domenica 19 ottobre 2025

SIMONE WEIL

 

Scrittrice e intellettuale francese, Simone Weil è stata una figura originale nel panorama intellettuale del Novecento.
Convinta della necessità di un'esperienza diretta delle realtà di cui parlava, per non lasciare solo parole al vento, abbandonò presto l'insegnamento per andare a lavorare in fabbrica, poi nel 1936 si arruolò nella guerra civile spagnola. Al centro del suo pensiero c'è infatti la condizione dei lavoratori, e l'esperienza della guerra servì a convincerla di quanto ci si potesse abituare anche alle uccisioni.

L'esperienza maturata in fabbrica insegna a Weil che il lavoratore è uno schiavo, che subisce con la mansuetudine di una bestia da soma i comandi e le angherie dei superiori, e che nell'esercizio delle sue mansioni è privato di qualsiasi iniziativa. L'operaio ogni giorno esce dalla fabbrica stanco, incapace di pensare e di provare sentimenti, tanto più di ribellarsi, e questa condizione disumana lo porta a rifugiarsi nell'incoscienza, ecco così spiegati i fenomeni dell'alcolismo e della tossicodipendenza. 
Per Weil però anche la rivoluzione è una forma di ricerca dell'oblio. Weil guarda all'esperienza dell'URSS, dove il partito rivoluzionario non ha distrutto la macchina burocratica, ma se n'è semplicemente impadronito. L'esperienza sovietica dimostra che nessun partito può condurre alla liberazione del lavoratore dalla schiavitù, solo i sindacati possono riuscirci.
Col passare del tempo, però, Weil diventa pessimista sulle possibilità di liberazione dell'operaio. Una totale sconfitta del sistema che disumanizza il lavoratore e lo rende schiavo le sembra impossibile, più plausibile è cercare di conoscere la verità per inserire un po' di gioco negli ingranaggi che lo schiacciano. Si tratta quindi per l'operaio di ritagliarsi piccoli spazi di libertà, ma una liberazione completa non sembra possibile; il lavoratore deve solo diventare consapevole della tecnica che utilizza, trovando quella dignità nel lavoro che gli viene negata. Tutto nella società resta sottomesso a meccanismi di comando ed obbedienza, alla subordinazione dell'individuo (che diventa sempre più insignificante) alla collettività.
In questo quadro così disperato, l'unica salvezza per l'uomo è Dio, a cui è più prossimo chi sta peggio. Weil, sebbene si voti alla fede nella parte finale della sua giovane vita, rimane distante dai dogmi dalla Chiesa, il cui tentativo di imporre la propria "intelligenza" su quella degli uomini è un abuso, che mortifica l'individualità dei fedeli.

Il pensiero di Simone Weil, qui riassunto in poche righe che di certo non possono essere esaustive, è di sicuro il frutto della delusione causata dalla rivoluzione russa nei socialisti d'Europa. Vedere la rivoluzione tanto sognata trasformata in un nuovo crudele regime di oppressione ebbe l'effetto di destabilizzare molti intellettuali di sinistra, spingendoli a dare risposte diverse a quelle derivate a inizio Novecento dallo studio di Marx.
Weil fu aspramente criticata per la sua posizione antisovietica (che ebbe il coraggio di esprimere pubblicamente). Propose la teoria di una dittatura della burocrazia, in contrasto con la dittatura del capitalismo teorizzata da Marx, e la sua visione di una collettività che cancella l'individualità a mio modo di vedere dipinge perfettamente il mondo che conosciamo.
Nella parte finale della sua vita Weil si avvicinò alla fede e in Dio ripose le speranze di salvezza del lavoratore e dell'uomo, ma questo fu forse causato dall'impossibilità di trovare soluzioni pratiche ai problemi degli operai-schiavi e dal suo limitare tutta l'analisi della vita umana alle condizioni dei lavoratori.
Weil non ebbe il tempo di vivere il dopoguerra e il boom economico (morì nel 1943) ed è un peccato: sarebbe stato bello vedere l'evoluzione del suo pensiero alla luce delle nuove mutazioni della vita umana.

Francesco Abate

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