<<E' troppo semplice descrivere Hamas meramente come una organizzazione terroristica. E' un movimento nazionalista religioso che ricorre al terrorismo - così come il movimento sionista fece durante la lotta per la creazione dello stato - nella convinzione sbagliata che quello sia l'unico modo per far terminare un'occupazione oppressiva e che avrebbe restituito uno stato palestinese.>>
Ho voluto iniziare il post riportando queste parole pronunciate dall'ex presidente dell'American Jewish Congress, Henry Siegman, per mostrare subito come non sia affatto esaustivo descrivere Hamas semplicemente come organizzazione terrorista.
Come tutti sappiamo, è in corso dal 7 ottobre 2023, data del sanguinoso massacro perpetrato dalle Brigate Izz al Din al Qassam, l'ala militare di Hamas, il genocidio del popolo palestinese ad opera delle forze di occupazione israeliane. Come sin troppo spesso è accaduto nella storia, una nazione militarmente forte sta usando un torto subito per giustificare azioni abominevoli e contrarie al diritto internazionale.
In un momento storico in cui la questione palestinese è riesplosa con tanta prepotenza, diventa necessario conoscerne meglio uno dei protagonisti, il gruppo denominato Hamas. Per approfondire un po' ciò che riguarda questa fazione, della quale tutti parlano ma pochi sanno davvero qualcosa, si rivela molto utile un saggio che vi consiglio, scritto dalla giornalista Paola Caridi e rieditato proprio all'indomani degli attentati del 7 ottobre 2023: Hamas. Dalla resistenza al regime.
La conoscenza che abbiamo di Hamas si ferma spesso alla sua identificazione come gruppo terrorista, ma in realtà la sua complessa storia ci rivela un movimento molto complesso in cui convivono un'anima politica ed una militare; l'ultima purtroppo ha preso di recente il sopravvento.
La fondazione di Hamas risale all'anno 1987, durante la Prima Intifada. Il gruppo non fu fondato dall'oggi al domani, ma nacque da una costola dei Fratelli musulmani palestinesi con l'intento di perseguire in modo più attivo il proprio obiettivo di creare il buon palestinese musulmano e liberarlo dall'oppressione israeliana. Delle varie costole dei Fratelli musulmani esistenti in Medio Oriente, Hamas è stata l'unica a usare con una certa sistematicità la violenza, ma questo si spiega facilmente col fatto che è stata l'unica a dover affrontare l'occupazione di una forza straniera.
L'uso della violenza ad opera di Hamas toccò il suo picco con la stagione degli attentati suicidi, che durò dal 1994 al 2005. Anche in questo caso, la violenza, seppur ingiustificabile, nacque come reazione ad un atto subito: il 25 febbraio 1994, ultimo venerdì di ramadan, il colono israeliano Baruch Goldstein aprì il fuoco dentro la Moschea Ibrahimi, la più santa dopo le moschee della Spianata di Gerusalemme, uccidendo ventinove fedeli in preghiera prima di venire linciato dalla folla. Hamas considera ancora oggi quello il momento della svolta che portò all'inizio degli attentati suicidi che per più di dieci anni terrorizzarono gli israeliani.
Il 2005 fu l'anno in cui Hamas decise la tregua unilaterale, la fine della stagione dei suicidi, ed iniziò la propria attività politica in vista delle elezioni del 2006. Il 25 gennaio 2006 il mondo fu scosso da una notizia sconvolgente: Hamas aveva vinto le elezioni, battendo nettamente Fatah. Poteva essere un'occasione da cogliere per normalizzare il movimento, per dare forza alla sua componente politica a discapito di quella militare, ma in politica estera quasi mai l'Occidente ci vede lungo e anche allora non fece eccezione: Israele, USA ed UE scelsero di isolare Hamas e di ostacolarne in tutti i modi l'azione di governo, riconoscendo solo Fatah come interlocutore e rendendo di fatto l'Autorità Nazionale Palestinese ingovernabile. Israele, che per conto dell'ANP riscuote le tasse, bloccò a più riprese l'erogazione dei fondi, lasciando ad Hamas il compito di governare un territorio senza avere denaro a disposizione.
Quella del 2006 fu però davvero una grande occasione persa, e col senno di poi si può dire con ancora più forza. Hamas era stata eletta alla guida della Palestina non per la sua storia di violenza, ma perché negli anni aveva sviluppato una fitta rete di assistenza sociale, riuscendo ad aiutare i palestinesi più in difficoltà, quelli dei campi profughi della Striscia di Gaza sempre più isolata dall'occupante israeliano. La svolta politica di Hamas l'aveva anche portata a delle aperture che ne mitigavano l'estremismo; se, come già detto, nella carta costitutiva era detto senza mezzi termini che Israele andava distrutto, nelle dichiarazioni ufficiali dei suoi esponenti politici dopo le elezioni era ventilata l'ipotesi di una lunga tregua (dieci o venti anni) e la richiesta del riconoscimento dei confini del 1967, aprendo di fatto ad un riconoscimento dello Stato di Israele e ad una convivenza più pacifica. Se la comunità internazionale avesse assecondato Hamas nella svolta politica, avrebbe consolidato la forza dell'area diplomatica del movimento e limitata l'influenza dei gruppi militari. La strategia occidentale invece ha legato le mani ad Hamas, mostrando ai suoi elementi più estremisti come la via diplomatica fosse inutile, ed ha finito col tempo per indebolire l'area politica del movimento, aprendo di fatto la strada al massacro del 7 ottobre 2023.
Insieme alla miopia occidentale, che ha reso impotente la parte politica di Hamas rinforzando quella militare, decisivo per il ritorno alla violenza in Palestina è stato anche il disinteresse dei paesi arabi. Se in passato i paesi arabi avevano più o meno solidarizzato col popolo palestinese (pur dividendosi nei momenti decisivi, lasciando campo libero agli israeliani), in tempi recenti è emersa chiaramente l'insofferenza per la questione che tendono a normalizzare attraverso accordi con Israele siglati senza neanche interpellare i delegati dell'ANP. Ne sono un esempio lampante gli Accordi di Abramo, siglati dai paesi arabi con Israele al solo scopo di salvaguardare gli scambi commerciali ed isolare politicamente l'Iran, nei quali non si tiene minimamente conto degli interessi e della volontà dei palestinesi. Fallita la strategia dell'impegno politico, e visto l'isolamento in campo internazionale, è facile immaginare come gli estremisti all'interno di Hamas abbiano avuto gioco facile nel riacquistare potere.
Con questo post non pretendo di aver fornito un identikit completo di Hamas, un movimento così complesso e dalla storia tanto lunga non può essere spiegato in poche righe. Il mio intento è solo quello di aprire la mente a chi, semplicisticamente, etichetta il movimento come terrorista ed accetta supinamente la narrazione ambigua dei paesi occidentali (quelli che storcono il naso davanti al genocidio ma continuano a vendere armi ad Israele).
Per avere un quadro più esaustivo vi consiglio vivamente di leggere il saggio Hamas. Dalla resistenza al regime di Paola Caridi. Il saggio è scritto bene ed è facilmente leggibile anche da chi conosce poco la storia palestinese e vi permette di entrare nella complessità di Hamas, condizione indispensabile non solo per capire meglio cosa sta succedendo adesso in Medio Oriente, ma anche per imparare che la realtà è sempre molto più complessa di quanto sembri e che le etichette possono descrivere bene solo i prodotti sugli scaffali di un supermercato.
Concludo urlando: STOP AL GENOCIDIO!
Francesco Abate
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