Hezbollah: Storia del Partito di Dio è un saggio scritto dal prof. Marco Di Donato e pubblicato dalla casa editrice Mimesis.
Da molti anni ormai il mondo occidentale è intrappolato in una visione piatta e distorta del Medio Oriente, complice l'opera di disinformazione dei mass media euroamericani, che spingono per l'idea di supremazia dell'Occidente. In virtù di questa visione, voluta e alimentata dai disegni egemonici politici occidentali, siamo abituati a pensare a gruppi come Hamas ed Hezbollah come delle accozzaglie di psicopatici pronte a farsi esplodere in nome di Allah, manipolati da una mente furba che dal loro sacrificio trae vantaggi politici ed economici.
La lettura di saggi come questo ci mostra come questa visione sia assolutamente parziale e sbagliata. Per prima cosa non si può tentare la comprensione di questi movimenti senza leggere il substrato politico e sociale in cui si sono sviluppati. Prendendo ad esempio Hezbollah, il Partito di Dio si formò in un Libano consumato dalla guerra civile, preso d'assalto dai profughi palestinesi in fuga dalle armi di Israele, divorato dal confessionalismo e dal potere di poche ed influenti famiglie. In questo contesto disastroso, con poco distante il successo della rivoluzione sciita iraniana, gli sciiti libanesi, che nel paese erano una minoranza oppressa e passiva, non poterono che salutare con gioia la nascita di una forza politico-militare che nella sua Lettera aperta agli oppressi del Libano e del mondo (1985) si proponeva proprio di superare le divisioni confessionali, di resistere alla prepotenza del nemico israeliano e di dare aiuto a tutti i disagiati. Hezbollah non nacque quindi inneggiando al martirio ed alla guerra contro gli infedeli, anzi si rivolse anche ai libanesi non sciiti per la creazione di un Libano più giusto e moderno. Le premesse non sono quelle di un movimento terrorista, bensì quelle di un partito politico. Certo il Partito di Dio ha sempre potuto contare su una milizia armata, anche dopo essere entrato regolarmente nelle istituzioni, ma non dobbiamo isolare la sua storia dal contesto in cui si è sviluppata, era pur sempre un movimento che si proponeva di resistere ad Israele (stato tutt'altro che pacifista!).
La storia di Hezbollah ci proietta nella complessità di una delle realtà più agitate del Medio Oriente. Il Libano infatti, nonostante le intenzioni del Partito di Dio, non è riuscito mai a liberarsi del confessionalismo, ed ha sempre sofferto le ingerenze siriane e iraniane, oltre alle aggressioni israeliane. In un contesto così complesso, il richiamo alla resistenza di Hezbollah, unito alla sua organizzata rete assistenziale, gli ha permesso delle affermazioni elettorali che lo hanno portato, nel 2000 (dopo il ritiro delle truppe israeliane dal Libano), ad anteporre il jihad politico a quello militare.
La storia di Hezbollah è anche però la dimostrazione di quanto possa costare cara una cattiva lettura politica. Hezbollah non ha mai voluto rinunciare alla sua forza militare ed il cattivo uso della stessa ne ha determinato un declino importante negli ultimi anni. I due momenti decisivi sono stati l'8 maggio 2008, quando per la prima volta Hezbollah usò le proprie armi contro cittadini libanesi non sciiti, tradendo così i suoi richiami al superamento delle divisioni confessionali, e il 2013, quando intervenne nella guerra civile siriana a sostegno di Assad, perdendo definitivamente credibilità agli occhi di molti elettori.
Le poche parole che ho speso sopra ovviamente non possono essere sufficienti a costruire un giudizio su un movimento politico-militare attivo da circa quarant'anni in una delle zone più turbolente del mondo, infatti le scelte che hanno determinato l'ascesa e la caduta del partito sono nate dalla lettura di situazioni molto complesse che sono perfettamente spiegate nel saggio del prof. Di Donato.
Di certo si può dire in poche parole che è molto riduttivo etichettare Hezbollah come gruppo terrorista, non è infatti un esercito votato al martirio ed alla guerra contro Israele, ma è prima di tutto un partito politico capace di grande pragmatismo e proiettato ad una modernizzazione del Libano che, non solo per proprie colpe, non ha potuto realizzare.
Francesco Abate