domenica 18 giugno 2017

COMMENTO DE "IL NOME DELLA ROSA" DI UMBERTO ECO

"Mi rallegro che si possa diventare best seller contro i pronostici cibernetici, e che un'opera di letteratura genuina possa soppiantare il ciarpame ... l'alta qualità e il successo non si escludono a vicenda". Ho voluto aprire con questo commento di Antony Burgess perché credo che il modo migliore per definire Il nome della rosa è dichiarare come esso sia una prova lampante che un'opera di qualità può avere successo.
Il nome della rosa è un romanzo storico ricco di elementi e spunti di riflessioni, scritto molto bene, ricco di suspance e mai banale. Attraverso questo romanzo, che per lui fu il primo, Umberto Eco ci trasporta nel '300 e ci catapulta nel bel mezzo dei travagli politici e spirituali che dominavano l'epoca. La vicenda si svolge nel bel mezzo della cattività avignonese, periodo in cui la sede papale fu trasferita da Roma ad Avignone a causa dei numerosi contrasti con il Sacro Romano Impero. Quello che sarebbe potuto essere un banale thriller, iniziato con l'arrivo di un monaco dalla mentalità molto "illuminata" all'interno di un'abbazia benedettina del nord Italia per indagare sulla misteriosa morte di un monaco, si intreccia col clima politico-culturale molto agitato. Si finisce in un turbine di eventi storici, di riflessioni filosofiche di carattere spirituale e non, ma soprattutto si resta immersi nella corruzione nascosta all'interno di un luogo sacro. 
Mentre le morti nell'abbazia aumentano e il mistero si infittisce, assumendo quasi dei caratteri sovrannaturali e apocalittici, i lettori possono vedere attraverso gli occhi del protagonista una delle fasi più cruente dello scontro tra papato e impero, vedendo snocciolate le tesi delle due diverse fazioni. Nonostante il contesto storico delicato e la voglia dell'autore di approfondire tante tematiche storiche e filosofiche di grande importanza, la storia non perde mai il suo fascino e costringe il lettore a leggere con avidità fino all'ultima pagina.

I vari personaggi che animano la vicenda rappresentano essi stessi modi diversi di vivere la fede e la sete di conoscenza, che i tragici accadimenti dell'abbazia finiscono per rendere temi centrali del romanzo. Ovviamente all'interno di un'abbazia, in cui tra l'altro si svolge un incontro tra due delegazioni, i personaggi sono tantissimi. Mi limiterò a descrivere quelli che mi hanno impressionato maggiormente, dandomi l'impressione di essere veicoli di un messaggio.
Adso da Melk è colui che narra la vicenda, scrivendo in vecchiaia ciò che visse in gioventù. Nei giorni in cui si svolge la vicenda, egli è un giovane novizio benedettino che fa da assistente a Guglielmo da Baskerville. Nel corso del romanzo subisce un processo di crescita molto brusco. All'inizio è un ingenuo novizio, affascinato dall'erudizione e dalla sagacia del maestro, ma poco utile perché spettatore passivo dei suoi ragionamenti. Alla fine del romanzo invece inizia ad esporre con coraggio le sue personali riflessioni ed è decisivo nella risoluzione del caso. Anche a livello spirituale subisce una maturazione importante, infatti nell'abbazia vede da vicino la corruzione di alcuni appartenenti al proprio ordine monastico (lotte di potere, sodomia, sfruttamento della prostituzione, amore malato per la cultura), allo stesso modo assiste all'ingiustizia perpetrata dalla Santa Inquisizione, inoltre sperimenta in prima persona il peccato di lussuria e questo lo porta ad importanti riflessioni sull'amore e sulla purezza dello spirito.
Guglielmo de Baskerville è il vero protagonista della vicenda. Egli simboleggia la ragione e con metodo deduttivo è abilissimo nel cercare verità nascoste. Guglielmo arriva all'abbazia non solo con l'ordine di indagare su una morte misteriosa, egli è anche nel vivo dello scontro politico-spirituale che coinvolge l'imperatore ed il papa. Da francescano quale è, egli è chiamato a difendere le posizioni dei suoi fratelli spirituali riguardo la povertà di Cristo, ed è inviato a farlo dall'imperatore, che per convenienza politica appoggia tale teoria teologica. Guglielmo de Baskerville è anche simbolo di una fede inquieta: egli è un ex inquisitore, andato via perché non più convinto che la Santa Inquisizione fosse dalla parte del giusto, o almeno sempre più sospettoso che tra eretici e cattolici vi fossero semplicemente delle differenze di vedute, che non necessariamente una delle due parti fosse nel torto. Alla fine della vicenda Guglielmo ottiene una vittoria e una sconfitta. Esce sconfitto sul piano politico quando l'incontro tra la legazione papale e quella dei francescani fallisce grazie all'astuzia dell'inquisitore Bernardo Gui. Vince però sul piano della logica, riuscendo finalmente a scoprire l'origine delle morti sospette che sconvolgono l'abbazia. La vittoria serve a Guglielmo solo per appagare il suo orgoglio smisurato, infatti la catastrofe cala comunque sull'abbazia e non gli è possibile salvare il tesoro più prezioso custodito nella biblioteca.
Abbone da Fossanova, l'Abate dell'abbazia in cui si svolge la storia. Si tratta di un religioso molto legato alle ricchezze materiali ed al prestigio dell'ordine. Spesso si dilunga in lodi sulla magnificenza dei gioielli in possesso dell'abbazia e sulla grandezza della biblioteca, tenta di giustificare la sua passione dando a questa ricchezza un valore spirituale che spesso appare forzato. Una volta terminato in modo fallimentare l'incontro tra le due legazioni, dopo aver incassato una figuraccia con la legazione papale che ha scoperto i tanti peccati commessi dai monaci all'interno dell'abbazia, l'Abate solleva Guglielmo dalle indagini temendo che si scopra altro solo per salvare il buon nome dell'ordine, incurante del rischio che l'assassino possa tornare a colpire.
Malachia e Berengario, rispettivamente bibliotecario e aiuto bibliotecario dell'abbazia. Il primo è un fantoccio, custodisce i libri semplicemente eseguendo ordini e senza alcuna curiosità verso la conoscenza che essi custodiscono. Berengario è un lussurioso, coinvolto in torbide vicende di sodomia.
Remigio e Salvatore, due ex dolciniani arrivati all'abbazia dopo l'uccisione di Fra Dolcino. Sono all'abbazia semplicemente per sfuggire alle persecuzioni, del loro passato tutti sanno ma tutti tacciono. Remigio però, nonostante sia fuggito per viltà, si rivela alla fine intimamente ancora convinto della bontà dell'eresia dolciniana; Salvatore è invece un misto di nozioni cristiane, eretiche e stregonesche, non esita addirittura a tentare riti di magia nera per far innamorare di sé una donna. Il primo quindi rappresenta l'adesione consapevole all'eresia, il secondo invece l'adesione del popolo ignorante spinto dalla rabbia per una classe clericale sempre più ricca e lontana.
Jorge da Burgos, uno degli abati più anziani, completamente cieco, molto ricercato dai suoi confratelli per le confessioni. Jorge è un fedele intransigente ed estremista, contrario a tutto ciò che non sia una passiva ed intensa fede in Dio. Fortemente convinto che l'eccessivo amore per il sapere porti alla perdizione, non esita a macchiare la propria anima di terribili peccati pur di salvare la cristianità dalla diffusione di nuove teorie da lui giudicate dannose per l'animo umano. Si tratta a mio parere dell'esatto contrario di Guglielmo, ritiene infatti che la ragione debba fermarsi alla contemplazione della Verità e non debba andare oltre, l'uomo deve conoscere solo per arrivare a Dio; Guglielmo invece non ritiene sbagliato l'amore per la conoscenza per sé stessa ed è convinto che conoscere più cose possa solo avvicinare a Dio.  
Bernardo Gui, inquisitore dell'ordine domenicano, arriva all'abbazia come membro della legazione papale. Si tratta di un uomo astuto che usa le regole della fede per fini politici. Venuto a conoscenza dei delitti e dei tanti peccati che si consumano nell'abbazia, non esita a far cadere tutte le colpe su un capro espiatorio al fine di ufficializzare la vicenda, screditare così la reputazione di chi si proponeva da mediatore (in questo caso l'Abate) e mandare all'aria l'incontro. Con questa mossa Bernardo Gui assicura al papa la possibilità di poter screditare ulteriormente i propri avversari politici, accostandoli tutti all'eresia. A Bernardo Gui del vero assassino non interessa nulla, trovato il capro espiatorio e processatolo, dichiara fallito l'incontro tra le due legazioni e va via, senza nemmeno aspettare per verificare la bontà delle sue conclusioni.

Come già detto più volte sopra, Il nome della rosa offre un quadro piuttosto ricco di particolari dei contrasti che dilaniavano il mondo cristiano nel Trecento. Oltre a citare numerose eresie, indicandone in linea di massima il credo, Eco ci fa conoscere le tristi imprese di Fra Dolcino e la terribile fine che gli riservò la Chiesa.
Nel romanzo è però vissuto in diretta uno dei momenti di maggior tensione tra il papato e l'impero. Il papa si è insediato ad Avignone per essere protetto dal re di Francia, l'imperatore Ludovico pretende il primato sul potere temporale e per farlo appoggia quel ramo dei francescani che predica la povertà della Chiesa in conseguenza della povertà che fu di Cristo. Lo scontro tra francescani e delegati papali è quindi in realtà scontro tra papa e imperatore. Poco dopo la fine della vicenda narrata, la situazione degenererà con l'elezione di un antipapa da parte di Ludovico e si arriverà allo scontro definitivo. La tensione non si manifesta però soltanto con gli scontri politici, attraverso alcuni personaggi e le loro vicende viene evidenziato un momento di inquietudine spirituale, lo stesso francescano Guglielmo è pieno di dubbi e guarda con interesse a nuove teorie poco gradite alla chiesa.
Come tutti sappiamo, uno dei più celebri romanzi storici è I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Eco prende da Manzoni lo stratagemma del manoscritto ritrovato, così da avere un pretesto per poter narrare i fatti in prima persona e soprattutto poter anticipare anche avvenimenti che al momento della vicenda principale non si sono ancora verificati. Così come Manzoni nel Prologo dice di aver rinvenuto il manoscritto contenente la storia di Renzo e Lucia, allo stesso modo Eco dice di aver ritrovato questo quaderno con gli appunti di Adso da Melk.

Tutto il romanzo è ricco di particolari. I personaggi spesso sul loro corpo portano i segni di quello che è il loro spirito, vi sono però descrizioni molto approfondite anche delle costruzioni in cui si svolge la vicenda. Questo io credo sia dovuto all'Eco semiologo, da bravo studioso dei segni egli è attento a lasciarne nel romanzo tanti da rendere evidente in un particolare quella che è l'anima della persona o dell'oggetto descritto.
Nonostante questi tanti approfondimenti storico-filosofici e questa ricchezza di particolari descritti, il merito di Umberto Eco è senz'altro quello di aver creato una storia che incolla il lettore e lo costringe a non fermarsi fino all'ultima pagina, infatti la suspance non manca mai e i colpi di scena arrivano con un buon ritmo. Per questo un'opera tanto complessa è riuscita a conquistare anche i meno "colti", diventando un best-seller contro le previsioni.

Francesco Abate 
    

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