giovedì 12 novembre 2020

LA VIOLENZA NEL ROMANZO "I PROTETTORI DI LIBRI"

 

I Protettori di Libri è un romanzo che parla di guerra, dittatura e rivoluzione, quindi al suo interno non poteva mancare una buona dose di violenza.

Oggi siamo immersi in una cultura dove la violenza è spesso spogliata della sua gravità, per tante ragioni essa viene giustificata o addirittura presentata come buona, finendo per farci perdere l'idea esatta del suo valore negativo. Il cinema, la tv, anche molti libri e videogiochi per ragazzi, disegnano un protagonista che diventa eroe risolvendo un problema, o rimediando a un'ingiustizia, usando la violenza. 
A tutti è capitato di vedere un poliziesco dove il protagonista, certo della colpevolezza dell'interrogato, non esita a usare "maniere forti" per estorcergli una confessione: in quel contesto il crimine e l'uso della violenza diventano agli occhi dello spettatore un'arma lecita perché usata contro un cattivo. Non dobbiamo meravigliarci se un poliziotto esaltato, convinto per ragioni discutibili di essere in presenza di un delinquente, si sente in diritto di abusare del proprio potere e usare la violenza. I tanti casi di polizia violenta sono figli di questa cultura, perché nascono dalla convinzione che quell'abuso di potere in quel contesto sia qualcosa di accettabile.
Faccio un altro esempio, forse un po' più spinoso. Lessi tempo fa per caso di un'intervista in cui un popolare calciatore raccontava le scenate di gelosia di un'ex fidanzata, sostenendo di essere stato più volte inseguito e addirittura schiaffeggiato in pubblico. L'episodio veniva riportato con leggerezza, perché spesso sentendo di un uomo infedele che prende uno schiaffo dalla compagna ci limitiamo a sorridere e a commentare che l'ha meritato. Eppure immaginiamo fosse capitato l'inverso, con la ragazza picchiata dal ragazzo per la stessa ragione. Molti giustamente si sarebbero indignati e avrebbero colto la gravità della cosa, ma molti altri avrebbero riso comunque convinti che lei l'avesse meritato. Nel primo caso c'è un'evidente sottovalutazione della gravità dell'atto violento, causata dall'assenza di gravi conseguenze, ma tale sottovalutazione può ripetersi (e si ripete spesso, purtroppo) anche in situazioni più drammatiche come quelle in cui sfociano casi simili al secondo. 
Se non ci abituiamo a censurare sempre gli atti violenti, a prescindere dalle caratteristiche del colpevole e della vittima, se quindi non ci facciamo entrare in testa che la violenza è sempre riprovevole e mai giustificabile, non smetteremo di essere circondati da persone che giustificano e commettono atti violenti. Non importa chi picchia chi, chi ammazza chi, o la ragione per cui l'ha fatto: importa soltanto che l'atto violento è stato commesso, e sempre chi lo commette è colpevole e chi lo subisce è vittima. Non devono essere ammesse eccezioni, perché l'eccezione è il forellino che si allargherà fino a formare la voragine. Perché tali eccezioni smettano di essere ammesse, è necessario che la cultura cambi, quindi è compito dell'arte spogliare la violenza del suo fascino e presentarla in tutta la sua bruttezza.

Non ho esposto questa idea per caso. Con l'idea che ho della violenza e del ruolo della cultura come suo veicolo, nello scrivere I Protettori di Libri mi sono ritrovato in un campo minato. Dovevo descrivere la violenza, perché era necessaria ai fini del messaggio e della trama, ma dovevo allo stesso tempo evitare di darle un ruolo positivo, o anche solo un fascino.
Nel mio romanzo i personaggi positivi non sono violenti, ricorrono alla violenza solo per salvare la propria vita o l'esito della propria missione. I Protettori di Libri sono dei rivoluzionari, ma non sparano e non lanciano bombe, si limitano a conservare la medicina che può debellare il virus della dittatura: i libri. Anche i due protagonisti del romanzo, Giovanna e Francesco, usano la violenza solo per difendere le proprie vite. Ci sono invece i personaggi negativi che usano la violenza o per piacere personale, come il sadico Taipan, o per sentirsi grandi, come Peppe 'a ciucciuvettola: si tratta di personaggi che nel loro essere e nei loro comportamenti manifestano ciò di cui sono fermamente convinto, cioè che il violento è indegno di essere giudicato un essere umano.

***

Riusciranno i Protettori di Libri a portare a termine la loro rivoluzione non violenta? Quali pericoli costringeranno Giovanna e Francesco a usare le maniere forti? Riusciranno Taipan e Peppe 'a ciucciuvettola a far trionfare la propria mostruosità?
Potete scoprirlo acquistando il romanzo I Protettori di Libri su uno dei link che trovate andando in questa pagina. Il romanzo è disponibile sia in formato cartaceo che elettronico.
Dopo averlo letto, non dimenticate di lasciare un commento sul blog, su Facebook o su Twitter.

Grazie e buona lettura.

Francesco Abate

10 commenti:

  1. In genere non amo scene di violenza fini a se stesse o scene di sesso troppo particolareggiate nei libri. Se la storia le richiede devono sfumare, lasciando al lettore immaginare cosa accadrà.
    Buona domenica!

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    1. Sono d'accordo con te, solo che in questo romanzo ho voluto fare un'eccezione con Taipan, perché mi serviva evidenziare la sua perversità mostrando dettagliatamente il suo modo di fare del male.
      In generale non mi addentro troppo in descrizioni dettagliate di scene di sangue o di sesso, ma in questo caso la storia esigeva così; non ho voluto cambiarla perché volevo misurarmi con la scrittura di qualcosa che fosse lontana da ciò che scrivo normalmente. Alle volte mi piace sperimentare, pur senza mai snaturare i messaggi che voglio lanciare attraverso i miei libri, infatti mi sono preoccupato di non dare mai un valore positivo né a Taipan né alle sue opere.

      Buona giornata.

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    2. Tutto chiaro allora.
      Anche io fatico a digerire certe scene, infatti non amo nemmeno i film splatter dove c'è solo sangue e violenza snaturata.
      Baci.

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    3. Nello splatter non si fa altro che nascondere la totale vuotezza dietro immagini sanguinose. E' un niente mascherato, non è arte.
      Baci.

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  2. Il tuo è un messaggio forte, che fa riflettere.
    Quante persone infatti ancora oggi subiscono violenze e tutti si voltano dall'altra parte?
    Ciao!

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    1. E' un messaggio che mi sta molto a cuore. Finché la nostra cultura tollererà o addirittura promuoverà la violenza, i terribili casi che la cronaca ci presenta ogni giorno non cesseranno.
      Ciao.

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  3. Io ho avuto lo stesso problema quando ho scritto "La lunga strada verso te": immergermi, per così dire, nella logica nazista e ritrarre i suoi seguaci nel modo più crudo possibile non è stato semplice però era necessario per far capire l'assurdità di tutto quel male.
    Ti abbraccio.

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    1. Il problema dello scrittore è questo. La realtà va rappresentata e compresa interamente, anche nei suoi lati oscuri, ma è importante nel trattare il male non mitizzarlo.
      Baci.

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    2. Stimo molto te, Francesca e tutti quegli scrittori che non hanno timore di confrontarsi con temi difficili come la guerra, la violenza, il dolore... è un mettersi alla prova e anche un modo di comunicare ai lettori quali sono i veri valori e cosa invece bisogna fermare e contrastare.
      Buon fine settimana.

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    3. Grazie, Penny, lo apprezzo molto.
      Io credo che chi scrive debba fare arte, e l'arte vera esiste solo nelle opere intrise di significati importanti; diversamente faremmo solo intrattenimento.
      Buona domenica.

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