giovedì 4 giugno 2020

COMMENTO AL CANTO "SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE CHE SI PREPARAVA A FIRENZE"

Perché le nostre genti
pace sotto le bianche ali raccolga,
non fien da' lacci sciolte
dell'antico sopor l'itale menti
s'ai patrii esempi della prisca etade
questa terra fatal non si rivolga.
Composto a Recanati tra il settembre e l'ottobre del 1818, il canto Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze fu ispirato da un manifesto pubblicato nel luglio dello stesso anno in cui si annunciava la costruzione di un monumento al sommo poeta a Firenze. Il monumento fu poi inaugurato il 24 marzo del 1830 in piazza Santa Croce.

La poesia è composta da dodici strofe; le prime undici presentano diciassette versi, l'ultima invece ne ha solo tredici. Anche qui, come in All'Italia, c'è una differenza tra le strofe pari e quelle dispari, in questo caso però sono meno marcate e la struttura ritmica è più regolare, rendendo questo canto più simile a quelli petrarcheschi.

Leopardi usa la figura di Dante Alighieri non per una celebrazione della poesia, ma per la composizione di un canto patriottico.
I versi che aprono il canto sono una critica all'ignavia degli italiani (l'antico sopor d'itale menti), poi la prima strofa si chiude con un invito all'Italia: Leopardi la sprona a guardarsi indietro e disperarsi, a guardare i grandi uomini del passato visto che nel presente non ce ne sono (O Italia, a cor ti stia / far ai passati onor; che d'altrettali / oggi vedove son le tue contrade, / né v'è chi d'onorar ti si convegna).

Nella seconda strofa il poeta parafrasa il manifesto con cui venne annunciata la costruzione del monumento; riprende l'esempio del cittadino straniero che, giunto in visita a Firenze, cerca una statua del suo cittadino più illustre e, non trovandola, rimprovera aspramente la città intera. Era effettivamente una vergogna che il più grande letterato fiorentino non avesse neanche una pietra commemorativa nella città in cui era nato e che aveva amato.
Leopardi loda coloro che hanno pensato di ovviare a una tale vergogna e per loro è sicuro che ogni petto italiano si accenderà d'amore.

Nonostante il soggetto al centro della poesia sia il monumento di Dante, questo come ho già detto è un canto patriottico.
Dante fu un uomo politico attivo oltre che letterato e anche nella sua opera più importante, la Divina Commedia, denunciò a più riprese la corruzione che stava portando l'Italia alla rovina. Leopardi sfrutta il forte patriottismo che fu di Dante per rivolgersi a lui e mostrargli lo scempio che vive il paese che amava, ben peggiore di quello che poté vedere di persona.
Ciò che Leopardi sottolinea maggiormente in questo componimento è il dramma dei giovani italiani mandati a morire in Russia per volontà dell'imperatore francese Napoleone. Il poeta descrive questa triste situazione ed è certo che dall'aldilà Dante ne sia disgustato, altrimenti non sarebbe la stessa persona che fu in vita ("Padre, se non ti sdegni, / mutato sei da quel che fosti in terra. / Morian per le rutene / squallide piagge, ahi d'altra morte degni, / gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo / e gli uomini e le belve immensa guerra"). 
Non solo ne descrive la morte in terra straniera, ma Leopardi immagina i soldati italiani in agonia piangere per un estremo sacrificio donato a colui che ha schiavizzato la loro patria ("O patria nostra. Ecco da te rimoti, / quando più bella a noi l'età sorride, / a tutto il mondo ignoti, / moriam per quella gente che t'uccide").   

Il canto Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze è importante anche perché introduce il tema del conforto della disperazione.
Leopardi definisce infinita la sciagura degli italiani che muoiono in Russia, eppure li esorta a rassegnarsi e a fare di questa disperazione il loro conforto ("Anime care, bench'infinita sia vostra sciagura, datevi pace; e questo vi conforti che conforto nessuno avrete in questa o nell'età futura"). In pratica secondo il poeta l'unico conforto di quei disperati deve essere la disperazione stessa.
Questo tema Leopardi lo approfondisce nel 1821 nello Zibaldone. Scrive che l'uomo non può vivere senza speranza. La disperazione stessa non può esistere senza la speranza; l'abbandono delle speranze si accompagna o alla speranza di non soffrire più, perché non si spera più in niente (non ci sono perciò aspirazioni che possono essere frustrate), o a quella di godere della disperazione stessa e dei sentimenti forti che è in grado di suscitare. 
Per Leopardi quindi la disperazione può donare un conforto così come la speranza stessa.

Francesco Abate

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