secondo dubbio di Dante; dice che quando parte della paglia è stata tritata e il suo seme messo da parte, l'amore lo spinge a battere l'altra metà.
Il poeta crede, spiega il santo, che Dio infuse tutte le virtù lecite alla natura umana in Adamo, dalla cui costola fu creata la donna il cui palato ha condannato l'umanità (Eva), e in Gesù, il cui costato fu trafitto da una lancia, perciò si è meravigliato quando lui ha detto che nessuno abbia eguagliato in sapienza re Salomone (lo ben che ne la quinta luce è chiuso). San Tommaso invita Dante ad aprire gli occhi della mente, così scoprirà che il suo sapere e la spiegazione del santo formano insieme la stessa verità, come nel cerchio un punto è il centro ("Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo, / e vedrai il tuo credere e 'l mio dire / nel vero farsi come centro in tondo"). A questo punto fornisce a Dante la spiegazione al suo secondo dubbio, procedendo sempre con metodo filosofico. La sostanza incorruttibile e quella corruttibile non sono altro che un raggio dell'idea che Dio genera con amore, un'idea che non si separa mai né da Lui né dall'Amore, e per bontà di Dio si riflette per i nove cerchi angelici rimanendo però inalterata nella sua integrità ("Ciò che non more e ciò che può morire / non è se non splendor di quella idea / che partorisce, amando, il nostro Sire; / ché quella viva luce che sì mea / dal suo lucente, che non si disuna / da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea, / per sua bontate il suo raggiare aduna, / quasi specchiato, in nove sussistenze, / etternalmente rimanendosi una."). Dai cori angelici l'idea discende fino alle creature materiali e la sua influenza ridotta man mano porta alla formazione di cose corruttibili (brevi contingenze) che possono essere i vegetali o anche i minerali (cose prodotte con seme e sanza seme). La sostanza della materia e l'influenza dei cieli non sono sempre in uguale accordo, così le cose create riflettono la luce divina più o meno bene; come alberi della stessa specie fruttano con maggiore o minore copiosità, così le persone possono nascere con indole o attitudini differenti. Se la materia fosse creata tutta perfetta e i cieli potessero esercitare sempre la loro piena virtù, apparirebbe interamente la luce dell'idea divina, ma la natura non sempre è ben disposta e opera come l'artista a cui trema la mano; se però lo Spirito Santo ispira e imprime in una creatura la Sapienza di Dio, in essa si ottiene tutta la perfezione, così come fu fatto con Adamo (che ebbe tutta l'animal perfezione) e come fu fatto quando la Vergine Maria concepì Gesù. Fatte queste premesse, san Tommaso loda l'idea di Dante, secondo cui in Gesù e in Adamo fu infusa la massima virtù lecita all'uomo, e in virtù di questa anticipa l'obiezione di Dante circa la sapienza senza eguali di Salomone. Per sciogliere il dubbio, è necessario ricordare cos'era Salomone e cosa chiese quando Dio lo invitò a chiedergli ciò che desiderava: egli era un re, come Tommaso aveva chiaramente fatto intendere, e chiese il sapere non per conoscere il numero degli angeli (sapienza teologica) o per sapere se una premessa necessaria e una contingente possano dare una conseguenza necessaria (sapienza filosofica), non per sapere se è ammissibile un primo moto non generato da altro moto (sapere scientifico) o se si può iscrivere un triangolo non rettangolo in un semicerchio (sapere matematico); tenendo conto di quanto Tommaso ha detto prima, è evidente che si riferisse non a una sapienza generica, ma alla sapienza di un re , e se Dante presta attenzione al verbo surse usato dal santo, che ha voluto intendere l'elevarsi di Salomone al di sopra degli altri, gli sarà chiaro che il riferimento era solo ai sovrani, perché i re sono tanti ma quelli buoni sono rari. Facendo questa distinzione, restano validi sia l'idea di Dante circa la perfezione di Adamo e Gesù, sia l'asserzione di san Tommaso sulla sapienza senza eguali di re Salomone.
Sciolto anche il secondo dubbio di Dante, san Tommaso lo invita a procedere sempre coi piedi di piombo quando ragiona su una questione che non gli è chiara, poi deplora chi afferma o nega qualcosa senza ragionarci bene su, infine spiega come spesso l'opinione corrente spinga verso false convinzioni che poi vengono difese senza ragionare ("E questo ti sia sempre piombo a' piedi, / per farti mover lento com' om lasso / e al sì e al no che tu non vedi: / ché quelli è tra li stolti bene a basso, / che sanza distinzione afferma e nega / ne l'un così come ne l'altro passo; / perch' elli 'ncontra che più volte piega / l'opinion corrente in falsa parte, / e poi l'affetto l'intelletto lega"). Dannosa è l'avventura di chi prova a conoscere ignorando il metodo e la disciplina, perché all'ignoranza unisce l'errore e si ritrova in condizioni peggiori; egli è paragonabile a un uomo che va a pesca senza conoscere i segreti del mestiere. Sono prove di questi guai Parmenide, Melisso, Brisso e molti che partirono senza sapere dove andare; così fecero Sabellio (eretico) e Ario (monaco che negò la divinità di Cristo), che furono come spade e deformarono l'interpretazione delle Scritture (la superficie della spada riflette le figure deformate).
Dopo aver criticato chi cerca di sapere senza conoscere il metodo, san Tommaso ammonisce affinché non si giudichi con superficialità. Le persone, dice, non devono giudicare con leggerezza, come fa il contadino che stima il valore della biada prima che sia matura. Lui stesso ha visto un pruno spoglio per tutto l'inverno mostrare in primavera un fiore in cima; ha visto una nave procedere veloce lungo una rotta per poi affondare al momento di entrare nel porto ("ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima / lo prun mostrarsi rigido e feroce, / poscia portar la rosa in su la cima; / e legno vidi già dritto e veloce / correr lo mar per tutto suo cammino, / perire al fine a l'intrar de la foce"). Non credano donna Berta e ser Martino (due nomi generici, l'equivalente dei nostri Tizio e Caio), vedendo un uomo rubare e un altro fare l'offerta in chiesa, di sapere con certezza che il primo sarà dannato e il secondo salvo, perché potrebbe avvenire il contrario ("Non creda donna Berta e ser Martino, / per vedere un furare, altro offerere, / vederli dentro al consiglio divino; / ché quel può surgere, e quel può cadere").
In questo canto san Tommaso ha sciolto il dubbio di Dante circa la sapienza di re Salomone. Nella parte finale il santo ammonisce chi si approccia al sapere con superficialità e leggerezza, concludendo poi con un duro richiamo verso chi crede di poter giudicare circa la salvezza o la condanna di qualcuno.
La sistemazione di questo richiamo finale in questo canto non è casuale. La figura di re Salomone è sì una delle principali della Bibbia, ma il sovrano ebbe più mogli e nella parte finale della sua vita cadde nell'idolatria, per questo i teologi disputarono molto circa la salvezza della sua anima. Attraverso san Tommaso, Dante ricorda che l'uomo non è nelle condizioni di conoscere con certezza il disegno di Dio, quindi gli è impossibile sapere se un'anima sarà salva o dannata. L'anima abbruttita dal peccato, rappresentata dal pruno secco e spinoso in inverno, può alla fine germogliare nella sua gloria, dando così un fiore; l'anima retta, rappresentata dalla nave che segue la sua rotta, può cadere nel peccato anche in prossimità della morte, naufragando poco prima di entrare nel porto.
Francesco Abate
Ok, non dovrei dirlo, ma su questo Canto io mi sono addormentata.
RispondiEliminaChe vuoi farci, capita anche a chi ama Dante ma dopo tre ore di compito di Fisica non ne può più!
Meno male che adesso, con l'università, riprenderò in mano il Poeta.
Mi tengo buoni i tuoi post, grazie per tutto.
Dopo tre ore di compito di Fisica, io credo che sarei morto! :-)
RispondiEliminaGrazie a te per la lettura, spero che i miei post ti saranno utili.
Ciao.
In questo canto secondo me Dante riunì quelli che erano i due pilastri della filosofia medievale prima dell'avvento di Occam e del suo rasoio.
RispondiEliminaGrazie per questi tuoi post, mi sto rileggendo Dante con piacere.
Ti abbraccio.
Considerazione interessante, non l'avevo mai pensato in questi termini.
RispondiEliminaSono felice che i miei post siano di tuo gradimento, è sempre bello sapere apprezzato il proprio lavoro.
Buona serata.